giovedì 28 dicembre 2023

Il Vangelo della Famiglia, modello di amore e scuola di pace.

La Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Anno B - 31 dicembre 2023

 

Rito Romano

1Sam 1,20-22.24-28; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52

 

Rito Ambrosiano

1Gv 1,1-10; Sal 96; Rm 10,8c-15; Gv 21,19c-24

III giorno dell’ottava di Natale – San Giovanni Apostolo ed Evangelista

 

 

1) Da un Tempio all’altro.

A pochissimi giorni dalla Solennità del Santo Natale, la liturgia di oggi ci fa celebrare la Santa Famiglia di Nazareth. In questo modo siamo invitate a contemplare e imitare la vita della famiglia “terrena” di Gesù. Cosa vediamo? Il Vangelo di San Luca ci fa mostra che in questa singolare famiglia non emerge solamente la figura del Figlio di Dio, la Persona divina che assume totalmente l'umanità delle Sue creature, il Dio con noi, il Principe della Pace. L’evangelista pone in evidenza la Mamma di Gesù, Maria, e Giuseppe, lo sposo di lei, collaboratore del disegno di salvezza per gli uomini e “custode della Redenzione” (S. Giovanni Paolo II).

Come può una famiglia così unica essere di modello per le nostre famiglie. E’ un nucleo familiare solo apparentemente simile a tutti le altre, ma così irripetibile che ci spinge a pensare che è inimitabile: un Figlio che è Dio, una mamma che è la Vergine Immacolata, e un papà che è il giusto per eccellenza, 

E cosi Gesù, il Dio fatto uomo, ci dà un esempio di figlio, all'interno della sua famiglia, per diventare modello per tutte le famiglie di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Gesù non ebbe fretta nel presentarsi come Messia. In una piccola cittadina della periferia dell’Impero romano, nel nascondimento di un semplice famiglia questo Figlio visse una vita normale, ma crescendo in grazia e spirito, fino al momento in cui giunse l’ora di iniziare la missione che il Padre gli aveva affidato: una missione che lo porterà alla morte e alla resurrezione, facendo di noi, da un popolo senza domani ad un popolo chiamato a seguirlo nella santità e nella gioia della pienezza della Vita, oggi e per sempre. 

Guardando alla Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, credo che le nostre famiglie siano spinte ad essere sempre di più “piccole chiese domestiche”, dove Dio è presente e dove si impara a vivere, camminando alla Luce del Vangelo, la Buona Novella, come sola guida sicura, in un mondo che ha perso lo sguardo sulla Luce del Cielo e guarda solo alle luci della Terra.

Ai genitori che lo cercavano da tre giorni Gesù risponde che loro dovevano sapere che il cammino della sua vita era quello di fare ciò che sta a cuore a suo Padre,. Quindi era rimasto per tre giorni nel tempio di suo Padre, occupandosi appunto delle cose del Padre suo (cfr Lc 2, 49). Poi, siccome il Vangelo è da vivere nella quotidianità della vita, ritorna con Maria e Giuseppe nella quotidianità di Nazareth. Scese con i genitori a Nazareth e stava loro sottomesso. Lascia il Tempio per il “tempio domestico”, dove tutto era organizzato per la Sua presenza divina e dove la Sua umanità cresce in sapienza e grazia.

Il Redentore ha lasciato i maestri della Legge che insegnavano nel Tempio di Gerusalemme, per stare con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita in quella scuola speciale che è la loro casa a Nazareth. Il Figlio di Dio impara da loro l’arte di essere uomo. Guarda la mamma Maria che è teneramente forte, ma mai passiva. Guarda Giuseppe, il padre legale di Gesù, verso il quale il padre putativo ebbe “per speciale dono del Cielo, tutto quell'amore naturale, tutta quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere” (frase di Papa Pio XII citata nella Redemptoris Custos, n. 8).

 

 

 

2) La Santa Famiglia come scuola e modello reale e non solo ideale della famiglia.

Una vita semplice, quella di Gesù, Maria e Giuseppe, che tanto assomiglia alle nostre. Maria è la mamma, come le nostre mamme, attenta e vigile, ma soprattutto, in quanto Immacolata e quindi tutta di Dio, avrà educato il figlio al vero senso della vita, che è compiere la missione che il Padre gli aveva affidato, inviandolo tra di noi. Quindi la Casa di Nazareth non fu una scuola solamente per Gesù, ma lo è anche per noi, come insegna il B. Papa Paolo VI: “La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare” (Omelia a Nazareth, 5 gennaio 1964).

Il Vangelo di San Luca ci racconta la vita quotidiana e santa di Giuseppe e Maria che nella loro esitazione, nei loro interrogativi, nei loro atteggiamenti, nella loro debolezza, lungi dalla perfezione e dall’ideale, assomigliano a tanti genitori. Al tempo stesso sono il modello reale e originario di famiglia, dove coesistono verginità, sponsalità e genitorialità. Ora, agli sposi cristiani il Signore chiede che, mediante la nostra unione, si realizzi il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia. Agli sposi cristiani è chiesto di vivere nella castità matrimoniale. A questo riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: “Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [cfr Gaudium et spes, 49]” (n. 2362). 

La verginità, però, in senso proprio, appartiene ai consacrati e rimanda all’eternità. Ma la verginità è pure costitutiva della famiglia originaria, quindi esiste un indissociabile legame tra noi sposi cristiani ed i consacrati per il Regno di Dio e questo legame è nella Santa Famiglia di Nazareth.

Le vergini consacrate nel mondo testimoniano che la verginità non è non avere affetti, anche se implica il rinunciare a una famiglia carnale, al rapporto fisico, per essere totalmente disponibili al compito di fecondità spirituale, ma concreta, al quale il Signore le ha chiamate. Cristo è al cuore del matrimonio cristiano e le vergini consacrate testimoniano che se si da tutto a Cristo la vita è davvero feconda. Come la Vergine Maria custodiscono nel loro cuore un mistero più grande di loro, lo portano nel mondo. 

Sant’Agostino acutamente insegna l’importanza della maternità spirituale non in contrasto con maternità carnale: “La Chiesa ricopia gli esempi della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo. Nell’una e nell’altra la verginità non ostacola la fecondità; nell'una e nell'altra la fecondità non toglie la verginità. La Chiesa è, tutt’intera, santa nel corpo e nell'anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell’anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell'anima? Un giorno - racconta il Vangelo - la madre e i fratelli di Gesù (cioè i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa perché la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro]. Gesù uscì in queste parole: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco i miei fratelli! Poiché, chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è mio fratello e madre e sorella” (La Santa Verginità, 2.2-3.3).

Le Vergini consacrate mostrano che l’esempio di Maria, Vergine e Madre, è attuale e praticabile anche oggi e sono chiamate a vivere una maternità di Grazia.

Maria ha aperto la strada a tutte le donne che, al suo seguito, accoglieranno la chiamata divina a dare tutto il loro cuore al Signore nella verginità. Certo, non sono chiamate solo le donne alla vita verginale; va ricordato che Cristo si è impegnato egli stesso in questa via e vi ha impegnato anche i suoi apostoli. 

Tuttavia, l’espressione “sposarsi con Dio”, conviene di più alla donna. Le vergini cristiane sono state considerate, fin dall'antichità, come spose di Cristo. Si può dire che esse rappresentano, nella maniera più appropriata e più completa, la qualità di sposa di Cristo che si attribuisce alla chiesa. Nelle vergini consacrate si personifica questa relazione di sposa con il Cristo. 

 

 

Lettura Patristica

Origene

In Luc., 19, 2-7

 

 

       Dice il Vangelo che «cresceva». Si era infatti "umiliato assumendo la natura del servo" (Ph 2,7), e con la stessa potenza con la quale «si era umiliato» cresce. Era apparso debole, perché aveva assunto un corpo debole, ed è proprio per questo che nuovamente si fortifica. Il Figlio di Dio si era umiliato e per questo è poi ricolmato di sapienza. «E la grazia di Dio era su di lui». Egli aveva la grazia di Dio non quando raggiunse l’adolescenza, non quando insegnava apertamente, ma anche quando era ancora fanciullo; e come ogni cosa in lui era ammirabile, così lo fu anche la sua fanciullezza, fino al punto da possedere la pienezza della sapienza di Dio.

 

       "Andavano dunque i suoi genitori, secondo la consuetudine, a Gerusalemme per celebrare il giorno della Pasqua. Gesù aveva dodici anni" (Lc 2,41-42). Osserva con attenzione che, prima di aver compiuto i dodici anni, era ricolmato della sapienza di Dio e degli altri doni di cui si parla nel Vangelo. Quando ebbe dunque compiuto - come abbiamo detto - i dodici anni, e furono celebrati, secondo il costume, i giorni della solennità, e quando i parenti erano sulla via del ritorno, "il fanciullo rimase a Gerusalemme senza che i suoi genitori se ne accorgessero" (Lc 2,43). Comprendi che qui c’è qualcosa di sublime che varca i limiti della natura umana. Infatti non «rimase» semplicemente mentre i suoi genitori non sapevano dove fosse; ma, allo stesso modo in cui nel Vangelo di Giovanni (cf. Jn 8,59 Jn 10,39) è detto che allorquando i Giudei lo insidiavano egli sfuggì di mezzo a loro senza farsi vedere, così credo che ora il fanciullo sia rimasto a Gerusalemme, mentre i suoi genitori non sapevano dove fosse rimasto. E non dobbiamo stupirci di sentir chiamare genitori coloro che avevano meritato il titolo di madre e padre, l’una per averlo partorito, e l’altro per la devozione paterna.

 

       Continua: «Noi ti cercavamo addolorati». Non credo che essi si siano addolorati perché credevano che il fanciullo si fosse perduto o fosse morto. Non poteva accadere che Maria, la quale sapeva di averlo concepito dallo Spirito Santo, che era stata testimone delle parole dell’angelo, della premura dei pastori e della profezia di Simeone, nutrisse il timore di aver perduto il fanciullo che si era smarrito. Si deve assolutamente scartare un simile timore dalla mente di Giuseppe al quale l’angelo aveva ordinato di prendere il fanciullo e di andare in Egitto, di Giuseppe che aveva sentito le parole: "Non temere di prendere Maria in sposa, perché colui che è nato da lei è frutto dello Spirito Santo" (Mt 1,20): non poteva temere di aver perduto il fanciullo, che sapeva essere Dio. Il dolore e la sofferenza dei genitori ci suggeriscono un senso diverso da quello che può intendere il lettore comune.

 

       Così come tu, se qualche volta leggi la Scrittura, ne cerchi il significato con dolore e tormento, non perché pensi che la Scrittura abbia sbagliato, oppure che essa contenga qualcosa di falso, ma perché essa ha in sé una verità spirituale e tu non sei capace di scoprire questa verità; ebbene è proprio in questo modo che essi cercavano Gesù, temendo che egli si fosse allontanato da loro, che li avesse abbandonati e fosse andato altrove, e che -questa soprattutto è la mia opinione - fosse tornato in cielo per discenderne di nuovo un’altra volta quando gli fosse piaciuto.

 

       «Addolorati», dunque, cercavano il Figlio di Dio. E cercandolo, non lo trovarono «tra i parenti». La famiglia umana non poteva infatti contenere il Figlio di Dio. Non lo trovarono tra i conoscenti, perché la potenza divina sorpassa qualsiasi conoscenza e scienza umana. Dove lo trovano dunque? «Nel tempio»; lì si trova infatti il Figlio di Dio. Quando anche tu cercherai il Figlio di Dio, cercalo dapprima nel tempio, affrettati ad andare nel tempio, ed ivi troverai il Cristo, Verbo e Sapienza, cioè Figlio di Dio.

 

       Siccome era ancora piccolo, è trovato «in mezzo ai dottori» mentre li santificava e li ammaestrava. Siccome, ripeto, era piccolo, egli sta «in mezzo» a loro, non insegnando, ma interrogando, e fa così perché noi, considerando la sua età, apprendiamo che ai fanciulli conviene - anche se sono sapienti ed eruditi - ascoltare i maestri piuttosto che voler insegnare loro, evitando cioè di mettersi in mostra con vana ostentazione. Interrogava i maestri - io dico - non per imparare qualche cosa, ma per istruirli interrogandoli. Dalla stessa sorgente della dottrina derivano infatti sia l’interrogare che il rispondere sapientemente; è caratteristica della stessa scienza sapere che cosa chiedere e che cosa rispondere. Era necessario che dapprima il Salvatore c’insegnasse come porre sagge domande, e poi come rispondere alle questioni secondo la sapienza e la Parola di Dio.

 

 

 

The Gospel of the Family, pattern of love and school of peace

The Holy Family of Jesus, Mary and Joseph - Year C - December 27, 2023

Roman Rite

1 Sam 1:20-22.24-28; 1 Jn 3:1-2.21-24; Lk 2:41- 52

Ambrosian Rite

1 Jn 1:1 t- 10; Ps 96; Rm 10:8c-15; Jn 21:19c-24

Third of the eighth days of Christmas - St. John the Apostle and Evangelist

 

1)     From a temple to another.

 A few days after the Solemnity of Christmas, the liturgy today makes us celebrate the Holy Family of Nazareth and we are invited to contemplate and imitate the life of the "earthly” family of Jesus. What do we see? The Gospel of St. Luke shows us that in this unique family not only the figure of the Son of God, the divine Person who assumes the full humanity of His creatures, the God with us, the Prince of Peace emerges. The evangelist highlights the Mother of Jesus, Mary, and Joseph, her husband, collaborator of the plan of salvation for men and "guardian of the Redemption" (Saint John Paul II). 

How can such a unique family be a model for our families?  It is a family only apparently like all the others, but so unique that encourages us to think that it is inimitable: a Son who is God, a mother who is the Immaculate Virgin, and a father who is the wise person per excellence.

Jesus, God made man, gives us an example of a son in a family that becomes a model for the families of all times and all places. 

Jesus did not rush to present himself as the Messiah. In a small town on the outskirts of the Roman Empire, in the seclusion of a simple family, this Son lived a normal life, growing in grace and spirit up to the moment when it was time to begin the mission that the Father had entrusted to him. It is a mission that led to his death and resurrection, making us from a people without a future to a people called to follow him in holiness and in the joy of the fullness of Life, now and forever.  I think that, looking at the Holy Family of Jesus, Mary and Joseph, our families are encouraged to be more and more "small domestic churches" where God is present and where we learn to live, walking in the Light of the Gospel, the Good News, the only sure guide in a world that has lost the gaze on the Light of Heaven and sees only the lights of the Earth. 

To his parents who had been looking for him for three days, Jesus answers that they should have known that the path of his life was to do what is dear to his Father. He had stayed for three days in the temple of his Father, dealing precisely with the things of his Father (see Lk 2, 49). Then, because the Gospel is to be lived in everyday life, he goes back with Mary and Joseph to the daily life of Nazareth. He returns with his parents to Nazareth and he is obedient to them. He leaves the Temple for the "domestic temple", where everything is organized for His divine presence and where his humanity grows in wisdom and grace. 

The Redeemer has left the teachers of the Law who taught in the Temple of Jerusalem, to be with Mary and Joseph who are masters of life in that special school that is their home in Nazareth. The Son of God learns from them the art of being a man. He looks at his mother Mary who is tenderly strong, but never passive.  He looks at Joseph, the legal father of Jesus, for whom the putative father has, "thanks to a special gift from heaven, all that natural love, all that affectionate solicitude that a father's heart can know" (a phrase of Pope Pius XII cited In Redemptoris Custos, 8).

 

2)     The Holy Family as school and real and not just ideal model of a family. 

It is a simple life that of Jesus, Mary and Joseph, who resembles very much our own. Mary is the mother, as our mothers, attentive and alert, but above all, as Immaculate and therefore all of God, educates her son to the true meaning of life, which is to carry out the mission that the Father had entrusted to him, sending him among us. The House of Nazareth was not a school only for Jesus, but it is for us, as taught by B. Pope Paul VI: "Nazareth is the school in which we begin to understand the life of Jesus. It is the school of the Gospel. Here we learn to observe, to listen, to meditate, and to penetrate the profound and mysterious meaning of that simple, humble, and lovely manifestation of the Son of God. And perhaps we learn almost imperceptibly to imitate Him. "(Homily in Nazareth - January 05, 1964). 

The Gospel of St. Luke tells us about the daily and holy life of Joseph and Mary who in their hesitation, in their questions, in their attitudes, in their weakness far from perfect and ideal, look like so many parents. At the same time they are the real and the original model of family, where virginity, marriage and parenting coexist. To the Christian couples the Lord asks that, through their union, the twofold end of marriage is realized: the good of the spouses and the transmission of life. It is not possible to separate these two meanings or values ​​of marriage, without altering the couple's spiritual life and compromising the good of marriage and the future of the family. Christian couples are asked to live in marital chastity. In this regard, the Catechism of the Catholic Church teaches: “The actions within marriage by which the couple are united intimately and chastely are noble and worthy ones. Expressed in a manner which is truly human, these actions promote that mutual self-giving by which spouses enrich each other with a joyful and a ready will. "[ Gaudium et Spes,  section 49]".

Virginity, though, strictly speaking belongs to the consecrated and refers to eternity. But virginity is also constitutive of the original family, therefore there is an inseparable link between Christian couples and persons consecrated for the Kingdom of God and this link is the Holy Family of Nazareth.

The consecrated Virgins in the world testify that virginity doesn’t mean to be without affections, even if it involves giving up a carnal family and physical relationship to be fully available to the task of a spiritual, but concrete fruitfulness to which the Lord has called them. Christ is at the heart of Christian marriage and the consecrated Virgins testify that, if all is given to Christ, life is really fruitful. Like the Virgin Mary, they preserve in their hearts a mystery greater than themselves and carry it into the world. 

St. Augustine keenly teaches that the importance of spiritual motherhood is not in conflict with carnal motherhood: “(the Church) imitates the mother of her husband, and her Lord. For the Church also is both a mother and a virgin. For whose virgin purity consult we for, if she is not a virgin? Or whose children address we, if she is not a mother? Mary bare the Head of This Body after the flesh, the Church bears the members of that Body after the Spirit. In both virginity hinders not fruitfulness: in both fruitfulness takes not away virginity. Wherefore, whereas the whole Churchis holy both in body and spirit, and yet the whole is not virgin in body but in spirit; how much more holy is it in these members, wherein it is virgin both in body and spirit? It is written in the Gospel, of the mother and brethren of Christ, that is, His kindred after the flesh, that, when word had been brought to Him, and they were standing without, because they could not come to Him by reason of the crowd, He made answer, who is my mother? Or who are my brethren? And stretching forth His Hand over His disciples, He says, these are my brethren: and whosoever shall have done the will of my Father, that man is to me brother, and mother, and sister.”(De Virginitate, 2.2-3.3).

 The consecrated Virgins show that the example of Mary, Virgin and Mother, is present and can be practiced even today. They are called to live a maternity of Grace.

 Mary has opened the way for all women who, after her, welcome the call of God to give their hearts to the Lord in virginity. Of course, not only women are called to the virginal life; it should be remembered that Christ has committed himself to it and has also committed his apostles too.

However, the expression "to marry God", is more appropriate to the woman. Christian virgins were considered, since ancient times, as brides of Christ. It can be said that they represent, in the most appropriate and most complete way, the quality of bride of Christ that is attributed to the church. This relationship of bride with Christ is embodied in the consecrated Virgins.

 

Patristic Reading

Golden chain

On Lk  2, 50 – 52

 

CYRIL; The Evangelist having said before that the Child grew and waxed strong, verifies his own words when he relates, that Jesus with the holy Virgin went up to Jerusalem; as it is said, And when he was twelve years old, &c.

 

GREEK EX. His indication of wisdom did not exceed the measure of His age, but at the time that with us the powers of discernment are generally perfected, the wisdom of Christ shows itself.

 

AMBROSE; Or the twelfth year was the commencement of our Lord's disputation with the doctors, for this was the number of the Evangelists necessary to preach the faith.

 

THEOPHYL; We may also say, that as by the seventh number, so also by the twelfth, (which consists of the parts of seven multiplied alternately by one another,) the universality and perfection of either things or times is signified, and therefore rightly from the number twelve, the glory of Christ takes its beginning, being that by which all places and times are to be filled.

 

THEOPHYL; Now that the Lord came up every year to Jerusalem at the Passover, betokens His humility as a man, for it is, man's duty to meet together to offer sacrifices to God, and conciliate Him with prayers. Accordingly the Lord as man, did among men what God by angels commended c men to do. Hence it is said, According to the custom of the feast day. Let us follow then the journey of His mortal life, if we delight to behold the glory of His divine nature.

 

GREEK EX. The feast having been celebrated, while the rest returned, Jesus secretly tarried behind. As it follows, And when they had fulfilled the days, as they returned, the child Jesus tarried behind in Jerusalem; and his parents knew not of it. It is said, When the days were accomplished, because the feast lasted seven days. But the reason of His tarrying behind in secret was, that His parents might not be a hindrance to His carrying on the discussion with the lawyers; or perhaps to avoid appearing to despise his parents by not obeying their commands. He remains therefore secretly, that he might neither be kept away nor be disobedient.

 

ORIGEN; But we must not wonder that they are called His parents, seeing the one from her childbirth, the other from his knowledge of it, deserved the names of father and mother.

 

THEOPHYL; But someone will ask, how was it that the Son of God, brought up by His parents with such care, could be left behind from forgetfulness? To which it is answered, that the custom of the children of Israel while assembling at Jerusalem on the feast days, or returning to their homes, was for the women and men to go separately, and the infants or children to go with either parent indiscriminately. And so both Mary and Joseph each thought in turn that the Child Jesus, whom they saw not with them, was returning with the other parent. Hence it follows, But they, supposing him to have been in the company, &c.

 

ORIGEN; But as when the Jews plotted against Him He escaped from the midst of them, and was not seen; so now it seems that the Child Jesus remained, and His parents knew not where He was. As it follows, And not finding him, they returned to Jerusalem seeking for him.

 

GLOSS. They were on their way home, one day's journey from Jerusalem; on the second day they seek for Him among their kinsfolk and acquaintance, and when they found Him not, they returned on the third day to Jerusalem, and there they found Him. As it follows, And it came to pass, after three days they found him.

 

ORIGEN; He is not found as soon as sought for, for Jesus was not among His kinsfolk and relations, among those who are joined to Him in the flesh, nor in the company of the multitude can He be found. Learn where those who seek Him find Him, not everywhere, but in the temple. And do you then seek Jesus in the temple of God. Seek Him in the Church, and seek Him among the masters who are in the temple. For if you wilt so seek Him, you shall find Him. They found Him not among His kinsfolk, for human relations could not comprehend the Son of God; not among His acquaintance, for He passes far beyond all human knowledge and understanding. Where then do they find Him? In the temple! If at any time you seek the Son of God, seek Him first in the temple, thither go up, and verily shall you find Christ, the Word, and the Wisdom, (i.e. the Son of God.)

 

AMBROSE; After three days He is found in the temple, that it might be for a sign, that after three days of victorious suffering, He who was believed to be dead should rise again anti manifest Himself to our faith, seated in heaven with divine glory.

 

GLOSS. Or because the advent of Christ, which was looked for by the Patriarchs before the Law, was not found, nor again, that which was sought for by prophets and just men under the Law, but that alone is found which is sought for by Gentiles under grace.

 

ORIGEN; Because moreover He was the Son of God, He is found in the midst of the doctors, enlightening and instructing them. But because He was a little child, He is found among them not teaching but asking questions, as it is said, Sitting in the midst of the doctors, hearing them, and asking them questions. And this He did as a duty of reverence, that He might set us an example of the proper behavior of children, though they be wise and learned, rather to hear their masters than teach them, and not to vaunt themselves with empty boasting. But He asked not that He might learn, but that asking He might instruct.

 

For from the same source of learning is derived both the power of asking and answering wisely, as it follows, All who heard him were astonished at his wisdom.

 

THEOPHYL; To show that He was a man, He humbly listened to the masters; but to prove that He was God, He divinely answered those who spoke.

 

GREEK EX. He asks questions with reason, He listens M with wisdom, and answers with more wisdom, so as to cause astonishment. As it follows, And they who saw it were astonished.

 

CHRYS. The Lord truly did no miracle in His childhood, yet this one fact St. Luke mentions, which made men look with wonder upon Him.

 

THEOPHYL; For from His tongue there went forth divine wisdom, while His age exhibited man's helplessness, and hence the Jews, amid the high things they hear and the lowly things they see, are perplexed with doubts and astonishment. But we can in no wise wonder, knowing the words of the Prophet, that thus unto us a Is Child is born, that He abides the mighty God.

 

GREEK EX. But the ever-wonderful mother of God, moved by a mother's feelings, as it w were with weeping makes her mournful inquiry, in every thing like a mother, with confidence, humility, and affection. As it follows, And his mother said to him, Son, what have you done?

 

ORIGEN; The holy Virgin knew that He was not the Son of Joseph, and yet calls her husband His father according to the belief of the Jews, who thought that He was conceived in the common way. Now to speak generally we may say, that the Holy Spirit honored Joseph by the name of father, because he brought up the Child Jesus; but more technically, that it might not seem superfluous in St. Luke, bringing down the genealogy from David to Joseph. But why sought they Him sorrowing? Was it that he might have perished or been lost? It could not be. For what should cause them to dread the loss of Him whom they knew to be the Lord? But as whenever you read the Scriptures you search out their meaning with pains, not that you suppose them to have erred or to contain any thing incorrect, but that the truth which they have inherent in them you are anxious to find out; so they sought Jesus, lest perchance leaving them he should have returned to heaven, thither to descend v hen He would. He then who seeks Jesus must go about it not carelessly and idly, as many seek Him who never find Him, but with labor and sorrow.

 

GLOSS. Or they feared lest Herod who sought Him in His infancy, now that He was advanced to boyhood might find an opportunity of putting Him to death.

 

 

L’Évangile de la famille, modèle d'amour et école de paix

 

Dimanche de l’Octave de Noël

La Sainte Famille de Jésus, Marie et Joseph – Année B – 31 décembre 2023

 

Rite romain

1Sam 1,20-22.24-28;1Gv 3,1-2.21-24;Lc 2, 41-52

 

Rite ambrosien

1Gv 1, 1-10 ; Sal 96 ; Rm 10, 8c-15 ; Gv 21, 19c-24

IIIème jour de l'Octave de Noël- Saint Jean Apôtre et Evangéliste.

 

 

            1) D’un temple à l’autre.

            A très peu de jours de la solennité de Noël, la liturgie d’aujourd’hui nous donne de célébrer la Sainte Famille de Nazareth. De cette façon, nous sommes invités à contempler et à imiter la vie de la famille « terrestre » de Jésus. Que voyons-nous ? L’Évangile de Saint Luc nous fait voir que dans cette singulière famille, ce n’est pas seulement la figure du Fils de Dieu, la personne divine qui assume totalement l’humanité de sa créature, le Dieu avec nous, le Prince de la paix qui ressort. L’évangéliste met aussi en évidence la maman de Jésus, Marie, et Joseph son époux, collaborateur du dessein divin de salut des hommes et « gardien de la Rédemption. »Saint Jean Paul II

            Comment une famille aussi particulière peut-elle être un modèle pour nos familles ? Ce cercle familial, seulement en apparence semblable à tous les autres, est si irremplaçable qu’il nous pousse à croire qu’il est inimitable : un Fils qui est Dieu, une maman qui est la Vierge Immaculée, et un papa qui est le juste par excellence.

Et pourtant Jésus, le Dieu fait homme, nous montre un exemple d'enfant à l’intérieur de sa propre famille pour pouvoir devenir un modèle pour toutes les familles de tous les temps et de tous les lieux.

            Jésus n’a pas été pressé de se présenter comme le Messie. Dans une petite ville de la périphérie de l’Empire romain, caché dans une famille très simple, ce fils a vécu une vie normale, tout en croissant en grâce et en esprit, jusqu’au moment où arriva l’heure de commencer la mission que lui avait confiée le Père : une mission qui le conduira à la mort et à la résurrection, faisant de nous, d’un peuple sans lendemain, un peuple appelé à le suivre dans la sainteté et la joie de la plénitude de la vie, aujourd’hui et pour toujours.

En regardant la Sainte Famille de Jésus, Marie et Joseph, je crois que nos familles sont poussées à être toujours davantage des petites églises domestiques, où Dieu est présent et où l’on apprend à vivre, en marchant à la lumière de l’Évangile, la Bonne Nouvelle, seul guide sûr dans un monde qui a perdu la vision de la lumière du ciel et qui regarde seulement vers les lumières de la terre.

            A ses parents qui le cherchent depuis trois jours, Jésus répond qu’ils doivent savoir que sa vocation est de faire la volonté de son Père. Il est donc resté trois jours dans le temple de son Père à s’occuper justement des affaires de son Père. Puis comme l’Évangile est à vivre dans le quotidien de la vie, il retourne avec Marie et Joseph dans le quotidien de la vie de Nazareth. Il descend avec ses parents à  Nazareth et il leur est soumis. Il laisse le Temple pour le « temple domestique » où tout était organisé pour sa présence divine et où son humanité grandit en sagesse et en grâce. 

            Le Rédempteur a abandonné les maîtres de la loi qui enseignaient dans le Temple de Jérusalem pour être avec Joseph et Marie qui sont maîtres de vie dans cette école particulière qu’est leur maison de Nazareth. Le fils de Dieu apprend d’eux l’art d’être homme. Il regarde sa maman, Marie, qui est tendre et forte mais jamais passive. Il regarde Joseph, son père légale, qui eut envers lui « par don particulier du ciel, tout cet amour naturel, toute cette affectueuse sollicitude que le cœur d’un père peut connaître » (Pie XII cité dans Redemptoris Custos, n.8)

 

 

            2) La Sainte Famille comme école de la famille, modèle réel et non pas seulement idéal.

            La vie simple de Jésus, Marie et Joseph ressemble tellement à la nôtre. Marie est une maman comme nos mamans, attentive et vigilante, mais surtout, en tant qu’immaculée et donc toute donnée à Dieu, elle aura éduqué son fils au vrai sens de la vie qui est d’accomplir la mission que le Père lui avait confiée en l’envoyant parmi nous. La maison de Nazareth n’est donc pas seulement une école pour Jésus, mais aussi pour nous, comme l’enseigne le Bienheureux Pape Paul VI: « La maison de Nazareth est l’école où l’on commence à comprendre la vie de Jésus, c’est à dire l’école de l’Évangile. Là, on apprend à observer et à écouter, à méditer, à pénétrer la signification si profonde et si mystérieuse de cette manifestation du Fils de Dieu, si simple, humble et belle. » (Homélie à Nazareth, 5 janvier 1964).

            L’Evangile de Saint Luc nous raconte la vie quotidienne et sainte de Joseph et de Marie qui dans leurs hésitations, leurs interrogations, leurs façons de faire, leurs faiblesses, loin de la perfection et de l’idéal, ressemblent à tant de parents. Ils sont en même temps le modèle réel et originel de la famille, où coexistent la virginité, la conjugalité et la parentalité. Maintenant, le Seigneur demande aux époux chrétiens que se réalise par leur union la double finalité du mariage : le bien des époux eux-mêmes et la transmission de la vie. On ne peut pas séparer ces deux valeurs du mariage sans altérer la vie spirituelle du couple et compromettre les biens du mariage et l’avenir de la famille. Il est demandé aux époux chrétiens de vivre dans la chasteté conjugale. A cet égard le catéchisme de l’Église catholique enseigne : « Les actes qui réalisent l'union intime et chaste des époux sont des actes honnêtes et dignes. Vécus d'une manière vraiment humaine, ils signifient et favorisent le don réciproque par lequel les époux s'enrichissent tous les deux dans la joie et la reconnaissance. » (n. 2362)

            La virginité cependant au sens propre appartient aux consacrés et renvoie à l’éternité. Mais la virginité est quand même constitutive de la famille originelle, il existe donc un lien indissoluble entre les époux chrétiens et les consacrés pour le Royaume de Dieu et ce lien se trouve dans la Sainte Famille de Nazareth.

            Les vierges consacrées dans le monde témoignent que la virginité n’est pas de ne pas avoir des affections, même si elle implique de renoncer à une famille charnelle et au rapport physique avec un homme, mais c'est être totalement disponible au devoir de fécondité spirituelle et concrète auquel le Seigneur les a appelées. Le Christ est au cœur du mariage chrétien et les vierges consacrées témoignent qu’en donnant tout au Christ, la vie est vraiment féconde. Comme la vierge Marie, elles conservent dans leur cœur un mystère plus grand qu’elles et le portent dans le monde.

            Saint Augustin très justement enseigne l’importance de la maternité spirituelle qui ne s’oppose pas à la maternité charnelle : « L’Église reproduit le modèle de la mère de son époux et de son sauveur et elle est, elle aussi, mère et vierge. Si en effet, elle n’est pas vierge, pourquoi tant se préoccuper de son intégrité ? Et si elle n’est pas mère, de qui sont ces enfants à qui nous adressons la parole ? Marie mit au monde physiquement le Chef de ce corps ; l’Église génère spirituellement les membres de ce Chef. Dans un cas comme dans l’autre, la virginité ne fait pas obstacle à la fécondité et la fécondité ne fait pas obstacle à la virginité. L’Église est toute entière sainte de corps comme d'esprit mais dans ses membres, elle n’est vierge que d'esprit et non pas de corps. De quelle sainteté ne devra-t-elle donc pas briller dans ceux de ses membres qui conservent à la fois la virginité dans le corps et dans l’âme ? Un jour – raconte l’Évangile – la mère et les frères de Jésus (c’est à dire ses cousins) se firent annoncer mais restèrent dehors parce que la foule ne leur permettaient pas de s’approcher (du maître). Jésus dit ces paroles : Qui est ma mère ? Et qui sont mes frères ? Et étendant la main vers ses disciples, il dit : Voici mes frères ! Et quiconque fait la volonté de mon père, celui-là est mon frère, ma mère et ma sœur » (La sainte viriginité, 2.2-3.3)

            Les vierges consacrées montrent que l’exemple de Marie, Vierge et Mère, est actuelle et possible même aujourd’hui et elles sont appelées à vivre une maternité de grâce.

            Marie a ouvert la route à toutes les femmes qui, à sa suite, accueillent l’appel divin à donner tout leur cœur au Seigneur dans la virginité. Certes, ce ne sont pas seulement les femmes qui sont appelées à la vie virginale ; il faut rappeler que le Christ lui aussi s'est engagé sur cette voie et il y a engagé aussi ses apôtres.

            Toutefois l'expression des «épousailles avec Dieu» convient davantage à la femme. Les vierges chrétiennes ont été considérées depuis l'antiquité comme les épouses du Christ. On peut dire qu'elles représentent, de la manière la plus appropriée et la plus complète, la qualité d'épouse du Christ que l'on attribue à l'église. Les vierges consacrées personnifient cette relation d'épouse du Christ.

 

 

 

Lecture patristique

Origène (+ 253)

Homélies sur saint Luc, 18, 2-5

SC 87, 266-271

 

Comme il avait douze ans, il demeure à Jérusalem. Ne sachant où il est, ses parents le cherchent avec inquiétude et ne le trouvent pas. Ils le cherchent parmi leurs parents, ils le cherchent parmi leurs compagnons de route, ils le cherchent parmi leurs connaissances (Lc 2,44), et ils ne le trouvent pas. Jésus est donc recherché par ses parents, par son père nourricier qui l'avait accompagné dans sa descente en Égypte, et pourtant ils ne le trouvent pas aussitôt qu'ils le cherchent. Car on ne trouve pas Jésus parmi les parents et parmi les proches selon la chair, parmi ceux qui lui sont unis par le corps. Mon Jésus ne peut être trouvé dans la foule.

 

Apprenez-donc où l'ont découvert ceux qui le cherchaient, afin que vous aussi, en le cherchant avec Marie et Joseph, vous puissiez le découvrir. A force de le chercher, dit l'évangéliste, ils le trouvèrent dans le Temple (Lc 2,46). Non pas n'importe où, mais dans le Temple, et là, en outre, au milieu des docteurs de la Loi qu'il écoutait et interrogeait (Lc 2,46-47). Vous aussi, cherchez Jésus dans le Temple de Dieu, cherchez-le dans l'Église, cherchez-le auprès des maîtres qui sont dans le Temple et n'en sortent jamais. Si vous cherchez ainsi, vous le trouverez. Mais si quelqu'un se dit un maître, et ne possède pas Jésus, il n'est maître que de nom, et on ne peut trouver auprès de lui Jésus, qui est le Verbe et la Sagesse de Dieu. <>

 

Ils le trouvent assis au milieu des docteurs, et non seulement assis, mais les interrogeant et les écoutant. Maintenant encore Jésus est ici: il nous interroge et il nous écoute parler. Et tous étaient dans l'admiration (Lc 2,48). A propos de quoi? Non de ses interrogations, bien qu'elles fussent admirables, mais de ses réponses (Lc 2,47).

 

Dans la sainte Écriture, "répondre" ne désigne pas un simple dialogue, mais un enseignement. Que la loi divine te l'apprenne: Moïse parlait, et Dieu lui répondait par sa voix (cf. Ex 19,19). Tantôt Jésus interroge, tantôt il répond et, nous l'avons dit, bien que son interrogation soit admirable, sa réponse l'est bien davantage. Pour que nous puissions l'entendre, nous aussi, et qu'il nous propose des questions qu'il résoudra lui-même, supplions-le et cherchons-le avec beaucoup d'efforts et de douleur, et alors nous pourrons trouver celui que nous cherchons. Ce n'est pas pour rien qu'il est écrit: Moi et ton père, nous te cherchions tout affligés (cf. Lc 2,49). Celui qui cherche Jésus ne doit pas chercher avec négligence, mollement, par intermittence, ainsi que certains le cherchent et qui, à cause de cela, ne peuvent le trouver. Quant à nous, disons: Nous te cherchons tout affligés.

 

Et quand nous lui aurons parlé ainsi, il répondra à notre âme qui se fatigue à le chercher dans la douleur: Ne le saviez-vous pas? C'est chez mon Père que je dois être (Lc 2,49-50).

 

giovedì 21 dicembre 2023

Da Nazareth a Betlemme: il 2023° Natale

           1)Vigilia di Natale.

Quest’anno, 2023, la IV domenica di Avvento cade il 24 dicembre. Dopo la testimonianza di Giovanni Battista (III domenica di Avvento), la liturgia della Parola di questa IV domenica ci propone la testimonianza di Maria, Vergine Madre di Dio, la quale ha conservato devotamente nel suo cuor le grandi cose che il Signore aveva fatto per lei.  

Facciamo nostro lo sguardo pieno di speranza che ha nutrito la paziente attesa di Giovanni il Battista e la materna attesa di Maria, per cantare con lei il Suo inno di lode per Dio che “ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre” (Lc 1,54-55). 

            Alla vigilia del Natale, la liturgia ci conduce a Nazareth dove fu detta la prima “Ave Maria” e lì il Verbo si è fatto carne, e ci propone il Vangelo dell’Annunciazione. Contempliamo questo fatto evangelica -narrato a noi da San Luca, il quale probabilmente se la sentì raccontare da Maria stessa, la Madre, protagonista di questo fatto- e facciamo nostro il “sì”, il “fiat” (in latino), l’“Amen” (in ebraico) di questa giovane donna. In questo modo potremmo realizzare anche noi le parole dell’Angelo Gabriele: “Non temere … concepirai … darai alla luce il Figlio di Dio e gli metterai il nome: Gesù”.

            L’evento dell’Annunciazione ci dice con chiarezza che Maria è il tramite immediato, anche temporale, oltre che biologico e affettivo, teologico e biblico per accogliere Gesù in questo Natale e per sempre. In effetti a che “ci giova che Cristo sia nato una volta da Maria a Betlemme, se non nasce anche per fede nella nostra anima?” (Origene). Dunque, “commossi dalla bontà di Dio che in Cristo manifesta il suo amore per l’uomo” (Papa Francesco) accogliamo il Salvatore.

Un grande stupore pieno di commozione si impossessa di noi se contempliamo il miracolo del Dio, che assume un corpo umano prendendo dimora in un seno materno, e che “quel seno di carne fu in grado di portare il fuoco, che la fiamma abitò nel corpo delicato senza bruciarlo” (Sant’Efrem, il Siro) ma bruciò i nostri peccati.

 

2) Natale e il Presepe.

Ora, da Nazareth, che vuol dire “giardino” e dove è nato il fiore di Cristo, andiamo a Betlemme, che vuol dire “casa del pane” e ospita chi si farà Pane di vita per noi. 

A Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe lasciato il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino Gesù in questa Notte Santa prosegua nell’adorazione eucaristica. Adoriamo il Signore, fattosi Carne per salvare la carne nostra, fattosi Pane vivo èer dare la vita ad ogni essere umano. Riconosciamo, come nostro unico Dio, questo fragile Bambino che sta inerme nel presepe. “Nella pienezza dei tempi, ti sei fatto uomo tra gli uomini per unire la fine al principio, cioè l’uomo a Dio” (cfr S. Ireneo, Adv. haer., IV, 20,4). Nel Figlio della Vergine, “avvolto in fasce” e deposto “in una mangiatoia” (Lc 2,12), riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo” (Gv 6,41.51), il Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo.

Oggi non ci è dato solamente di ascoltare, ma anche di vedere la Parola di Dio, basta che andiamo “fino a Betlemme e guardiamo questa Parola, che il Signore ha fatto e ci ha mostrato. (Guerrico d’Igny)

Andiamo, dunque, alla grotta di Betlemme e contempliamo questo miracolo impensabile e che per molti è ancora incredibile: “Dio, che misura il cielo con la spanna, giace in una mangiatoia d’una spanna; Lui, che contiene il mare nel cavo della mano, conobbe la propria nascita in una grotta. Il cielo è pieno della sua gloria e la mangiatoia è piena del suo splendore (Sant’Efrem il Siro, Inno per la nascita di Cristo, 1). 

            Se leggiamo con attenzione il Vangelo della Natività, come lo propone San Luca, possiamo ricreare nella mente e nel cuore la scena del presepio. Immaginiamo una grotta utilizzata anche come stalla: povero alloggio di fortuna, scelto dai due pellegrini, Maria e Giuseppe, per ospitare la nascita di Colui che è  il centro del mondo e dell’umanità: maturo avvenimento che compie i tempi. Lasciamo attirare gli occhi del nostro cuoreta dalla notte, dal freddo, dalla povertà, dalla solitudine e, poi, improvvisamente, dall’aprirsi del cielo e dallo straordinario annuncio degli angeli, e dall’arrivo dei pastori. Con l’immaginazione possiamo ricostruire i particolari e trasformare la scena in un paesaggio pastorale, che sembra familiare, per una storia incantevole. Tutti diventiamo bambini, e gustiamo un momento incantato che ci fa sognare. Ciò è bello ma è riduttivo, perché Cristo nasce in una grotta. E quando i pastori vi arrivarono, cosa videro? 

            Un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia come gli Angeli avevano annunciato loro. E’ la meraviglia del Natale: ad essere proclamato Signore, il Principe della pace, Messia e Salvatore  è un bambino che ha, come trono, una mangiatoia e, come palazzo reale, una grotta. La totale semplicità del primo presepe stupisce. Il particolare che più meraviglia è l’assenza di ogni tratto meraviglioso nella grotta. I pastori sono sì avvolti e intimoriti dalla gloria di Dio, ma il segno che ricevono dagli Angeli è semplicemente: “Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia”. E quando giungono a Betlemme non vedono altro che “un bambino deposto nella mangiatoia”.  Quindi chiediamo di scorgere il miracolo del Natale nella “banalità” del quotidiano e prediamo sul serio quanto un anonimo scrisse secoli fa: 

“Il nostro corpo è il Presepe vivente nei luoghi dove siamo chiamati a vivere e a lavorare. Le nostre gambe, come quelle degli animali che hanno riscaldato Gesù la notte del Suo natale. Il nostro ventre, come quello di Maria che ha accolto e fatto crescere Gesù. Le nostre braccia. Come quelle di Giuseppe che hanno cullato, sollevato, abbracciato Gesù e per Lui hanno lavorato. La nostra voce, come quella degli angeli per lodare il Verbo che si è fatto carne. I nostri occhi, come di tutti quelli che la notte l’hanno visto nella mangiatoia. Le nostre orecchie, come quelle dei pastori che hanno ascoltato –stupefatti- il canto angelico proveniente dal cielo. La nostra intelligenza, come quella dei Re Magi che hanno seguito la stella fino alla “casa” di Gesù: la grotta. Il nostro cuore come la mangiatoia che ha accolto l’Eterno che si è fatto piccolo e povero come uno di noi”.

            Andiamo dunque al presepe per diventare noi sempre più Presepe vivente che rivela l’Uomo e Dio. L’Uomo che non siamo ancora ma che siamo chiamati ad essere e Dio che non può manifestarsi che in una umanità umile ma trasparente, che fa passare attraverso di essa questo Amore che è unicamente Amore.

            Se andiamo al presepe è perché il Natale è il centro della Storia universale. E’ in rapporto al Natale che tutti i secoli sono contati. 

            Se andiamo al presepe è perché nella nascita di Cristo c’è la nostra nascita, la nostra dignità, la nostra grandezza e la nostra libertà.

            Se andiamo al presepe è perché lì Dio si rivela non più come un padrone che ci domina, che rivendica dei diritti su di noi, ma come un Amore dolce, che si vuole nascondere in noi, e che non smette di aspettarci perché la “sola” cosa che può fare sempre è di amarci.

            L’unica risposta logica a questo Amore è di amarLo. I cristiani sono coloro che hanno creduto e credono a questo Amore nato in mezzo a noi e per noi. I cristiani sono chiamati dall’Amore per amare. Questa è la vocazione che il Natale propone e ogni anno rinnova. 

            Questa vocazione all’Amore è vissuta in modo speciale dalle Vergini consacrate. Se la vita cristiana è un cammino e un’assimilazione progressiva alla vita del Signore Gesù, lo è in modo particolare quella di queste donne che lietamente si sono consacrate a Cristo con amorosa fiducia e totale abbandono. Le vergini consacrate ci testimoniano che Cristo è un dono al quale si risponde donandosi e facendo del nostro cuore la mangiatoia da dove Lui apre le braccia al mondo. Il Natale non è un’emozione, ma una vocazione a stare sempre con Lui castamente. Il Figlio di Dio che si incarna, si fa uno di noi, e ci chiama a credere con il cuore, a proclamare con la bocca (cfr. Rm 10,9-10) e confermare con le opere che l’alleanza di Dio è nella nostra carne consacrata dall’offerta verginale  affinché gli uomini, vedendo le nostre opere buone, diano gloria al Padre nostro che è nei cieli (cfr. Mt 5,16) in Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Liturgia). Essere vergini consacrate vuol dire essere segno della fedeltà di Dio e luogo dove la vita di Cristo donata genera vita qui sulla terra  e per l’eternità.

Le Vergini consacrate nel mondo, e noi con loro, sono chiamate ad essere è la culla del vero Adamo, dove il mondo intero è messo al mondo nella comunione divina. “Mi aspetto pertanto che la ‘spiritualità della comunione’, indicata da San Giovanni Paolo II, diventi realtà e che voi siate in prima linea nel cogliere ‘la grande sfida che ci sta davanti’ in questo nuovo millennio: fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione” (Papa Francesco, Lettera in occasione dell’Anno della Vita consacrata, novembre 2014).

 

 

 

 

Lettura Patristica

Sant’Atanasio (295 – 373)

De incarnat. Verbi, 8 s.

 

 

 Per questo motivo il Verbo di Dio, incorporeo ed incorruttibile ed immateriale, si calò nella nostra dimensione, benché mai neppure prima ne sia stato lontano, dal momento che, unito com’è al Padre suo, non ha lasciato alcuna parte della creazione vuota di sé e riempie ogni cosa.

       Il Verbo di Dio si degna così di venire e di manifestarsi a noi, in virtù della sua filantropia nei nostri confronti. Vedendo che gli esseri ragionevoli si perdono e che la corruzione della morte regna su di loro; vedendo che la minaccia formulata da Dio contro la trasgressione trova efficace realizzazione attraverso questa corruzione e che sarebbe assurdo che questa legge venisse violata prima ancora d’esser compiuta; vedendo come fosse disdicevole che le opere di cui egli era l’autore fossero distrutte; vedendo la soverchiante cattiveria degli uomini accrescersi pian piano ai danni di loro stessi e divenire intollerabile; vedendo che tutti gli uomini si rendevano schiavi della morte, il Signore ebbe pietà della nostra stirpe e si fece misericordioso nei rispetti della nostra debolezza. Volle rimediare alla nostra corruzione e non sopportò che la morte la spuntasse su di noi, amnché la sua creatura non perisse e l’opera compiuta dal Padre suo, nel creare gli uomini, non si dimostrasse inutile. Assunse dunque un corpo, ed un corpo che non è diverso dal nostro. Egli, infatti, non ha voluto semplicemente «trovarsi in un corpo», come non ha voluto unicamente «mostrarsi»: in quest’ultimo caso, altrimenti, avrebbe potuto realizzare questa teofania in un essere più potente d’un uomo. Il Signore assume, invece, un corpo come il nostro, né si accontenta semplicemente di rivestirsene, ma vuole farlo nascendo da una vergine senza colpa né macchia, che non conosceva uomo, prendendo così un corpo puro e del tutto incontaminato da qualsiasi unione carnale. Benché onnipotente e demiurgo dell’universo, all’interno di questa vergine egli si edifica il proprio corpo come un tempio e, manifestandosi e dimorando in esso, se ne serve come d’uno strumento. Dal nostro genere, pertanto, il Signore acquista una natura analoga alla nostra e, allo stesso modo come tutti noi siamo condannati alla corruzione ed alla morte, non diversamente anch’egli, per il beneficio di tutti, consegna il proprio corpo alla morte, presentandolo al Padre; e tutto questo egli conduce a termine per filantropia.


       In tal modo, dal momento che tutti muoiono in lui (
Rm 6,8), la legge della corruzione, diretta contro gli uomini, sarà infranta. Essa, infatti, dopo aver esercitato tutto il suo potere sul corpo del Signore, da quell’istante non sarà più in grado di infierire sugli uomini, essendo ormai costoro simili a lui.


       Il Verbo di Dio, pertanto, ripristina nell’incorruttibilità quegli uomini che erano divenuti nuovamente preda della corruzione. Appropriandosi d’un corpo, egli dona loro una nuova vita e li riscatta dalla morte. In virtù della grazia della risurrezione, il Signore fa sparire la morte lontano dagli uomini, come un fuscello di paglia distrutto nel fuoco.



       Il Verbo, dunque, costatava che la corruzione degli uomini non poteva assolutamente esser cancellata, se non attraverso la morte. D’altronde, essendo immortale e figlio del Padre, non era possibile che il Verbo potesse morire. Pertanto egli si riveste di un corpo suscettibile di morire affinché, partecipando del Verbo che sta al di sopra di tutto, questo corpo sia in grado di morire per tutti e, d’altronde, grazie al Verbo che ha preso dimora in lui, rimanga incorruttibile e faccia ormai cessare in tutti, in virtù della risurrezione, la corruzione. Così, come nel sacrificio d’una vittima innocente, egli offre alla morte questo corpo, dopo essersene spontaneamente rivestito, e, tosto, fa sparire la morte in tutti i suoi simili, attraverso l’offerta d’una vittima somigliante a loro.

       È giusto che il Verbo di Dio, superiore com’è a tutti, offrendo il suo tempio e lo strumento del suo corpo come prezzo del riscatto per tutti, paghi, con la sua morte, il nostro debito. Così, unito a tutti gli uomini attraverso un corpo simile al loro, il Figlio incorruttibile di Dio può a giusta ragione rivestire tutti gli uomini d’incorruttibilità, promettendo altresì loro la risurrezione. La corruzione stessa della morte, perciò, non ha più alcun potere contro gli uomini, grazie al Verbo che dimora fra questi, in un corpo simile al loro.


       Allorché un re illustre fa il suo ingresso in una grande città e prende dimora in una delle sue case, questa città si sente oltremodo onorata, né nemici né briganti, ormai, marceranno più contro di essa per devastarla e vien fatta oggetto d’ogni attenzione per il fatto che il re risiede in una sola delle sue case. Così avviene anche al riguardo del re dell’universo: da quando egli è venuto nella nostra terra ed ha abitato un corpo simile al nostro, ogni iniziativa dei nemici contro gli uomini ha avuto termine e la corruzione della morte, che per lungo tempo aveva imperversato contro di essi, è scomparsa. Il genere umano sarebbe completamente perito, se il Figlio di Dio, signore dell’universo e salvatore, non fosse disceso a porre termine alla morte.