sabato 6 luglio 2019

Cristo, l’Agnello che toglie i peccati del mondo, invia i discepoli-agnelli ad annunciare il Vangelo della gioia e della misericordia.

Rito romano
XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 7 luglio 2019
Is 66, 10-14; Sal 65; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12. 17-20
 
Amore è realista

Rito ambrosiano
VII Domenica di Pentecoste
Gs 24,1-2a.15b-27: Sal 104; 1Ts 1,2-10: Gv 6,59-69
Solo Dio ha parole di vita eterna.

1) Inviati in missione
Nel brano evangelico di questa domenica San Luca parla della missione dei discepoli di allora e di oggi, che è uguale a quella dei Dodici Apostoli (Lc 9,1ss) e a quella di Gesù. Il Redentore ci invia nel mondo come agnelli, testimoni dell’Agnello che vince il male del mondo con il dono misericordioso di sé, ponendo tre condizioni per essere suoi veri discepoli: di esserlo nella povertà, nella gratuità e nell’umiltà.
Nell’umiltà, perché il discepolo non deve annunciare se stesso e le sue idee, ma il Vangelo di Cristo, mite e umile di cuore.
Nella gratuità, perché il Vangelo è un dono gratuito da condividere per amore e non per calcolo.
Nella povertà perché solo nel distacco di quello che si è e di quello che si ha possiamo portare la ricchezza di Cristo, pienezza salvifica d’amore e di verità. Cristo chiede di non portare né borsa né bisaccia né sandali. Il discepolo è invitato a non lasciarsi appesantire dai troppi bagagli e da troppe esigenze. Un discepolo appesantito da un eccessivo benessere materiale, non cammina più verso il mondo, diventa sedentario, conservatore, abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per ritenere irrinunciabile la casa nella quale si è accomodato. La povertà è anche un segno di credibilità: mostra che il missionario confida in Dio e non in se stesso.
In questo cammino missionario verso tutta l’umanità c’è poi un giudizio positivo sul cuore del mondo che attende la verità liberante del Redentore: “La messe è molta ma gli operai sono pochi”. Il compito è vasto: il mondo intero. Ma questo mondo è pronto come la messe è matura. E se gli operai per raccogliere la messe sono pochi, è necessario pregare il Padrone della messe perché mandi altri missionari a lavorare nel grande campo del mondo.
Da qui la necessità della preghiera perché ci siano sempre più numerosi missionari del Vangelo della gioia e della misericordia.


2) Il realismo è il contrario del pessimismo.
A chi Gesù affida il compito di portare la lieta parola di pace al mondo che l’aspetta? A quelli che come San Pietro, oggi come allora, Gli dicono: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio” (come ci ricorda il brano evangelico del rito ambrosiano: Gv 6, 68-69).
La nostra comune esperienza è che gli esseri umani hanno una spinta di attrazione verso il bene, verso cose alte, verso l’eccellenza (ad esempio nel lavoro, negli studi, nello sport, nella letteratura ecc.). San Paolo scrisse ai Filippesi: “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4.8).
Ma la cosa più alta a cui noi esseri umani aspiriamo è l’amore. Santa Madre Teresa di Calcutta era così certa che la “cosa più alta” per cui siamo stati creati fosse l’amore (= cioè l’ “amare e essere amati”) che divenne Missionaria della Carità. Questa Santa non faceva altro che riproporre con le sue parole e la sua vita l’invito di Cristo di essere missionari della verità e della carità, lieti perché il nostro nome è scritto nel cuore di Dio (cfr la frase finale del brano evangelico proposto oggi dal rito romano : Lc 10, 20).
Purtroppo, a questa spinta verso l’alto si oppone la controspinta del nostro peccato che ci distoglie dalla vocazione di essere amati e di portare questo amore vero alla messe (moisson) del mondo, che anela risollevarsi e vivere nella pace stabile, duratura e serena.
Il mondo, oggi, cerca pace più che libertà e non c’è pace sicura che dentro l’amore di Cristo, il cui giogo è dolce e soave. A chi pensa che Cristo sia il profeta dei deboli, i discepoli di ieri e di oggi portano un Vangelo che rende i calpestati più alti dei re. A chi sostiene che la Sua è una religione di malati e di moribondi, noi dobbiamo mostrare che Gesù guarisce gli infermi e risuscita i “dormienti”. A chi dice che Lui è contro la vita, noi annunciamo che Lui vince la morte. Il Figlio di Dio non è il Dio della tristezza e esorta i suoi a essere lieti e promette un eterno banchetto di gioia ai suoi amici.
3) Occorre sapere1 l’amore.
Nell’odierno brano evangelico romano Cristo invita a pregare perché il Padre mandi operai alla messe che è pronta, matura. E di Gesù possiamo dire tutto ma non che non fosse realista: Lui non era certamente né un illuso, né un deluso: guardava il mondo in modo divino. Ma per essere suoi discepoli non basta questa sguardo positivo. Per essere suoi discepoli che vanno nella case e nelle periferie del mondo (come ama ripetere spesso Papa Francesco) è necessario che noi sappiamo che cosa è l’amore, in modo da poter distinguere il vero amore dal falso amore. E’ necessario sapere come ognuno di noi sa amare nelle circostanze della propria vita – nel qui ed ora della nostra ordinaria vita quotidiana.
Naturalmente ogni definizione è incompleta quando parliamo dell’amore, e c’è sempre qualcosa in più che si può dire al riguardo. Ma comprendiamo meglio l’amore e lo impariamo di più quando lo incontriamo. Madre Teresa di Calcutta, missionaria della carità e della pace, insegna: “L’amore non è parlare, l’amore è vivere. Si può parlare di amore tutto il giorno e non amare nemmeno una volta.” Avendo avuto il dono di incontrala abbastanza spesso posso testimoniare del suo amore e del suo esempio. Una volta le fu chiesto in un’intervista: “Potrebbe dirci che cosa è in verità l’amore ?” Madre Teresa rispose prontamente: “Amare è dare. Dio ha tanto amato il mondo da dare Suo Figlio. Gesù ha tanto amato il mondo, ha tanto amato te, ha tanto amato me da dare la Sua vita per noi. Ed Egli vuole che noi amiamo come Lui ha amato. E così ora anche noi dobbiamo dare fino a che fa male. L’amore autentico è un dare, e dare fino a che fa male.”. Ed una volta feci questa domanda ad una semplice suora di Madre Teresa: “Suora è vero che, come la Madre, fate tutto per amore?”, e questa suora girò con semplicità il palmo della mano destra verso l’alto predire con un umile gesto: “E’ ovvio”. E con la bocca aggiunse: “E’ naturale” e riprese il suo “apostolato” sbucciando le patate per la mensa dei poveri.
San Giovanni Paolo II, che –secondo me- è come un fratello spirituale di Madre Teresa2, parlava della “legge del dono” iscritta nella nostra natura umana: la realizzazione umana e la felicità si raggiungono vivendo questa “legge” come egli si espresse, “essere dando sé stessi”.
E’ un paradosso insito nella nostra vita, se noi ci rivolgiamo a Dio e agli altri (il nostro prossimo) allora il frutto è la nostra realizzazione e felicità; ma se noi ci focalizziamo sulla nostra felicità e realizzazione (in modo egoistico, “prima io”) allora non raggiungeremo mai né felicità né autorealizzazione.
Madre Teresa espresse ciò in modo eccellente: “L’amore è una via a senso unico. Allontana da se stessi verso l’altro. L’amore è il dono finale di sé stessi all’altro. Quando smettiamo di dare, smettiamo di amare, quando smettiamo di amare smettiamo di crescere, e solo crescendo otteniamo una realizzazione personale. Se non amiamo, non ci apriremo mai ad accogliere la vita di Dio. E’ con l’amore che incontriamo Dio.”
La pratica della carità (quindi l’attività apostolica, missionaria), è alla portata di ogni cristiano in qualsiasi stato di vita si trovi. E’ la vocazione sacerdotale, “pastorale” di ogni cristiano. Ognuno di noi ha la missione di essere un portatore dell’amore di Dio. Santa Madre Teresa di Calcutta diceva: “Oggi Dio ama così tanto il mondo da dare te, da dare me per amare il mondo, per essere il suo amore, la sua compassione. È un pensiero bellissimo – ed una convinzione che tu ed io possiamo essere quell’amore e quella compassione.” In modo significativo, Madre Teresa fece notare che coloro che hanno maggiore fame e sete di Dio e del Suo amore, e coloro ai quali dobbiamo di più ... sono proprio quelli più vicini a noi. “Come possiamo amare Gesù nel mondo oggi? AmandoLo in mio marito, in mia moglie, nei miei bambini, i miei vicini, i poveri”. Infatti, sono proprio coloro con cui viviamo che ne hanno più bisogno. Poi il cerchio aperto del nostro amore a Dio ed ai familiari accoglie tutti gli altri, che Dio ci dona come prossimo.
Chi vive in modo particolare questo “cerchio aperto” dell’amore di Dio, sono le Vergini consacrate. Il “titolo” di vergine più che un’integrità fisica esprime la pienezza del dono a Dio. Esse non hanno niente di proprio. Non hanno un figlio nella carne. Esse non esistono che donandosi e per donarsi. Con la loro vita dimostrano che è possibile vivere una vita liberata dalla fatalità dell’istinto e diventano come la Madonna ostensori e tabernacoli di Cristo.
La virtù della castità non è per loro una disciplina che le rende padrone di se stesse, non soltanto una verginità fisica, ma una verginità anche spirituale che rifiuta ogni pensiero, ricordo e affetto che non sia per lui; tutto l'essere nostro si consuma in un atto di amore che ci unisce al nostro Sposo divino. E non solo la purezza, non solo la semplicità, ma anche l'umiltà; infatti, vivendo nella luce divina, avviene quello che avviene quando a mezzogiorno si vogliono guardare le stelle, e non si vedono più. E così io nella luce di Dio non mi vedo più, ho perso me stesso, non sono più nulla: egli solo è, lui solo l'Amato!
Questa virtù ha un volto, quello di Cristo che radioso le illumina e, tramite loro illumina il mondo.
Sono evangelizzatrici scelte non in base all’apparenza ma in base al cuore: “Dio non guarda ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16,7). Preghiamo il Signore che ci aiuti a “sapere” l’amore come lo insegnava S. Bernardo di Chiaravalle: “La misura di amare Dio è di amarlo senza misura", e a "innalzare l’amore del prossimo al valore di perfetta giustizia, la cui condizione è di amarlo puramente in Dio”.
1Sàpere in latino ha due significati: quello di “conoscere” e quello di “gustare”.
 
2A questo riguardo si pensi alle molte coppie sante di fratelli e sorelle nello Spirito, per esempio: San Benedetto da Norcia e Santa Scolastica, Sant’Ambrogio e Santa Marcellina, San Pacomio e Santa Maria, San Francesco d’Assisi e Santa Chiara, San Giovanni della Croce e Santa Teresa D’Avila, San Francesco di Sales e Santa Giovanna Francesca di Chantal, ecc)


Lettura patristica
Testo di San Gregorio Nazianzeno (quarto secolo)
in cui si mostra che tutti possono seguire Cristo e annunciare il suo Vangelo
Discorso 45, 23-24 ; PG 36, 654 C - 655 D

         
Diveniamo partecipi della Legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli. Sacrifichiamo non giovenchi né agnelli con corna e unghie, che appartengono più alla morte che alla vita, mancando d’intelligenza. Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull’altare celeste insieme ai cori degli angeli. Otrepassiamo il primo velo del tempio,  accostiamoci al secondo e penetriamo nel “Santo dei santi”. E più ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze di Cristo, cioè la sua passione. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri. Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
         Se sei Simone di Cirene, prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro appeso alla croce, fa’ come il buon ladrone e riconosci onestamente il tuo Dio... Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il notturne adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito. E se sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, va’ incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.”

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