Rito romano
XXIV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 15 settembre 2013.
Es.
32, 7-11, 13-14; 1Tim 12-17; Lc. 15, 1-32
Trovati
da Dio
Rito
ambrosiano
III
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is
43,24c-44,3; Sal 32; Eb 11,39-12,4; Gv 5,25-36
Le
opere di Cristo testimoniano che il Padre lo ha mandato
1)
La misericordia pastorale.
Le
parabole di Gesù oltre a darci il suo insegnamento profondo e bello
ci mostrano il punto di vista di Dio. E così succede nelle tre
parabole di oggi, in cui Cristo parla della pecorella smarrita, della
moneta perduta e del figlio prodigo, mettendo in evidenza il “cuore
del Vangelo” cioè l’amore misericordioso.
Già
nella prima parabola si vede un modo di agire non umano o, per lo
meno, insensato dal punto di vista umano. In effetti, alla domanda
del “Quale uomo tra
voi, avendo cento pecore e perduta una di esse, non abbandona le
novantanove nel deserto e (non) va verso quella perduta, finché non
l'abbia trovata?” (Lc 15,4), verrebbe
da rispondere: “Nessuno”, perché chi è l’uomo di buon senso
che lascia le 99 pecore nel deserto e non nell’ovile, e che di
notte va alla ricerca della smarrita, sfidando i pericoli del
deserto?
I
pericoli del deserto sono fame, sete, caldo, predoni, belve, perdita
dell’orientamento soprattutto con il buio, che rende pressoché
impossibile continuare la ricerca nell’oscurità della notte. Ma
Cristo, buon Pastore divino è mosso da un amore umanamente
insensato, ma divinamente logico e va alla ricerca.
Si
può dire che continua la ricerca che Lui fa dell’uomo da quando
questo si era nascosto nel paradiso terrestre fino agli inferi, ci
rivela che per lui noi valiamo più di Lui, tant’è vero che poi è
morto al nostro posto dando la vita per noi.
Si
può dire che la nostra ricerca di Dio inizia quando Dio ha terminato
la sua, trovandoci e perdonandoci e facendo festa con noi.
Nella
parabola della pecora perduta e ritrovata, si annota che il pastore
non interrompe la sua ricerca finché non la trova: dunque una
ricerca ostinata, perseverante, per nessun motivo disposto ad
abbandonare la pecora al suo destino. Allora comprendiamo che la
decisione del Pastore non fu poi così insensata, fu coraggiosa e
frutto di intelligenza ardita e di un cuore che ama perdutamente.
Questo
mi permette di fare notare che questa parabola, come pure le due che
seguono, termina parlando della gioia di Dio per il ritrovamento qui
della pecora, poi della moneta e del figlio: «Così,
vi dico, c'è gioia davanti agli occhi di Dio per un solo peccatore
che si converte» (Lc
15,10).
Si
possono ricavare due insegnamenti. Uno esplicito: agli occhi di Dio
l’uomo anche e, forse, proprio perché peccatore ha un valore
immenso. L’altro implicito: con la gloria recuperata di un unico
peccatore “aumenta” la Gioia divina.
2)
La misericordia materna
Analoga
nella sostanza è la seconda parabola: quella della dracma1
perduta.
Anche
qui la ricerca per trovare ciò che si è smarrito è fatta in modo
accurato, oggi diremmo scientifico. La padrona di casa accenda la
lampada, che mette in un punto strategico, poi scopa lentamente,
attentamente l’intera casa, cerca con cura2,
finché trova la moneta perduta. Trovatala, chiama le amiche e le
vicine e le interpella per gioire insieme sulla “dracma perduta e
ritrovata” (v.9). Se la prima parabola parla del Pastore, che nel
mondo ebraico di allora indicava pure il Re, vediamo l’amore
“pastorale” di chi guida, nella seconda vediamo l’amore
“sollecito” della madre di famiglia che mette a soqquadro il
“mondo”3
per cercare il “tesoro” che è la ragione della sua vita: il
figlio.
Una
donna, una madre sa molto bene il valore di un figlio e in questa
parabola vediamo che essa rappresenta Dio che, con amore infinito di
padre e di madre, “si
affanna” nel
ricercare la preziosa moneta smarrita.
In
ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate che sono chiamate ad
“affannarsi”
maternamente mendicando nella preghiera il perdono per i peccatori,
offrendo la loro preghiera di intercessione (RCV 28) per gli smarriti
soprattutto per coloro che hanno perso la fiducia nella misericordia
divina, e trasferendo nei luoghi dove vivono e lavorano l’amore di
Dio che sempre perdona.
3)
La misericordia paterna.
E
qui subentra la terza parabola. Se per una moneta e per una pecora
prima si fa festa in cielo, immagiate che festa fa Dio quando “realtà
ritrovata” è un uomo: un figlio perdutosi e ritrovato.
Questo
figlio, che è chiamato prodigo perché ha sperperato l’eredità
paterna nei vizi, e si è ridotto all’estrema miseria e alla fame,
si è “perduto”: ha smarrito la consapevolezza della bellezza
della propria identità. Ha smarrito la gioiosa memoria del volto del
Padre e della sua misericordia.
Questa pagina del Vangelo quindi è
un annuncio apportatore di gioia per noi: quando sperimentiamo di
esserci "persi", affidiamoci a colui che è venuto a
cercarci e confidiamo nel suo grande amore. E' questa la volontà del
Padre. Noi siamo preziosi ai suoi occhi.
In
questo contesto comprendiamo il senso del testo dell'Esodo (prima
lettura “romana”), dove il popolo d'Israele, liberato dalla
schiavitù, si dimentica spesso di Dio, tanto che costruisce l'idolo
del vitello d'oro. Meriterebbe per questo il castigo, ma il Signore
lo perdona per la commossa e profonda preghiera di intercessione di
Mosè.
Così pure l'apostolo Paolo (seconda lettura) afferma che
Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e lui si sente
tanto peccatore... ma ha ottenuto misericordia.
La
misericordia esprime l'onnipotenza di Dio, l'amore infinito, tenero
ed adulto, carezzevole ed esigente: è il volto di Dio.
Accostiamoci
spesso al Sacramento della Riconciliazione o Penitenza, che altro non
è che attuare in noi il ritorno a casa del figlio prodigo.
L'esperienza
del peccato, che è questo “perdersi”, diventa occasione per un
incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci
“perseguita”4
con il suo amore misericordioso e fa festa perché ci ha ritrovati.
1
Una dramma era il salario giornaliero di un contadino od operaio al
tempo di Gesù Cristo.
2
In greco ἐπιμελῶς
che si legge epimelòs e che significa “diligentemente,
attentamente, accuratamente”.
3
Guardata con gli occhi di Dio la Terra è una casa neppure tanto
grande in rapporto all’Universo intero.
4
Dal verbo “perseguire”
dal latino PERSEQUI composto dalla particella intensiva “PER” e
“SEQUI” = seguire,
dunque tener
dietro con costanza e ardore. Significato
derivato “perseguitare”, “persecuzione”.
PS:
Si veda anche il commento fatto allo stesso vangelo in occasione
della IV domenica di Quaresima 10 marzo 2013.
|
Lettura
Patristica
San
Leone Magno5,
(ca 390 -461)
Papa
e Dottore della Chiesa
Sulla
misericordia e la verità.
Sermo
45,2, PL 54,289 290.
“La
regola di vita dei credenti scaturisce dallo stile stesso con cui Dio
opera. L’Altissimo, infatti, esige che quelli ch’egli ha creato a
sua immagine e somiglianza si sforzino di imitarlo.
Non
potremo ottenere le ricchezze della gloria divina se la misericordia
e la verità non avranno in noi dimora. Mediante queste vie, infatti,
il Signore e venuto verso quelli che avrebbe salvato; e per tali
sentieri i salvati devono affrettarsi a incontrare colui che li ha
redenti. Così la misericordia di Dio ci rende misericordiosi e la
verità ci fa essere veritieri.
L’anima
retta cammina per la via della verità come l’anima intrisa di
bontà avanza per la via della misericordia.
Eppure
questi due sentieri non si separano mai; non si tratta infatti di
tendere verso scopi diversi per vie differenti; e crescere nella
misericordia non è diverso dal progredire nella verità. Difatti,
chi manca di verità non e misericordioso, e chi e privo di bontà
non e capace di rettitudine. Non essere ricchi di entrambe queste due
virtù, significa l’impossibilita di praticare sia l’una che
l’altra.
La
carità è la forza della fede e la fede e la fortezza della carità.
Ognuna di esse merita il suo nome e porta frutto soltanto se un
legame inscindibile le unisce.
Dove
non sono presenti insieme, lì anche mancano entrambe, giacché si
Offrono aiuto e luce a vicenda fin quando la ricompensa della visione
colmerà la brama della fede e senza mutazioni vedremo e ameremo
quello che ora non possiamo amare senza la fede né credere senza
l’amore.
Fede
e carità non permettono di soccombere sotto il peso di basse
sollecitazioni, perché come ali possenti sollevano a volo il cuore
puro fino all’amicizia e alla visione di Dio.”
5
Primo Vescovo di Roma
a portare il nome di Leone, adottato in seguito da altri dodici
Sommi Pontefici, è anche il primo Papa di cui ci sia giunta la
predicazione, da lui rivolta al popolo che gli si stringeva attorno
durante le celebrazioni.
Celebre
è rimasto soprattutto un episodio della vita di San Leone Magno.
Esso risale al 452, quando il Papa a Mantova, insieme a una
delegazione romana, incontrò Attila, capo degli Unni, e lo dissuase
dal proseguire la guerra d’invasione con la quale già aveva
devastato le regioni nordorientali dell’Italia. E così salvò il
resto della Penisola. Questo importante avvenimento divenne presto
memorabile, e rimane come un segno emblematico dell’azione di pace
svolta dal Pontefice.
Conosciamo bene l’azione di
Papa Leone, grazie ai suoi bellissimi sermoni e grazie alle sue
lettere, circa centocinquanta. In questi testi il Pontefice appare
in tutta la sua grandezza, rivolto al servizio della verità nella
carità, attraverso un esercizio assiduo della parola, che lo mostra
nello stesso tempo teologo e pastore. Leone Magno, costantemente
sollecito dei suoi fedeli e del popolo di Roma, ma anche della
comunione tra le diverse Chiese e delle loro necessità, fu
sostenitore e promotore instancabile del primato romano,
proponendosi come autentico erede dell’apostolo Pietro: di questo
si mostrarono ben consapevoli i numerosi Vescovi, in gran parte
orientali, riuniti nel Concilio di Calcedonia (451).
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