giovedì 18 aprile 2024

Pastore buono, bello: vero.


Rito Romano – IV Domenica di Pasqua– Anno B – 21 aprile 2024

At 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

 

 

Rito Ambrosiano 

At 20,7-12; Sal 29; 1 Tim 4,22-16; Gv 10,27-30

IV Domenica di Pasqua

 

 

            1) Il Pastore[1] buono dà la vita.

Il brano del Vangelo della IV domenica di Pasqua è preso ogni anno dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni e ci presenta Gesù come il Buon Pastore. Quest’anno, che è l’anno B, la Liturgia ci fa leggere la parte centrale del capitolo, i vv- 11-18, dove si afferma che il Buon Pastore offre la vita per le sue pecore e le conosce.

Al contrario del mercenario, che con le pecore ha solo una relazione interessata. Gesù, il Buon Pastore, conosce cioè ama i suoi. La relazione tra Gesù e i credenti è di conoscenza, intesa nel senso biblico: di legame d’amore profondo.  Infatti nella Bibbia “conoscenza” implica intimità e reciproca fiducia; è la parola usata di solito per indicare il rapporto coniugale: “Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì...” (Gn 4,1); “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”, annuncia l'angelo a Maria, la quale risponde: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” (Lc 1,31-34). Quando dunque Gesù dice: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, si intuisce quale profondità presenti il suo amore per noi e con quale profondità egli si aspetti di essere ricambiato.

Questo forte legame di conoscenza amorosa tra Gesù e noi trova fondamento nella relazione che vi è tra Gesù stesso e il Padre. Tale legame si esprime nel suo dare la vita per noi (Gv 10, 14). Questa affermazione sembra uguale a quella di Gv 10, 11, ma invece è più forte. Se nel v. 11 “dare la vita” significa essere disposto a mettere a rischio la propria vita a favore delle pecore, nel v. 14 significa letteralmente privarsi della vita. Questo dono totale di sé è l’atteggiamento specifico di Gesù, quello che ha caratterizzato tutta la sua missione sulla terra e non solo la sua passione e morte.

Questo atteggiamento di offerta, segno di amore pronto a dare la vita, mette in primo piano che noi siamo suoi: ‘le sue pecore’, custodite con amore e guidate alla vita. Invece i mercenari, gli opportunisti, trattano gli uomini come ‘merce’ e non come persone.

Dunque, oggi ciascuno di noi si faccia queste domande: “Quale ‘pecora’ del gregge sono? Sono la pecora ‘perduta e ritrovata’ o rimango ‘smarrita’? Sono la pecora che si lascia condurre piano piano, per ritrovare in Lui riposo, sono la pecorella ‘ferita o malata’ e mi lascio da Lui fasciare o curare?” Se la nostra risposta sarò positiva, seguiremo Cristo e, quando faremo fatica a camminare, Lui ci metterà sulle sue spalle.

 

2) Seguire Cristo Pastore buono.

Seguire Cristo come pecore docili non vuol dire essere ingenui, insensati e ciecamente obbedienti, ma vuol dire essere umili, fiduciosi e lasciarsi prendere in braccio con un amoroso abbandono a Lui che con noi e per noi cammina. Del resto essere umili e fiduciosi nei confronti di Gesù non vuol dire non usare l’intelligenza, perché l’umiltà è la virtù che predispone l’intelligenza alla fede e il cuore all’amore.

Seguire Cristo come pecore coscienti di essere persone amate e non scartate, vuol dire lasciarci guidare da Lui, nostro santo  e buon Pastore, ai pascoli eterni del cielo. Lui è Pastore perché agnello. È scritto infatti: “L’agnello sarà il loro pastore e li condurrà alle sorgenti delle acque della vita” (Ap 7,17).  

Non dimentichiamo però che Gesù ha voluto nella Chiesa il sacerdote sia come “Buon Pastore”.  Non solamente ma soprattutto nella parrocchia il sacerdote continua la missione e il compito pastorale di Gesù; e perciò deve “pascere il gregge”, insegnando, dando la grazia, difendendo le “pecore” dall’errore e dal male, consolando e, soprattutto, amando. 

Anche se il modo di essere prete cambia secondo i luoghi e i tempi, tutti i sacerdoti sono chiamati a imitare Cristo buon pastore, che a differenza del mercenario, non ricerca altro interesse, non persegue altro vantaggio che quello di guidare, nutrire, proteggere le sue pecorelle: “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10.10). 

 

3) Tutti pastori.

In forza del battesimo, ogni cristiano è chiamato ad essere un “buon pastore” nell’ambiente in cui vive: 

-                    i genitori devono essere dei “Buon Pastori” verso i loro figli, edificandoli con il loro amore;

-                    i figli devono obbedire all’amore dei genitori e imparare la fede semplice e coerente, imparando a donare la vita che hanno ricevuto in dono;

-                    gli sposi devono improntare la relazione di coppia, improntandola sull’esempio del Buon Pastore, affinché sempre la vita familiare sia a quell’altezza di sentimenti e di ideali voluti dal Creatore, per cui la famiglia è stata definita “chiesa domestica”;

-                    gli insegnanti a scuola, i lavoratori in fabbrica o in ufficio, di loro ciascuno cerchi sempre di essere “buon pastore” come Gesù. 

-                    Ma, soprattutto, devono essere  “buoni pastori” nella società le persone consacrate a Dio: i religiosi, le suore, coloro che appartengono agli Istituti Secolari.

Per questo, in questa domenica, dobbiamo pregare per tutte le vocazioni religiose, maschili e femminili, perché nella Chiesa la testimonianza della vita religiosa sia sempre più numerosa, viva, intensa e efficace. Il mondo oggi ha più che mai bisogno di testimoni convinti e totalmente consacrati.

            Penso in particolare alle Vergini consacrate che esercitano un particolare “ministero pastorale” nella Chiesa.

Anche se il loro non è un ministero ordinato, queste donne consacrate non si limitano solo a testimoniare la condizione angelica dei figli del Regno, vivendo verginalmente. Oltre alla castità, che sono chiamate ad osservare nella perfetta continenza, le Vergini consacrate praticano l’impegno alla povertà di cuore e di vita per una seria condivisione delle sofferenze umane, come pure l’obbedienza da prestare a Dio. Obbedienza che si presenta nelle esortazioni e nei precetti della Chiesa, nei consigli e nelle direttive pastorali, nell’andare incontro alle necessità delle persone. Il Rituale della Consacrazione delle Vergini suggerisce loro di svolgere il loro servizio (= ministero) con la sobrietà di vita, con l’aiuto ai poveri e con le opere di penitenza: “Le vergini nella Chiesa sono quelle donne che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, fanno voto di castità al fine di amare più ardentemente il Cristo e servire con più libera dedizione i fratelli ... loro compito è quello di attendere alle opere di penitenza e di misericordia, all’attività apostolica e alla preghiera”(Rituale della Consacrazione delle Vergini, 2).  Dunque anche se danno il primato alla preghiera e alla contemplazione, le vergini consacrate servono il ministero pastorale della Chiesa mettendo la donazione di se stesse a servizio (ministero) della Chiesa, ovile santo per percorelle redente e dedicandosi all’amore verso tutti gli uomini e tutte le donne nelle circostanze ordinarie della vita, perché tutti siano una cosa sola in Cristo, Pastore buono.

 

 

 

Lettura Patristica
San Clemente di Alessandria (150 – 205)

Paedagogus, 83, 2 - 84, 3

 

 Il Logos salvatore, pastore, pedagogo

       Le persone in buona salute non hanno bisogno del medico (
Mt 9,12e parall.), almeno finché stanno bene; i malati al contrario richiedono la sua arte. Allo stesso modo, noi che in questa vita siamo malati di desideri riprovevoli, di intemperanze biasimevoli, di tutte le altre infiammazioni delle nostre passioni, abbiamo bisogno del Salvatore. Egli ci applica dolci medicamenti, ma del pari amari rimedi: le radici amare del timore bloccano le ulcere dei peccati. Ecco perché il timore, anche se amaro, è salutare.

       Dunque noi, i malati, abbiamo bisogno del Salvatore; gli smarriti, di colui che ci guiderà; i ciechi, di colui che ci darà la vista; gli assetati, della sorgente di acqua viva, e coloro che ne berranno non avranno più sete (cf. - 
Jn 4,14); i morti, abbiamo bisogno della vita; il gregge, del pastore; i bambini, del pedagogo; e tutta l’umanità ha bisogno di Gesù: per paura che, senza educazione, peccatori, cadiamo nella condanna finale; è necessario, al contrario, che siamo separati dalla paglia ed ammassati "nel granaio" del Padre. "Il ventilabro è nella mano" del Signore e con esso separa il grano dalla pula destinata al fuoco (Mt 3,12).

       1) Se volete, Possiamo comprendere la suprema sapienza del santissimo Pastore e Pedagogo, che è il Signore di tutto e il Logos del Padre, quando impiega un’allegoria e si dà il nome di pastore del gregge (cf. 
Jn 10,2s); ma è anche il Pedagogo dei piccolini.

       2) È così che egli si rivolge diffusamente agli anziani, attraverso Ezechiele, e dà loro il salutare esempio di una sollecitudine quanto mai accorta: "Io medicherò colui che è zoppo e guarirò colui che è oppresso; ricondurrò lo smarrito (
Ez 34,16e lo farò pascolare sul mio monte santo" (Ez 34,14). Tale è la promessa di un buon pastore. Facci pascere, noi piccolini, come un gregge;

       3) sì, o Signore, dacci con abbondanza il tuo pascolo, che è la giustizia; sì, Pedagogo, sii nostro pastore fino al tuo monte santo, fino alla Chiesa che si eleva, che domina le nubi, che tocca i cieli! (
Ps 14,1 Ap 21,2). "E io sarò", egli dice, "loro pastore e starò loro vicino" (Ez 34,23), come tunica sulla loro pelle. Egli vuole salvare la mia carne, rivestendola con la tunica dell’incorruttibilità (1Co 15,53); ed ha unto la mia pelle.

 



[1] Gesù afferma: Io sono il buon pastore. Il termine che in italiano troviamo tradotto con buon ha un significato molto più profondo. Si tratta del termine greco kalòs, che letteralmente significa bello, ma nel senso di una cosa di buona qualità, che risponde pienamente al proprio scopo.  Il pastore di cui sta parlando Gesù risponde pienamente al proprio scopo perché dà la sua vita per le pecore. Il termine indica in particolare il rischiare la propria vita, esporsi al pericolo che minaccia altre persone. Il buon pastore è un pastore attento, a cui interessa soprattutto la vita e l'incolumità del proprio gregge. 

 

 

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