domenica 23 ottobre 2022

Preghiera umile

 

XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 23 ottobre 2022

Rito Romano

Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14


Rito Ambrosiano

At 13,1-5a; Sal 95; Rm 15,15-20; Mt 28,16-20 

I Domenica dopo la Dedicazione

Il mandato missionario


1) Pregare sempre e umilmente.

Nel Vangelo di domenica scorsa Gesù si raccontava la parabola del giudice disonesto e della vedova tenace, insistente nel domandare giustizia, per invitare a pregare sempre e con fede. Perché tutta la vita deve diventare in qualche modo preghiera, come a questo proposito scrive Origene: “Prega senza posa colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera” (Sulla preghiera, 12, 2: PG XI, 452)

Oggi, con la parabola del fariseo e del pubblicano, il Redentore ci insegna che solamente una preghiera fatta con un cuore umile è ascoltata da Dio. Senza l’umiltà la preghiera diventa presunzione, che è un atteggiamento di peccato. La preghiera è un’espressione dell’amore, che è possibile solo nell’umiltà. Non c’è amore orgoglioso, l’amore è sempre umile. E l’umiltà è la qualità più sublime di Dio che è servo di tutti, perché ama tutti. Per questo chi si umilia è innalzato, perché elevato alla grandezza di Dio, che è amore, umiltà e servizio.

Se vogliamo vivere cristianamente dobbiamo imitare Cristo, seguendolo sulla via del Vangelo dell’umiltà. Questa virtù è un aspetto primario nella vita del cristiano e non è un valore negativo: “Gli umili sono semplici, pazienti, amati, integri, retti, esperti nel bene, prudenti, sereni, sapienti, quieti, pacifici, misericordiosi, pronti a convertirsi, benevoli, profondi, ponderati, belli e desiderabili” (Afraate il Saggio – IV secolo, Esposizione 9,14). Restando umile, anche nella realtà terrena in cui vive, il cristiano può entrare in relazione col Signore: “L’umile è umile, ma il suo cuore si innalza ad altezze eccelse. Gli occhi del suo volto osservano la terra e gli occhi della mente l’altezza eccelsa” (Ibid. 9,2).

La preghiera umile eleva la persona in Dio e le permette di accogliere nel proprio cuore Cristo e il prossimo. La fede orante e umile fa dell’uomo un tempio, dove Cristo abita, e rende possibile una carità sincera.

In effetti, la preghiera si realizza quando Cristo abita nel cuore del cristiano, e lo invita a un impegno coerente di carità verso il prossimo: “La preghiera è buona, e le sue opere sono belle. La preghiera è accettata, quando dà sollievo al prossimo. La preghiera è ascoltata, quando in essa si trova anche il perdono delle offese. La preghiera è forte, quando è piena della forza di Dio” (Ibid. 4,14-16). Ed è piena di questa forza quando umilmente la chiede a Dio.

La preghiera è fatta di fede e di umiltà. La preghiera senza la fede si ferma e senza l’umiltà diventa presunzione. Dunque, con Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo preghiamo: “Gesù, tu hai detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre». Sì, Signore mio e Dio mio, l’anima mia riposa nel vederti rivestito della forma e della natura di schiavo, abbassarti fino a lavare i piedi dei tuoi apostoli. Ricordo ancora le tue parole: ‘Vi ho dato l'esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io. Il discepolo non è più del Maestro... Se voi comprendete ciò, sarete beati mettendolo in pratica’. Le comprendo, Signore, queste parole uscite dal tuo cuore mansueto e umile. Le voglio mettere in pratica con l'aiuto della tua grazia” 1 (Si veda nella nota 1 il testo completo di questa Preghiera per ottenere l’umiltà)

2) Preghiera come cammino.

In questa riflessione sul come pregare, non dobbiamo fermarci solo all’umiltà nella preghiera e ma domandarci: “Com’è il nostro cuore quando prega: è importante esaminarlo per valutare i pensieri, i sentimenti, ed estirpare arroganza e ipocrisia. Ma, io domando: si può pregare con arroganza? No. Si può pregare con ipocrisia? No. Soltanto, dobbiamo pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo. Non come il fariseo che pregava con arroganza e ipocrisia. Siamo tutti presi dalla frenesia del ritmo quotidiano, spesso in balìa di sensazioni, frastornati, confusi. È necessario imparare a ritrovare il cammino verso il nostro cuore, recuperare il valore dell’intimità e del silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla. Soltanto a partire da lì possiamo a nostra volta incontrare gli altri e parlare con loro. Il fariseo si è incamminato verso il tempio, è sicuro di sé, ma non si accorge di aver smarrito la strada del suo cuore” (Papa Francesco, Udienza generale, 1° giugno 2016).

In effetti, se è importante che la preghiera sia costante, sincera e umile, è pure importante che essa sia un esodo verso Dio e il prossimo, un pellegrinaggio che interiormente sia un cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore.

Un cammino di unione (“La preghiera non è nient’altro che unione con Dio” - San Giovanni Maria Vianney), di comunione. A questo riguardo credo sia importante precisare che la natura della preghiera non è riducibile all’atteggiamento umile dell’uomo, che chiede a Dio qualcosa e questo qualcosa risponde, in generale, al soddisfacimento dei propri bisogni. Questo di per sé non è sbagliato: Gesù stesso nel Vangelo ci ha chiesto di bussare, di chiedere, di domandare anche il pane quotidiano. Ma la natura della preghiera è, prima di tutto, un bisogno dell’anima di unirsi al suo Creatore, al suo Padre, al suo Tutto, e presuppone il nostro incontro con Dio, a prescindere da quello che possiamo chiedere o ricevere.

Inoltre, anche se questa sembra un’affermazione strana, va ricordato che nella preghiera l’iniziativa è di Dio. È Lui che ci chiama, che ci vuole, che ci attira. Egli ha bisogno di noi perché ci ha creati e vuole donarci il suo Amore divino. La preghiera allora non è che la risposta dell’uomo. Don Divo Barsotti (1914-2006) iniziava sempre la sua giornata con due preghiere; la prima era: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”, tratta dal Deuteronomio, e la seconda era: “Padre nostro, che sei nei cieli...”. Questo significa: prima c’è l’ascolto, poi la risposta. Nell’ascolto noi impariamo che Dio è Uno ed è Amore che dà la vita, nella riposta Gli diciamo: Padre nostro”.

La preghiera è risposta alla Parola che il Padre ci ama, ma anche la consacrazione è una risposta alla chiamata d’Amore. Per questo le Vergini consacrate nel mondo vivono la vita come preghiera ed é data loro la lampada che sempre deve brillare perché in essa sempre vi è l’olio che simboleggia il loro amore fedele, perseverante e operoso, che diventa fiamma che illumina grazie alla preghiera umile e costante. Questa loro preghiera si “serve” anche del libro della Liturgia delle Ore, anch’esso consegnato loro durante il rito di consacrazione. Pregando con questo libro della Liturgia delle Ore, esse santificano la loro giornata.

Dedicandosi alla preghiera, queste umili donne consacrate testimoniano che il tempo dato a Dio non è tempo perduto o tolto per fare del bene al prossimo. La preghiera è l’anima di ogni loro attività, per cui non si preoccupano tanto di organizzare il tempo di preghiera quanto di offrire se stesse a Cristo-Sposo, come e quando vuole: sempre e totalmente.

Vigilanti, come lampade accese si “preoccupano” di avere un’abbondante riserva di olio – cioè fede, amore, pazienza, perseveranza – perché l’arrivo dello Sposo non le colga di sorpresa.

Queste donne consacrate sanno che il cuore umano è piccolo, ma la preghiera lo ingrandisce e lo rende capace di accogliere Cristo-Sposo e con lui accogliere i fratelli e sorelle in umanità. Con loro chiediamo umilmente e sinceramente al Signore che “trasformi la nostra povertà nella ricchezza del suo amore” (Orazione della Messa) e che la nostra vita diventi una preghiera costante, un continuo respirare nella Trinità, come Santa Elisabetta della Trinità che dà un esempio e ce lo insegna scrivendo: “Vorrei corrispondere all’amore di Dio, passando sulla terra come la Madonna, custodendo tutto nel mio cuore, seppellendomi, per così dire, nel fondo dell'anima mia onde perdermi nella Trinità che ci abita, per trasformarmi in Lei”. (A l’Abate Chevignard, 28 novembre 1903).

Pregare come respirare può sembrare un modo di dire, ma se uno volesse andare alla radice del suo essere e si chiedesse: “Quando comincio a pregare?”, la risposta biblicamente esatta sarebbe questa: “Quando comincio a respirare”. Respirare è invocare la vita; respirare è il dono che Dio ci fa minuto per minuto da quella prima volta che ci ha creati. Questa è la nostra preghiera essenziale: si prega come si respira.

Madeleine Delbrél spiegava: “Quando si prega, bisogna domandare con tutto il nostro essere ciò di cui abbiamo bisogno, per noi stessi, per tutta la Chiesa, per il mondo intero. Questo significa fare della preghiera una respirazione a pieni polmoni!”. Ed insisteva, anzi, sul fatto che pregare significa instaurare relazioni vitali, tutte tese ad una oggettiva e sana collocazione di se stessi in relazione con Dio: “Tu non puoi compiere ciò che Dio ha riservato a te di fare nel mondo, se non intrecci con Lui concrete relazioni, se cioè non preghi. Ma la tua preghiera, a tale scopo, deve diventare per te indispensabile come mangiare, bere, respirare”.

Anche se con fatica, cominciamo a pregare aumentando atti e atteggiamenti (una preghiera, più preghiere, la giaculatoria, il pensiero rivolto a Dio), poi un po’ alla volta ci renderemo conto che preghiamo come respiriamo.


1Gesù, tu hai detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre». Sì, Signore mio e Dio mio, l’anima mia riposa nel vederti rivestito della forma e della natura di schiavo, abbassarti fino a lavare i piedi dei tuoi apostoli. Ricordo ancora le tue parole: «Vi ho dato l'esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io. Il discepolo non è più del Maestro... Se voi comprendete ciò, sarete beati mettendolo in pratica». Le comprendo, Signore, queste parole uscite dal tuo cuore mansueto e umile. Le voglio mettere in pratica con l'aiuto della tua grazia... Tu però, o Signore, conosci la mia debolezza: ogni mattino prendo l'impegno di praticare l'umiltà e alla sera riconosco che ho commesso ancora ripetuti atti di orgoglio. A tale vista sono tentata di scoraggiamento, ma capisco che anche lo scoraggiamento è effetto di orgoglio. Voglio, mio Dio, fondare la mia speranza soltanto su di te. Poiché tutto puoi, fa' nascere nel mio cuore la virtù che desidero. Per ottenere questa grazia dalla infinita tua misericordia ti ripeterò spesso: «Gesù, mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo»” (Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, Preghiera per ottenere l’umiltà)


Lettura Patristica

Sant’Agostino d’Ippona

Sermo 115, 2

       Poiché la fede non è dei superbi, ma degli umili, "disse per alcuni che credevano di essere giusti e disprezzavano gli altri, questa parabola. Due uomini andarono al tempio a pregare; un fariseo e un pubblicano. Il fariseo diceva: Ti ringrazio, Dio, che non sono come tutti gli altri uomini" (Lc 18,9s). Avesse detto almeno: come molti uomini. Che cosa dice questo "tutti gli altri", se non tutti, eccetto lui? Io, afferma, sono giusto; gli altri son tutti peccatori. "Non sono come tutti gli altri uomini, ingiusti, ladri, adulteri". Ed eccoti dalla vicinanza del pubblicano un motivo di orgogliosa esaltazione. Dice, infatti: "Come questo pubblicano". Io sono solo, dice; questo è uno come tutti gli altri. Non sono come costui, per la mia giustizia, per cui non posso essere un cattivo, io. "Digiuno due volte la settimana, pago le decime su tutte le mie cose". Cerca nelle sue parole, che cosa abbia chiesto. Non trovi niente. Andò per pregare; ma non pregò Dio, lodò se stesso. Non gli bastò non pregare, lodò se stesso; e poi insultò quello che pregava davvero. "Il pubblicano se ne stava invece lontano"; ma si avvicinava a Dio. Il suo rimorso lo allontanava, ma la pietà lo avvicinava. "Il pubblicano se ne stava lontano; ma il Signore lo aspettava da vicino. Il Signore sta in alto", ma guarda gli umili. Gli alti, come il fariseo, li guarda da lontano; li guarda da lontano, ma non li perdona. Senti meglio l’umiltà del pubblicano. Non gli basta di tenersi lontano; "neanche alzava gli occhi al cielo". Per essere guardato, non guardava. Non osava alzare gli occhi; il rimorso lo abbassava, la speranza lo sollevava. Senti ancora: "Si percoteva il petto". Voleva espiare il peccato, perciò il Signore lo perdonava: "Si percuoteva il petto, dicendo: Signore, abbi compassione di me peccatore". Questa è preghiera. Che meraviglia che Dio lo perdoni, quando lui si riconosce peccatore? Hai sentito il contrasto tra il fariseo e il pubblicano, senti ora la sentenza; hai sentito il superbo accusatore, il reo umile, eccoti il giudice. "In verità vi dico". È la Verità, Dio, il Giudice che parla. "In verità vi dico, quel pubblicano uscì dal tempio giustificato a differenza di quel fariseo". Dicci, Signore, il perché. Chiedi il perché? Eccotelo. "Perché chi si esalta, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato". Hai sentito la sentenza, guardati dal motivo; hai sentito la sentenza, guardati dalla superbia.


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