giovedì 14 marzo 2024

Cristo: il grano di frumento seminato nel cielo.

Rito Romano – V Domenica di Quaresima - Anno B – 17 marzo 2024

 Ger 31,31-34; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

 

 

 

Rito Ambrosiano 

Dt 6,4a;26,5-11; Sal 104; Ef 5,15-20; Gv 11,1-53

Domenica di Lazzaro – V di Quaresima

 

 

            1) Vedere Cristo, chicco di grano.

            Nei pochi giorni che ci separano dalla Pasqua, in cui “vedremo” il Risorto, continuiamo nei gesti che la Chiesa consiglia per la Quaresima,  vale a dire la preghiera, il digiuno e l’elemosina (=misericordia). “Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica” (San Pietro Crisologo).

            In questo modo anche noi saremo capaci di essere umilmente e veramente “chicchi di grano”. Questo dono di sé permette di vedere il Messia, perché Lui manifesta Dio sulla Croce. Infatti alla domanda dei Greci (cioè dei non Ebrei) che vogliono vedere Gesù, Lui risponde indirettamente, dicendo dov’è che Lo si vede. Lo si vede nella sua gloria. E la sua gloria consiste nell’essere innalzato sulla Croce, lì è il luogo dove si vede il Signore.  L'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono.

Cristo mostra Dio in Croce, dove è salito a causa del Suo amore per noi. Il Figlio di Dio si stacca dalla sua vita terrena, perché noi riceviamo la Vita celeste. Gesù non solo dice di essere come un chicco di grano che muore per dare la vita, Lui distende le Sue braccia sulla croce. Con le mani inchiodate e, quindi, aperte per sempre in un eterno abbraccio Cristo accoglie tutti noi, poveri peccatori pentiti, e ci dà la vera vita piena di una gioia che non finisce mai. Questa gioia nasce dal sapere di essere amati da un Dio 

che si è fatto uomo, 

che ha dato la sua vita per noi e

che ha sconfitto il male e la morte.

Questa gioia è vivere di amore per lui. Santa Teresa di Gesù Bambino scriveva: “Gesù, è amarti la mia gioia!” (P 45, 21 gennaio 1897, Op. Compl., pag. 708). E Santa M. Teresa di Calcutta, facendo eco alle parole di Gesù: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!” (At 20,35), diceva: “La gioia è una rete d’amore per catturare le anime. Dio ama chi dona con gioia. E chi dona con gioia dona di più” e produce molto frutto. 

Questo frutto è il risultato del sì di Cristo al“l’ora” in cui Lui, il Figlio dell’uomo, deve glorificato. Per l’evangelista San Giovanni “l’ora” è il tempo stabilito dal Padre per darci la salvezza. Poiché questa salvezza ci è donata da Cristo  con l’offerta totale della Sua vita sulla croce, dopo aver parlato della sua “ora” che è venuta, il Messia aggiunge: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,24-25).

             L’“ora” della glorificazione di Cristo, cioè del suo innalzamento sulla croce, è il momento in cui Lui si offre come chicco di grano per essere “seminato nel cielo” per portare frutti celesti.

            Il chicco “seminato per terra” produce frutti terrestri. Questa seminagione capovolge davvero tutto il senso del nostro vivere: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (ibid.). Cristo è venuto, perché abbiamo la vita, ma per avere la vita – al contrario di quanto noi pensiamo e facciamo ogni giorno – è necessario metterla a disposizione di Dio, farne dono a Dio perché Lui la doni agli altri. La croce è questo donarci. Come Dio che si dona interamente a noi, in Cristo, sulla Croce e dalla Croce.

 

 

            2) La Croce è il luogo dove Cristo fa vedere Dio.

            Se come i greci, di cui parla il Vangelo di oggi, vogliamo davvero vedere Gesù, guardiamo quest’Uomo in Croce, dove Lui manifesta la sua gloria. Certo occorre avere occhi puri e cuore terso per “vedere” la gloria di Dio in Cristo che muore. La gloria di Gesù consiste nell’essere innalzato sulla Croce, lì è il luogo dove si vede il Signore. Dove possiamo vedere Dio? Sulla Croce. La sua gloria, dice il Messia, è quella del chicco di frumento. La gloria di un seme è il suo frutto, lui porta frutto proprio morendo in Croce. 

Se è vero che la gloria è la pienezza di luce, di bellezza di Dio che si rivela nella bellezza del creato e delle creature sante, è altrettanto vero che l’ “ora” della Croce è il momento, in cui Dio si rivela nella gloria del Figlio dell’uomo.  E Gesù la spiega attraverso la metafora del chicco. 

Qual è la gloria del chicco di frumento? Di per sé, un chicco di grano è poco glorioso: non è che un grano di frumento, che non neppure in grado di saziare la fame di una persona. Ma se il chicco di frumento cade nella terra e muore, porta molto frutto. La gloria del seme è portare vita e frutto.  Gesù insegna che la sua gloria è la Croce, perché attraverso di essa, Lui darà la vita. In quest’Ora Lui dà la vita al Padre, consegnandosi a Lui come Agnello immolato, e dà la vita a noi trasformando la croce da strumento di morte a letto di vita, come quello di una partoriente.

Se il chicco non muore, rimane solo. Questa è una legge naturale e necessaria. Questa legge vale anche per il Figlio dell’uomo. E’ la legge di ogni uomo, che è quella di morire, perchè l’uomo è di sua natura mortale. Ma la morte in croce di Gesù è gloria, perchè la sua non è tanto una morte, quanto il dono della vita. Gesù è così: un chicco di gra­no, che si consuma e fiorisce; una croce, dove già respira la risurrezione..

Guardiamo all’esempio delle vergini consacrate per capire la croce, per accogliere e vivere l’amore che essa manifesta.

L’amore vissuto virginalmente è un amore crocifisso non perché è un amore mortificato, ma perché è un amore “sacrificato”, cioè reso sacro dal totale dono di se stessi a Dio. L’amore vergine è quello di Cristo, che “praticò” un amore crocifisso. Gesù per amare è andato in un’esperienza progressiva di svuotamento di sé fino alla croce. Se vogliamo amare da cristiani dobbiamo saperlo e fare come lui. Questo modo di amare mette l’altro prima di me e l’Altro (Dio) più di me. La croce è il segno più grande dell’amore più grande, e la virginità è la crocefissione di sé per donarsi a Dio, per inchiodarsi al suo amore abbracciando Cristo in Croce.

Le Vergini consacrate sono esempio significativo ed alto del fatto che l’amore di Dio è totalitario, infatti bisogna amare il Signore “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (cfr Mc 12,30). Queste donne mostrano che il corpo e il cuore castamente offerto non allontana da Dio, avvicina l’essere umano a Dio più degli stessi angeli (cfr Ef 1,14) e che la vita cristiana è un progressivo configurarci a Cristo crocifisso e risorto. In effetti, come l’amore per noi ha condotto Cristo alla croce, l’amore nostro per Lui imprime in noi le sue ferite d’amore (Ct 2,5). L’amore purifica e configura, trasfigurando. Morire a se stessi nel dono della verginità non è un vero morire, perché come accadde a Cristo il dono totale di sé moltiplica la vita.

La verginità non è semplicemente una rinuncia. La verginità dilata il cuore sulla misura del cuore di Cristo e rende capaci di amare come lui ha amato. 

La verginità vissuta come crocifissione è per testimoniare che l’Amore ha vinto attraverso il dono di sé. 

La verginità vissuta come risurrezione è per testimoniare che lo Sposo è davvero presente nella vita di ogni giorno e la sua condiscendente presenza dà gioia, gioia piena e compiuta (cfr Gv 3,29).

“La Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrap­passimo ad essa” (Bonhoef­­fer): le Vergini consacrate attratto da Cristo che le ha sedotte, si aggrappano alla sua Croce, camminano dietro a Lui, imparando da Lui cos’è l’amore e come amare Dio e il prossimo.

La consacrazione, sacrificio totale e olocausto perfetto, è il modo suggerito loro dallo Spirito per rivivere il mistero di Cristo crocifisso, venuto nel mondo per dare la sua vita in riscatto per molti (cfr. Mt 20, 28; Mc 10, 45), e per rispondere al suo infinito amore. 

 

 

Lettura Patristica

San Leone Magno

Sermo, 51, 3

 

 

Cristo ci ha fatto dono della sua vittoria



       Qual sacrificio fu mai più sacro di quello che il vero Pontefice posa sull’altare della croce immolando su di lei la propria carne? Benché, invero, la morte di molti santi sia stata preziosa agli occhi del Signore (
Ps 115,15), mai tuttavia l’uccisione di un innocente ebbe come causa la propiziazione del mondo. I giusti hanno ricevuto la propria corona di gloria, non ne hanno donate, la forza d’animo dei fedeli ha prodotto esempi di pazienza, non doni di giustizia. La loro morte rimase propria a ciascuno di loro e nessuno con il proprio transito acquistò il debito di un altro; nostro Signore, invece, unico tra i figli degli uomini, è stato il solo in cui tutti sono stati crocifissi, tutti sono morti, tutti sono stati sepolti, tutti del pari sono risuscitati; ed è di loro che egli stesso diceva: "Quando sarò levato in alto attirerò tutto a me" (Gv 12,32). In effetti, la vera fede che giustifica gli empi (Rm 4,5) e crea i giusti (Eph 2,10 e 4,24), attratta a colui che condivide la sua natura, acquista in lui la salvezza, in lui nel quale essa si è ritrovata innocente; e poiché "non vi è che un unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5) è per la comunione con la sua stirpe che l’uomo ha ritrovato la pace con Dio; può così, in tutta libertà, gloriarsi (1Co 3,21; Fil 3,3; 2Cor 10,17) della potenza di colui che, nella infermità della nostra carne, ha affrontato un nemico superbo e ha fatto dono della sua vittoria a coloro nel cui corpo egli ha trionfato.







Sant’Agostino

Sermo Guelf.

3, 1-2

 

La morte del Signore è la nostra somma gloria.


       Per conseguenza, ebbe con noi con una vicendevole partecipazione una meravigliosa relazione; era nostro, quello per cui è morto, suo sarà quello, per cui possiamo vivere. In effetti, egli diede la vita, che assunse da noi e per la quale morì, e dette la stessa vita, poiché egli era il Creatore; ma prese quella vita per la quale con Lui e per Lui saremo vittoriosi, non per opera nostra. E per questo, per quanto riguarda la vita nostra, per la quale siamo uomini, morì non per sé ma per noi; infatti, la natura di Lui, per la quale è Dio, non può morire completamente. Ma per quanto riguarda la natura umana di lui, che egli, come Dio, creò, è morto anche in essa: poiché anche la carne egli creò nella quale egli è morto.



       Non soltanto, quindi, non dobbiamo arrossire della morte del Signore, nostro Dio, ma ci dobbiamo grandemente confidare in essa e aver motivo di somma gloria: accettando infatti, la morte da noi, che egli trovò in noi, sposò nel modo più fedele la vita che ci avrebbe dato, che noi non possiamo avere da noi. In effetti, colui che ci amò tanto, che ciò che meritammo col peccato, egli, senza peccato, patì per noi peccatori, come colui che giustifica non ci darà ciò con giustizia? Come non ci restituirà, i premi dei santi, colui che promette con verità, colui che, innocente, sopportò la pena dei colpevoli?



       Confessiamo, dunque, fratelli, coraggiosamente, ed anche professiamo: Cristo è stato crocifisso per noi: non vi spaventate ma siate nella gioia; proclamiamolo non con vergogna ma con gioia. Osservò così il Cristo l’apostolo Paolo e raccomandò tale titolo di gloria.

       Ed egli, avendo molti titoli, grandi e divini, che egli ricordasse del Cristo, non disse di gloriarsi delle meraviglie del Cristo, poiché, essendo anche uomo, come siamo noi, ebbe il dominio nel mondo; ma disse: Per me di non altro voglio gloriarmi, che della croce del Nostro Signore Gesù Cristo (Ga 6,14).




    

 

 

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