Ascensione del
Signore – Anno A – 1° giugno 2014
Rito romano
At 1,1-11; Sal 46; Ef
1,17-23; Mt 28,16-20
Rito ambrosiano
At 1, 6-13a; Sal 46;
Ef 4, 7-13; Lc 24, 36b-53
- L’ascensione non è un abbandono, è un Addio1.
Il
brano del Vangelo proposto oggi dalla liturgia romana termina con
questa frase di Cristo:
“Ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
(Mt 28,20). Con
una reazione immediata ed ispirata a quello che viene chiamato buon
senso, verrebbe da dire che è un po’ paradossale scegliere questa
affermazione di Gesù per la Sua ascensione al cielo. L’ascensione
al cielo di Gesù manifesta il mistero della Croce quale trono di
gloria, abisso dell’incontenibile tenerezza del Signore
“inchiodato” dall’amore per i suoi fratelli e elevato dal
Padre. L’ascensione svela il mistero dell'Uomo-Dio. Noi sappiamo da
dove viene Gesù perché vediamo dove va: viene dal Padre e a Lui
ritorna. La nostra vita non è sospesa nel nulla: Dio è nostro
principio e fine. Salendo al cielo, Risorto ci porta nel suo cuore
per metterci nel cuore del Padre.
Con l'ascensione
Gesù scompare dalla vista, ma non ci lascia orfani. Ci apre la via
del ritorno a casa2.
Questa casa, questo
paradiso aveva visto la fuga di Adamo, ma la storia continua e si
conclude con il Cristo, il nuovo Adamo che torna al Padre. Lui è il
Figlio unigenito che, diventato uomo, si è fatto primogenito di
molti fratelli. Dopo una lunga passione, Lui, il capo, è uscito alla
luce. Questa storia continua ancora: è la nascita progressiva del
suo corpo, costituito da tutti gli uomini, suoi fratelli. La sua
ascensione al Paradiso è un vortice che ci assume con lui nella
gloria.
Quando nel suo
Vangelo descrive l’ascensione di Gesù, San Luca ripete quattro
volte che i discepoli tenevano gli occhi fissi al cielo. Guardavano
lì perché lì stava colui che li ama. Dove è il tesoro, lì è
anche il cuore. Ognuno va dove già sta il suo cuore. Se il nostro
cuore non ha il santo desiderio, resta immobile, come un morto. Se
guardiamo in alto, verso le stelle con Maria, Stella del Mare,
abbiamo un orientamento sulla terra. Non è un cordone ombelicale che
lega, ma la bussola che nella libertà fa camminare verso l’alto.
Dunque l’“ascensione
al cielo” non è la festa per un trasferimento di luogo, è un
“adDio”: è la festa dell’elevazione di Cristo, essa indica
l’insediamento dell’uomo crocifisso nella regalità di Dio sul
mondo. E’ una festa perché Gesù ci ha preceduto per prepararci
una dimora. Dunque anche per noi c’è un posto nella reggia paterna
e sono profondamente vere e attuali le parole di Tertulliano
“Consolatevi,
carne e sangue: in Cristo avete preso possesso del cielo e del regno
di Dio!”
(De car. Chr. 7).
Il
Cristo è Colui che nella sua incarnazione ha unito cielo e terra.
Lui ha realizzato l’unità degli estremi: la povertà dell'uomo con
l'infinito di Dio. Dunque Il
cielo non è un luogo lontano, al di sopra e al di là delle stelle
più lontane, è qualcosa di molto più ardito e più grande: è il
trovar posto dell'uomo in Dio e questo ha il suo fondamento nella
compenetrazione di umanità e divinità nell'uomo Gesù crocifisso ed
elevato. Cristo, l’uomo che è in Dio, è al tempo stesso il
perpetuo essere aperto di Dio per l'uomo.
Cristo,
“l'uomo
che è in Dio, è al tempo stesso il perpetuo essere aperto di Dio
per l'uomo. Egli stesso è, quindi, ciò che noi chiamiamo «cielo»,
poiché il cielo non è uno spazio, ma una persona, la persona di
colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti. E
noi ci avviciniamo al cielo, anzi, entriamo nel cielo, nella misura
in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in lui.”
(J. Ratzinger, Predica per l’Ascensione 1975).
Se
consideriamo tale avvenimento a partire da questa prospettiva,
possiamo capire quello che San Luca scrive alla fine del suo Vangelo,
quando narra che dopo l’Ascensione i discepoli tornarono a
Gerusalemme “pieni
di gioia”
(24,52). Se si fosse trattato di un distacco, questi uomini di Cristo
non sarebbero potuti essere “pieni di gioia”. Per loro
l'ascensione e la resurrezione erano un medesimo evento: essi avevano
la certezza che il Crocifisso viveva, che era vinta la morte che
separa l’uomo da Dio, e che le porte della vita vera erano state
per sempre aperte. Per loro, quindi, l'ascensione non ebbe quel
significato errato che noi abitualmente le diamo, cioè quello della
temporanea assenza di Cristo dal mondo. Significò piuttosto la
nuova, definitiva ed insopprimibile forma della presenza di Gesù,
grazie alla Sua partecipazione alla potenza regale di Dio.
Risurrezione
e ritorno di Cristo sono tra loro intrecciati, ed è chiaro che nella
risurrezione di Gesù, grazie alla quale ora è per sempre in mezzo
ai suoi, è già iniziato il suo ritorno.
I
cristiani, di allora e di oggi, non devono quindi fissarsi sul futuro
e preoccuparsi di fare ipotesi circa il momento del ritorno di
Cristo. Loro, e noi con loro, dobbiamo tener presente che Lui non ha
mai cessato di essere presente. Anzi, per mezzo di loro e nostro, Lui
vuole diventare sempre più presente: il dono dello Spirito ed il
dovere della predicazione, testimonianza e della missione fino ai
confine del mondo sono il modo in cui Cristo è già adesso presente.
2) Testimoni della gioia.
La
festa dell'elevazione di Cristo, che oggi commemoriamo, è quindi una
grande solennità e la sua nota caratteristica è la gioia. Dio ha
spazio per l'uomo: a quest'annuncio ci deve succedere come ai
discepoli che dal monte dell’Ascensione tornarono alle loro case
“pieni di gioia”.
Nella
prima lettura della Liturgia di oggi, San Luca racconta il fatto vero
e proprio dell'Ascensione in una sola riga (Atti 1,9): “Fu
elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro
sguardo”.
Preferisce soffermarsi sui discepoli, che chiedono al Signore: “È
questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”.
Gesù li rimprovera. Il tempo è nelle mani di Dio. E questa certezza
deve bastare: il resto è trascurabile curiosità.
L'importante
è un'altra cosa: “Mi
sarete testimoni a Gerusalemme... fino agli estremi confini della
terra”.
Compito dei discepoli è di testimoniare dovunque il loro Signore.
Non sono i popoli che arrivano a Gerusalemme, ma sono i discepoli che
sono inviati verso i popoli. E non ci sono confini, luoghi vietati,
popoli o uomini ai quali il Signore non possa essere testimoniato.
Questa
testimonianza va fatta nella gioia, la gioia di Cristo crocifisso e
risorto, la gioia della certezza di un Dio vicino, sempre. Per avere
questa gioia quindi dobbiamo toccare la Croce e questa ci toccherà,
sanando il nostro male, facendoci entrare nella gioia della
resurrezione, salendo in cielo con noi nel suo cuore.
L’Ascensione
va vissuta da ciascuno di noi come invito ad essere testimoni del
Vangelo
- della gioia che penetra il cuore e lo conforta,
- della gioia che non viene mai meno perché nessuno può togliercela (cfr Gv 16,22),
- della “gioia missionaria, che va custodita da tre sorelle che la circondano, la proteggono, la difendono: sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza”(Papa Francesco),
La
gioia, in effetti, è un elemento centrale dell’esperienza
cristiana ed ha una grande forza attrattiva, perché in un mondo
spesso segnato da tristezza e inquietudini, è una testimonianza
importante della bellezza e dell’affidabilità della fede
cristiana.
Le
Vergini consacrate nel mondo, che appartengono all’Ordo Virginum3,
sono chiamate a testimoniare la gioia di appartenere solo a Cristo.
Incontrandole il 15 maggio 2008, il Papa emerito Benedetto XVI disse
loro: “Siate
testimoni dell’attesa vigilante e operosa, della gioia,
della pace che è propria di chi si abbandona all’amore di Dio.
Siate presenti nel mondo e tuttavia pellegrine verso il Regno. La
vergine consacrata, infatti, si identifica con quella sposa che,
insieme allo Spirito, invoca la venuta del Signore: ‘Lo
Spirito e la sposa dicono ‘Vieni’ (Ap
22,17)”.
La
beata Madre Teresa di Calcutta ha vissuto così e fra le belle cose
che ha detto sulla gioia ha pronunciato anche queste parole: “Noi
aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro
potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento.
Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui,
dare come Lui, servire come Lui”
(La gioia di darsi agli altri, Ed. Paoline, 1987, p. 143)
1
In
effetti “addio” viene da “ad Deum”, verso Dio. Quando ci si
saluta così ci si impegna in un cammino, in un esodo che vuole dire
in un ritorno alla casa di Dio e nostra. La nostra vita è tutta
protesa verso un avvenimento: quello dell'incontro
con Dio-Amore.
2
E’ in questo senso che vanno intese le seguenti parole detta di
Gesù nell’ultima Cena : “Nella
casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto:
“Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò
preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché
dove sono io siate anche voi”
(Gv
14,
2-3).
3
L’Ordo
virginum ha le sue radici nei primi quattro secoli del
Cristianesimo: fin dai tempi apostolici alcune donne seguirono
l’invito di Gesù ed abbracciarono con gioia la verginità “per
il regno dei cieli”
(Mt 19,12), come attestano anche gli scritti paolini (1Cor 7,25.34)
e gli Atti degli Apostoli (At 21,9).. Le figure delle prime vergini
cristiane menzionate nel Canone Romano, Agata a Catania, Lucia a
Siracusa, Agnese e Cecilia a Roma, Cristina a Bolsena, sono figure
uniche e affascinanti di donne coltivate dallo Spirito. Molteplici
fonti storiche attestano che la verginità ben presto divenne una
scelta di vita operata da molte: Ignazio di Antiochia, Policarpo,
Giustino testimoniano della presenza e del ruolo delle vergini nelle
comunità e insieme a Cipriano, Ambrogio ed Agostino le istruiscono
e le accompagnano con paterna premura. Con il passare dei secoli,
però, la vita monastica divenne la modalità esclusiva per condurre
un’esistenza dedicata a Dio e ciò comportò la progressiva
scomparsa delle vergini consacrate.
Fu
lo spirito del Concilio Vaticano II, caratterizzato dalla ricerca
delle sorgenti della Chiesa, a dare frutti nuovi anche nell’ambito
della vita consacrata, ripristinando quella che era stata la prima
forma di consacrazione femminile nella Chiesa, l’Ordo Virginum.
Papa Paolo VI promulgò il 31 maggio 1970 il Rito della
Consacrazione delle Vergini inserito nel Pontificale Romano, che
disponeva potessero essere ammesse a questa consacrazione anche
donne che intendevano vivere nel mondo il dono totale di sé a
Cristo, al di fuori di ogni appartenenza a strutture di vita
religiosa.
Lettura
Patristica
San
Gregorio Magno
Omelia
XXIX, 1. 2-4 in Evang. PL 76, 1213-1216.
“I
discepoli tardarono a credere nella risurrezione del Signore, e ciò
va visto non come segno del loro vacillare ma come sostegno della
fede a cui in futuro noi saremmo stati chiamati. A loro, ancora in
preda ai dubbi, l'evento della risurrezione fu mostrato con molti
argomenti. Ne leggiamo nelle testimonianze scritte, e non ci sentiamo
forse confermati nella fede dai loro stessi dubbi? Mi dà minor aiuto
Maria, giunta subito alla fede, di Tommaso che dubitò a lungo.
Questi con la sua incertezza toccò le cicatrici delle ferite e
allontanò dal nostro cuore la ferita dell'incredulità.
>
>
A conferma della risurrezione del Signore va anche notato ciò che
scrive Luca: Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non
allontanarsi da Gerusalemme. E poco dopo: Fu elevato in alto sotto i
loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. Notate le parole
e il loro mistico significato: Mentre si trovava a tavola ... fu
elevato in alto. Mangiò, salì, perché attraverso il prendere cibo
risultasse evidente la realtà del suo corpo.
Marco
ricorda anche che il Signore, prima di salire al cielo, rimproverò i
discepoli per la durezza del loro cuore e per l'incredulità. In
tutto ciò, cosa occorre mettere in evidenza se non che il Signore
rimproverò i discepoli nell'atto di congedarsi con la sua presenza
fisica da loro, perché le parole da lui pronunciate nel lasciarli
restassero più saldamente impresse nel loro cuore mentre le udivano?
Ascoltiamo cosa dice come esortazione dopo il rimprovero per la
durezza del loro cuore: Andate in tutto il mondo e predicate il
vangelo ad ogni creatura.
>
> Quando la Verità invia i
discepoli a predicare, come interviene nel mondo se non spargendo
seme? Sono disseminati pochi granelli, perché nascano frutti di
messi abbondanti dalla nostra fede. Non potrebbe nascere in tutto il
mondo una messe così ricca di fedeli, se quei grani scelti dei
predicatori non raggiungessero, attraverso la mano del Signore, il
terreno delle anime.
Chi
crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà
condannato. Qualcuno forse dirà tra sé: Io ho già creduto e quindi
avrò la salvezza. Costui dice bene se accompagna la fede con le
opere, perché la fede autentica è quella che non contraddice con le
opere le verità credute. Per questo Paolo scrive di alcuni falsi
credenti: Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti. E
Giovanni: Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi
comandamenti è bugiardo.
A
questo punto dobbiamo verificare l'autenticità della nostra fede con
l'esame della nostra condotta, perché potremo dire di essere veri
credenti se attuiamo con le opere le promesse fatte a parole. Nel
giorno del battesimo ci siamo impegnati a rinunciare a tutte le opere
e a tutte le pompe dell'Avversario antico. Ognuno di voi si esamini
seriamente e se da dopo il battesimo compie ciò a cui si impegnò,
si senta felice per la certezza di avere la vera fede.
>
>
E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel
mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno
in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro
alcun danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno.
Forse,
fratelli miei, dovete considerarvi senza fede perché non operate
questi prodigi? Essi furono necessari ai primordi della Chiesa,
perché la fede doveva essere alimentata dai miracoli per poter
crescere. Anche noi, del resto, quando piantiamo alberi, dobbiamo
annaffiarli finché non li vediamo ben solidi nel terreno, e appena
hanno fissato le radici smettiamo di somministrare l'acqua. Per
questo Paolo dice: Le lingue non sono un segno per i credenti ma per
i non credenti.
Ci
sono altre ulteriori considerazioni in ordine a questi segni e
prodigi. La santa Chiesa compie ogni giorno in forma spirituale ciò
che faceva allora concretamente mediante gli apostoli. Quando infatti
i suoi sacerdoti con la grazia dell'esorcismo impongono le mani ai
fedeli e impediscono agli spiriti maligni di prendere dimora nelle
loro anime, cosa fanno se non scacciare i demoni? E i cristiani che
abbandonano le dottrine mondane della vita di un tempo, che celebrano
i santi misteri e annunciano con tutte le forze le lodi e la potenza
del Creatore, che altro fanno se non esprimersi in lingue nuove?
Quando poi con buone esortazioni spengono la malizia nel cuore degli
altri, eliminano i serpenti. Quando sentono parole malvagie e
suadenti senza farsi trascinare al male, prendono, sì, bevande
mortifere, ma non ne subiscono danno.
>
> Quando i
credenti si accorgono che il prossimo vacilla nel compiere il bene,
quando lo soccorrono con tutte le forze e l'esempio del proprio
comportamento, sostengono la condotta di chi è incerto nelle scelte
da compiere, altro non fanno se non imporre le mani sui malati perché
ritrovino la salute. Questi prodigi sono ancora più grandi perché
di ordine spirituale, e perché attraverso di essi vengono ricondotti
alla vita non i corpi ma le anime.
>
> Fratelli carissimi,
voi pure potete compiere questi segni - se lo volete - con
l'intervento di Dio. Si tratta di segni esterni e da essi non possono
ottenere vita quelli che li compiono perché sono prodigi di natura
corporea che mostrano talora la santità senza però esserne causa;
invece questi prodigi spirituali compiuti nelle anime producono la
realtà della vita, e non è loro compito semplicemente il mostrarla.
Di essi possono fruire solo i giusti, mentre ai primi possono
accedere anche i malvagi. Per questo la Verità dice di qualcuno:
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi
profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto
molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai
conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
>
> Non vogliate perciò, fratelli, fare oggetto del vostro amore
quei segni che potrebbero essere attribuiti anche ai reprobi, ma
amate i prodigi della carità e del fervore, di cui ora abbiamo
parlato, che sono veramente sicuri perché occulti; per essi è
stabilita presso il Signore una ricompensa tanto più grande quanto
minore è la loro gloria presso gli uomini.”