Rito
Romano
1ª
Domenica
di
Avvento1
-
Anno
A
– 1
dicembre
2013
Is
2,1-5;
Sal
121;
Rm
13,11-14;
Mt
24,
37-44
Da
ottusi a tesi
Rito
Ambrosiano
3ª
Domenica di Avvento
Is
35,1-10; Sal 84; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15
Le
profezie adempiute
1)
Vigilanza
e
discernimento.
Nel
Cantico
di
Frate
Sole
e
Sorella
Luna2
(che
è
proposto
fra
i
vari
Inni
della
Liturgia
delle
Ore
dell’Avvento),
San
Francesco
d’Assisi
esprime
poeticamente
la
sua
contemplazione
del
mondo
e
innalza
la
sua
lode
di
Dio
chiamandoLo
:
“Altissimo,
Buono,
Signore,
Sapienza
e
Amore”.
Ma
nel
libro
dell’Apocalisse
c’è
un
nome
che
Dio
si
dà
e
che
risponde
più
precisamente
a
quello
che
è
l'Avvento:
Dio
è
“Colui
che
è,
che
era
e
che
viene”.
È
molto
importante
meditare
sull'aspetto
del
Dio
"che
viene"
in
quanto
Lui
si
è
comunicato
all'uomo
e
continua
a
comunicarsi
a
noi
con
amore
costante.
Noi
aspettiamo
l’avvento
del
Signore,
e
forse
crediamo
che
questo
avvenga
solamente
nel
momento
della
nostra
morte,
oppure
alla
fine
del
mondo.
Invece
dobbiamo
sapere
che
Dio
non
ha
tempi
successivi:
Egli
viene
sempre,
oggi,
domani
e
per
sempre
nell'eternità.
Per
questo
motivo
la
nostra
anima
deve
vivere
la
continua
sorpresa
dell'incontro
col
Signore.
La
prima
cosa
che
s'impone
a
noi
dunque
è
una
viva
attenzione,
una
costante
attesa
del
Signore,
una
perseverante
tensione
a
Lui,
che
è
la
Verità
amorosa
della
nostra
vita.
E'
per
questo
che
la
liturgia
“romana”
di
oggi
ci
invita
alla
vigilanza,
proponendoci
il
brano
del
Vangelo
di
San
Matteo
in
cui
ci
è
ricordato
che
l’incontro
con
Cristo
non
può
essere
programmato
da
noi:
deve
essere
atteso,
lasciando
che
nella
nostra
vita
ci
sia
uno
spazio
anche
per
la
sua
presenza.
La
vigilanza
cristiana,
con
occhi
aperti
e
capaci
di
stupore,
permette
di
leggere
in
profondità
i
fatti
per
scoprirvi
mediante
il
discernimento
la
“venuta”
del
Signore.
Vigilare
non
è
tanto
un
rientrare
in
se
stessi,
quanto
un
uscire
da
sé
per
andare
incontro
a
Dio
che
viene
e
che
si
dona,
oserei
dire
che
si
abbandona
al
noi.
La
parola
“vigilanza”
non
indica
direttamente
qualcosa
da
fare,
ma
un
modo
di
vivere
e
di
guardare.
Non
si
sa
quando
il
padrone
tornerà
e
perciò
non
si
può
programmare
né
l'imminenza
del
ritorno
né
il
ritardo,
è
quindi
da
insensati
fare
come
invece
ha
fatto
il
maggiordomo
infedele
della
parabola
di
oggi
il
quale
-
contando
sul
ritardo
della
venuta
del
Signore
-
cominciò
a
“percuotere
i
suoi
compagni
e
a
bere
e
a
mangiare
con
gli
ubriaconi”
(Mt
24,49).
In
questo
racconto
l'assenza
di
vigilanza
è
indicata
con
due
caratteristiche:
una
vita
dissoluta,
en
viveur,
e
il
far
da
padrone
sugli
altri
uomini.
Se
siamo
sazi
di
cose
materiali
chiudiamo
gli
occhi
in
una
sonnolenza,
che
fa
perdere
l’appuntamento
con
Dio.
Se
dominiamo
sugli
altri,
diventiamo
schiavi
del
potere
e
anche
se
gli
occhi
sono
aperti,
il
cuore
è
chiuso.
Se
invece
siamo
sobri
e
vegliamo,
gli
occhi
sono
aperti,
pieni
di
stupore
e
nuovi
e,
quindi
capaci
di
vedere
Cristo,
nostra
gioia
che
viene
ad
abitare
nel
nostro
cuore.
La
gioia
dell’Avvento
è
la
gioia
dell’attesa
dell’incontro
d’amore
con
l’Amore,
che
ci
ha
fasciati
del
suo
calore
ancor
prima
che
nascessimo
e
ci
ha
portati
alla
luce,
tramite
nostra
mamma.
Noi
non
siamo
come
quelli
che
sono
senza
speranza
e
lasciano
sfumare
il
tempo
nella
sera
di
un
sabato
pieno
di
nostalgia
perché
non
conosce
domenica.
Il
cristiano
sa
che
la
Domenica
eterna
è
alle
porte.
Il
cristiano
ne
ha
il
gioioso
presagio
nella
certezza,
che
scaturisce
dalla
partecipazione
alla
vita
soprannaturale
mediante
i
sacramenti
e
nella
vita
di
comunione
nella
Chiesa.
Siamo
nella
gioia,
perché
siamo
certi
che
l’Amato
viene
all’appuntamento,
anzi
ci
precede.
L’attesa
di
Cristo
non
è
come
l’attesa
incerta
dell’amante
umano.
Nell’amore
terreno
c’è
l’inquietudine
dell’attesa,
perché
non
raramente
c’è
l’angoscia
che
l’amato
non
arrivi,
c’è
l’inquietudine
che
l’amato
non
ami
più,
che
si
sia
voltato
altrove,
attirato
da
qualcun
altro.
L’attesa
cristiana
è
l’attesa
piena
di
speranza
sicura
che
l’Amato
ci
ama
sempre
e
con
pienezza
di
amore.
2)
Vedere,
camminare,
illuminare.
Si
attende
il
Signore
perseverando
e
testimoniando,
non
fantasticando
sulla
vicinanza
della
fine
del
mondo.
In
questo
ci
sono
di
esempio
le
Vergini
consacrate.
Bisogna
vigilare,
dice
Gesù.
Può
accadere
di
dormire
per
le
cose
di
Dio;
anche
le
Vergini
della
parabola
dormivano
tutte
e
per
questo
la
nostra
vita
cristiana
è
così
povera,
così
misera.
Allora,
anche
se
Dio
viene,
non
ce
ne
accorgiamo.
Una
delle
cose
più
gravi
della
vita
spirituale
è
precisamente
questa:
dormire.
L'anima
deve
mantenersi
desta,
attenta,
vigilante
nella
preghiera
per
riconoscere
che
Cristo
viene
tra
noi.
Se
apriamo
gli
occhi,
purificati
dal
peccato
che
ci
rende
ottusi,
possiamo
riconoscere
il
volto
buono
e
amoroso
del
Destino,
anche
se
è
ancora
buio.
La
parola
chiave
di
tutto
l’Avvento
è
la
“vigilanza”
che
è,
secondo
me,
l’atteggiamento
fondamentale
delle
persone
consacrate.
Chi
si
addormenta
nell’attesa,
è
chiuso
in
se
stesso,
non
percepisce
la
realtà
fuori
di
sé,
e
anche
nei
suoi
sogni
non
è
in
grado
di
percepire
la
realtà,
ma
solo
ombre
riflesse
della
sua
mente.
Ma,
se
al
grido
“lo
Sposo
viene”,
si
sveglia
e
percepisce
la
realtà
stessa
che
lo
circonda.
Si
apre
ad
essa,
lascia
il
bordo
della
via,
dove
si
era
assopito
e
si
mette
sulla
Via.
E
in
ciò
le
vergini
consacrate
ci
sono
di
esempio.
Oggi
siamo
convinti
di
essere
molto
“svegli”,
più
di
coloro
che
nei
secoli
ci
hanno
preceduto
perché
conosciamo
meglio
il
mondo:
il
nostro
occhio
va
fino
alle
distanze
più
lontane,
distanze
immense
sia
spaziali,
sia temporali.
E
nello
stesso
tempo
siamo
capaci
di
entrare
anche
all’interno
della
materia,
fino
alle
ultime
particelle
che
la
compongono.
L’orizzonte
si
è
allargato
enormemente,
come
anche
le
nostre
possibilità
di
agire
in
questo
mondo.
E
nonostante
ciò
dobbiamo
dire
che
questo
nostro
mondo,
in
un
senso
più
profondo,
dorme.
È
chiuso
in
sé,
perché
vede
soltanto
quanto
può
fare
e
avere,
e
si
ferma
alla
facciata
esteriore
della
realtà,
alle
cose
materiali
che
possiamo
prendere
in
mano.
La
consacrazione
verginale,
soprattutto,
ma
già
anche
quella
battesimale
rende
capaci
di
vedere
la
trasparenza
della
luce
divina
nella
materia
creata,
in
noi
stessi.
Per
mezzo
dell’Avvento
la
Chiesa
ci
fa
ascoltare
la
parola
del
Signore,
che
ci
dice
di
risvegliarci,
di
uscire
da
questo
carcere
del
materiale,
dell’effimero,
di
aprire
gli
occhi
del
nostro
cuore
e
cominciare
a
vedere
la
realtà
più
grande,
il
senso
di
Dio
nel
mondo,
la
presenza
di
Dio
nel
Signore
Gesù
Cristo,
nella
sua
Parola
e
nei
suoi
sacramenti.
La
conseguenza
di
questo
invito
è
di
andare
avanti
sulla
Via
che
è
Cristo,
aprendo
gli
occhi
del
cuore
e
aiutando
i
nostri
amici
e
nemici,
i
nostri
contemporanei
perché
possano
ricominciare
a
vedere
la
vera
profondità
e
la
vera
grandezza
della
realtà.
Vedere
è
anche
mettersi
in
cammino
e
così
logicamente
dalla
parola
vigilanza
viene
fuori
l’altra,
propria
del
cammino
d’Avvento:
“andare
incontro
al
Signore”,
come
hanno
fatto
le
Vergini
della
parabola.
La
fede
non
è
l’adesione
ad
un
mucchio
di
idee,
ma
un’avventura
della
vita,
un
cammino,
un
mettersi
in
moto
verso
il
Signore
e
il
cammino
esteriore
dovrebbe
essere
nello
stesso
tempo
e
soprattutto
un
cammino
interiore,
un
uscire
da
noi
stessi
per
andare
incontro
a
Dio,
alla
vera
realtà,
all’amore
e
al
prossimo.
Ed
ecco
una
terza
azione
da
compiere
nell’Avvento:
illuminare.
La
Parola
di
Dio,
chiamato
Luce,
ci
invita
ad
accendere
le
lampade
del
nostro
essere
per
arrivare
al
Signore.
Cosa
significa
questo?
Se
guardiamo
alla
storia
della
Chiesa,
a
quella
dei
santi,
vediamo
queste
numerosissime
persone
sante
sono
“lampade”
accese
che
illuminano
il
mondo,
e
vediamo
che
esse
non
solo
illuminano
questo
tempo,
ma
saranno
decorazioni
e
luce
nella
festa
eterna
dell’amore
di
Dio.
Le
vergini
consacrate
sono
veramente
lampade
accese
che
illuminano,
ci
fanno
vedere
che
c’è
luce,
che
l’uomo
non
è
una
creatura
fallita,
ma
può
essere
simile
a
Dio,
conformandosi
nella
strada
dell’amore
perché
Dio
è
Amore.
E
noi
siamo
simili
a
Dio
nella
misura
in
cui
percorriamo
la
strada
dell’amore.
Preghiamo
il
Signore
Gesù
che
ci
illumini,
che
ci
permetta
di
ascoltare
e
di
realizzare
la
sua
Parola.
Così
saremo
sempre
più
consapevoli
di
essere
suoi
figli
e
figlie
e
faremo
le
sue
opere,
che
sono
opere
di
sapienza
e
carità
divina.
1
Avvento
significa
"venuta,
arrivo"
ed
è
chiaro
di
chi
aspettiamo
l'arrivo,
la
venuta:
del
Signore
Gesù.
Come
ho
già
accennato
(riflessioni
domenicali
del
17
novembre
2013),
dal
punto
di
vista
della
liturgia
nel
rito
romano
oggi
comincia
l’avvento,
che
nel
rito
ambrosiano
è
iniziato
due
domeniche
fa.
Ma
non
va
dimenticato
che
tutta
la
vita
del
cristiano
va
vissuta
nella
dimensione
dell’attesa
e
della
speranza
che
il
periodo
liturgico
dell’avvento
“pedagogicamente”
ci
fa
vivere.
Tempo
di
concepimento
di
Dio
che
viene
ogni
giorno.
Il
tempo
dell'Avvento
svela,
dunque, la
nostra
vocazione
di
pellegrini
e
di
amici
del
Signore,
chiamati
a
una
comunione d'amore
con
Lui
che
deve
realizzarsi
ancora
in
pienezza.
2
“Il
cantico
di
Frate
Sole
e
Sorella
Luna”
conosciuto
anche
come
“il
Cantico
delle
Creature”
è
la
prima
poesia
scritta
in
italiano.
Il
suo
autore
è
San
Francesco
d’Assisi
che
l’ha
composta
nel
1226.
La
poesia
è
una
lode
a
Dio,
alla
vita
e
alla
natura
che
è
contemplata
in
tutta
la
sua
bellezza.
Discorso
5
sull’Avvento
di
San Bernardo di Chiaravalle, abate:
Il
Verbo di Dio verrà in noi
“Conosciamo
una
triplice
venuta
del
Signore.
Una
venuta
occulta
si
colloca
infatti
tra
le
altre
due
che
sono
manifeste.
Nella
prima
il
Verbo
fu
visto
sulla
terra
e
si
intrattenne
con
gli
uomini,
quando,
come
egli
stesso
afferma,
lo
videro
e
lo
odiarono.
Nell’ultima
venuta
“ogni
uomo
vedrà
la
salvezza
di
Dio”
(Lc
3,6)
e
vedranno
colui
che
trafissero.
Occulta
è
invece
la
venuta
intermedia,
in
cui
solo
gli
eletti
lo
vedono
entro
se
stessi
e
le
loro
anime
ne
sono
salvate.
Nella
prima
venuta
dunque
egli
venne
nella
debolezza
della
carne,
in
questa
intermedia
viene
nella
potenza
dello
Spirito,
nell’ultima
verrà
nella
maestà
della
gloria.
Quindi
questa
venuta
intermedia
è,
per
così
dire,
una
via
che
unisce
la
prima
all’ultima:
nella
prima
Cristo
fu
nostra
redenzione,
nell’ultima
si
manifesterà
come
nostra
vita,
in
questa
è
nostro
riposo
e
nostra
consolazione.
Ma
perché
ad
alcuno
non
sembrino
per
caso
cose
inventate
quelle
che
stiamo
dicendo
di
questa
venuta
intermedia,
ascoltate
lui:
se
uni
mi
ama
– dice
– conserverà
la
mia
parola:
e
il
Padre
mio
lo
amerà
e
noi
verremo
a
lui
(Gv
14,23).
Ma
che
cosa
significa:
se
uno
mi
ama,
conserverà
la
mia
parola?
Ho
letto
infatti
altrove:
chi
teme
Dio
opererà
il
bene
(Sir.
15,1),
ma
di
chi
ama
è
detto
qualcosa
di
più:
che
conserverà
la
parola
di
Dio.
Dove
si
deve
conservare?
Senza
dubbio
nel
cuore,
come
dice
il
Profeta:
“Conservo
nel
cuore
le
tue
parole
per
non
offenderti
con
il
peccato”
(Sal.
118,
11).
Poiché
sono
beati
coloro
che
custodiscono
la
parola
di
Dio,
tu
custodiscila
in
modo
che
scenda
nel
profondo
della
tua
anima
e
si
trasfonda
nei
tuoi
affetti
e
nei
tuoi
costumi.
Nutriti
di
questo
bene
e
ne
trarrà
delizia
e
forza
la
tua
anima.
Non
dimenticare
di
cibarti
del
tuo
pane,
perché
il
tuo
cuore
non
diventi
arido
e
la
tua
anima
sia
ben
nutrita
del
cibo
sostanzioso.
Se
conserverai
così
la
parola
di
Dio,
non
c’è
dubbio
che
tu
pure
sarai
conservato
da
essa.
Verrà
a
te
il
Figlio
con
il
Padre,
verrà
il
grande
Profeta
che
rinnoverà
Gerusalemme
e
farà
nuove
tutte
le
cose.
Questa
sua
venuta
intermedia
farà
in
modo
che
“come
abbiamo
portato
l’immagine
dell’uomo
di
terra,
così
porteremo
l’immagine
dell’uomo
celeste”
(1
cor
15,49).
Come
il
vecchio
Adamo
si
diffuse
per
tutto
l’uomo
occupandolo
interamente,
così
ora
lo
occupi
interamente
Cristo,
che
tutto
l’ha
creato
,
tutto
l’ha
redento
e
tutto
lo
glorificherà.”
Dal
«Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Sal
95,
14.
15;
CCL
39,
1351-1353)
Non
opponiamo
resistenza
alla
prima
venuta
per
non
dover
poi
temere
la
seconda
«Allora
si
rallegreranno
gli
alberi
della
foresta
davanti
al
Signore
che
viene,
perché
viene
a
giudicare
la
terra»
(Sal
95,12-13).
Venne
una
prima
volta,
e
verrà
ancora
in
futuro.
Questa
sua
parola
è
risuonata
prima
nel
vangelo:
«D'ora
innanzi
vedrete
il
Figlio
dell'uomo
venire
sulle
nubi
del
cielo»
(Mt
26,64).
Che
significa:
«D'ora
innanzi»?
Forse
che
il
Signore
deve
venire
già
fin
d'ora
e
non
dopo,
quando
piangeranno
tutti
i
popoli
della
terra?
Effettivamente
c'è
una
venuta
che
si
verifica
già
ora,
prima
di
quella,
ed
è
attraverso
i
suoi
annunziatori.
Questa
venuta
ha
riempito
tutta
la
terra.
Non
poniamoci
contro
la
prima
venuta
per
non
dover
poi
temere
la
seconda.
Che
cosa
deve
fare
dunque
il
cristiano?
Servirsi
del
mondo,
non
farsi
schiavo
del
mondo.
Che
significa
ciò?
Vuol
dire
avere,
ma
come
se
non
avesse.
Così
dice,
infatti,
l'Apostolo:
«Del
resto,
o
fratelli,
il
tempo
ormai
si
è
fatto
breve:
d'ora
innanzi
quelli
che
hanno
moglie
vivano
come
se
non
l'avessero;
coloro
che
piangono,
come
se
non
piangessero;
e
quelli
che
godono,
come
se
non
godessero;
quelli
che
comprano,
come
se
non
possedessero;
quelli
che
usano
del
mondo,
come
se
non
ne
usassero,
perché
passa
la
scena
di
questo
mondo.
Io
vorrei
vedervi
senza
preoccupazioni»
(1Cor
7,29-32).
Chi
è
senza
preoccupazione,
aspetta
tranquillo
l'arrivo
del
suo
Signore.
Infatti
che
sorta
di
amore
per
Cristo
sarebbe
il
temere
che
egli
venga?
Fratelli,
non
ci
vergogniamo?
Lo
amiamo
e
temiamo
che
egli
venga!
Ma
lo
amiamo
davvero
o
amiamo
di
più
i
nostri
peccati?
Ci
si
impone
perentoriamente
la
scelta.
Se
vogliamo
davvero
amare
colui
che
deve
venire
per
punire
i
peccati,
dobbiamo
odiare
cordialmente
tutto
il
mondo
del
peccato.
Lo
vogliamo
o
no,
egli
verrà.
Quindi
non
adesso;
il
che
ovviamente
non
esclude
che
verrà.
Verrà,
e
quando
non
lo
aspetti.
Se
ti
troverà
pronto,
non
ti
nuocerà
il
fatto
di
non
averne
conosciuto
in
anticipo
il
momento
esatto.
«E
si
rallegreranno
tutti
gli
alberi
della
foresta».
È
venuto
una
prima
volta,
e
poi
tornerà
a
giudicare
la
terra.
Troverà
pieni
di
gioia
coloro
che
alla
sua
prima
venuta
«hanno
creduto
che
tornerà».
«Giudicherà
il
mondo
con
giustizia
e
con
verità
tutte
le
genti»
(Sal
95,13).
Qual
è
questa
giustizia
e
verità?
Unirà
a
sé
i
suoi
eletti
perché
lo
affianchino
nel
tribunale
del
giudizio,
ma
separerà
gli
altri
tra
loro
e
li
porrà
alcuni
alla
destra,
altri
alla
sinistra.
Che
cosa
vi
è
di
più
giusto,
di
più
vero,
che
non
si
aspettino
misericordia
dal
giudice
coloro
che
non
vollero
usare
misericordia,
prima
che
venisse
il
giudice?
Coloro
invece
che
hanno
voluto
usare
misericordia,
saranno
giudicati
con
misericordia.
Si
dirà
infatti
a
coloro
che
stanno
alla
destra:
«Venite,
benedetti
del
Padre
mio,
ricevete
in
eredità
il
regno
preparato
per
voi
fin
dalla
fondazione
del
mondo»
(Mt
25,34).
E
ascrive
loro
a
merito
le
opere
di
misericordia:
«Perché
ho
avuto
fame
e
mi
avete
dato
da
mangiare,
ho
avuto
sete
e
mi
avete
dato
da
bere»
(Mt
25,35-40)
con
quel
che
segue.
A
quelli
che
stanno
alla
sinistra,
poi,
che
cosa
sarà
rinfacciato?
Che
non
vollero
fare
opere
di
misericordia.
E
dove
andranno?:
«Nel
fuoco
eterno»
(Mt
25,41).
Questa
terribile
sentenza
susciterà
in
loro
un
pianto
amaro.
Ma
che
cosa
dice
il
salmo?
«Il
giusto
sarà
sempre
ricordato;
non
temerà
annunzio
di
sventura»
(Sal
111,6-7).
Che
cos'è
questo
«annunzio
di
sventura»?
«Via
da
me
nel
fuoco
eterno,
preparato
per
il
diavolo
e
per
i
suoi
angeli»
(Mt
25,41).
Chi
godrà
per
la
buona
sentenza
non
temerà
quella
di
condanna.
Questa
è
la
giustizia,
questa
è
la
verità.
O
forse
perché
tu
sei
ingiusto,
il
giudice
non
sarà
giusto?
O
forse
perché
tu
sei
bugiardo,
la
verità
non
dirà
ciò
che
è
vero?
Ma
se
vuoi
incontrare
il
giudice
misericordioso,
sii
anche
tu
misericordioso
prima
che
egli
giunga.
Perdona
se
qualcuno
ti
ha
offeso,
elargisci
il
superfluo.
E
da
chi
proviene
quello
che
doni,
se
non
da
lui?
Se
tu
dessi
del
tuo
sarebbe
un'elemosina,
ma
poiché
dai
del
suo,
non
è
che
una
restituzione!
«Che
cosa
mai
possiedi
che
tu
non
abbia
ricevuto?»
(1Cor
4,7).
Queste
sono
le
offerte
più
gradite
a
Dio:
la
misericordia,
l'umiltà,
la
confessione,
la
pace,
la
carità.
Sono
queste
le
cose
che
dobbiamo
portare
con
noi
e
allora
attenderemo
con
sicurezza
la
venuta
del
giudice
il
quale
«Giudicherà
il
mondo
con
giustizia
e
con
verità
tutte
le
genti»
(Sal
95,13).”