Rito romano
XIV Domenica del Tempo Ordinario
– Anno C - 7 luglio 2013
Is
66, 10-14; Sal 65; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12. 17-20
Amore
è realista
Rito
ambrosiano
VII
Domenica di Pentecoste
Gs
24,1-2a.15b-27: Sal 104; 1Ts 1,2-10: Gv 6,59-69
Solo Dio ha parole di vita
eterna.
1)
Il realismo è il contrario del pessimismo.
A
chi Gesù affida il compito di portare la lieta parola di pace al
mondo che l’aspetta?
A quelli che come
San Pietro, oggi come allora, Gli dicono: “Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il santo di Dio”
(come ci ricorda il brano evangelico del rito ambrosiano: Gv
6, 68-69).
La
nostra comune esperienza è che gli esseri umani hanno una spinta di
attrazione verso il bene, verso cose alte, verso l’eccellenza (ad
esempio nel lavoro, negli studi, nello sport, nella letteratura
ecc.). San Paolo scrisse ai Filippesi: “Quello
che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è
puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù
e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”
(Fil
4.8).
Ma
la cosa più alta a cui noi esseri umani aspiriamo è l’amore. La
Beata Madre Teresa di Calcutta era così certa che la “cosa più
alta” per cui siamo stati creati fosse l’amore (= cioè l’
“amare e essere
amati”) che divenne
Missionaria della Carità. Questa Beata non faceva altro che
riproporre con le sue parole e la sua vita l’invito di Cristo di
essere missionari della verità e della carità, lieti perché il
nostro nome è scritto nel cuore di Dio (cfr la frase finale del
brano evangelico proposto oggi dal rito romano :
Lc 10, 20).
Purtroppo,
a questa spinta
verso l’alto si oppone la controspinta
del nostro peccato che ci distoglie dalla vocazione di essere amati e
di portare questo amore vero alla messe (moisson) del mondo, che
anela risollevarsi e vivere nella pace stabile, duratura e serena.
Il
mondo, oggi, cerca pace più che libertà e non c’è pace sicura
che dentro l’amore di Cristo, il cui giogo è dolce e soave. A chi
pensa che Cristo sia il profeta dei deboli, i discepoli di ieri e di
oggi portano un Vangelo che rende i calpestati più alti dei re. A
chi sostiene che la Sua è una religione di malati e di moribondi,
noi dobbiamo mostrare che Gesù guarisce gli infermi e risuscita i
“dormienti”. A chi dice che Lui è contro la vita, noi annunciamo
che Lui vince la morte. Il Figlio di Dio non è il Dio della
tristezza e esorta i suoi a essere lieti e promette un eterno
banchetto di gioia ai suoi amici.
Nell’odierno
brano evangelico romano Cristo invita a pregare perché il Padre
mandi operai alla messe che è pronta, matura. E di Gesù possiamo
dire tutto ma non che non fosse realista: Lui non era certamente né
un illuso, né un deluso: guardava il mondo in modo divino. Ma per
essere suoi discepoli non basta questa sguardo positivo. Per essere
suoi discepoli che vanno nella case e nelle periferie del mondo (come
ama ripetere spesso Papa Francesco) è necessario che noi sappiamo
che cosa è l’amore, in modo da poter distinguere il vero amore dal
falso amore. E’ necessario sapere come ognuno di noi sa amare nelle
circostanze della propria vita – nel qui ed ora della nostra
ordinaria vita quotidiana.
Naturalmente
ogni definizione è incompleta quando parliamo dell’amore, e c’è
sempre qualcosa in più che si può dire al riguardo. Ma comprendiamo
meglio l’amore e lo impariamo di più quando lo incontriamo. Madre
Teresa di Calcutta, missionaria della carità e della pace, insegna:
“L’amore non è
parlare, l’amore è vivere. Si può parlare di amore tutto il
giorno e non amare nemmeno una volta.”
Avendo avuto il dono di incontrala abbastanza spesso posso
testimoniare del suo amore e del suo esempio. Una volta le fu chiesto
in un’intervista: “Potrebbe
dirci che cosa è in verità l’amore ?”
Madre Teresa rispose prontamente: “Amare
è dare. Dio ha tanto amato il mondo da dare Suo Figlio. Gesù ha
tanto amato il mondo, ha tanto amato te, ha tanto amato me da dare la
Sua vita per noi. Ed Egli vuole che noi amiamo come Lui ha amato. E
così ora anche noi dobbiamo dare fino a che fa male. L’amore
autentico è un dare, e dare fino a che fa male.”.
Ed una volta feci questa domanda ad una semplice suore di Madre
Teresa: “Suora è vero che, come la Madre, fate tutto per amore?”,
e questa suora girò con semplicità il palmo della mano destra verso
l’alto per dire con un umile gesto: “E’
ovvio”. E con la
bocca aggiunse: “E’
naturale” e riprese
il suo “apostolato” sbucciando le patate per la mensa dei poveri.
Il
Beato Giovanni Paolo II, che –secondo me- è come un fratello
spirituale di Madre Teresa2,
parlava della “legge del dono” iscritta nella nostra natura
umana: la realizzazione umana e la felicità si raggiungono vivendo
questa “legge” come egli si espresse, “essere
dando sé stessi”.
E’
un paradosso insito nella nostra vita, se noi ci rivolgiamo a Dio e
agli altri (il nostro prossimo) allora il frutto è la nostra
realizzazione e felicità; ma se noi ci focalizziamo sulla nostra
felicità e realizzazione (in modo egoistico, “prima io”) allora
non raggiungeremo mai né felicità né autorealizzazione.
Madre
Teresa espresse ciò in modo eccellente: “L’amore
è una via a senso unico. Allontana da se stessi verso l’altro.
L’amore è il dono finale di sé stessi all’altro. Quando
smettiamo di dare, smettiamo di amare, quando smettiamo di amare
smettiamo di crescere, e solo crescendo otteniamo una realizzazione
personale. Se non amiamo, non ci apriremo mai ad accogliere la vita
di Dio. E’ con l’amore che incontriamo Dio.”
La
pratica della carità (quindi l’attività apostolica, missionaria),
è alla portata di ogni cristiano in qualsiasi stato di vita si
trovi. E’ la vocazione sacerdotale, “pastorale” di ogni
cristiano. Ognuno di noi ha la missione di essere un portatore
dell’amore di Dio. La Beata Madre Teresa di Calcutta diceva: “Oggi
Dio ama così tanto il mondo da dare te, da dare me per amare il
mondo, per essere il suo amore, la sua compassione. È un pensiero
bellissimo – ed una convinzione che tu ed io possiamo essere
quell’amore e quella compassione.”
In modo significativo, Madre Teresa fece notare che coloro che hanno
maggiore fame e sete di Dio e del Suo amore, e coloro ai quali
dobbiamo di più ... sono proprio quelli più vicini a noi. “Come
possiamo amare Gesù nel mondo oggi? AmandoLo in mio marito, in mia
moglie, nei miei bambini, i miei vicini, i poveri”.
Infatti, sono proprio coloro con cui viviamo che ne hanno più
bisogno. Poi il cerchio aperto del nostro amore a Dio ed ai familiari
accoglie tutti gli altri, che Dio ci dona come prossimo.
Chi
vive in modo particolare questo “cerchio aperto” dell’amore di
Dio, sono le Vergini consacrate. Il “titolo” di vergine più che
un’integrità fisica esprime la pienezza del dono a Dio (cfr
Rito di consacrazione delle Vergini, Congedo, N°36 = il Vescovo
dice: Che Dio
nostro Padre vi conservi sempre nell’amore della verginità che ha
messo nel vostro cuore).
Esse non hanno niente di proprio. Non hanno un figlio nella carne.
Esse non esistono che donandosi e per donarsi. Con la loro vita
dimostrano che è possibile vivere una vita liberata dalla fatalità
dell’istinto e diventano come la Madonna ostensori e tabernacoli di
Cristo.
La virtù della castità non è
per loro una disciplina che le rende padrone di se stesse. non
soltanto una verginità fisica, ma una verginità anche spirituale
che rifiuta ogni pensiero, ricordo e affetto che non sia per lui;
tutto l'essere nostro si consuma in un atto di amore che ci unisce al
nostro Sposo divino. E non solo la purezza, non solo la semplicità,
ma anche l'umiltà; infatti, vivendo nella luce divina, avviene
quello che avviene quando a mezzogiorno si vogliono guardare le
stelle, e non si vedono più. E così io nella luce di Dio non mi
vedo più, ho perso me stesso, non sono più nulla: egli solo è, lui
solo l'Amato!
Questa
virtù ha un volto, quello di Cristo che radioso le illumina e,
tramite loro illumina il mondo.
Sono evangelizzatrici scelte non
in base all’apparenza ma in base al cuore: “Dio
non guarda ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il
Signore guarda il cuore”
(1 Sam 16,7). Preghiamo il Signore che ci aiuti a “sapere”
l’amore come lo insegnava S. Bernardo di Chiaravalle: "La
misura di amare Dio è di amarlo senza misura", e
a "innalzare
l’amore del prossimo al valore di perfetta giustizia, la cui
condizione è di amarlo puramente in Dio".
2
A questo riguardo
si pensi alle molte coppie sante di fratelli e sorelle nello
Spirito, per esempio: San Benedetto da Norcia e Santa Scolastica,
Sant’Ambrogio e Santa Marcellina, San Pacomio e Santa Maria, San
Francesco d’Assisi e Santa Chiara, San Giovanni della Croce e
Santa Teresa D’Avila, San Francesco di Sales e Santa Giovanna
Francesca di Chantal, ecc)
Lettura
patristica
Testo
di San Gregorio
Nazianzeno (quarto
secolo)
in
cui si mostra che tutti possono seguire Cristo e annunciare il suo
Vangelo
Discorso
45, 23-24 ; PG 36, 654 C - 655 D
“Diveniamo partecipi della
Legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo
completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non
precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la
Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene
calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli.
Sacrifichiamo non giovenchi né agnelli con corna e unghie, che
appartengono più alla morte che alla vita, mancando d’intelligenza.
Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull’altare celeste insieme ai
cori degli angeli. Oltrepassiamo il primo velo del tempio,
accostiamoci al secondo e penetriamo nel “Santo dei santi”. E più
ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre
attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le
nostre sofferenze imitiamo le sofferenze di Cristo, cioè la sua
passione. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono
infatti i suoi chiodi, benché duri. Siamo pronti a patire con Cristo
e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se
sei Simone di Cirene, prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro
appeso alla croce, fa’ come il buon ladrone e riconosci onestamente
il tuo Dio... Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a
colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua
propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il
notturne adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli
unguenti di rito. E se sei una delle Marie, spargi al mattino le tue
lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, va’
incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.”
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