Rito
romano
XIV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 7 luglio 2019
Is
66, 10-14; Sal 65; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12. 17-20
Amore
è realista
Rito
ambrosiano
VII
Domenica di Pentecoste
Gs
24,1-2a.15b-27: Sal 104; 1Ts 1,2-10: Gv 6,59-69
Solo
Dio ha parole di vita eterna.
1)
Inviati in missione
Nel
brano evangelico di questa domenica San Luca parla della missione dei
discepoli di allora e di oggi, che è uguale a quella dei Dodici
Apostoli (Lc 9,1ss) e a quella di Gesù. Il Redentore ci invia nel
mondo come agnelli, testimoni dell’Agnello che vince il male del
mondo con il dono misericordioso di sé, ponendo tre condizioni per
essere suoi veri discepoli: di esserlo nella povertà, nella gratuità
e nell’umiltà.
Nell’umiltà,
perché il discepolo non deve annunciare se stesso e le sue idee, ma
il Vangelo di Cristo, mite e umile di cuore.
Nella
gratuità, perché il Vangelo è un dono gratuito da condividere per
amore e non per calcolo.
Nella
povertà perché solo nel distacco di quello che si è e di quello
che si ha possiamo portare la ricchezza di Cristo, pienezza salvifica
d’amore e di verità. Cristo chiede di non
portare né borsa né bisaccia né sandali. Il discepolo è invitato
a non lasciarsi appesantire dai troppi bagagli e da troppe esigenze.
Un discepolo appesantito da un eccessivo benessere materiale, non
cammina più verso il mondo, diventa sedentario, conservatore,
abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per ritenere
irrinunciabile la casa nella quale si è accomodato. La povertà è
anche un segno di credibilità: mostra che il missionario confida in
Dio e non in se stesso.
In
questo cammino missionario verso tutta l’umanità c’è poi un
giudizio positivo sul cuore del mondo che attende la verità
liberante del Redentore: “La messe è molta
ma gli operai sono pochi”. Il compito è vasto: il mondo intero. Ma
questo mondo è pronto come la messe è matura. E se gli operai per
raccogliere la messe sono pochi, è necessario pregare il Padrone
della messe perché mandi altri missionari a lavorare nel grande
campo del mondo.
Da
qui la necessità della preghiera perché ci siano sempre più
numerosi missionari del Vangelo della gioia e della misericordia.
2)
Il realismo è il contrario del pessimismo.
A
chi Gesù affida il compito di portare la lieta parola di pace al
mondo che l’aspetta? A quelli che come San Pietro,
oggi come allora, Gli dicono: “Signore, da chi andremo? Tu hai
parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei
il santo di Dio” (come ci ricorda il brano evangelico del rito
ambrosiano: Gv 6, 68-69).
La
nostra comune esperienza è che gli esseri umani hanno una spinta di
attrazione verso il bene, verso cose alte, verso l’eccellenza (ad
esempio nel lavoro, negli studi, nello sport, nella letteratura
ecc.). San Paolo scrisse ai Filippesi: “Quello che è vero,
quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro,
quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e
ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”
(Fil 4.8).
Ma
la cosa più alta a cui noi esseri umani aspiriamo è l’amore.
Santa Madre Teresa di Calcutta era così certa che la “cosa più
alta” per cui siamo stati creati fosse l’amore (= cioè l’
“amare e essere amati”) che divenne Missionaria della
Carità. Questa Santa non faceva altro che riproporre con le sue
parole e la sua vita l’invito di Cristo di essere missionari della
verità e della carità, lieti perché il nostro nome è scritto nel
cuore di Dio (cfr la frase finale del brano evangelico proposto oggi
dal rito romano : Lc 10, 20).
Purtroppo,
a questa spinta verso l’alto si oppone la controspinta
del nostro peccato che ci distoglie dalla vocazione di essere amati e
di portare questo amore vero alla messe (moisson) del mondo, che
anela risollevarsi e vivere nella pace stabile, duratura e serena.
Il
mondo, oggi, cerca pace più che libertà e non c’è pace sicura
che dentro l’amore di Cristo, il cui giogo è dolce e soave. A chi
pensa che Cristo sia il profeta dei deboli, i discepoli di ieri e di
oggi portano un Vangelo che rende i calpestati più alti dei re. A
chi sostiene che la Sua è una religione di malati e di moribondi,
noi dobbiamo mostrare che Gesù guarisce gli infermi e risuscita i
“dormienti”. A chi dice che Lui è contro la vita, noi annunciamo
che Lui vince la morte. Il Figlio di Dio non è il Dio della
tristezza e esorta i suoi a essere lieti e promette un eterno
banchetto di gioia ai suoi amici.
Nell’odierno
brano evangelico romano Cristo invita a pregare perché il Padre
mandi operai alla messe che è pronta, matura. E di Gesù possiamo
dire tutto ma non che non fosse realista: Lui non era certamente né
un illuso, né un deluso: guardava il mondo in modo divino. Ma per
essere suoi discepoli non basta questa sguardo positivo. Per essere
suoi discepoli che vanno nella case e nelle periferie del mondo (come
ama ripetere spesso Papa Francesco) è necessario che noi sappiamo
che cosa è l’amore, in modo da poter distinguere il vero amore dal
falso amore. E’ necessario sapere come ognuno di noi sa amare nelle
circostanze della propria vita – nel qui ed ora della nostra
ordinaria vita quotidiana.
Naturalmente
ogni definizione è incompleta quando parliamo dell’amore, e c’è
sempre qualcosa in più che si può dire al riguardo. Ma comprendiamo
meglio l’amore e lo impariamo di più quando lo incontriamo. Madre
Teresa di Calcutta, missionaria della carità e della pace, insegna:
“L’amore non è parlare, l’amore è vivere. Si può parlare
di amore tutto il giorno e non amare nemmeno una volta.” Avendo
avuto il dono di incontrala abbastanza spesso posso testimoniare del
suo amore e del suo esempio. Una volta le fu chiesto in
un’intervista: “Potrebbe dirci che cosa è in verità l’amore
?” Madre Teresa rispose prontamente: “Amare è dare. Dio
ha tanto amato il mondo da dare Suo Figlio. Gesù ha tanto amato il
mondo, ha tanto amato te, ha tanto amato me da dare la Sua vita per
noi. Ed Egli vuole che noi amiamo come Lui ha amato. E così ora
anche noi dobbiamo dare fino a che fa male. L’amore autentico è un
dare, e dare fino a che fa male.”. Ed una volta feci questa
domanda ad una semplice suora di Madre Teresa: “Suora è vero che,
come la Madre, fate tutto per amore?”, e questa suora girò con
semplicità il palmo della mano destra verso l’alto predire con un
umile gesto: “E’ ovvio”. E con la bocca aggiunse: “E’
naturale” e riprese il suo “apostolato” sbucciando le
patate per la mensa dei poveri.
San
Giovanni Paolo II, che –secondo me- è come un fratello spirituale
di Madre Teresa2,
parlava della “legge del dono” iscritta nella nostra natura
umana: la realizzazione umana e la felicità si raggiungono vivendo
questa “legge” come egli si espresse, “essere
dando sé stessi”.
E’
un paradosso insito nella nostra vita, se noi ci rivolgiamo a Dio e
agli altri (il nostro prossimo) allora il frutto è la nostra
realizzazione e felicità; ma se noi ci focalizziamo sulla nostra
felicità e realizzazione (in modo egoistico, “prima io”) allora
non raggiungeremo mai né felicità né autorealizzazione.
Madre
Teresa espresse ciò in modo eccellente: “L’amore è una via a
senso unico. Allontana da se stessi verso l’altro. L’amore è il
dono finale di sé stessi all’altro. Quando smettiamo di dare,
smettiamo di amare, quando smettiamo di amare smettiamo di crescere,
e solo crescendo otteniamo una realizzazione personale. Se non
amiamo, non ci apriremo mai ad accogliere la vita di Dio. E’ con
l’amore che incontriamo Dio.”
La
pratica della carità (quindi l’attività apostolica, missionaria),
è alla portata di ogni cristiano in qualsiasi stato di vita si
trovi. E’ la vocazione sacerdotale, “pastorale” di ogni
cristiano. Ognuno di noi ha la missione di essere un portatore
dell’amore di Dio. Santa Madre Teresa di Calcutta diceva: “Oggi
Dio ama così tanto il mondo da dare te, da dare me per amare il
mondo, per essere il suo amore, la sua compassione. È un pensiero
bellissimo – ed una convinzione che tu ed io possiamo essere
quell’amore e quella compassione.” In modo significativo,
Madre Teresa fece notare che coloro che hanno maggiore fame e sete di
Dio e del Suo amore, e coloro ai quali dobbiamo di più ... sono
proprio quelli più vicini a noi. “Come possiamo amare Gesù nel
mondo oggi? AmandoLo in mio marito, in mia moglie, nei miei bambini,
i miei vicini, i poveri”. Infatti, sono proprio coloro con cui
viviamo che ne hanno più bisogno. Poi il cerchio aperto del nostro
amore a Dio ed ai familiari accoglie tutti gli altri, che Dio ci dona
come prossimo.
Chi
vive in modo particolare questo “cerchio aperto” dell’amore di
Dio, sono le Vergini consacrate. Il “titolo” di vergine più che
un’integrità fisica esprime la pienezza del dono a Dio. Esse non
hanno niente di proprio. Non hanno un figlio nella carne. Esse non
esistono che donandosi e per donarsi. Con la loro vita dimostrano che
è possibile vivere una vita liberata dalla fatalità dell’istinto
e diventano come la Madonna ostensori e tabernacoli di Cristo.
La
virtù della castità non è per loro una disciplina che le rende
padrone di se stesse, non soltanto una verginità fisica, ma una
verginità anche spirituale che rifiuta ogni pensiero, ricordo e
affetto che non sia per lui; tutto l'essere nostro si consuma in un
atto di amore che ci unisce al nostro Sposo divino. E non solo la
purezza, non solo la semplicità, ma anche l'umiltà; infatti,
vivendo nella luce divina, avviene quello che avviene quando a
mezzogiorno si vogliono guardare le stelle, e non si vedono più. E
così io nella luce di Dio non mi vedo più, ho perso me stesso, non
sono più nulla: egli solo è, lui solo l'Amato!
Questa
virtù ha un volto, quello di Cristo che radioso le illumina e,
tramite loro illumina il mondo.
Sono
evangelizzatrici scelte non in base all’apparenza ma in base al
cuore: “Dio non guarda ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda
l'apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam 16,7).
Preghiamo il Signore che ci aiuti a “sapere” l’amore come lo
insegnava S. Bernardo di Chiaravalle: “La misura di amare Dio è
di amarlo senza misura", e a "innalzare l’amore
del prossimo al valore di perfetta giustizia, la cui condizione è di
amarlo puramente in Dio”.
1Sàpere
in latino ha due significati: quello di “conoscere”
e quello di “gustare”.
2A questo riguardo si pensi alle molte coppie sante di fratelli e sorelle nello Spirito, per esempio: San Benedetto da Norcia e Santa Scolastica, Sant’Ambrogio e Santa Marcellina, San Pacomio e Santa Maria, San Francesco d’Assisi e Santa Chiara, San Giovanni della Croce e Santa Teresa D’Avila, San Francesco di Sales e Santa Giovanna Francesca di Chantal, ecc)
Lettura
patristica
Testo
di San Gregorio Nazianzeno (quarto secolo)
in
cui si mostra che tutti possono seguire Cristo e annunciare il suo
Vangelo
Discorso
45, 23-24 ; PG 36, 654 C - 655 D
“Diveniamo partecipi
della Legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in
modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non
precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la
Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene
calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli.
Sacrifichiamo non giovenchi né agnelli con corna e unghie, che
appartengono più alla morte che alla vita, mancando d’intelligenza.
Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull’altare celeste insieme ai
cori degli angeli. Otrepassiamo il primo velo del tempio,
accostiamoci al secondo e penetriamo nel “Santo dei santi”. E più
ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre
attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le
nostre sofferenze imitiamo le sofferenze di Cristo, cioè la sua
passione. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono
infatti i suoi chiodi, benché duri. Siamo pronti a patire con Cristo
e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se
sei Simone di Cirene, prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro
appeso alla croce, fa’ come il buon ladrone e riconosci onestamente
il tuo Dio... Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a
colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua
propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il
notturne adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli
unguenti di rito. E se sei una delle Marie, spargi al mattino le tue
lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, va’
incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.”
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