Messa
della
Notte:
Is
9,2-4.
6-7;
Tito
2,11-14;
Lc
2,1-14.
Messa
dell’Aurora:
Is
62,11-12;
Tito
3,4-7;
Lc
2,15-20.
Messa
del
Giorno:
Is
52,7-10;
Eb
1,1-6;
Gv
1,1-18
1)
La
Messa
della
Notte:
la
festa
del
Cielo.
Nella
notte
del
mondo,
che
l’Avvento
ha
rischiarato
nell’operosa
attesa
della
pienezza
dei
tempi,
Gesù
Figlio
di
Dio
viene
sulla
Terra
e
dà
luce
agli
occhi
della
mente
e
del
cuore.
La
Parola
si
fa
carne
che
ora
non
solo
è
udibile,
ma
è
anche
visibile.
Il
Verbo
di
Dio,
che
nasce
nel
mondo,
è
incontrabile.
Siamo
chiamati
a
crescere
nella
fede
che
Dio
si
è
fatto
uomo.
Siamo
chiamati
a
vederLo
fatto
uomo
in
una
grotta
e
a
vederLo
in
un
bambino
che
non
sa
difendere
nemmeno
se
stesso.
Siamo
invitati
a
celebrare
questa
manifestazione
dell’Amore
di
Dio,
che
oggi
si
fa
carne
mediante
il
sì
del
nostro
cuore.
Il
Natale
è
così
carico
di
mistero
che
la
Liturgia
ci
propone
tre
Messe1
per
celebrarlo
facendoci
vivere
santamente
tre
momenti
dello
stupore
e
di
gioia
della
Chiesa
per
la
nascita
del
Salvatore.
Il
primo
momento
è
la
Messa
della
Notte,
che
inizia
con
il
canto
d’introito:
“Il
Signore
mi
ha
detto:
“Tu
sei
mio
Figlio,
io
oggi
ti
ho
generato”
(Sal
2,7).
E’
il
momento
del
Padre,
la
cui
volontà
buona
e
amorosa
“usa”
il
cielo
e
la
terra,
e
la
volontà
degli
uomini,
per
far
nascere
a
Betlemme
(che
vuol
dire:
Città
del
Pane)
il
Pane
degli
Angeli
e
donarlo
come
cibo
di
vita
vera
agli
uomini.
E’
il
momento
della
madre
benedetta,
Maria,
che,
nel
primo
incontro
con
il
Figlio,
lo
avvolge
in
poveri
panni
e
ne
ha
cura
con
umili
gesti.
Il
suo
lavoro
di
madre
è
un
atto
di
culto
al
Creatore,
che
si
è
incarnato
e
deve
essere
lavato
e
vestito,
come
ogni
neonato.
L’ambiente
squallido
della
grotta
non
rattrista
Maria.
Il
Padre
si
incarica
di
organizzare
la
festa
per
la
nascita
nel
tempo
di
Suo
Figlio
e
manda
una
schiera
di
Angeli
festosi
che
cantano:
“Gloria
a
Dio
nel
più
alto
dei
cieli
e
pace
in
terra
agli
uomini,
che
[tutti]
sono
amati
da
Dio”.
E’
un
fatto
piccolo,
minuscolo
che
nessun
testo
storico
dell’epoca,
nessuna
cronaca
registra.
Eppure
è
il
fatto
che
ha
cambiato
il
mondo.
E’
davvero
così:
Dio
è
diventato
re
di
questa
terra
facendosi
bambino
e
il
Padre
che
è
nel
cielo,
attraverso
gli
angeli,
invita
gli
uomini
a
far
festa,
perché
“è
nato
il
Signore”.
E
qual
è
il
segno
di
questo
fatto
“eccezionale”?
Un
bambino
fasciato
e
adagiato
nella
mangiatoia.
Nulla
di
speciale.
Un
bambino
che
come
tutti
i
bambini
in
fasce
non
può
muoversi
e
che
se
ne
sta
lì
come
incatenato
nelle
bende
in
cui
è
stato
avvolto.
Grazie
a
Dio,
i
pastori
credettero
alla
parola
degli
Angeli.
2)
La
Messa
dell’Aurora:
la
Festa
della
Terra.
Infatti,
quando
gli
Angeli,
risalendo
al
cielo,
si
furono
allontanati,
i
pastori
presero
a
dire:
“Andiamo
fino
a
Betlemme
a
vedere
cosa
è
accaduto
e
che
il
Signore
ci
ha
fatto
sapere.
Andarono
in
fretta
e
trovarono
che
quello
che
era
stato
detto
loro
dagli
angeli
era
vero”
(cfr
Lc
2,
15-20).
I
pastori
andarono,
videro
questo
segno
indicato
dal
Cielo
e
credettero.
Credettero
perché
seppero
passare
dallo
straordinario
degli
Angeli
che
cantavano
in
cielo
all’ordinario
umile
di
una
grotta.
Questi
poveri
uomini
furono
capaci
di
fare
come
il
Signore
fattosi
bambino.
Come
il
Dio
che
è
nell’alto
del
cieli
aveva
percorso
la
stessa
strada
dell’umiltà
così
anche
loro
la
percorsero.
In
effetti,
per
trovare
Dio
occorre
fare
come
Lui:
“scendere”
verso
i
fratelli
poveri,
sofferenti,
assetati,
nudi,
malati
e
prigionieri:
là,
con
l’incarnazione,
è
il
suo
posto
ora.
Con
tutti
questi
lui
si
identificò
e
continua
ad
identificarsi.
Questa
è
la
gioia
grande
che
oggi
ci
è
annunciata:
Dio
ci
ha
inviato
il
Salvatore.
E
se,
da
una
parte,
tutti
noi
siamo
poveri
di
vita
e
incatenati
alla
necessità
di
essere
salvati,
d’altra
parte,
in
questo
Natale
– ma
non
solo
oggi-
siamo
inviati
ai
poveri
e
agli
incatenati,
poiché
siamo
partecipi
di
questa
Salvezza,
gioia
da
condividere.
La
festa
del
cielo,
dove
gli
angeli
cantano
la
gloria
di
Dio
e
la
pace
per
gli
uomini
sulla
terra
comincia
ad
essere
una
festa
della
terra,
dove
dei
poveri
pastori
hanno
la
grazia
di
vedere
il
Bambino
divino
e
la
sua
Madre,
piena
di
soavità.
I
pastori
sono
i
primi
testimoni
esterni
e
i
primi
fortunati
partecipi
a
questa
festa
della
salvezza
donata
dal
Dio,
ricco
di
misericordia.
Su
loro,
e
grazie
anche
a
loro
su
di
noi,
oggi
splende
la
luce,
perché
è
nato
per
noi
il
Signore;
Dio
onnipotente
è
il
suo
nome,
Principe
della
pace,
Padre
dell'eternità:
il
suo
regno
non
avrà
fine
(cfr
Antifona
di
introito
della
Messa
dell’Aurora).
La
seconda
Messa
di
Natale,
chiamata
dell’Aurora,
celebra
la
prima
manifestazione
del
Verbo
all’umanità
rappresentata
dai
pastori
che
si
misero
ad
adorare
la
Parola
“abbreviata”2
in
un
bambino
in
fasce.
I
pastori
accettarono
Gesù
Bambino
come
“unico
cuore
del
loro
cuore”
(San
Pio
da
Pietrelcina)
e
ne
furono
confortati
e
corroborati:
ebbero
la
gioia
piena.
E
appena
scorsero,
nella
poca
luce
della
Stalla,
una
Donna
giovane
e
bella,
che
contemplava
in
silenzio
il
figlio,
e
videro
il
bambino
cogli
occhi
da
poco
aperti
alla
luce
del
mondo,
quel
corpicino
delicato,
quella
bocca
che
non
aveva
ancor
mangiato,
il
loro
cuore
s’intenerì
e
la
mente
si
aprì
e
credettero.
Lieti
perchè si
sono
aperti
i
cieli
e
l’uomo
non
è
più
vagabondo
sulle
vie
del
mondo:
ha
trovato
la
via
della
verità
e
della
vita
vera.
Per
loro
si
avverò
la
frase
del
Prologo
di
San
Giovanni:
“a
quanti
lo
hanno
accolto
ha
dato
potere
di
diventare
figli
di
Dio:
a
quelli
che
credono
nel
suo
nome...”
(Gv
1,
12).
San
Gregorio
di
Nazianzo
così
commenta
questo
evento
grande
del
Natale
in
cui
il
Verbo
assume
la
carne
dell’uomo:
“L'uomo
assume
ora
la
sua
vera
dimensione,
perché
egli
non
è
veramente
uomo
se
non
in
Dio.
E
c'è
forse
una
presenza
in
Dio
più
forte
della
filiazione
divina?
Proprio
ora,
il
Re
in
esilio
rimette
piede
sulla
terra,
preparata
per
lui
e,
nello
stesso
tempo,
l'uomo
ritrova
il
suo
“posto”,
la
sua
vera
casa,
la
sua
vera
terra:
Dio.”
3)
la
Messa
del
Giorno:
la
Festa
della
luce.
Il
terzo
momento
che
la
Chiesa
celebra
nella
terza
Messa,
chiamata
Messa
del
Giorno,
è
la
nascita
eterna
del
Figlio
di
Dio
nel
seno
del
Padre
suo.
A
mezzanotte,
la
liturgia
ci
fa
celebrare
il
Dio-Uomo
che
nasce
dal
seno
della
Vergine
in
una
stalla.
All’aurora,
facciamo
memoria
del
divino
Bambino
che
nasce
nel
cuore
dei
pastori,
cioè
noi
poveri
esseri
umani.
In
questa
terza
Celebrazione
la
Chiesa
celebra
una
nascita
molto
più
meravigliosa
delle
altre
due,
una
nascita
la
cui
luce
abbaglia
gli
sguardi
degli
Angeli,
e
che
è
essa
stessa
la
testimonianza
eterna
della
sublime
fecondità
del
nostro
Dio.
Il
Figlio
di
Maria
è
anche
il
Figlio
di
Dio;
il
nostro
dovere
è
proclamare
oggi
la
gloria
di
questa
indescrivibile
generazione
di
Dio
da
Dio,
di
Luce
da
Luce.
Se
nella
Messa
della
Notte
abbiamo
ringraziato
insieme
con
il
Padre
la
Madonna
e
se
nella
Messa
dell’Aurora
siamo
stati
invita
a
imitare
i
pastori,
in
questa
Messa
del
Giorno
celebriamo
Cristo
che
è
la
Luce:
egli
illuminò
il
cosmo
nella
creazione;
egli
plasmò
l’uomo
nella
più
sublime
luce
dell’intelletto
e
nell’immagine
di
Dio,
affinché
l’uomo
diventi
tutto
luce,
divinizzandosi
con
la fede
e
con
le
opere
gradite
a
Dio
e
raggiunga
il
giorno
eterno,
che
non
conosce
notte.
San
Gerolamo
diceva
che
per
il
santo
anche
il
sonno
è
preghiera.
San
Gregorio
di
Nazianzo
(si
veda
la
lettura
patristica
proposta
alla
fine
di
queste
riflessioni)
vuole
che
il
suo
sonno
sia
breve,
per
non
mancare
troppo
a
lungo
di
far
eco
al
coro
perenne
degli
angeli
inneggianti
a
Dio;
anzi,
vuole
che
anche
quando
il
suo
corpo
dorme,
la
sua
anima
vegli
a
conversare
con
il
Padre
e
con
il
Figlio
e
con
il
Santo
Spirito:
con
Dio.
A
questa
preghiera
vigilante
si
dedicano
in
modo
particolare
le
Vergini
consacrate.
Queste
persone
predilette
hanno
risposto
prontamente
al
Signore
che
a
ciascuna
ha
amorevolmente
detto:
«Ti
farò
mia
sposa
nella
giustizia
e
nel
diritto,
nell'amore
e
nella
benevolenza,
ti
farò
mia
sposa
nella
fedeltà
e
tu
conoscerai
il
Signore».
La
sposa
che
“conosce”,
ama
e
si
sente
amata
non
solamente
è
vigilante
e
trepidante
quando
è
in
attesa
dello
sposo,
come
le
vergini
sagge
del
noto
brano
evangelico.
Con
la
lampada
ardente
dell'amore
e
un
buon
rifornimento
di
olio,
che
significa
la
perseveranza,
la
vigilanza
e
la
prontezza
nell'ascolto,
la
Vergine
consacrata
veglia
ogni
giorno
con
Cristo
e
porta
la
luce
di
Cristo
al
mondo
e
a
tutti
ricorda
il
significato
del
mistero
odierno:
“La
luce
vera
che
illumina
ogni
uomo
che
viene
in
questo
mondo
(cfr.
Gv
1,9)
è
venuta.
Tutti
dunque,
fratelli,
siamone
illuminati,
tutti
brilliamo.
Nessuno
resti
escluso
da
questo
splendore,
nessuno
si
ostini
a
rimanere
immerso
nel
buio.”
(San
Sofronio,
vescovo:
Discorso
3,
sull’«Hypapante»
6,7;
PG
87,
3,3291-3293).
1
Il
Sacramentario
gelasiano
e
quello
gregoriano
fanno
menzione
delle
tre
Messe
di
Natale.
Ma
all'inizio
del
V
secolo,
non
vi
era
che
una
sola
Messa,
quella
del
giorno,
che
si
celebrava
a
San
Pietro,
in
effetti
l’istituzione
della
Messa
di
mezzanotte
data
dalla
fine
del
V
secolo.
Per
spiegare
il
perché
delle
3
Messe,
Dom
Prosper
Guérenger,
OSB,
scriveva
che
esse
“servivano”
per
celebrare
3
Nascite:
“Perché
tre
Nascite?
Egli
nasce,
questa
notte,
dalla
Vergine
benedetta;
nascerà,
con
la
sua
grazia,
nei
cuori
dei
pastori
che
sono
le
primizie
di
tutta
la
cristianità;
nascerà
eternamente
dal
seno
del
Padre
suo,
nello
splendore
dei
Santi:
questa
triplice
nascita
deve
essere
onorata
con
un
triplice
omaggio”.
2
“Dio
ha
reso
breve
la
sua
Parola,
l'ha
abbreviata”
(Is
10,23;
Rom
9,28).
E
nel
Natale
del
2006
Benedetto
XVI
così
commentava
questa
citazione
biblica:
“I
Padri
lo
interpretavano
in
un
duplice
senso.
Il
Figlio
stesso
è
la
Parola,
il
Logos;
la
Parola
eterna
si
è
fatta
piccola
– così
piccola
da
entrare
in
una
mangiatoia.
Si
è
fatta
bambino,
affinché
la
Parola
diventi
per
noi
afferrabile.
Così
Dio
ci
insegna
ad
amare
i
piccoli”.
Lettura
Patristica
San
Gregorio di Nazianzo,
Carmi
autobiografici,
XXXII,
PG,
XXXVII, 511-513.
Te,
anche ora, noi benediciamo,
o
Cristo, Parola del mio Dio,
luce
da luce che non ha principio,
e
dispensatore dello Spirito,
triplice
luce che in unico
splendor
s’aduna.
Tu
dissipasti le tenebre
e
stabilisti la luce;
e
nella luce creasti ogni cosa,
e
fissasti l’instabile materia
nelle
forme del cosmo
e
nel presente bell’ordine.
Tu
illuminasti la mente dell’uomo
con
la ragione e la sapienza,
offrendo
anche quaggiù un’immagine
dello
splendor dell’alto,
affinché
con la luce l’uomo veda la luce,
e
diventi tutto luce.
Con
lumi vari
illuminasti
il cielo.
Alla
notte e al giorno
comandasti
d’alternarsi in pace,
rendendo
onore alla legge
del
fraterno amore.
Con
la notte dai tregua alle fatiche
della
molto travagliata carne;
e
col giorno svegli al lavoro
e
all’opere a te gradite,
affinché,
fuggendo le tenebre,
ci
affrettiamo verso il giorno,
quel
giorno che mai non dissipa
oscura
notte.
Tu
fa’ che scenda leggero
il
sonno sulle mie palpebre,
affinché
non troppo a lungo
giaccia
la lingua senza lodarti;
e
cessi di far eco al coro degli angeli
la
tua creatura.
Insieme
a te il letto induca
a
pie meditazioni;
non
rimproveri la notte
qualche
sozzura del giorno;
né
vani sogni mi turbino,
scherzi
della notte.
La
mente, invece, pur senza il corpo,
con
te parli, o Dio,
e
con il Padre e con il Figlio
e
col Santo Spirito,
cui
sia onore, potenza e gloria
per
i
secoli.
Amen.
|
LETTURA
SPIRITUALE
Ecco
come
uno
dei
più
antichi
biografi,
Tommaso
da
Celano,
narra
di
San
Francesco
d’Assisi
quando
realizzò
il
primo
presepe
del
mondo.
E’
una
scena
che
si
è
svolta
a
a
Greccio
(Umbria
– Italia),
nella
notte
del
25
dicembre
1223.
"C'era
in
quella
contrada
un
uomo
di
nome
Giovanni,
di
buona
fama
e
di
vita
anche
migliore,
ed
era
molto
caro
al
beato
Francesco
perché,
pur
essendo
nobile
e
molto
onorato
nella
sua
regione,
stimava
più
la
nobiltà
dello
spirito
che
quella
della
carne.
Circa
due
settimane
prima
della
festa
della
Natività,
il
beato
Francesco,
come
spesso
faceva,
lo
chiamò
a
sé
e
gli
disse:
"Se
vuoi
che
celebriamo
a
Greccio
il
Natale
di
Gesù,
precedimi
e
prepara
quanto
ti
dico:
vorrei
rappresentare
il
Bambino
nato
a
Betlemme,
e
in
qualche
modo
vedere
con
gli
occhi
del
corpo
i
disagi
in
cui
si
è
trovato
per
la
mancanza
delle
cose
necessarie
a
un
neonato,
come
fu
adagiato
in
una
greppia
e
come
giaceva
sul
fieno
tra
il
bue
e
l'asinello".
Appena
l'ebbe
ascoltato,
il
fedele
e
pio
amico
se
ne
andò
sollecito
ad
approntare
nel
luogo
designato
tutto
l'occorrente,
secondo
il
disegno
esposto
dal
Santo.
E giunge il giorno della letizia, il
tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti
frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai
casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue
possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella
quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i
giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è
predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia.
Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono
il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la
semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda
l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno
e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta
di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La
selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori
festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra
tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è li estatico di fronte al
presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile.
Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e
lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco
si
è
rivestito
dei
paramenti
diaconali,
perché
era
diacono
e
canta
con
voce
sonora
il
santo
Vangelo:
quella
voce
forte
e
dolce,
limpida
e
sonora
rapisce
tutti
in
desideri
di
cielo.
Poi
parla
al
popolo
e
con
parole
dolcissime
rievoca
il
neonato
Re
povero
e
la
piccola
città
di
Betlemme.
Spesso,
quando
voleva
nominare
Cristo
Gesù,
infervorato
di
amore
celeste
lo
chiamava
"il
Bambino
di
Betlemme",
e
quel
nome
"Betlemme"
lo
pronunciava
riempiendosi
la
bocca
di
voce
e
ancor
più
di
tenero
affetto,
producendo
un
suono
come
belato
di
pecora.
E
ogni
volta
che
diceva
“Bambino
di
Betlemme”
o
“Gesù”,
passava
la
lingua
sulle
labbra,
quasi
a
gustare
e
trattenere
tutta
la
dolcezza
di
quelle
parole.
|
Vi
si
manifestano
con
abbondanza
i
doni
dell'Onnipotente,
e
uno
dei
presenti,
uomo
virtuoso,
ha
una
mirabile
visione.
Gli
sembra
che
il
Bambinello
giaccia
privo
di
vita
nella
mangiatoia,
e
Francesco
gli
si
avvicina
e
lo
desta
da
quella
specie
di
sonno
profondo.
Né
la
visione
prodigiosa
discordava
dai
fatti,
perché,
per
i
meriti
del
Santo,
il
fanciullo
Gesù
veniva
risuscitato
nei
cuori
di
molti,
che
l'avevano
dimenticato,
e
il
ricordo
di
lui
rimaneva
impresso
profondamente
nella
loro
memoria.
Terminata
quella
veglia
solenne,
ciascuno
tornò
a
casa
sua
pieno
di
ineffabile
gioia”.
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