II
Domenica di Quaresima – Anno C - 24 febbraio 2013
Rito
Romano
Gn
15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Il
Vangelo della Trasfigurazione
Rito
Ambrosiano
II
Domenica di Quaresima della Samaritana
Dt
6a;11,18-28; Sal18; Gal 6,1-10; Gv 4,5-42
Nel
cammino verso la Pasqua, la liturgia romana della seconda domenica di
quaresima ci fa salire sul monte Tabor, dove Cristo si trasfigurò
davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Questi 3 apostoli ebbero il
dono di contemplare Gesù “trasfigurato” nello splendore della
sua divinità, per poi poter reggere la vista del Maestro “sfigurato”
dalla Passione, condizione ineliminabile della Resurrezione del
Redentore, il cui amore appassionato ricrea e redime.
Tuttavia,
secondo me, Gesù non vuole solo preparare i suoi seguaci alla
passione che Lo attende e che loro stessi dovranno subire. La
trasfigurazione di Cristo rivela ciò che Lui è già: il Figlio di
Dio, per indicare una delle qualità più importanti per un
discepolo: l’ascolto. Dio che in persona attesta che Gesù Cristo è
suo Figlio: “Questi
è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto” E
conclude dicendo:
“Ascoltatelo”
(Lc 9, 35-36). Perché? Perché il discepolo che ascolta Gesù è
trasfigurato, chi ascolta Cristo diventa come Cristo. L’ascolto di
Gesù fa vivere di Gesù, fa vivere la vita del Figlio: la nostra
vita è trasformata, dall’ascolto della Parola, in vita di figli di
Dio. Quindi è indispensabile ascoltarlo nella sua Parola, custodita
nella Sacra Scrittura, ma è pure importante: “Ascoltarlo
negli eventi stessi della nostra vita cercando di leggere in essi i
messaggi della Provvidenza. Ascoltarlo, infine, nei fratelli,
specialmente nei piccoli e nei poveri, in cui Gesù stesso domanda il
nostro amore concreto. Ascoltare Cristo e ubbidire alla sua voce: è
questa la via maestra, l'unica, che conduce alla pienezza della gioia
e dell'amore”
(Benedetto XVI, all’Angelus del 12 marzo 2006).
Che
questa Quaresima sia dedicata ad ascoltare Cristo per avere un cuore
puro e una mente saggia, ad ascoltare Lui nella Sua Parola che
quotidianamente viene annunciata e spezzata nelle nostre comunità.
Se ascoltiamo Lui ci nutriamo di cibo sostanzioso per il nostro
cammino verso la Pasqua del Risorto, che è Bellezza, Bontà e
Verità. Dunque perseveriamo nell’essere “uditori della Parola”
e non delle chiacchiere e dei rumori. Ascoltiamo il Verbo di Dio
attentamente, contempliamolo piamente, e poi portiamolo devotamente
giù dal monte tra gli uomini. Il discepolo porta questa Parola
trasfigurata di luce, che sul volto di Cristo è come il sole e sui
suoi abiti è bianca come neve (cfr Mt 17,2). Il Cristianesimo è la
religione della luce. Il Verbo, che si è fatto carne, è luce che
illumina ogni uomo. Luce mistica a Nazareth all’annunciazione. Luce
a Betlemme con gli angeli e la stella. Luce al Giordano con la
colomba dello Spirito. Luce sul Tabor. Luce di Pasqua: luce di
eternità.
2)
Non tre tende ma una sola.
La
Chiesa con la scelta del Vangelo della Trasfigurazione ci invita oggi
a ritemprare la nostra stanca e fragile fede nell’energia della
luce. Dio offre un'anticipazione, ma poi bisogna fargli credito,
senza limiti. Come ha fatto Abramo (prima lettura), che si è fidato
della promessa di Dio giocando su di essa tutta la propria esistenza.
Noi
assomigliamo molto a questi tre amici di Gesù, che Lui conforta
dicendo a loro e a noi: “Coraggio, abbiate fiducia, alzatevi e non
temete, io ho vinto il mondo” (cfr Gv 16,33).
Noi come il Capo degli apostoli
siamo confusi (Pietro “non
sapeva quello che diceva”)
e intimoriti (i tre apostoli “ebbero
paura”),
ma in silenzio (essi “tacquero”)
udiamo la parola del Padre che anche a noi dà l'imperativo amoroso:
“Ascoltatelo”.
Noi
come Pietro possiamo esclamare: “Signore,
è bello stare qui, facciamo tre tende: una per Te, una per Mosè e
una per Elia”,
perché come questo apostolo vorremo prolungare la pace che viene
dall’incontro con Cristo contemplato nella sua luce.
San
Pietro fu affascinato da quella visione e, dicendo “bello
stare qui”,
lascia anche intuire le ragioni di una dimensione, forse troppo poco
vissuta, della vita cristiana già in questo mondo: la
contemplazione, cioè la preghiera fatta non per chiedere qualcosa a
Dio ma per ammirare le sue meraviglie, per riconoscere la sua
grandezza e la sua sconfinata bontà, per lodarlo e ringraziarlo di
quanto ci ha donato e di quanto ci garantisce che ci donerà.
La
contemplazione è la preghiera che diventa sguardo. Se diamo del
tempo alla contemplazione di Cristo, il Padre con la sua luce ci
investe e questa luce da noi si irradia anche sugli altri.
In
breve, se vogliamo che l’esperienza di luce duri in noi, non
dobbiamo fare delle tende per Cristo: dobbiamo diventare tende in
cui lui può dimorare e trasfigurarci tramite la partecipazione alla
sua Croce e Risurrezione: “E’
proprio necessario che tu gli sia compagno nella passione affinché
dopo tu possa essere partecipe della sua gloria. Là egli stesso
accoglierà te e tutti i suoi nelle tende eterne. Là, veramente,
preparerai non tre tende, una per Cristo, una per Mosè e una per
Ella, ma una sola tenda, per il Padre, per il Figlio e per lo Spinto
Santo: e questa tenda sarai tu stesso. Allora “Dio sarà tutto in
tutti” (1 Cor 15,28), quando, come leggiamo nell’Apocalisse: “La
dimora di Dio sarà con gli uomini ed essi saranno suo popolo ed egli
sarà Dio-con- loro”
(Ap 21,3).” (Pietro il Venerabile, abate di Cluny, Sermone
sulla Trasfigurazione del Signore).
3)
La Samaritana
La
liturgia della Quaresima illumina la figura di Gesù, perché ogni
cristiano sia messo davanti alla Sua presenza e lo segua. Il rito
romano lo fa con la solennità della trasfigurazione, la liturgia
ambrosiana propone la quotidianità della Samaritana, che va al pozzo
-come ogni giorno- per attingere l’acqua. Domenica scorsa ci
aveva invitato a meditare su “piccolezza” di Zaccheo.
Per
incontrare questo pubblicano Cristo “dovette” passare da Gerico,
per incontrare la Samaritana “dovette” passare dalla Samaria. Non
era banalmente a causa della geografia fisica della Terra Santa, ma a
causa della geografia della carità, che ha strade obbligate come la
Via Crucis.
Per
andare a Gerusalemme, dove lo aspettava la Croce, Gesù fu
“obbligato” a passare per la regione che divideva la Galilea
dalla Giudea, per una terra abitata da gente che gli altri Ebrei
consideravano infedeli, traditori, perché non volevano sacrificare a
Gerusalemme, essendosi costruiti un Tempio sul monte Garizim e non
avevano accettato la riforma di Nehemia.
Ma
Gesù amava i Samaritani: ne guarisce uno che era lebbroso e tra i
dieci miracolati, solo questo samaritano torna a ringraziarlo.
Samaritano è il passante che soccorre l’uomo derubato e ferito da
dei ladri. Samaritana è la donna che Gesù attende al pozzo di
Giacobbe. Samaritano è Gesù (per questo e i due brevi paragrafi
precedenti cfr Primo Mazzolari, La
Samaritana,
Brescia 1943). In effetti, un giorno i suoi compatrioti Gli dissero:
“Non
diciamo
noi bene che
sei un Samaritano?»
(Gv 8,53), è Gesù trasformò questa accusa in sinonimo di “uomo
di carità”.
Ognuno
di noi è dunque chiamato a vivere questa quaresima, annunciando il
vangelo dell’amore con la concretezza del samaritano, buono perché
solidale e disposto ad entrare in un rapporto fraterno con il
bisognoso. Nell’amore che apre all’altro ogni uomo può trovare
la piena realizzazione di sé e dare senso alla propria vita.
Questo
vale in particolare per le Vergini Consacrate, che sono chiamate ad
attingere dal cuore di Cristo l’amore vero e puro che disseta e
trasfigura.
Le
vergini consacrate da buone samaritane sono chiamate a trasfigurare
la terra con la carità che non si può comperare, si può solo
domandarla, riceverla e condividerla. Nella loro preghiera queste
donne che si sono donate completamente a Cristo preghino: “Sposo
di salvezza, speranza di quanti inneggiano a te, o Cristo Dio,
concedi a noi oranti di trovare nelle nozze con te, come le vergini,
senza macchia l'imperitura corona”
(Romano il Melodo, Cantici,
Torino2002, pp. 318), da condividere nell’umile servizio al
prossimo.
Lettura
Patristica
Dai
«Trattati su Giovanni» di
sant'Agostino d’Ippona
Trattato
15, 10-12. 16-17; CCl 36, 154-156)
Arrivò
una donna di Samaria ad attingere acqua
«E
arrivò intanto una donna» (Gv 4, 7): figura della Chiesa, non
ancora giustificata, ma ormai sul punto di esserlo. E' questo il tema
della conversione.
Viene senza sapere, trova Gesù che inizia
il discorso con lei.
Vediamo su che cosa, vediamo perché «Venne
una donna di Samaria ad attingere acqua». I samaritani non
appartenevano al popolo giudeo: erano infatti degli stranieri. E'
significativo il fatto che questa donna, la quale era figura della
Chiesa, provenisse da un popolo straniero. La Chiesa infatti sarebbe
venuta dai pagani, che, per i giudei erano stranieri.
Riconosciamoci
in lei, e in lei ringraziamo Dio per noi. Ella era una figura non la
verità, perché anch'essa prima rappresentò la figura per diventare
in seguito verità. Infatti credette in lui, che voleva fare di lei
la nostra figura. «Venne, dunque, ad attingere acqua». Era
semplicemente venuta ad attingere acqua, come sogliono fare uomini e
donne.
«Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti
erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli
disse: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una
donna samaritana? I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con
i Samaritani» (Gv 4, 7-9).
Vedete come erano stranieri tra di
loro: i giudei non usavano neppure i recipienti dei samaritani. E
siccome la donna portava con sé la brocca con cui attingere l'acqua,
si meravigliò che un giudeo le domandasse da bere, cosa che i giudei
non solevano mai fare. Colui però che domandava da bere, aveva sete
della fede della samaritana.
Ascolta ora appunto chi è colui
che domanda da bere. «Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di
Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene
avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,
10).
Domanda da bere e promette di dissetare. E' bisognoso come uno
che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare.
«Se tu conoscessi», dice, «il dono di Dio». Il dono di Dio è lo
Spirito Santo. Ma Gesù parla alla dottrina in maniera ancora velata,
e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la
istruisce. Che c'è infatti di più dolce e di più affettuoso di
questa esortazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui
che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli
ti avrebbe dato acqua viva»?
Quale acqua, dunque, sta per darle,
se non quella di cui è scritto: «E' in te sorgente della vita»?
(Sal 35, 10).
Infatti come potranno aver sete coloro che «Si
saziano dell'abbondanza della tua casa»? (Sal 35, 9).
Prometteva
una certa abbondanza e sazietà di Spirito Santo, ma quella non
comprendeva ancora, e, non comprendendo, che cosa rispondeva? La
donna gli dice: «Signore dammi di quest'acqua, perché non abbia più
sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15). Il
bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si
adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti,
che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11, 28).”
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