Battesimo
di Gesù, epifania di un amore speciale: la misericordia
Domenica
dopo l’Epifania, 13 gennaio 2013
Is
40,1-5.9-11; Sal 103; Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22.
Rito
ambrosiano
Is
55, 4-7; Sal 29 (28), 1-3a. 3c-4. 3b. 9c-10; Ef 2, 13-22; Lc 3,
15-16.21-22
1)
Ancora un’epifania.
Il
giorno di Natale e il 6 gennaio, abbiamo accolto la manifestazione
(=epifania) di Gesù ai pastori e ai saggi Re Magi, che erano andati
da Lui, Lo avevano riconosciuto e adorato, mettendosi in ginocchio e
offrendo doni.
I
pastori – penso - Gli portarono in omaggio bianchi doni: latte,
formaggio, lana e, perché no, un agnello per onorare il bianco
Splendore di Dio. Doni poveri? Un dono è sempre di grande valore, se
donato con gioia e amore. L’amore non si misura da quanto diamo, ma
da quanto amore mettiamo nel dono.
Anche
i Magi seguirono questa “legge
del dono”
(Madre Teresa di Calcutta) e mostrarono il loro amore rispettoso
offrendo dell’oro al bambino Gesù onorato quale vero Re dei Re,
Gli presentarono dell’incenso, perché in Lui riconobbero il vero
Dio. Infine, riconoscendo in Gesù Cristo il vero Uomo Gli donarono
la mirra, strano regalo per un bambino perché la mirra si usava per
i morti: drammatica profezia del destino di un neonato venuto al
mondo per donare la sua vita, totalmente. Dio è nato per donarsi a
noi. Con un bambino, con questo Bambino ci è donata l’Eternità,
la cui porta è aperta dalla Croce.
Oggi,
la liturgia ci propone di celebrare il modo con cui Dio stesso vive
la “legge
del dono”,
convalidando con la sua divina testimonianza quella dei pastori e dei
Magi. Così ci è concesso di assistere ad un’altra epifania
(=manifestazione) di Gesù, Pace inviata, donata e presente, mentre
per secoli era stata promessa, differita, profetizzata. Dio manifesta
la sua pace nell’umanità di Gesù, ricolma di grazia e di
misericordia.
La
manifestazione celebrata oggi ci spinge a contemplare e fare nostre
almeno tre cose:
- l’umiltà di Cristo, Uomo-Dio, che va da un uomo a farsi battezzare, in segno di penitenza e conversione. Lui è l’Agnello innocente, che umilmente porta il peccato del mondo. Con l’incarnazione il Figlio di Dio, che è infinita potenza, che è la grandezza assoluta, diviene umile impotenza: è un bambino. Ma nel Battesimo Gesù scende ancora più in basso: si costituisce quasi peccatore, Egli entra nell'acqua presentandosi come peccatore pubblico, come penitente. Egli ci ama d’amore infinito e non esita a scendere nel fondo più abissale della nostra povertà, della nostra umiliazione, del nostro peccato.
- La solidarietà di Cristo, che pur essendo senza nessun peccato si mette in fila con i suoi fratelli uomini peccatori per condividere la loro sofferenza e portare il loro male. Lui prende su di sé anche il castigo di ogni peccato per far vivere l’uomo della Sua vita, della Sua santità. Nulla mostra maggiormente la misericordia divina che l'aver Egli assunto la nostra stessa miseria. E questa misericordia non è una debolezza, ma una passione d’amore che ricrea.
- La testimonianza di Dio Padre, che apre il cielo del Suo Cuore e manda il Suo Spirito dolce, soave come una colomba e dice: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo”. Ora gli uomini non hanno scuse per non credere: Dio si fa udire e la Sua testimonianza è davvero credibile. I Vangeli ci narrano di due volte, in cui il Padre riconosce Gesù come Suo Figlio: nel Battesimo e durante la Trasfigurazione. Alla testimonianza Paterna legata al Battesimo di Gesù assistettero Giovanni il Battista e la folla, che vide Gesù discendere nell'acqua in mezzo a tutti i peccatori, come uno di loro. Questa folla vide aprirsi i cieli, ascoltò le parole pronunciate dal Padre per indicare il Figlio prediletto e fu educata a riconoscere la grandezza di Dio e la Sua suprema umiltà che si spoglia di tutto: Gesù è l'umiltà che vuol mettersi al di sotto di noi per poterci portare al Padre.
2)
Tutta la vita di Cristo è una epifania di paradiso.
Nel
Battesimo al Giordano troviamo in germe l'intera vita di Gesù, che
porta il Cielo sulla Terra. Allo stesso modo nel nostro battesimo c'è
il germe di tutta la nostra esistenza cristiana, che è una esistenza
da Paradiso.
Mi
spiego: Cristo, facendosi solidale con noi, ci ha resi uno
con Lui: tutti gli esseri umani vivono nel Figlio. A noi figli nel
Figlio il Padre si comunica, a noi dona il suo Spirito. E se lo
Spirito di Dio è in noi, il Paradiso è qui, è aperto per noi e per
tutta l’umanità. Origene affermò ancora di più e scrisse:
“Vedendo
il Figlio, riposando in noi la compiacenza del Padre che ci ama
nell’Amato, noi siamo il Paradiso di Dio”.
Quindi,
il battesimo – quello di Gesù e il nostro – implica una missione
di paradiso. Una missione da svolgere, come dice il profeta Isaia
(cfr I lettura della Messa), nella fermezza: «Proclamerà
il diritto con fermezza»,
e nella dolcezza: «Non
spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla
fiamma smorta».
Una missione che non percorre le vie della violenza superba, ma
quelle della delicatezza umile: «Non
griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce».
Una missione che dà speranza e salvezza agli infelici: «Perché
tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i
prigionieri».
Una missione, infine, universale: i suoi confini sono la «terra»,
«le
nazioni»,
«le
isole lontane».
Il
Figlio di Dio è entrato nel mondo non per starsene nascosto, ma anzi
proprio per farsi conoscere e amare, per costruire il mondo nuovo e
salvare l’uomo. Anche quando noi diventiamo cattivi, Cristo rimane
buono e perdona le nostre cattiverie. Lui non vuole distruggere, lui
ama ricostruire. Egli è venuto su questa terra per aprire in terra
il Paradiso con la sua bontà onnipotente e inesauribile.
Salvare
l’uomo per Cristo vuol dire liberarlo dal peccato e dalle violente
miserie che ne derivano. Vuol dire saldarlo in una comunione con Lui
e con gli altri uomini così che il prossimo diviene fratello e
sorella: questa è una vita da paradiso. Vuol dire fare nostre e
condividere con gli altri le parole del buon ladrone: “Signore
ricordati di me nel tuo Regno” ed accogliere la risposta di Cristo
che disse: “Oggi
sarai con me in Paradiso”
cioè “D’ora in poi sarai sempre con me”.
Non
dobbiamo dimenticare che questa salvezza non riguarda solo la fine e
l’al di là della storia: la lavora dall’interno, le dà un
senso. La vita eterna è già cominciata e germoglia sulla terra.
Il
Regno di Dio è in cantiere nel cuore degli uomini indaffarati a
costruire la loro città. I cristiani non sono migliori degli altri,
ma sono consapevoli di essere peccatori rendenti, che annunciano al
mondo che Gesù è il Signore. I cristiani in forza del battesimo
sono chiamati ad essere il sale che deve salare la terra, la luce che
illumina il mondo, portando la gioia del Paradiso.
Il
cristiano non fugge dal mondo, “lavora” per metterlo sempre più
nelle mani di Dio, per partecipare, con il cuore e con l’azione,
alla gestazione del mondo nuovo, dove tutti avremo stabile e felice
dimora.
3)
Un’epifania femminile
Tutti
siamo chiamati a questo “lavoro” che realizza sempre di più
l’epifania di Dio nel mondo. Credo, tuttavia, di non sbagliare se
affermo che le vergini consacrate sono chiamate a vivere questa
epifania secondo la loro femminilità.
Incontrandole
il 2 giugno 1995, il Beato Giovanni Paolo II disse loro: “Carissime
Sorelle, Maria è vostra madre, sorella, maestra. Imparate da lei a
compiere la volontà di Dio e ad accogliere il suo progetto
salvifico; a custodirne la parola e a confrontare con essa gli
accadimenti della vita; a cantare le sue lodi per le “grandi opere”
in favore dell’umanità; a condividere il mistero del dolore; a
portare Cristo agli uomini e a intercedere per chi è nel bisogno.
Siate
con Maria là, nella sala delle nozze dove si fa festa e Cristo si
manifesta ai suoi discepoli come Sposo messianico; siate con Maria
presso la Croce, dove Cristo offre la vita per la Chiesa; restate con
lei presso il Cenacolo, la casa dello Spirito, che si effonde come
divino Amore nella Chiesa Sposa.”
(Giovanni
Paolo II,
Discorso alle Partecipanti al Convegno internazionale dell’ ORDO
VIRGINUM nel 25 anniversario della promulgazione del Rito,
2 giugno 1995, n. 8).
Dunque,
sempre e particolarmente nel contesto attuale, credo sia molto
importante la presenza della vergine consacrata proprio come donna.
Ovunque si trovi a vivere, lavorare, studiare, parlare, servire,
pregare, con il suo modo di essere testimonia la nuzialità della sua
esistenza donata e capace di abbracciare Cristo nella sua totalità,
cantando le
lodi
dello Sposo e allargando il cuore a ogni figlio fino a sentirsi
«corpo» della Chiesa, diventando epifania dello Sposo mediante il
dono sincero e totale di se stessa.
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