venerdì 16 novembre 2012

XXXIII Domenica del TO (Rito Romano) - I Domenica di Avvento (Rito Ambrosiano)

Letture della Messa
Rito Romano
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 18 novembre 2012
Dan 12, 1-3; Sal 15, 5 e 8.9-10.11; Ebr 10, 11-14.18; Mc 13, 24-32
Dio è il nostro Destino, il cui volto buono ci è manifestato in Cristo.

Rito Ambrosiano
I Domenica di Avvento
Is 13,4-11; Sal 67; Ef 5,1-11a; Lc 21,5-28
Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo.
Apocalisse= Rivelazione
Parroco = Pellegrino
(Si veda in calce l’etimologia delle due parole)

1) L’Apocalisse di Cristo, Maestro di Speranza.
Il Vangelo di questa domenica ci riporta nel Getsemani, sul monte degli Ulivi che si trova in faccia alla città di Gerusalemme. Gesù, il Maestro e Signore, ha lasciato il Tempio, dove aveva lodato la vedova per la sua fiducia piena in Dio, ed ora se ne sta seduto sulla collina coperta di ulivi. Gesù osserva da lontano il luogo santo del Tempio e intanto risponde alle domande dei discepoli che sono preoccupati del loro futuro. I più vicini seguaci del Messia percepiscono l’avvicinarsi della passione di Cristo e loro. Vorrebbero conoscere quello che accadrà e se sarà favorevole a loro.
Il Rabbi di Nazareth accoglie con molta comprensione i dubbi, le domande e le preoccupazioni dei discepoli, anche se la sua risposta non è certo quella che loro desiderano. Gli Apostoli, infatti, come tutti noi, del resto, vorrebbero date precise, circostanze particolareggiate, scadenze certe: un appuntamento da segnarsi sull'agenda, con giorno e orario, così da organizzarsi adeguatamente.
Invece il Signore Gesù non fornisce date o tempi precisi, ma risponde usando un'immagine legata alla natura: "Ora imparate dal fico questa similitudine: quando i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte." 
Quindi il Maestro ci sta dicendo che dobbiamo diventare in grado di prevedere e capire quello che sta per avvenire riguardo al Regno, proprio come i contadini riconoscono con sicurezza l'arrivo dell'estate da quello che accade all'albero di fico.
Se prendiamo come esempio i contadini, dobbiamo vivere questo tempo come tempo di attesa, di vigilanza, di laboriosità e di preghiera.
Il problema per noi è conoscere il futuro con i maggiori dettagli possibili. Cristo ci insegna che il vero problema è un futuro vicino a Dio, in Dio, per sempre. Altrimenti è solo ansia e paura.
Lo scopo di Gesù non è certamente quello di spaventare i suoi ascoltatori. Cristo, usando il linguaggio apocalittico tipico del suo tempo, vuole al contrario rivelare un messaggio di speranza ai suoi discepoli, quindi anche a noi. Non vuole darci nemmeno una comoda scusa per sfuggire dal presente e dalle nostre responsabilità attuali nel mondo, ma vuole che viviamo il presente con impegno e attenzione.

2) Cristo “Parroco”.
Intanto, nell'attesa di nuovi cieli e nuova terra che saranno senza fine, eterni, ogni seguace di Cristo pellegrino (= parroco, parrocchiano) prosegue il suo pellegrinaggio verso la patria. Esorta s. Agostino: “Canta dunque come il viandante, come pellegrino, canta e cammina, senza deviare, senza indietreggiare, senza voltarti. Qui canta nella speranza, lassù canterai nel possesso. Questo è l'alleluia della strada, quello l'alleluia della patria”.
L'Eucaristia è il viatico non solo per i moribondi ma per ciascuno di noi che si fa pellegrino (=parroco, parrocchiano). Il Pane di Vita che ci sostiene nel nostro cammino e ci fa partecipare fin da ora alla realtà della vita nuova, e "ci prepara il frutto di una eternità beata" (preghiera sulle offerte). Preghiamo perché ogni giorno attendiamo la manifestazione gloriosa del Signore: fiduciosi nella speranza, operosi nella carità.
Non dobbiamo fuggire dalla vita terrena, ma non dobbiamo neppure restarle aggrappati. Alla morte bisogna prepararsi con speranza. Con la speranza cristiana della resurrezione di Cristo. È questo che induceva Montale a dire: “Non posso pensarti dolente, dal momento che per un cristiano la morte odora già di risurrezione”.
Con Cristo e come Cristo siamo pellegrini, chiamati dunque a vivere nella “provvisorietà”. Mi spiego con un breve aneddoto: in una parrocchia c’era un bellissimo Crocifisso del ‘400. Siccome c’erano i lavori di rinnovazione della Chiesa questa “opera d’arte” era stata messa in sagrestia con accanto un cartello che con il tempo era un po’ ingiallito e sul quale c’era scritto: “Collocazione provvisoria". Credo che questo sia il senso (direzione e significato) della vita e della morte di Cristo, in vista della resurrezione.
Il grande poeta italiano Clemente Rebora, che da ateo che era si convertì e divenne prete nella Congregazione dei Rosminiani, con semplicità così spiegava il cammino della vita di ogni uomo pellegrino: In ciascuno di noi, creature plasmate dalle mani di Dio, ci sono tre grandi momenti che sono come delle porte che si aprono l'una sull'altra. Il primo momento è il giorno del Battesimo, quando Dio ci chiama per nome a vivere la Sua vita, morendo al mondo, quasi per “respirare Lui”. 
Il secondo momento è quello della scelta di cosa fare della vita, la nostra vocazione, che è conoscere quale strada Dio ha tracciato per arrivare a Lui, facendo la Sua volontà. 
Il terzo momento, il più solenne, è l'incontro definitivo con Gesù, che viene sulle nubi, circondato dagli Angeli e dai Santi. 
"Non si deve sbagliare nessuna di queste tre porte - ripeteva spesso - perché fallirne anche una sola è davvero ‘la fine del mondo’. Perciò cerchiamo di vivere ogni giorno l'impegno preso nel Battesimo. Poi viviamo con gioia la vocazione, qualunque questa sia, perché Dio ha per ciascuno un piano di salvezza. Restiamo, infine, sempre pronti e vigilanti per l'incontro con Gesù, alla nostra morte, e alla fine dei tempi. 

Non sono solo belle parole, avanzando negli anni, ci si rende conto sempre più della grande verità che contengono. 

Il Concilio ha queste altre magnifiche parole: "La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati, in Cristo, e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà compimento se non nella gloria del Cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose. Fino a che non ci saranno cieli nuovi e tenne nuove, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e sospirano la manifestazione dei figli di Dio".
Il Vangelo, anche quello della liturgia d’Avvento ambrosiano, non parla tanto della fine del mondo ma del senso della storia, che con Cristo e in Cristo diventa storia di salvezza. Sembra che ci dica parole d'angoscia, invece ci educa alla speranza, in questa nostra vita che è un impasto di dramma e di delicatezza. Parla di stelle che si spengono e cadono dal cielo, ma il profeta dice che il cielo non sarà mai spento, mai vuoto di stelle: “I saggi risplenderanno come stelle per sempre” nel Cielo di Dio.
Fra queste persone sagge, che vogliono seguire l’esempio delle vergini prudenti della parabola evangelica, ci sono le donne che si sono consacrate nell’Ordo Virginum, alle quali Papa Benedetto XVI ha rivolto questo invito: “La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro" (RCV, 30). Fate in modo che la vostra persona irradi sempre la dignità dell'essere sposa di Cristo, esprima la novità dell'esistenza cristiana e l'attesa serena della vita futura. Così, con la vostra vita retta, voi potrete essere stelle che orientano il cammino del mondo. La scelta della vita verginale, infatti, è un richiamo alla transitorietà delle realtà terrestri e anticipazione dei beni futuri. Siate testimoni dell'attesa vigilante e operosa, della gioia, della pace che è propria di chi si abbandona all'amore di Dio. Siate presenti nel mondo e tuttavia pellegrine verso il Regno”(Messaggio di Benedetto XVI al Pellegrinaggio Internazionale dell'Ordo Virginum, 15 maggio 2008). Se le vergini consacrate attendono cristo che viene con il cuore che, come un vaso, contiene l’olio dell’amore verginale per fare luce e accogliere il Signore, anche gli sposati possono e devono fare altrettanto, ricordandosi che “nel matrimonio esiste la fedeltà della verginità” (St. Agostino, Discorso 93).
***
Etimologia di due parole: Apocalisse e Parrocchia.

1. Apocalisse: dal greco apokalypsis, vuol dire rivelazione, parola composta da “apo” particella negativa (dis) e dal verbo kaliptein = coprire, nascondere, velare, quindi dis-velare, rivelare.
La parola greca per “apocalisse” è la prima parola nel testo greco del libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo. L’espressione “letteratura apocalittica” è usata per descrivere i simboli, le immagini e i numeri di eventi futuri. Al di fuori dell’Apocalisse, esempi di letteratura apocalittica nella Bibbia si trovano in Daniele capitoli 7-12, Isaia capitoli 24-27, Ezechiele capitoli 37-41 e Zaccaria capitoli 9-12.
Al di là del significato specifico biblico, il termine “apocalisse” è spesso usato per parlare della fine dei tempi in generale, o in modo particolare degli ultimissimi tempi.
Nell’immaginario popolare l’Apocalisse è il libro del terrore e della paura. In realtà, è il libro che contiene il messaggio più forte ed elevato di speranza. Esso offre fondati motivi di speranza proprio in una situazione che sembra ormai definitivamente soggetta alle forze del male. L’Agnello di cui parla l’Apocalisse (cfr cap. 5), poi cavallo vincente, rimane l’anima della storia. E’ questo il fondamento della speranza cristiana.



2. Parrocchia: Il verbo greco paraoikein significa sia “abitare accanto”,  sia “abitare come forestieri” in una città; con questo significato appare nei primi documenti cristiani e indica la comunità locale (I lettera di Clemente Romano ai Corinti, fine I sec.). Fino al III secolo il termine comporta il duplice significato di assemblea locale e di estraneità nei confronti del mondo (valenza escatologica). Dal VI secolo in poi la parola ‘parrocchia’ acquisisce il significato attuale.


3. Antonio Rosmini (nato il 25 marzo 1797 a Rovereto, morto il 1° luglio 1855 a Stresa), fu prete e filosofo del XIX secolo. E’ stato proclamato beato il 18 novembre 2007 da Benedetto XVI.
Antonio Rosmini apparteneva ad una famiglia della nobiltà, entrò in seminario e dopo gli studi a Pavia e a Padova, è stato ordinato prete il 21 aprile 1821. Nel 1828, fondò la Congregazione religiosa, l’Istituto della Carità (chiamato comunemente Rosminiani). I membri possono essere preti o laici e si consacrano alla predicazione, all’educazione dei giovani e alle opere di carità, sia materiali che morali e intellettuali. Sono impiantati in Italia, Gran Bretagna, Irlanda, Francia e America.

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