Rito
Romano
1
Re 17, 10-16; Sal.145; Eb 9, 24-28; Mc 12, 38-44
Lietamente
diamo tutto e riceveremo di più nella gioia.
Rito
Ambrosiano
Solennità
di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo
Is
49,1-7; Sal 21; Fil 2,5-11; Lc 23,36-43
Dal
legno della Croce regna il Signore.
1)
Il
Regno di Dio non ha prezzo, però esso vale tutto ciò che uno
possiede (S. Leone
Magno, Sermone 32,2)
Delle
due donne, di cui si parla nella prima lettura e nel vangelo,
sappiamo che sono vedove e quindi senza un sicuro sostentamento né
umano né economico, ma che hanno due caratteristiche, che ogni
credente dovrebbe avere: abbandono totale a Dio, come ben si vede
nella disponibilità piena che la prima ha di accogliere e fare
quello che il profeta le chiede, e amorosa fiducia in Dio, per il
quale rinunciano a ciò che serve per vivere.
Ma
prima di continuare la riflessione, credo sia utile ricordare che nel
cortile del Tempio di Gerusalemme, al quale avevano accesso anche le
donne, erano allineate tredici ceste, in cui venivano gettate le
offerte. C’erano molti ricchi che facevano sostanziose offerte, di
cui il sacerdote ripeteva ad alta voce l'entità, suscitando
l'ammirazione dei presenti.
Nel
vangelo di oggi vediamo che c'è anche una povera vedova che offre
poche monete, tutto quanto possiede. Nessun mormorio di ammirazione.
Ma Gesù la scorge e richiama l'attenzione dei discepoli con parole
che Lui riserva per gli insegnamenti più importanti: «In verità vi
dico». Gesù ha finalmente trovato ciò che cercava: un gesto
autentico. Un'autenticità garantita da due qualità: la totalità e
la fede.
Quella
povera, evangelica vedova non ha dato qualcosa del suo superfluo, ma
tutto ciò che aveva. Donare del proprio superfluo non è ancora
amare. E neppure fede. Donare, invece, fino al punto da mettere allo
sbaraglio la propria vita, questa è fede.
Nella
sua semplicità la vedova nel Tempio sapeva, credeva che “il
Regno di Dio, invero, non ha prezzo; però esso vale tutto ciò che
uno possiede. Nel caso di Zaccheo, esso valse la metà dei suoi beni,
perché l’altra metà egli se la riservò per restituire il
quadruplo a coloro che aveva defraudato (Lc
19,8); nel caso di
Pietro e Andrea, valse le reti e la barca (Mt
4,20); per la
vedova, valse solo due spiccioli (Lc
21,2); per un
altro, sarà valso magari un semplice bicchiere d’acqua fresca (Mt
10,42)”
(Ibid). Quindi, il Regno di Dio vale tutto quello che uno possiede.
E
se non abbiamo niente? “Supponiamo
però di non avere neppure un bicchiere d’acqua fresca da dare al
povero Cristo; ebbene, anche in questo caso ci aiuta la Parola di
Dio. Alla nascita del Redentore, si mostrarono gli Angeli, cittadini
del cielo, cantando: "Gloria
a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buon
volere" (Lc
2,14). Davanti a
Dio, la nostra mano non è sprovvista di doni, se l’arca del cuore
è piena di buona volontà. Ecco perché il Salmista dice: ‘In
me sono, o Dio, i voti che ti rendo, a te si levano le mie lodi’
(Ps 55,12)”
(Ibid.).
A
parte il fatto che Dio non ha bisogno di niente e che pure le
ricchezze, che eventualmente abbiamo, è Lui che le ha create e
donate, dobbiamo essere certi che Dio non si “alimenta” con i
nostri doni, ma è commosso dall’offerta del nostro cuore.
2)
Dio
non pesa la quantità, ma il cuore.
A
questo riguardo Paolino da Nola scrisse: “Il
Signor nostro, il solo buono, come il solo Dio, non vuol ricevere per
un calcolo di avarizia, ma per generosità di affetto. Che cosa
manca, infatti, a colui che dà tutte le cose? O che cosa non
possiede, colui che è padrone dei possidenti? Tutti i ricchi sono
nelle sue mani, ma la sua immensa giustizia e bontà vuole che gli si
faccia dono dei suoi stessi doni, per avere ancora un titolo di
misericordia verso di te, perché è buono. E davvero ti prepari lui
un merito di cui tu sia degno, perché egli è giusto!”
(Epist.,
34, 2).
Chi
riesce ad esercitare veramente e continuamente la virtù della
povertà evangelica crea in se stesso un “vuoto”, cioè quella
disposizione spirituale necessaria ed indispensabile per rendersi
idoneo e capace di amare Dio veramente come Lui vuole essere amato e
si incammina così sulla via della santità.
In
tale situazione l’anima pone tutta la sua fiducia e la sua speranza
in Dio; si rende padrona di se stessa; si libera dalle angustie di
questo mondo, ottenendo quel grado di pace e di serenità più alto
che si può ottenere in terra. Ecco perché Gesù ci ha detto: «Beati
i poveri in spirito, poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt.
5,3). Ecco perché S. Francesco d’Assisi, che aveva capito bene il
richiamo di Gesù, si è distaccato da tutto e da tutti e ha sposato
«Madonna Povertà».
Povertà
di spirito è un “vuoto” che solo l’Infinito può colmare. I
poveri di spirito più che una categoria di uomini è un modo di
essere uomini o, meglio ancora, il modo di essere figli di Dio.
Mi
spiego con un esempio, che prendo dalla vita di San Francesco
d’Assisi. Questo santo, prima di convertirsi, spendeva in feste con
gli amici i soldi del padre, Bernardone, che era un ricco mercante.
Quando comincio a vivere con altri amici, che con lui seguivano il
Vangelo come regola, viveva poveramente. Suo padre Bernardone,
preoccupato di questo cambiamento del figlio ed anche preoccupato che
“usasse male” , per i poveri, i soldi di famiglia, fa ricorso
all’autorità della Chiesa. Così davanti al Vescovo chiede a
Francesco di scegliere tra la famiglia “vecchia” e quella
“nuova”, evangelica. Se non fosse tornato a casa, Francesco
avrebbe dovuto ridare a papà Bernardone le sue ricchezze. Francesco
senza esitazione restituì al padre anche il vestito. Il Vescovo
allora coprì con il suo mantello il nudo Francesco. Secondo me, il
Santo di Assisi non fece una pura e semplice rinuncia di beni
materiali: con quel gesto scelse Dio come Padre e la Chiesa come
madre, e sposando “Madonna Povertà” divenne il santo della
letizia.
A
questo riguardo per le Vergini consacrate il Rituale di consacrazione
fa pregare così: “Dio
sempre fedele, sii la loro fierezza, la loro gioia e il loro amore;
sii per loro consolazione, luce e soccorso, nella povertà la loro
ricchezza, nella privazione il loro nutrimento, nella malattia, la
loro guarigione… In te, esse possiedono tutto, perché è te che
loro preferiscono a tutto”
(n. 24). E il Beato Giovanni Paolo II sempre riguardo alla povertà
delle persone consacrate scrisse:
“In realtà, prima ancora di essere un servizio per i poveri, la
povertà evangelica è un valore in se stessa,
in quanto richiama la prima delle Beatitudini nell'imitazione di
Cristo povero. Il suo primo senso, infatti, è testimoniare Dio come
vera ricchezza del cuore umano. Ma proprio per questo essa contesta
con forza l'idolatria di mammona, proponendosi come appello profetico
nei confronti di una società che, in tante parti del mondo
benestante, rischia di perdere il senso della misura e il significato
stesso delle cose. Per questo, oggi più che in altre epoche, il suo
richiamo trova attenzione anche tra coloro che, consci della
limitatezza delle risorse del pianeta, invocano il rispetto e la
salvaguardia del creato mediante la riduzione dei consumi, la
sobrietà, l'imposizione di un doveroso freno ai propri desideri.
Alle persone consacrate è chiesta dunque una rinnovata e vigorosa
testimonianza evangelica di abnegazione e di sobrietà, in uno stile
di vita fraterna ispirata a criteri di semplicità e di ospitalità,
anche come esempio per quanti rimangono indifferenti di fronte alle
necessità del prossimo.”
(Vita consacrata, 25 marzo 1996, n. 90)
3)
Dio ama chi dona con gioia.
Un
altro esempio di persona che ha dato tutto è Madre Teresa di
Calcutta, una donna
il cui volto aveva la freschezza e la pace di quelli a cui la povertà
ha insegnato che non hanno niente da difendere. Lei amava ripetere:
“La povertà è amore
prima di essere rinuncia. Per amare occorre donare. Per donare è
necessario essere liberi dall’egoismo”.
Ogni volta che ho avuto la fortuna di incontrare Madre Teresa l’ho
vista lieta, perché libera. Viveva la libertà della povertà, non
tanto perché non aveva beni materiali, ma perché mendicava l’amore
di Cristo nella preghiera e nella condivisione. Stare accanto a lei
era come essere davanti ad una finestra aperta sul cielo, vederla in
attività si intuiva che prestava le sue mani a Dio per soccorrere i
più poveri dei poveri.
Il
Beato Giovanni Paolo II scrisse: “La
povertà confessa
che Dio è l'unica vera ricchezza dell'uomo. Vissuta sull'esempio di
Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero» (2
Cor 8, 9), diventa
espressione del dono
totale di sé che
le tre Persone divine reciprocamente si fanno. È dono che trabocca
nella creazione e si manifesta pienamente nell'Incarnazione del Verbo
e nella sua morte redentrice”
(Esortazione Ap. Post-Sinodale Vita
Consacrata, n 21).
Si
possiede veramente la povertà evangelica quando si considerano i
beni di questo mondo «un nulla, una spazzatura», come dice S.
Paolo, oppure si valutano solo in quanto possono diventare strumenti
utili per conseguire i beni celesti: si ritengono mezzo per
raggiungere il Signore: “Ho
lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al
fine di guadagnare Cristo”
(Fil.
3,8).
Comunque,
noi saremo come le vedove di cui parlano le letture bibliche di oggi,
se doneremo con gioia quello che siamo capaci di dare, poco o tanto
che sia. “Dio ama chi
dona con gioia, dona di più colui che dona con gioia”
(Madre Teresa di Calcutta).
Per
fare così, basterà recitare spesso il Magnificat, ricordandoci che
quando doniamo qualcosa ai poveri “prestiamo” a Dio quello che
abbiamo ricevuto da Lui: “Che cos’hai che non abbia ricevuto?”
(1 Cor 4,7).
4)
Cristo Re sul povero trono della Croce.
La
liturgia ambrosiana ha sei domeniche di Avvento, quindi oggi essa
celebra l’ultima festa dell’anno liturgico che è dedicata a
Cristo Re.
Ecco
due brevi pensieri per legare questa festa alla meditazione
domenicale “romana”: Cristo è Re non perché domina con un
potere che fa paura, ma perché regge l’universo sulla Croce, segno
“povero” del suo immenso amore per noi.
Portiamo
la nostra croce quotidiana, coscienti che essa è un frammento di
quella di Cristo. Facciamo spesso il segno di Croce, consapevoli che
ogni benedizione è sempre legata a questo segno che i sacerdoti
fanno sul popolo di Dio e poi devotamente preghiamo come faceva Madre
Teresa di Calcutta:
“Gloria
al
Padre - Preghiera
e
al
Figlio
– Povertà
e
allo
Spirito
Santo – Amore per le Anime
Amen
– Maria.”
Nessun commento:
Posta un commento