Rito romano
XVI Domenica del Tempo Ordinario
– Anno C - 21 luglio 2013
Gn.
18,1-10a; Sal 14/15; Col. 1,24-28; Lc. 10,38-42
Marta
ospita e Maria accoglie.
Rito
ambrosiano
IX
Domenica di Pentecoste
1Sam
16, 1-13; 2Tm 2, 8-13; Mt 22, 41-46.
Chi
è Gesù per me?
1)
Il
modo di ospitare di Maria non fu dettato dalla pigrizia, ma
dall’amore.
Non
solo Marta, ma anche Maria ha “fatto” qualcosa per Cristo, anzi
ha scelto il modo migliore di “fare”.
Ma
procediamo con ordine.
La
prima Lettura e il Vangelo della liturgia romana ci presentano, tutte
e due, un episodio in cui viene messa in pratica l'ospitalità: il
modo di Abramo che, secondo me, non è molto diverso da quello di
Marta e il modo di Maria, sorella minore di Marta.
I
primi due si danno da fare per essere dei buoni ospiti e accogliere
colui che viene. Però la gioia della visita,che il Signore fa loro,
è diventata “fatica” in Marta e “perplessità” in Sara, la
moglie di Abramo.
Immedesimiamoci
in questo nostro Padre nella fede, il quale meritò di vedere Dio
sotto forma umana e di riceverlo come suo ospite, perché si era
offerto a Dio e lo aveva accolto. “Fu
elevato fino a Lui, perché non riteneva più nessun uomo finalizzato
ad altro, ma considerava ciascuno di loro come tutti, e tutti come
uno solo”1.
L’ospitalità data si trasformò nella fecondità desiderata:
“Tornerò da te fra
un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”
(Gn
18, 10). Finalmente, dopo venticinque anni d’attesa, Abramo e Sara,
poterono dire: “Noi
siamo rifioriti come popolo nuovo e siamo germogliati come spighe
nuove e prosperose”2.
Immaginiamoci
di essere al posto di Marta, che è lieta perché Gesù arriva a casa
sua. Ma insieme con Gesù arrivano Pietro,
Giacomo, Giovanni, fino a Giuda, e poi magari anche le donne
che Lo seguono. Per cui, il sorriso iniziale nell’accogliere Gesù,
a mano a mano che la gente entra in casa, diventa smorfia segno di
nervosismo. Marta perde la pazienza con la sorella Maria che non
l’aiuta, ed anche col Signore.
Il
problema della nostra vita è che nell’accogliere l’altro (e c’è
sempre un altro da accogliere), non ci lasciamo sempre abbracciare da
Colui che ci genera e ci vuole bene. Il problema, e direi il peccato,
è che noi ci teniamo lontani da Colui che ci genera amandoci.
Tutta la fatica, tutta la tristezza, tutta la rabbia e lo spreco di
energie vengono dal fatto che, come Marta, siamo definiti più dalle
cose da fare per l’Ospite, che dal rapporto con la persona stessa
dell’Amato, che bussa alla porta della nostro cuore e non solo alla
porta della nostra casa.
Infine,
immedesimiamoci in Maria che vive la venuta di Gesù in casa sua non
tanto come
una particolare inclinazione, ma come la dimensione propria di ogni
cristiano che tiene all’amicizia con Cristo.
Dunque
cosa “fa” questa contemplativa? Si
siede ai piedi di Gesù e lo ascolta. Ma prima, secondo me, gli ha
lavato i piedi. L’aveva già fatto a casa di Simone il fariseo,
usando del profumo preziosissimo. Figuriamoci se non l’ha fatto in
casa sua per l’amico fraterno che l’aveva perdonata, che le
aveva ridato dignità e vita e che aveva i piedi impolverati per il
viaggio.
Se
Marta assume nei confronti dell'ospite un ruolo tipicamente
femminile, (almeno secondo la mentalità di quei tempi): è tutta
indaffarata a preparare la tavola, vediamo che c’è già una
novità. Per noi è normale che una donna accolga, invece non era
normale per quei tempi: innanzitutto la donna non può accogliere; la
casa è dell’uomo e sappiamo che è la casa di Lazzaro, suo
fratello. Invece l’evangelista Luca insiste e dice che è una donna
che accoglie Gesù. D’altro canto la prima persona che “ospitò”
il Verbo di Dio fu una donna: la Madonna.
Maria
va ancora più in là di sua sorella, Marta. Si intrattiene con
l'ospite, assumendo un ruolo che a quel tempo era esclusiva degli
uomini. Inoltre, sedendosi ai piedi del Maestro per ascoltarlo, Maria
assume la tipica figura del discepolo. E anche questa è una novità.
I rabbini infatti non usavano accettare le donne al proprio seguito,
e divenire discepolo era riservato agli uomini. Per Gesù non è
così. Anche le donne sono chiamate all'ascolto e al discepolato.
2)
Alla scuola della Parola.
Il
discepolo (come dice il verbo latino dìscere
= imparare) va a scuola per imparare. Alla scuola della Parola fatta
carne impara che il primo servizio da rendere a Dio - e a tutti - è
l'ascolto. E’ dall'ascolto e non dal fare che comincia la
relazione. Quando poi la parola si fa sguardo abbiamo la
contemplazione.
Forse
fra cento anni, si riconoscerà che la più grande rivoluzione dei
tempi moderni l’ha fatta la piccola e raggrinzita Madre Teresa di
Calcutta. Non tanto per quello che ha fatto e ha fatto fare, che
-come diceva lei stessa- era una goccia nel deserto dell’immensa
povertà del mondo, ma per lo sguardo con cui, partendo dalla
contemplazione di
Gesù, ha guardato l’uomo, ogni uomo, dal più povero dei poveri al
più potente. Ciò che conta è ascoltare il Signore e le sue parole
come faceva il profeta Geremia:
“Quando le tue parole
mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la
gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome,
Signore, Dio degli eserciti”(Ger
15, 16).
Il
Padre disse: “Questi
è il mio Figlio, l’Amato, nel quale mi sono compiaciuto:
ascoltatelo” (Mt
17,5; cfr anche Mc
9,6; Lc
9,35): “ascoltate Gesù” e diventerete Gesù nell’ascolto.
È
l’atteggiamento della sposa. La sposa è colei che accoglie la
Parola, cioè lo sposo. La missione di ogni uomo è essere la sposa
di Dio, cioè colui che ascolta, che accoglie la Parola, seme che ci
trasforma ad immagine e somiglianza sua.
L’uomo
è uomo perché ascolta e diventa la Parola che ascolta. Se ascolta
Dio diventa Dio. Concepisce Dio non come concetto, ma come Presenza
che cambia spiritualmente e fisicamente la vita e il corpo, come è
accaduto alla Vergine Maria, nella quale è rappresentato il vertice
dell’umanità.
L’ascolto
di Dio da parte nostra è capirlo, concepirlo, lasciarlo entrare e
rimanere in noi. L’ospitalità umana è far si che gli altri
abitino da noi. L’ospitalità cristiana è far si che l’Altro
(Dio) e gli altri abitino in noi.
Ed è anche per questo – io penso - che l’ospitalità è così
fortemente “comandata” da San Benedetto ai suoi monaci3.
Va
infine ricordato che quando Gesù rimprovera fraternamente Marta
dicendo che si affanna e si agita per troppe cose, non contesta
il preparare da mangiare, ma l’affanno, non mette in questione il
cuore generoso di Marta ma l'agitazione. Le parole con le quali Gesù
risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al
punto da far dimenticare l'ascolto: “Marta,
Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose...”.
Rinchiudere queste parole di Gesù dentro la prospettiva della vita
attiva nel mondo (Marta) e della vita contemplativa del chiostro
(Maria) significa mortificarle. La prospettiva è più ampia e tocca
due atteggiamenti che devono far parte della vita di qualsiasi
discepolo: l'ascolto e il servizio. La tensione non è fra l'ascolto
e il servizio, ma fra l'ascolto e il servizio che distrae. Marta è
tanto affaccendata nel servire l'ospite che non ha più spazio per
intrattenerlo. Diceva un vecchio rabbino parlando di un suo collega:
“E’ talmente indaffarato a parlare di Dio da dimenticare che
esiste”.
Se
anche noi ci sediamo ai piedi di Cristo impareremo la cosa più
importante: l’amore, che non è solo la parte migliore è quella
buona, distinguendo il superfluo dal necessario, l’illusorio dal
permanente, l’effimero dall’ eterno. Dio “agisce” amando e
noi dobbiamo “fare” altrettanto.
In
questo ci sono di esempio le Vergini consacrate, che con la loro
dedizione mostrano la verità di questa frase biblica: “Ti
farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel
diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella
fedeltà e tu conoscerai il Signore”
(Os 2,
21-22)”
e alla domanda dell’odierno Vangelo ambrosiano: “Chi è Gesù per
me”, rispondono: “Il mio sposo”, rinnovando il sì detto il
giorno della loro consacrazione: “Vuoi essere consacrata al Signore
Gesù Cristo, Figlio del Dio altissimo, e riconoscerlo come sposo?”,
“Sì, lo voglio” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, n.
14).
Preghiamo
dunque così: “Concedici
di amare te, per avere in dono te, che sei l'Amore - e donaci di bene
operare per rendere tutta la vita una lode a te”(è
una delle invocazione delle Lodi del lunedì della II settimana della
Liturgia delle Ore).
3
Si veda la Regola di San Benedetto, di cui -più sotto- quale
lettura patristica, è proposto il capitolo 53 sull’ospitalità.
Lettura
patristica
REGOLA
DI SAN BENEDETTO
Capitolo
53: L'accoglienza
degli ospiti
- Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"
- e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.
- Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;
- per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.
- Questo bacio di pace non dev'essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.
- Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,
- adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.
- Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
- Si legga all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.
- Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all'ospite,
- mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.
- L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;
- lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti
- e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio".
- Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.
- La cucina dell'abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall'arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.
- Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.
- A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n'è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l'obbedienza.
- E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio
- e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.
- Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:
- in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.
- Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l'incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,
- ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.
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