Rito
Romano
Settimana
Santa
Domenica
delle Palme e della Passione – Anno C – 14 aprile 2019
Is
50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23.56
Rito
Ambrosiano
Settimana
Autentica
Domenica
della Palme nella Passione del Signore
Is
52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
1)
Camminare con Cristo condividendo il suo amore appassionato.
Con
la Domenica delle Palme la Chiesa ci fa entrare nella Settimana
Santa, la settimana nella quale il Signore Gesù si avvia verso il
compimento della sua missione della sua vicenda terrena. Il Redentore
sale a Gerusalemme per portare a compimento la Santa Scrittura e per
essere appeso sulla croce, il trono di legno da cui regnerà per
sempre, attirando a sé l’umanità di ogni tempo e offrendo a tutti
il dono della redenzione. Il Vangelo ci insegna che Gesù si era
incamminato verso Gerusalemme insieme ai Dodici, e che a poco a poco
si era associata a loro una schiera crescente di pellegrini.
Che
cosa facciamo veramente quando ci inseriamo, pellegrini con Cristo,
in tale processione – nella schiera di quelli che salivano a
Gerusalemme insieme con Gesù e Lo acclamavano come re di Israele? È
qualcosa di più di una cerimonia commovente. Ha forse a che fare con
la vera realtà della nostra vita, del nostro mondo? Per trovare la
risposta a queste domande, dobbiamo innanzitutto chiarire che cosa
Gesù stesso abbia in realtà voluto e fatto. Dopo la professione di
fede, che Pietro aveva fatto a Cesarea di Filippo, situata nel nord
della Terra Santa, il Messia si era messo in cammino come pellegrino
verso Gerusalemme per le festività della Pasqua ebraica. È in
cammino verso il tempio nella Città Santa, verso quel luogo che per
Israele assicurava in modo particolare la vicinanza di Dio al suo
popolo. Il Redentore sta camminando verso la celebrazione della
Pasqua, memoriale della liberazione dall’Egitto e segno della
speranza nella liberazione definitiva. Lui sa che una nuova Pasqua lo
aspetta e che prenderà il posto degli agnelli immolati, offrendo se
stesso sulla Croce. Sa che, nei doni misteriosi del pane e del vino,
si donerà per sempre ai suoi, aprirà loro la porta verso una nuova
via di liberazione, verso la comunione con il Dio vivente. È in
cammino verso l’altezza della Croce, verso il momento dell’amore
che si dona. Il termine ultimo del suo pellegrinaggio è l’altezza
di Dio stesso, alla quale Lui vuole sollevare l’essere umano. Per
questo versa il suo sangue fino all’ultima goccia.
All’ascolto
della Passione sanguinosa di Cristo un guerriero ha detto una delle
frasi più forti che siano uscite da una bocca cristiana. Mentre
leggevano la storia della Passione, il Re Clodoveo sospirava e
piangeva. A un tratto, questo re guerriero non potè più resistere e
impugnando la spada gridò: “Fossi stato là io, con i miei
Franchi”. Parola di soldato e di violento, che contraddice le
parole di Cristo a Pietro, che anche lui aveva preso la spada e
tagliato l’orecchio a uno di quelli che erano venuti per far patire
Gesù. Parola ingenua, parola di soldato e di violento
neo-convertito, ma bella di tutta l’assurda bellezza di un amore
candido e vigoroso.
Non
basta piangere su chi non ha dato soltanto lacrime, a meno che sia un
pianto come quello della Madonna, che ha accettato che la spada del
dolore la trafiggesse al punto tale da accettare la morte di suo
Figlio e accettare noi come suoi figli; a meno che sia un pianto come
quello di Pietro.
Combattiamo
la buon battaglia con Cristo e per Cristo, trasformando la spada di
Pietro (ed anche quella di Clodoveo) in Croce.
-
su di essa Gesù - la Vita – si è
offerto alla
morte per amore nostro, perché viviamo in eterno nel Padre nostro
che è nei cieli;
-
con essa Gesù ci ricorda l'ammonimento
di carità: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è
degno di me»;
-
sotto di essa Gesù cade tre volte perché noi
siamo resi capaci di rialzarci in virtù della sua croce, e non ci
sgomenti;
-
da essa Gesù è temporaneamente
liberato dal Cireneo, per aiutarci a scorgere Lui nel nostro prossimo
e sollevarlo dal peso della croce; al tempo stesso si lascia
asciugare il volto
dalla Veronica, perché impariamo
che, asciugando pietosamente le pene altrui, rimane impressa in noi
l'immagine del Salvatore;
-
in essa confitto Gesù,
non potendo far più nulla, fa tutto: sigilla l’Alleanza di
misericordia, ci libera dalla colpa e dalla morte, e ci lascia queste
sue ultime parole da usare come armi nella lotta della vita: «Padre,
perdona loro, perché non sanno quello che si fanno» - «Donna, ecco
tuo figlio. Ecco la madre tua». - «In verità ti dico: oggi sarai
con me in Paradiso». - «Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?» - «Ho sete». - «È compiuto». - «Padre, rimetto
il mio spirito nelle tue mani».
2)
Commemorazione di un dramma.
Per
essere più precisi questo paragrafo dovrebbe essere intitolato la
commemorazione liturgica del dramma di uno che entra nella città di
Gerusalemme festeggiato come un re, che pochi giorni dopo ne esce
come condannato a morte, ma che vi ritorna vivo, di una vita perenne.
Una
commemorazione che è partecipazione del dramma, come accade nella
Santa Messa con la liturgia della Parola e quella eucaristica.
La
liturgia della Parola oggi ci offre il racconto della passione in san
Luca, che la presenta come la tappa conclusiva del cammino di Gesù
(cfr Lc 9,51) che dalla Galilea lo ha portato fino a
Gerusalemme (cfr. anche Lc 9,31; 13,32) e più profondamente
la fine della sua vita terrena e della sua missione e insieme il
passaggio verso la gloria, la resurrezione.
Questa strada
comporta la sofferenza e la croce, considerate come necessarie (cfr
Lc 17,25; 24,26), ed è cammino che Gesù ha percorso per
primo, come modello per i cristiani. La passione di Cristo è pure
l'ultimo, duro e aspro confronto con il demonio che, apparentemente
più forte (cfr Lc 22,53), verrà sconfitto.
Nel
Vangelo secondo San Luca il significato salvifico della morte di Gesù
è espresso con caratteristiche ellenistiche non semite; non insiste
quindi sul carattere espiatorio della croce, ma piuttosto sulla
vittoria della resurrezione. Essa è legata alla morte che resta il
luogo dell'obbedienza di Gesù Figlio al Padre (cfr Lc 9,22;
13,33; 17,25; 22,37; 24,7.26), e anche dell'effusione dello
Spirito.
Luca vuole dirci che con il suo comportamento Gesù ha
aperto una via salvifica per ogni uomo, la sua passione costituisce
inoltre un invito alla conversione per tutti (Lc 23,47-48),
sottolineando la misericordia divina (Sant’Ambrogio di Milano
chiama quello di Luca: Vangelo della Misericordia). Infatti questo
Evangelista narra alcuni particolari della passione compassionevole
di Gesù: nonostante la sofferenza provocata dalla Croce che sta
portando, , Gesù si preoccupa delle donne che lo seguono sulla via
al Calvario (Lc 23, 27-31); giustifica presso il Padre i suoi
crocifissori e chiede che li perdoni (cfr Lc 23, 34); promette
al ladrone pentito di riservargli un posto con sé, in paradiso (cfr
Lc 23, 43).
Egli
presenta, inoltre, Gesù che consegna al Padre il suo spirito, con
piena fiducia nei suoi insondabili disegni: “rese lo spirito”.
Contempliamo Gesù morto, dal cui costato trafitto
fluirono sangue e acqua, il battesimo con l'eucaristia, i sacramenti
della redenzione, guardiamolo deposto dalla croce nel grembo della
Madre, perché ella dall'amore del suo dolore riversasse su di noi
universalmente tutte le grazie. E’ come una Messa. In effetti
fin dai suoi inizi la Chiesa vide in questo scenario la
rappresentazione anticipata di ciò che ella fa nella liturgia. Per
la Chiesa primitiva la “domenica delle Palme” non era una cosa
del passato. Come il Signore allora era entrato nella Città Santa,
montando un asino, così la Chiesa lo vedeva arrivare di nuovo e
sempre sotto le umili specie del pane e del vino.
La
Chiesa saluta il Signore nella santa Eucaristia come colui che viene
ora, che è entrato in mezzo a lei. E, allo stesso tempo, ella Lo
saluta come colui che dimora sempre, colui che viene e ci prepara
alla sua venuta. Come pellegrini, andiamo verso di Lui, egli ci viene
incontro e ci associa alla sua “salita” verso la Croce e la
Risurrezione, verso la Gerusalemme definitiva che, nella comunione al
suo Corpo, sta già crescendo in mezzo a questo mondo. (Benedetto
XVI – Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Vol. II, p 24).
Nella
Messa vinciamo ciò che ci divide da Cristo, ci incorporiamo a Lui,
uomini nuovi
nella santità, ascoltiamo il grido di richiamo alla verità
della sua pace e del suo amore. Accogliamo Cristo nel cuore nostro,
come la Vergine Madre.
In
ciò sono di testimonianza le Vergine Consacrate, che ci danno anche
l’esempio di una vita completamente
donata a Cristo nell’amore per lui, nella fiducia in lui, nella sua
forza.
Nel
loro rito di consacrazione inoltre è presentato l’incenso
(segno dell’incessante preghiera che il consacrato è chiamato a
innalzare,
la
croce (segno da portare sempre per ricordare a sé e agli altri la
passione di Cristo) e la candela (oppure la lampada, segno della
fedeltà a Cristo anche quando il Signore chiede di partecipare alla
sua passione).
La
verginità non è possibile nella nostra vita senza il sacrificio.
Occorre che in noi maturi un distacco progressivo da una modalità di
possesso istintiva a uno sguardo che ami e rispetti l'altro nel suo
essere creatura di Dio. In questo distacco dall'istintività
sperimentiamo l'alba di una nuova vita. È l'esperienza del centuplo
promessa da Gesù già durante questa esistenza.
È
essenziale alla verginità il suo essere testimonianza, “martirio”,
termine greco che vuol dire “testimone” e che ha come radice il
verbo “mimnesko” che vuol dire “ricordare”, cioè fare
memoria di Cristo che
si è fatto incontro a noi e che con la sua passione ci ha mostrato
quanto grande fosse il suo amore appassionato per noi. Passione
perché Cristo possa essere conosciuto anche dagli altri e
trasformare la loro vita, così che il mondo possa essere più umano.
La verginità è una modalità di vita che grida il nome di Cristo,
che grida Cristo come unica ragione e unica possibilità di pienezza
nell'esistenza. Essa è il vertice dell'amore, è la nostra risposta
alla predilezione di Cristo, dentro la quale s'impara ad amare tutto
il resto.
Nel
De sacra virginitate Sant’Agostino
esorta le vergini a contemplare la bellezza di Cristo (De
s. virg. 54,55): Contemplate
la bellezza del vostro amante, pensate a Cristo uguale al Padre e
suddito alla madre, cioè nella sua umanità e nella sua divinità;
contemplatelo dominatore dei cieli e servo sulla terra, contemplatelo
creatore di tutte le cose e creato egli stesso tra le cose. Quello
stesso che i superbi deridono contemplate quanto sia bello. E
qui si riferisce a Cristo crocifisso: vuol dire cioè che la
Passione di Cristo ha anch’essa una stupenda bellezza, una bellezza
certo non esteriore. Con gli occhi
interiori dello spirito contemplate le cicatrici di chi pende dalla
croce, il sangue di chi muore, il prezzo di chi si dona e lo scambio
ineffabile che compie colui che ci redime.
Pagina questa stupenda di spiritualità che ha come suo centro il
contemplare e
Cristo è l’oggetto della nostra contemplazione. Questo è
l’atteggiamento proprio di ogni cristiano. Ma nella contemplazione
a Cristo c’è un motivo particolare di amore, così come qui c’è
un particolare motivo di considerare Cristo come l’unico oggetto,
pieno, totale, esclusivo della nostra gioia.
Lettura
Patristica
DALLE
"ESPOSIZIONI SUI SALMI" DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (En.
in Ps. 61, 22)
Sui
beni che ci ha recati la passione di Cristo.
“Sí,
fratelli, era necessario il sangue del giusto perché fosse cassata
la sentenza che condannava i peccatori. Era a noi necessario un
esempio di pazienza e di umiltà; era necessario il segno della croce
per sconfiggere il diavolo e i suoi angeli (cf. Col 2, 14.
15). La passione del Signore nostro era a noi necessaria; infatti,
attraverso la passione del
Signore, è stato riscattato il mondo. Quanti beni ci ha arrecati la
passione del Signore! Eppure la passione di questo giusto non si
sarebbe compiuta se non ci fossero stati gli iniqui che uccisero il
Signore. E allora? Forse che il bene che a noi è derivato dalla
passione del Signore lo si deve attribuire agli empi che uccisero il
Cristo? Assolutamente no. Essi vollero uccidere, Dio lo permise. Essi
sarebbero stati colpevoli anche se ne avessero avuto solo
l'intenzione; quanto a Dio, però, egli non avrebbe permesso il
delitto se non fosse stato giusto.
Che
male fu per il Cristo l'essere messo a morte? Malvagi furono certo
quelli che vollero compiere il male; ma niente di male capitò a
colui che essi tormentavano. Venne uccisa una carne mortale, ma con
la morte venne uccisa la morte, e a noi venne offerta una
testimonianza di pazienza e presentata una prova anticipata, come un
modello, della nostra resurrezione. Quanti e quali benefici
derivarono al giusto attraverso il male compiuto dall'ingiusto!
Questa è la grandezza di Dio: essere autore del bene che tu fai e
saper ricavare il bene anche dal tuo male. Non stupirti, dunque, se
Dio permette il male. Lo permette per un suo giudizio; lo permette
entro una certa misura, numero e peso. Presso di lui non c'è
ingiustizia. Quanto a te, vedi di appartenere soltanto a lui, riponi
in lui la tua speranza; sia lui il tuo soccorso, la tua salvezza; in
lui sia il tuo luogo sicuro, la torre della tua fortezza. Sia lui il
tuo rifugio, e vedrai che non permetterà che tu venga tentato oltre
le tue capacità (cf. 1
Cor 10, 13); anzi, con
la tentazione ti darà il mezzo per uscire vittorioso dalla prova. È
infatti segno della sua potenza il permettere che tu subisca la
tentazione; come è segno della sua misericordia il non consentire
che ti sopravvengano prove più grandi di quanto tu possa tollerare.
Di Dio infatti è la potenza, e tua, Signore, è la misericordia; tu
renderai a ciascuno secondo le sue opere.”
IN
BREVE...
Si celebra
la passione del Signore: è tempo di gemere, tempo di piangere, tempo
di confessare e di pregare. Ma chi di noi è capace di versare
lacrime secondo la grandezza di tanto dolore? (En.
in Ps. 21, 1)
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