Rito Romano
II Domenica di Avvento “Gaudete” – Anno B – 17 dicembre 2023
Is 61,1-2.10-11; Sal Lc 1; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Rito Ambrosiano
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
1) Testimone della luce.
L’Avvento è tempo di attesa, di speranza e di preparazione alla visita del Signore. Per questo oggi la Liturgia della Chiesa ci fa domandare la grazia di questa visita, che ci porta la luce e dissipa le tenebre. Il buio fa paura al cuore, invece la luce gli dà gioia. Per accogliere la visita di luce che è Cristo, in questa terza domenica di Avvento la Chiesa ci propone la figura di Giovanni il Battista, non è la Luce, ma ne è il testimone.
Nel Vangelo di oggi ci sono offerti molti elementi che caratterizzano la testimonianza del Battista. Ne sottolineo alcuni:
Prima di tutto, Giovanni è pienamente consapevole che la sua intera vita è totalmente in relazione al Cristo. Di fronte a coloro che lo interrogavano sulla sua identità, Giovanni insiste nel dire chi non è: lui non è la luce, è “una lampada che arde e risplende” (Gv 5,35). Lui non è lo sposo, è “l’amico dello sposo” (Gv 3,29), non è la Verità, è il testimone della verità, non la Verità; non è la Parola, è la voce. Certamente una vita che sembra fondarsi su di una negazione ci lascia stupiti e perplessi. Ma è una negazione necessaria per fare spazio a Gesù.
Alla domanda: “Chi è dunque quest’uomo, chi è Giovanni Battista?” La sua risposta è di una umiltà sorprendente. Non è il Messia, non è la luce. Non è Elia tornato sulla terra, né il grande profeta atteso. E’ il precursore, semplice testimone, totalmente subordinato e relativo a Colui che annuncia; una voce nel deserto, come anche oggi, nel deserto spirituale di questo mondo secolarizzato, abbiamo bisogno di voci che semplicemente ci annunciano: “Dio c’è, è sempre vicino, anche se sembra assente”.
In questa paradossale definizione negativa della propria identità, in questo atteggiamento realistico di umiltà, Giovanni ritrova se stesso: lui è voce nel deserto ed è testimone della luce. E questo ci tocca nel cuore, perché in questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, tutti siamo chiamati ad essere testimoni della luce.
Il tempo di Avvento ci invita a questa missione: essere testimoni che la luce c’è e portare la luce nel nostro tempo e nel nostro mondo che proclama l’assenza di Dio.
Va tenuto presente, però, che possiamo essere testimoni solo se portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è, ma che abbiamo visto un po’ di luce. Questa luce arriva agli occhi del cuore nella Chiesa, nella Parola di Dio, nella celebrazione dei Sacramenti, nel Sacramento della Confessione, con il perdono che riceviamo, nella celebrazione della Messa, dove il Signore si dà nelle nostre mani e nei nostri cuori. E così diventiamo anche testimoni di carità.
Ognuno di noi è “uomo mandato da Dio”, piccolo profeta inviato tra i suoi e nel mondo. Se il nostro cuore come lampada accoglie le luce di Cristo, guarda la realtà nella luce di Cristo, nella luce che è Cristo, saremo testimoni non tanto dei comandi, o dei castighi, ma del giudizio misericordioso di Dio, della luce del Redentore, che fascia le piaghe dei cuori feriti, che va in cerca di tutti i prigionieri per tirarli fuori dal buio di un cuore incarcerato dal peccato i e rimetterli nel sole della sua verità e del suo amore.
2) Testimoni della gioia.
La terza Domenica di Avvento si chiama Domenica “della gioia”[1] e ci ricorda che, anche in mezzo a tanti dubbi e difficoltà, la gioia esiste perché Dio esiste, è venuto a visitarci e viene per stare con noi, sempre.
La gioia di un incontro che si rinnova con la celebrazione del Natale, non è riducibile ad una emozione.
La gioia del vangelo (come Papa Francesco ricorda nella Evangelii Gaudium) non è un sorriso fragile e breve che compare sul volto per pochi istanti e poi si spegne.
Non è neppure l’euforia sentimentale che si rinnova ogni anno durante le feste di Natale, ma che non cambia la vita.
La gioia di Cristo nascente è quella annunciata da Isaia e Paolo (prima e seconda lettura), che si fanno eco per annunciare la Gioia, simile alla gioia semplice degli sposi alla festa di Nozze, o a quella della terra che accoglie il seme per farlo germogliare. Una gioia che guarda avanti, a quello che sarà, non a quello che è già avvenuto. Una gioia che non contempla solamente il Bambino nell’umile grotta di Betlemme, ma Colui che di nuovo verrà nella gloria e riempirà la nostra vita di eternità.
Per questo abbiamo bisogno dell’esempio di Giovanni il Battista o - meglio - come lo definisce il quarto evangelista, del “Testimone”. Questo Testimone - che esulta di gioia alla voce dello Sposo - è colui che precede per guardare sempre oltre, sempre avanti. Con la sua parola e la sua vita Giovanni guarda avanti e ci invita a guardare avanti, per essere come lui testimoni della verità, della carità e della gioia di Cristo.
La gioia implica l’amore. Giustamente si è visto sempre un legame fra l’amore e la felicità: chi si sposa pensa che il giorno delle sue nozze sia il giorno più bello della sua vita. Effettivamente nell’amore anche umano l’uomo trova la sua completezza e nella sua perfezione naturale trova precisamente il compimento dei suoi desideri, la risposta della natura alle proprie esigenze, ai bisogni non solo dell’anima ma anche del corpo. Tutto trova il suo compimento in quest’unione nuziale e l’unione nuziale non è che il frutto dell’amore. Amore e gioia sembrano andare d’accordo. La gioia è il frutto dell’amore, che è il dono commosso di se stessi all’altro. Non possiede la gioia vera e duratura chi non è libero da ogni egoismo.
Se noi vogliamo possedere la gioia bisogna dunque liberarci da noi stessi. Ecco la prima esperienza. Bisogna vincere ogni egoismo che ci chiuda in noi stessi e faccia convergere a noi e attiri a noi le cose.
Se la gioia implica l’amore, esige a sua volta la vittoria sull’egoismo, implica la dimenticanza di se stessi. Nessuno che si chiuda in sé stesso può possedere la gioia vera. È nel puro dono di sé piuttosto che l’anima trova la gioia. Ma il dono di sé a sua volta implica sacrificio. Non è dunque vero che il sacrificio sia contrario alla gioia.
Non è dunque vero che la morte a se stessi sia veramente la fine della gioia: è anzi la porta che si apre all’infinita beatitudine, alla pienezza della pace, perché è anche la porta dell’amore.
La morte a se stessi fonte di gioia è testimoniata in modo speciale dalle Vergini consacrate. Papa Francesco Insegna: “Dove ci sono le persone consacrate c’è la gioia”. Questa donne testimoniano che Dio è capace di colmare il loro cuore e di renderle felici, senza bisogno di cercare altrove la felicità. Possiamo ben applicare alla vita consacrata quanto ho scritto nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium, citando un’omelia di Benedetto XVI: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (n. 14). Sì, la vita consacrata non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici! Ugualmente la sua efficacia apostolica non dipende dall’efficienza e dalla potenza dei suoi mezzi. È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire Cristo” (Papa Francesco, Lettera Apostolica a tutti in consacrate in occasione dell’Anno della Vita Consacrate, 28 novembre 2014).
Questa terza domenica di Avvento ci richiama che il vero centro è Cristo. Le vergini consacrate testimoniano quanto Cristo amato sopra ogni cosa sia fonte di gioia.
Una gioia donata, pronta, immensa, a portata di cuore. Una gioia da accettare, da lasciarsene invadere e trasformare tutti, per diventare nuovi.
Sarà occasione per mettere davanti a Dio tutta la vita, per mettere Dio davanti a tutta la vita, di nuovo, con amore, con fiducia, con la consapevolezza che proprio quando siamo nelle tenebre del peccato, della crisi, dello scoraggiamento, c'è qualcuno che ci fa fissare il cuore al mattino della luce che sta sorgendo portando la gioia.
Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)
Sermo, 293, 3 s.
Giovanni la voce, Cristo il Verbo
Giovanni è la voce, ma il Signore "da principio era il Verbo" (Jn 1,1). Giovanni una voce per un tempo, Cristo il Verbo fin dal principio, eterno. Porta via l’idea, che vale più una parola? Se non si capisce niente, la parola diventa inutile strepito. La parola senza un’idea batte l’aria, non alimenta il cuore. E anche mentre alimentiamo il cuore, guardiamo l’ordine delle cose. Se penso a ciò che devo dire, c’è già l’idea nel mio cuore; ma se voglio parlare con te, mi metto a pensare se sia anche nel tuo cuore, ciò che è già nel mio. Mentre cerco come possa giungere a te e fissarsi nel tuo cuore l’idea ch’è già nel mio, formo la parola e, formata la parola, parlo a te: il suono della parola porta a te l’intelligenza dell’idea; è il suono che passa da me a te, l’idea invece, che ti è stata portata dalla parola, è già nel tuo cuore e non se n’è andata dal mio. Il suono, dunque, portata l’idea in te, non ti par che ti dica: "Bisogna che lui cresca e che io venga diminuito?" Il suono della parola fece il suo ufficio e scomparve, come se dicesse: "Questa mia gioia è completa" (Jn 3,30). Afferriamo l’idea, assimiliamo l’idea per non perderla più. Vuoi vedere la parola che passa e la divinità permanente del Verbo? Dov’è ora il Battesimo di Giovanni? Fece il suo ufficio e passò. Il Battesimo di Cristo ora è in voga. Crediamo tutti in Cristo, speriamo d’essere salvi in lui: questo disse la parola. Ma poiché è difficile distinguere tra parola e idea, lo stesso Giovanni fu creduto Cristo. La parola fu ritenuta idea, ma la parola si dichiarò parola, per non ledere l’idea. "Non sono", disse, "Cristo, né Elia, né profeta". Gli fu risposto: "Chi sei, dunque, tu? Io sono", disse, "voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore" (Jn 1,20-23). "Voce di uno che grida nel deserto": voce di uno che rompe il silenzio. "Preparate la via del Signore": come se volesse dire: Io vado rimbombando per introdurlo nei cuori, ma non troverò un cuore nel quale egli si degni di entrare, se non preparate la via. Che vuol dire: "Preparate la via", se non supplicate convenientemente? che cosa, se non pensate umilmente? Prendete da lui esempio d’umiltà. Viene ritenuto il Cristo, dichiara di non essere ciò che è ritenuto, né si avvantaggia per il suo prestigio dell’errore altrui. Se dicesse: Io sono il Cristo, quanto facilmente sarebbe creduto, se, prima ancora che lo dicesse, già lo era ritenuto! Non lo disse Si ridimensionò, si distinse, si umiliò. Capì dove era la sua salvezza: capì ch’egli era una lucerna ed ebbe paura di essere spento dal vento della superbia...
Gli occhi deboli hanno paura della luce del giorno, ma possono sopportare quella di una lucerna. Perciò la luce del giorno mandò innanzi la lucerna. Ma mandò la lucerna nel cuore dei fedeli, per confondere i cuori degli infedeli. "Ho preparato", dice, "la lucerna al mio Cristo": Giovanni araldo del Salvatore, precursore del giudice che deve venire, l’amico dello sposo.
[1] Questa segna il passaggio dalla prima parte, prevalentemente austera e penitenziale, dell’Avvento alla seconda parte dominata dall’attesa della salvezza vicina. Il titolo le viene dalle parole “rallegratevi” (gaudete) che si ascoltano all’inizio della Messa: “Rallegratevi sempre nel Signore ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino” (Filippesi 4, 4-5). Ma il tema della gioia pervade anche il resto della liturgia della parola. Nella prima lettura sentiamo il grido del profeta: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio”. Il Salmo responsoriale è il Magnificat di Maria, intercalato dal ritornello: “La mia anima esulta nel mio Dio”. La seconda lettura infine comincia con le parole di Paolo: “Fratelli, siate sempre lieti”.
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