Domenica XXX del Tempo Ordinario – Anno B – 24 ottobre 2021
Rito Romano
Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
Rito Ambrosiano
At 8,26-39; Sal 65; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
Prima Domenica dopo Dedicazione del Duomo di Milano.
Premessa
Per aiutare a comprendere il vangelo di oggi, che racconta il miracolo di Cristo che dà la vista al cieco Bartimeo, credo sia utile qualche riga di introduzione. Vedere significa venire alla luce: è nascere. È l’ultimo miracolo che Gesù compie prima della sua passione e morte in croce. E’ il punto d’arrivo della sua opera: aprirci gli occhi per vedere la sua gloria sulla croce e seguirlo nel suo cammino di vita. A differenza di Giacomo e Giovanni che avevano chiesto di sedere a destra e a sinistra del Redentore, il cieco sa di non vedere e sa cosa chiedere: di vedere, di venire alla luce e di entrare nella vita piena portata dal Figlio di Dio. Anche noi chiediamo al Signore che sani gli occhi del nostro cuore e ci faccia vedere e accogliere nella nostra vita Lui, che ha a cuore la nostra vita facendoci nascere nella sua.
Nel messaggio biblico, la luce è l’immagine più immediata di Dio: Egli è interamente Luminosità, Vita, Verità, Luce. Nella risurrezione che viene dopo la drammatica morte in Croce, il cui dolore è infinitamente più grande di quello del parto umano, si verifica in modo più sublime ciò che il libro della Genesi descrive come l’inizio di tutte le cose. In questa nuova creazione Dio dice nuovamente: “Sia la luce!”. La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo. Con la risurrezione, il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è la Luce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma il caos in cosmo.
Cristo è la grande Luce dalla quale proviene ogni vita. Lui è il giorno di Dio che ora, crescendo, si diffonde per tutta la terra. Vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce della Vita.
1) Cuore e occhi aperti alla luce.
Per rivelare che Gesù è la luce, il Vangelo di questa domenica ci parla del Messia che guarisce un cieco. Il Cristo illumina tutte le oscurità della vita e permette non solo al cieco guarito ma a tutti noi di vivere da “figli della luce”, di vedere la luce della Verità.
Quali sono state (e lo sono anche oggi) le condizioni perché questo miracolo accadesse? La preghiera (“Gesù, abbi pietà di me” – Mc 10, 47) e la fede (“Va, la tua fede ti ha salvato” – Mc 10, 52), tutte e due sono espressioni della libertà. La libertà del cieco che “sente” la presenza del Salvatore e intuisce che vale la pena di aderire alla Verità dell’amore di Cristo che si ferma quando sente il grido del cieco Bartimeo. La libertà di Gesù che “libera” la sua commozione. Il grido di pietà urlato dal cieco ferma Gesù che passa per strada e compie il miracolo implorato.
Mettiamo davanti agli occhi del cuore la scena evangelica. Bartimeo, uomo povero e cieco, è raggomitolato al lato della strada, vergognoso di mendicare per vivere. E’ seduto, si è fermato come fa chi cede a causa delle ondate della vita. Ma nel villaggio dove questo mendicante chiedeva la carità, un bel giorno, improvvisamente, passa Gesù, che è la carità fatta carne. Questo cieco sente il rumore della gente che circonda il Messia, avverte una Presenza sanante e intuisce che può riprendere il cammino della vita nella luce. Allora Bartimeo si affretta (letteralmente fa un balzo) verso Gesù e Lo prega gridando: “Abbi pietà di me!”(l’invocazione “Signore pietà” –“Kyrie eleison” della Messa trova qui la sua origine). Alcuni lo sgridano e gli dicono di stare calmo, ma lui grida di più, prega ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.
Non chiede qualcosa, chiede la pietà di Dio sulla sua vita. Anche noi affrettiamoci verso Cristo e, come il cieco, ciascuno di noi implori: “Abbi pietà di me, Figlio di Davide, e apri gli occhi della mia anima, perché io veda la Luce del mondo che sei tu, o Dio mio (cfr. Gv 8,12), e diventi anch’io figlio di quella luce divina (cfr. Gv 12,36). O clemente, manda il Consolatore anche su di me, affinché lui stesso mi insegni (cfr. Gv 14,26) ciò che riguarda te e ciò che è tuo, o Dio dell’universo. Dimora anche in me, come hai detto, perché io diventi a mia volta degno di dimorare in te (cfr. Gv 15,4).”(Simeone il Nuovo Teologo - Etica – nato nel 949 –morto nel1022).
Corriamo da Gesù e otterremo la vista del cuore e della mente. Avviciniamoci e dopo aver ottenuto da Cristo la vista, saremo anche irradiati dallo splendore della sua luce. Più ci avvicineremo al Messia, esponendoci più da vicino allo splendore della sua luce, più magnificamente e splendidamente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso per mezzo del profeta: Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore (Zac 1, 3); e dice ancora: Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano (Ger 23, 23).
Non è però che tutti andiamo a Lui nella stessa maniera, ma ciascuno va a Lui secondo le proprie capacità e possibilità (cfr. Mt 25, 15).
L’importante è andare da Lui come ci è possibile. A Lui ciò basta per salvarci. Facciamo nostra la preghiera del Salmo: “Rialzaci, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (Sal 79,20).
L’importante è essere lungo la strada dove passa Gesù Nazareno. E’ la via dell’amore che porta a Gerusalemme, dove si consumerà la Pasqua di passione e resurrezione, alla quale il Redentore va incontro per noi. E’ la strada del suo ritorno alla Casa del Padre, del suo esodo che è anche il nostro: l’unica via di riconciliazione che conduce al Cielo, “Terra” di giustizia e di amore, di pace e di luce. Dio è luce e creatore della luce. Noi esseri umani siamo i figli della luce, fatti per vedere la luce, che non vediamo perché accecati dal nostro peccato e dalla nostra mancanza di fede. Se siamo realisti non ci resta che mendicare e allora, il Signore Gesù, che mendica la nostra fede e il nostro amore, ci guarisce e ci rende partecipi del Regno dei Cieli, che “non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole” (Rm 14, 17-19).
2) Una domanda amorevole e una richiesta di compassione.
Bartimeo, come ciascuno di noi, ha bisogno di essere voluto bene e ha la fortuna di sentirsi fare da Gesù una domanda amorevole: Non “che vuoi fare?” gli chiede Gesù, ma : “Cosa vuoi che io ti faccia?”. E una domanda che nasce dal cuore di Cristo e manifesta la sua compassione.
Se un giorno sentissimo queste stesse parole rivolte a noi, che cosa chiederemmo al Signore? Personalmente io rivolgerei a Cristo la stessa domanda di Bartimeo: “Signore, abbi pietà di me”, ma subito aggiungerei questa seconda preghiera: “Vieni, Signore Gesù” e continuerei così: “Vieni, Signore, nella tua immensa bontà, abita in me per la fede e illumina la mia cecità. Rimani con me e difendi la mia fragilità. Se tu sei con me chi mi potrà ingannare? Se tu sei con me, che cosa non potrò in te che mi dai forza? Se tu sei per me, chi sarà contro di me? Tu sei venuto al mondo, Gesù, per abitare in me, con me e per me, per schierarti dalla mia parte, per essere il mio Salvatore. Grazie, Signore Gesù.” (San Bernardo di Chiaravalle).
Immedesimiamoci in Bartimeo e così potremo guardare gli occhi di Cristo che ci guarda con amore e compassione. Se chiediamo al Signore di accrescere la nostra fede, potremo guardare con gli occhi della fede ed essere ricolmi dalla compassione di Cristo.
Non dimentichiamo, però, che per vedere Dio occorrono cuore e occhi puri. Non si può pretendere di vedere Dio se si è impuri. Ma come è possibile purificarci? Invocando nel dolore il perdono e contemplando nella confidenza la bontà misericordiosa del Signore. La nostra purificazione, la nostra fiducia e la nostra giustizia stanno nella fede che ci fa contemplare la grandezza del Signore buono1, compassionevole e accogliente.
In effetti, il brano del vangelo di oggi2, prima di narrare il miracolo, racconta di Gesù che accoglie il mendicante cieco. Come tutti, per prima cosa quest’uomo ha bisogno di essere accolto. Ma Cristo fa ancora di più lo sorprende ricolmandolo di amore che sana occhi e cuore. Investe quest’uomo di luce e con la luce delle fede. Bartimeo riconosce in Gesù Cristo il Dio fatto uomo. Con questo miracolo l’amore efficace di Dio invade la sua vita per sostenerlo istante per istante con la Sua Presenza. Anche noi, con la vista guarita dal Redentore stampiamo gli occhi su di Lui e chiediamogli la forza di appoggiarci solamente su Lui, in nulla poggiando su noi stessi, “perché presso nel Signore è la sorgente della vita. Nella sua luce vediamo la luce” (cfr. Sal 36/35, 10).
In questa luce non dobbiamo smettere di mendicare Cristo. Come il cieco, lasciamo quel pezzo di strada dove siamo seduti per mendicare la vita e facciamoci, anche noi medicanti di Cristo e, quindi, discepoli della Vita. Con il miracolo di poter vedere, Bartimeo è afferrato in una relazione nuova e sorprendente, che lo attrae e lo seduce. Ora il non-più-cieco segue Cristo, con il cuore e gli occhi rivolti a Lui, origine (alfa) e compimento (omega) di tutto: famiglia, lavoro, amicizie. Ora egli sa a Chi mendicare; lo seguirà in un cammino di fede e di illuminazione che durerà per tutta la vita, per imparare ad andare “diritto davanti a sé”.
3) La strada.
La strada del cieco è la nostra strada, e Cristo ci passa sempre, fino alla fine: perché Lui è venuto per il cieco, per ciascuno di noi e, finché ci sarà un cieco, Lui sarà sulla strada. Lui è la Via e la fede permette al cieco guarito, come a ciascuno di noi, di camminarvi sopra. La fede è un cammino di illuminazione: parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell’amore che coincide con la via delle Croce.
La modalità per eccellenza di seguire il Redentore su questa via è la verginità consacrata. Con la consacrazione le vergini entrano con passo deciso sulla via dell’amore, perché con l’offerta totale, spirituale e fisica, di se stesse seguono Cristo sulla via della Croce, che è la strada del sacrificio. Consacrano a Cristo anche il loro corpo per essere anime pure a sua piena disposizione. Grazie al loro amore verginale e devoto adorano il Corpo di Cristo che sta sull’altare o nel tabernacolo, “avendo cura delle sue membra che sono i poveri” ( San Gregorio Magno). Queste spose di Cristo non parlano dell’amore: amano, testimoniando che è possibile imitare Cristo che ha dato la vita con un amore profondo, sofferente, dolce, “tenero cioè attento alla totalità del nostro essere” (San Giovanni Paolo II).
Per vedere Cristo e goderne propongo a queste vergini consacrate, e a tutti quanti leggono queste riflessioni, di usare spesso questa preghiera di Sant’Agostino:
“Signore Gesù, conoscermi e conoscerTi,
non desidero null'altro da Te.
Odiarmi ed amarTi: agire solo per amor tuo, abbassarmi per farTi grande, non avere altri che Te nella mente.
Morire a me stesso per vivere di Te.
Tutto ricevere da Te.
Rinunciare a me stesso per seguirTi, desiderare di accompagnarTi sempre.
Fuggire da me stesso, rifugiarmi in Te per essere da Te difeso.
Temere me e temerTi per essere fra i tuoi eletti.
Diffidare di me stesso, confidare solo in Te, voler obbedire a causa tua: non attaccarmi a null'altro che a Te, essere povero per Te.
Guardami e Ti amerò, chiamami perché Ti veda e goda di Te per sempre”.
1 Cfr. Guglielmo di Saint-Thierry (circa 1085-1148), La Contemplazione di Dio, 1-2 ; SC 61.
2 “E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada” (Mc 10, 46-52).
Lettura Patristica
San Gregorio Magno (540-604)
Hom. in Ev., 2, 1-5.8
Il nostro Redentore, prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si sarebbero turbati a causa della sua Passione, predisse loro con molto anticipo sia lo strazio della Passione che la gloria della sua Risurrezione, affinché, vedendolo morente, così come era stato predetto, non avessero dubitato che sarebbe anche risorto. E siccome i discepoli erano ancora carnali e del tutto incapaci di comprendere le parole del mistero, il Signore operò un miracolo. Davanti ai loro occhi, un cieco riacquistò la vista, perché coloro che non capivano le parole dei misteri celesti per mezzo dei fatti celesti venissero consolidati nella fede. Però, fratelli carissimi, i miracoli del Signore e Salvatore nostro vanno considerati in modo tale da credere che non soltanto accaddero realmente, ma vogliono altresì insegnarci qualcosa con il loro simbolismo. I gesti di Gesù, invero, oltre a provare la sua divina potenza, con il mistero insito in loro ci istruiscono. Noi non sappiamo in verità chi fosse quel cieco, però sappiamo cosa egli significa sul piano del mistero. Il cieco è simbolo di tutto il genere umano, estromesso dal paradiso terrestre nella persona del primo padre Adamo. Da allora, gli uomini non vedono più lo splendore della luce superna, e patiscono le afflizioni della loro condanna. E nondimeno, l’umanità è illuminata dalla presenza del suo Salvatore, sì da poter vedere - almeno nel desiderio - il gaudio della luce interiore, e dirigere così i passi delle buone opere sulla via della vita.
Una cosa è degna di nota a questo punto ed è il fatto che il cieco riacquista la vista allorché Gesù si avvicina a Gerico. Gerico sta per luna, e luna, secondo la Scrittura, indica le deficienze della umana natura. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che essa va soggetta ogni mese a fenomeni di decrescenza, cosicché è stata designata quale espressione della fragilità della nostra carne mortale. Sta di fatto che mentre il nostro Autore si appressa a Gerico, il cieco riacquista la vista. Il che vuol dire che allorché il Signore assunse la debolezza della nostra natura, il genere umano riacquistò la luce che aveva perduto. La risposta al gesto di Dio, che incomincia a patire le umane debolezze, è il nuovo modo di essere dell’uomo, elevato ad altezze divine. Ecco perché, a buon diritto, il Vangelo dice che il cieco sedeva lungo la via a mendicare. Gesù, infatti, che è la Verità, afferma: "Io sono la via" (Jn 14,6).
Chi perciò ignora lo splendore dell’eterna luce è cieco; se, però, già crede nel Redentore, egli siede lungo la via; se però, pur credendo, trascura di pregare per ricevere l’eterna luce, è un cieco che siede lungo la via, senza mendicare. Solo se avrà creduto e avrà conosciuto la cecità del suo cuore, pregando per ricevere la luce della verità, egli siede come cieco lungo la via e mendica. Chiunque perciò riconosce le tenebre della propria cecità, chiunque comprende cosa sia questa luce di eternità che gli fa difetto, invochi con le midolla del cuore, invochi con tutte le espressioni dell’anima, dicendo: "Gesù, Figlio di David, abbi pietà di me". Ma occorre anche ascoltare quanto segue al clamore del cieco: "Coloro che gli camminavano innanzi lo rimproveravano affinché tacesse" (Lc 18,38-39).
Cosa mai significano quei tali che precedono Gesù che viene, se non le turbe dei desideri carnali e il tumulto dei vizi che, prima che Gesù arrivi al nostro cuore, con le loro suggestioni dissipano la nostra mente e confondono le voci del cuore in preghiera? Spesso, quando intendiamo far ritorno a Dio dopo il peccato, e ci sforziamo di pregare per la remissione di quelle colpe che abbiamo commesso, si presentano alla vista i fantasmi dei nostri peccati e accecano l’occhio dell’anima, turbano lo spirito e soffocano la voce della nostra orazione. Si spiega così il fatto che coloro che precedevano Gesù imponevano al cieco di tacere; infatti, prima che Gesù arrivi al nostro cuore, i peccati commessi si impadroniscono del nostro pensiero invadendolo con le loro immagini e turbandoci nella nostra preghiera.
Prestiamo attenzione ora a quel che fece allora quel cieco che anelava ad essere illuminato. Continua il Vangelo: "Ma il cieco con più forza gridava: Figlio di David, abbi pietà di me!" (Lc 18,39). Vedete? Quello stesso che la turba rimproverava perché tacesse, grida con lena centuplicata, a significare che tanto più molesto risulta il tumulto dei pensieri carnali, tanto più dobbiamo perseverare nella preghiera. Sì, la folla ci impone di non gridare, perché i fantasmi dei nostri peccati spesso ci molestano anche nel corso della preghiera. Ma è assolutamente necessario che la voce del nostro cuore tanto più vigorosamente insista quanto più duramente si sente redarguita. In tal modo, non sarà difficile aver ragione del tumulto dei pensieri perversi e, con la sua assidua importunità, la nostra preghiera perverrà alle orecchie pietose di Dio.
Ritengo che ognuno potrà trovare in se stesso la testimonianza di quanto vado dicendo. Quando ritraiamo l’anima dal mondo per orientarla a Dio, quando ci votiamo all’orazione, succede che molte cose, fatte per l’innanzi con piacere, ci diventino pesanti, moleste e importune nella preghiera. Allora, sì e no riusciamo a scacciare il pensiero di tali cose, allontanandole dagli occhi del cuore, pur usando la mano del santo desiderio. Sì e no riusciamo a vincere certi molesti fantasmi, pur levando gemiti di penitenza.
Però, allorché insistiamo con vigore nella preghiera, fermiamo nella nostra anima Gesù che passa. Per questo viene aggiunto: "Gesù si fermò e ordinò che il cieco gli fosse condotto dinnanzi" (Lc 18,40). Ecco, colui che prima passava, ora sta. È così, perché fintanto che sopportiamo le turbe dei fantasmi, sentiamo quasi che Gesù passa. Quando invece insistiamo con forza nell’orazione, Gesù si ferma per ridarci la luce. Infatti, se Dio si ferma nel cuore, la luce smarrita è riacquistata...
Ma ormai è tempo di ascoltare cosa fu fatto al cieco che domandava la vista, o anche cosa fece egli stesso. Dice ancora il Vangelo: "Subito recuperò la vista e si mise a seguire Gesù" (Lc 18,43). Vede e segue chi opera il bene che ha conosciuto; vede, ma non segue chi del pari conosce il bene, epperò disdegna di farlo. Se pertanto, fratelli carissimi, conosciamo già la cecità del nostro peregrinare; se, con la fede nel mistero del nostro Redentore, già stiamo seduti lungo la via; se, con la quotidiana orazione, già domandiamo la luce del nostro Autore; se, inoltre, dopo la cecità, per il dono della luce che penetra nell’intelletto siamo illuminati, sforziamoci di seguire con le opere quel Gesù che conosciamo con l’intelligenza. Osserviamo dove il Signore si dirige e, con l’imitazione, seguiamone le orme. Infatti, segue Gesù solo chi lo imita...
E siccome noi scadiamo dall’interiore gaudio verso il piacere delle cose sensibili, egli volle mostrarci con quale sofferenza si debba ritornare a quel gaudio. Che cosa non dovrà patire l’uomo per il proprio vantaggio, se Dio stesso ha tanto patito per gli uomini? Chi dunque ha già creduto in Cristo, ma va ancora dietro ai guadagni dell’avarizia, monta in superbia per la propria dignità, arde nelle fiamme dell’invidia, si sporca nel fango della libidine, o desidera le prosperità mondane, disdegna di seguire quel Gesù nel quale ha creduto. Uno al quale la sua Guida ha mostrato la via dell’asprezza, percorre una strada diversa, perciò se ricerca gioie effimere e piaceri.
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