V
Domenica di Quaresima – Anno C - 7 aprile 2019
Rito
Romano
Is
43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Rito
Ambrosiano
V
Domenica di Quaresima di Lazzaro
Dt
6,4a;26,5-11; Sal 104; Rm 1,18-23a; Gv 11,1-53
-
Amare è perdonare e perdonare è amare.
Grazie
al Vangelo di Domenica scorsa, abbiamo contemplato l'abbraccio del
Padre misericordioso, che, col suo amore, stringe a sé e riabilita
il figlio prodigo che era andato lontano da casa, e aveva sciupato,
non solo l’eredità pretesa in anticipo, ma anche la sua dignità
d’uomo.
Oggi,
contempliamo Gesù che scrive per terra, chinando lo sguardo per non
ferire la donna adultera neppure con lo sguardo.
Forse
ha scritto sulla polvere i peccati di un’umanità fragile,
certamente con il suo gesto ha scritto la legge del perdono sul cuore
di una donna assetata di vita, il cui peccato la condannava alla
lapidazione.
Se
non sbaglio ci sono due momenti in cui nella Bibbia si parla del dito
di Dio che scrive. Uno quando sul Monte Sinai questo “dito”
scrive i comandamenti sulle tavole di pietra perché li dia agli
Ebrei. L’altro è quando sul Monte Sion il dito di Cristo
scrive sul pavimento dell’atrio del Tempio.
Come
è bello, come è profondo questo gesto di Gesù. Sembra il gesto di
un bambino, o di un innamorato sulla sabbia del mare.
Che
cosa scrisse Gesù? Nessuno può dirlo con certezza. Tuttavia è
possibile dire che Gesù per scrivere si è abbassato ed ha toccato
la terra, si è messo a livello della donna. In questo gesto,
profondamente semplice, c’è una profonda teologia: Dio nella carne
del Figlio è venuto a toccare la nostra terra. Tutto è terreno
davanti a Gesù, ma Lui tocca la terra per riportarla nell’orbita
del cielo.
Con
la mente e il cuore immaginiamoci di essere presenti alla scena
descritta nel Vangelo della liturgia romana di oggi. Vediamo Gesù
nel tempio al mattino e la gente che va da lui. Lui si siede (il
testo greco usa kathizo: gesto del maestro che si siede in cattedra
per insegnare) ed ecco che arrivano alcuni scribi e farisei con una
donna, gliela buttano ai suoi piedi e gli chiedono “Maestro,
questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè,
nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne
dici?”. I farisei e gli scribi vogliono che le pietre della
lapidazione “rimbalzino” dall’adultera a Cristo, che non
risponde immediatamente alla domanda che Gli è posta come trappola
mortale.
In
effetti, se avesse contestato la legge mosaica, per salvare la sua
reputazione di uomo buono, mansueto come un agnello (la passione è
vicina), avrebbero lapidato anche Lui come anti-Dio.
Se
avesse confermato la condanna, avrebbe messo delle pietre tombali sul
suo messaggio di misericordia.
Inoltre,
se da una parte Gesù non poteva legittimare il peccato, dall’altra
–credo- che detestasse l’accanimento degli spietati, l’impudenza
dei peccatori che volevano ergersi a giudici dei peccati degli altri.
Cristo
non cade nel tranello e risolve il dilemma tra giustizia e condono:
Lui perdona. Lui non rinnega la Legge, svela il volto di tenerezza e
di misericordia di un Dio che ama il suo popolo perché a sua volta
impari ad essere misericordioso. Così fa risplendere ancor di più
la vera e lieta notizia del Vangelo che è misericordia, cioè
giustizia che ricrea.
Per
insegnare la misericordia, Gesù scrive sulla terra, come per
indicare che le parole degli accusatori hanno per lui
l’inconsistenza della polvere, mentre incide il suo perdono sul
cuore dell’adultera e oggi sul nostro cuore che è diventato di
carne grazie al dolore del peccato. E, Lui, il solo senza peccato,
dice “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, per
dire che chi vuole l’applicazione della legge, deve prima
applicarla a se stesso, per ricordare che pure gli accusatori erano
peccatori. Quando la donna fu portata da Gesù, Lui chinò gli occhi
per non ferire l’adultera neppure con lo sguardo. Dopo averla
perdonata, volse i Suoi occhi verso di lei e questa adultera capì
che Cristo vedeva in lei una grandezza ed una dignità che il peccato
non può distruggere, e l’interpellò con titolo che usava per Sua
madre, Maria: “Donna”, alle nozze di Cana e sulla Croce, segno
supremo della misericordia di Dio.
2)
Una questione di sguardo.
Per
imparare questa misericordia, dobbiamo guardare a Cristo con gli
occhi pieni di riconoscenza come certamente fece questa donna
peccatrice salvata dallo stupefacente perdono assoluzione del
Redentore: “Donna, non ti condanno”. In questo modo anche
a ciascuno di noi Gesù dirà: “Va' in pace e non peccare più”.
Gli occhi puri di Cristo e quelli imploranti dell’adultera si sono
incrociati. Cristo ha visto in lei la bellezza originaria della sua
anima, anche se offuscata dal peccato. La donna, i cui occhi
dell’anima erano stati resi puri dal perdono, ha visto il cielo, di
cui gli occhi del Salvatore sono le finestre.
Alla
luce di questo incontro facciamo nostra la preghiera d’inizio della
Messa di oggi, con la quale il Sacerdote prega così: “Signore
che rinnovi in Cristo tutte le cose” compresa la nostra
miseria, fa’ fiorire “nel nostro cuore il canto della
gratitudine e della gioia”.
La
luce degli occhi di Cristo si rifletterà nei nostri e noi avremmo
sguardi puri e grati, come è chiesto alla Vergini consacrate, la cui
presenza fa alzare lo sguardo, richiama alla realtà più vera verso
la quale tutti siamo incamminati. Le Vergini consacrate si donano a
Dio e ci ricordano che è importante avere uno sguardo contemplativo.
Con loro e con tutta la Chiesa preghiamo perché anche per noi con
gli occhi alzati siamo riempiti di luce e di riconoscenza, che si fa
donazione di amore, servizio di amore (RCV n 24, verso la fine della
preghiera di consacrazione).
3)
L’amore risuscita.
Se
il Vangelo scelto dalla liturgia romana di oggi ci fa celebrare
l’amore che perdona, quello scelto dalla liturgia ambrosiana ci
insegna l’amore che fa risuscitare, proponendoci l’episodio
della risurrezione di Lazzaro.
Gesù
e Lazzaro si volevano fraternamente bene. Il Messia andava spesso a
casa di quest’uomo e delle sue due sorelle, Marta e Maria, e con
loro consumava dei pasti, in vera amicizia. Stranamente - dal nostro
punto di vista - quando dicono a Gesù che Lazzaro si era ammalato,
Lui aspetta un paio di giorni prima di andare a casa dell’amico e
quando arriva questi è morto. Le due sorelle del morto rimproverano
Gesù, ripetendo una dopo l’altra: “Se tu fossi stato qui, mio
fratello non sarebbe morto”. Cristo, più che per il
rimprovero, resta addolorato per la poca fede di persone che gli sono
care e, piangendo chiede: “Dove l’avete messo?”. Insieme
andarono al sepolcro e Gesù, fatta togliere la pietra tombale,
richiamò alla vita l’amico.
Per
quel che sappiamo dai Vangeli e se non vado errato, tre solamente
sono i morti risuscitati da Cristo: il figlio della vedova di Naim,
la figlia di Giairo e Lazzaro. E non compie questi tre miracoli per
manifestare la sua potenza e impressionare la gente. Mi pare che Gesù
sia mosso unicamente dal dolore straziante di chi amava quei morti:
per consolare una madre, un padre e due sorelle. Un’altra
osservazione, secondo me, importante: in tutte e tre i casi Gesù
parla del morto non come se fosse morto ma soltanto addormentato. Del
figlio della vedova, non ha tempo di parlare perché la decisione è
troppo immediata. Ma anche a lui dice, come a un ragazzo pigro che
resta a letto passata l’ora: “Ragazzo, dico a te: levati!”.
Quando gli dicono che la bambina di Giairo è morta, risponde: “Non
è morta, ma dorme”. Quando gli confermano la morte di Lazzaro,
insiste: “Non è morto, ma dorme”. La Morte per Lui non è che un
Sonno. Un sonno più profondo del sonno comune e giornaliero, ma così
profondo che soltanto un Amore sovrumano lo rompe. Amore interpellato
dall’amore dei sopravvissuti. Amore di uno che piange quando vede
il pianto di quelli che ama. Chiamando i morti “dormienti”, ci
insegna che la morte con lui non ha più l’ultima parola sulla
vita, perché il “sonno” non blocca definitivamente la vita. Ci
insegna pure che il Suo Amore unito all’amore di chi soffre è più
forte della morte e ridesta i “dormenti”.
La
consolante affermazione di San Giovanni della Croce: “Alla sera
della vita saremo giudicati sull’amore” potrebbe essere
completata così: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore
e ridestati dall’Amore nel giorno senza fine”. Dunque, con la
preghiera, il digiuno e l’elemosina apriamo sempre più gli occhi
del cuore per riconoscere quanto può l’Amore, che è Provvidenza
per noi e per il mondo intero. Preghiamo più spesso la Madonna e
prepariamoci a vivere con lei la Pasqua di Risurrezione di suo
Figlio, fratello nostro, Lui che è solo Amore.
4)
Le vergini consacrate e l’episodio dell’adultera.
L’insegnamento
che per le vergini consacrate viene dal fatto dell’adultera ce lo
rende chiaro Sant’Agostino d’Ippona. Questo grande Santo, al
termine del suo commento all’episodio dell’adultera, conclude che
le anime, che non hanno commesso i peccati, devono ringraziare il
Signore perché, se non li hanno commessi, ciò è avvenuto per un
dono della grazia divina. È il celebre testo del II secondo libro
delle C, in cui Sant’Agostino scrive chiaramente : Dio ci
rimette anche i peccati che non abbiamo commesso. Rileggere in
proposito il De sacra virginitate al n. 4l e 42, perché
Agostino in questi capitoli ne discute ampiamente. Egli vuole trovare
la ragione per cui le vergini consacrate, stabilendo un paragone tra
la loro condotta, irreprensibile sul piano della vita spirituale e
cristiana, e la condotta di quelli la cui vita morale non è
altrettanto irreprensibile, abbiano un motivo di orgoglio che faccia
loro dire: Noi non siamo come loro. Agostino non vuole la
simulazione dell’umiltà e dice: La simulazione dell’umiltà è
la più grande superbia. Simulazione dell’umiltà vuol dire
umiltà a parole, umiltà con occhi bassi e nulla più; spesso è o
diventa in realtà maggiore superbia. Le vergini consacrate devono
umilmente imitare l’adultera ne dans sa douleur et nel suo
abbandono totale a Cristo che da il suo perdono a una donna che ha
avuto piena confidenza nella sua immensa misericordia.
.
Lettura
patristica
S. Agostino d’Ippona (354 – 430)
OMELIA 33
La donna adultera.
Il
Signore ha condannato il peccato, non l'uomo. Bisogna tenerne conto
per non separare, nel Signore, la verità dalla bontà. Il Signore è
buono e retto. Amalo perché è buono, temilo perché è retto.
1.
La vostra Carità ricorda che nel precedente discorso, prendendo
spunto dal brano evangelico, vi abbiamo parlato dello Spirito Santo.
Il Signore aveva invitato i credenti in lui a bere lo Spirito Santo,
parlando in mezzo a coloro che avevano intenzione di prenderlo e
volevano ucciderlo, ma non ci riuscivano perché egli ancora non
voleva. Appena ebbe detto queste cose, nacque tra la folla un forte
dissenso intorno a lui. Alcuni sostenevano che egli era il Cristo,
mentre altri facevano osservare che il Cristo non poteva venire dalla
Galilea. Coloro poi che erano stati mandati ad arrestarlo,
ritornarono con le mani pulite e pieni di ammirazione per lui.
Resero, anzi, testimonianza alla sua divina dottrina, quando alla
domanda di quelli che li avevano mandati: Perché
non lo avete condotto?, essi risposero:
Nessun uomo ha mai parlato come parla
costui. Egli infatti aveva parlato così
perché era Dio e uomo. Tuttavia i farisei, rifiutando la
testimonianza delle guardie, replicarono: Anche
voi siete stati sedotti? Vediamo
infatti che vi siete deliziati dei suoi discorsi. C'è
forse alcuno dei capi o dei farisei che gli
abbia creduto? Ma questa
gentaglia, che non conosce la legge, è maledetta!
(Gv 7, 45-49). Quelli che non conoscevano la legge, credevano in
colui che aveva dato la legge; egli invece veniva disprezzato da
quelli che insegnavano la legge, affinché si adempisse ciò che il
Signore stesso aveva detto: Io sono
venuto perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono
diventino ciechi (Gv 9, 39). Ciechi
infatti son diventati i dottori farisei, mentre sono stati illuminati
i popoli che non conoscevano la legge, ma che hanno creduto
nell'autore della legge.
2.
Tuttavia uno dei farisei, Nicodemo
- quello che si era recato da Gesù di notte, e che probabilmente non
era incredulo ma soltanto timido, e perciò si era avvicinato alla
luce di notte, perché voleva essere illuminato pur avendo paura di
essere riconosciuto -, rispose ai
Giudei: La nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo
ascoltato e di sapere ciò che fa? Perversi
com'erano, volevano condannarlo prima di conoscerlo. Nicodemo infatti
sapeva, o almeno era persuaso, che se essi avessero avuto soltanto la
pazienza di ascoltarlo, probabilmente avrebbero fatto come quelli
che, mandati per arrestarlo, avevano preferito credere in lui. Gli
risposero, seguendo i pregiudizi del
loro animo: Saresti anche tu galileo?
Cioè, anche tu sei stato sedotto dal
Galileo? Il Signore infatti era chiamato Galileo, perché i suoi
genitori erano di Nazaret. Ho detto genitori riferendomi a Maria, non
al padre: Gesù ha cercato in terra solo una madre, poiché aveva già
in cielo il Padre. La sua nascita infatti fu mirabile in ambedue i
sensi: divina senza madre e umana senza padre. E cosa dissero quei
sedicenti dottori della legge a Nicodemo? Studia
le Scritture, e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea. Ma
il Signore dei profeti era sorto proprio dalla Galilea. E
ciascuno - nota l'evangelista - tornò
a casa sua (Gv 7, 50-53).
3.
Gesù, poi, se ne andò al monte degli Ulivi, al
monte dei frutti, al monte dell'olio, al monte dell'unzione. Poteva
trovare, il Cristo, per insegnare, luogo più adatto del monte degli
Ulivi? Il nome Cristo infatti viene dalla parola greca chrisma,
che tradotto significa "unzione".
Egli infatti ci ha unti per fare di noi dei lottatori contro il
diavolo. All'alba, però, era di nuovo
nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, seduto, insegnava
ad essi (Gv 8, 1-2). E nessuno poteva
prenderlo perché non era ancora giunta l'ora della sua passione.
[Verità,
bontà e giustizia.]
4.
Osservate ora fino a che punto i suoi nemici misero alla prova la
mansuetudine del Signore. Allora gli
scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e,
postala nel mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata colta
in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di
lapidarle queste tali. Tu che cosa dici? Questo dicevano per metterlo
alla prova, onde avere di che accusarlo
(Gv 8, 3-6). Accusarlo di che? Forse che avevano sorpreso pure lui in
qualche delitto, oppure si poteva dire che quella donna aveva avuto a
che fare con lui? In che senso allora essi volevano
metterlo alla prova, per avere di che accusarlo? Abbiamo
modo di ammirare, o fratelli, la straordinaria mansuetudine del
Signore. Anche i suoi avversari fecero esperienza della sua grande
mitezza, della sua mirabile mansuetudine, secondo quanto di lui era
stato predetto: Cingiti la spada al
fianco, potentissimo; e maestoso t'avanza, cavalca, per la causa
della verità e della mansuetudine e della giustizia
(Sal 44, 4-5). Egli ci ha apportato la verità come dottore, la
mansuetudine come liberatore, la giustizia come giudice. Per questo
il profeta aveva predetto che il suo regno sarebbe stato totalmente
sotto l'influsso dello Spirito Santo. Quando parlava, trionfava la
verità; quando non reagiva agli attacchi dei nemici, risaltava la
mansuetudine. E siccome i suoi nemici, per invidia e per rabbia, non
riuscivano a perdonargli né la verità né la mansuetudine,
inscenarono uno scandalo per la terza cosa, cioè per la giustizia.
Che cosa fecero? Siccome la legge ordinava che gli adulteri fossero
lapidati, e ovviamente la legge non poteva ordinare una cosa
ingiusta, chiunque sostenesse una cosa diversa da ciò che la legge
ordinava, si doveva considerare ingiusto. Si dissero dunque: Egli si
è considerato amico della verità e passa per mansueto; dobbiamo
imbastirgli uno scandalo sulla giustizia; presentiamogli una donna
sorpresa in adulterio, ricordiamogli cosa stabilisce in simili casi
la legge. Se egli ordinerà che venga lapidata, non darà prova di
mansuetudine; se deciderà che venga rilasciata, non salverà la
giustizia. Ma per non smentire la fama di mansuetudine che si è
creata in mezzo al popolo, certamente - essi pensavano - dirà che
dobbiamo lasciarla andare. Così noi avremo di che accusarlo, e,
dichiarandolo colpevole di aver violato la legge, potremo dirgli: sei
nemico della legge, devi rispondere di fronte a Mosè, anzi, di
fronte a colui che per mezzo di Mosè ci ha dato la legge; sei reo di
morte e devi essere lapidato anche tu assieme a quella. Con tali
parole e proposito, s'infiammava l'invidia, ardeva il desiderio di
accusarlo, si eccitava la voglia di condannarlo. Ma tutto questo
contro chi? Era la perversità che tramava contro la rettitudine, la
falsità contro la verità, il cuore corrotto contro il cuore retto,
la stoltezza contro la sapienza. Ma come gli avrebbero potuto
preparare dei lacci in cui non sarebbero essi stessi caduti per
primi? Il Signore, infatti, risponde in modo tale da salvare la
giustizia senza smentire la mansuetudine. Non cade nella trappola che
gli è stata tesa, ci cadono invece quegli stessi che l'hanno tesa:
gli è che non credevano in colui che li avrebbe potuti liberare da
ogni laccio.
[La
miseria e la misericordia.]
5.
Cosa rispose dunque il Signore Gesù? Cosa rispose la verità? Cosa
rispose la sapienza? Cosa rispose la stessa giustizia contro la quale
era diretta la calunnia? Non disse: Non sia lapidata! Si sarebbe
messo contro la legge. Ma si guarda bene anche dal dire: Sia
lapidata! Egli era venuto, non a perdere ciò che aveva trovato, ma a
cercare ciò che era perduto (cf. Lc 19, 10). Cosa rispose dunque?
Guardate che risposta piena di giustizia, e insieme piena di
mansuetudine e di verità! Chi di voi è
senza peccato - dice - scagli
per primo una pietra contro di lei (Gv
8, 7). O risposta della Sapienza! Come li costrinse a rientrare
subito in se stessi! Essi stavano fuori intenti a calunniare gli
altri, invece di scrutare profondamente se stessi. Si interessavano
dell'adultera, e intanto perdevano di vista se stessi. Prevaricatori
della legge, esigevano l'osservanza della legge ricorrendo alla
calunnia, non sinceramente, come fa chi condanna l'adulterio con
l'esempio della castità. Avete sentito, o Giudei, avete sentito,
farisei e voi, dottori della legge, avete sentito tutti la risposta
del custode
della legge, ma non avete ancora capito che egli è il legislatore.
Che altro vuol farvi capire, scrivendo in terra col dito? La legge,
infatti, fu scritta col dito di Dio, e fu scritta sulla pietra per
significare la durezza dei loro cuori (cf. Es 31, 18). Ed ora il
Signore scriveva in terra, perché cercava il frutto. Avete dunque
sentito il verdetto? Ebbene, si applichi la legge, si lapidi
l'adultera! E' giusto, però, che la legge della lapidazione venga
eseguita da chi dev'essere a sua volta colpito? Ciascuno di voi
esamini se stesso, rientri in se stesso, si presenti al tribunale
della sua anima, si costituisca davanti alla propria coscienza,
costringa se stesso alla confessione. Egli sa chi è, poiché nessun
uomo conosce le cose proprie dell'uomo, fuorché lo spirito dell'uomo
che è in lui (cf 1 Cor 2, 11). Ciascuno, rivolgendo in sé lo
sguardo, si scopre peccatore. Proprio così. Quindi, o voi lasciate
andare questa donna, o insieme con lei subite la pena della legge. Se
dicesse: Non lapidate l'adultera! verrebbe accusato come ingiusto; se
dicesse: Lapidatela! non si mostrerebbe mansueto. Ascoltiamo la
sentenza di colui che è mansueto ed è giusto: Chi
di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei.
Questa è la voce della giustizia: Si
punisca la peccatrice, ma non ad opera dei peccatori; si adempia la
legge, ma non ad opera dei prevaricatori della legge. Decisamente,
questa è la voce della giustizia. E quelli, colpiti da essa come da
una freccia poderosa, guardandosi e trovandosi colpevoli, uno
dopo l'altro, tutti si ritirarono (Gv
8, 9). Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia. E il
Signore, dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si
fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo da essi, si
rimise a scrivere in terra col dito (Gv
8, 8).
6.
Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano
andati. Gesù levò gli occhi verso di lei. Abbiamo sentito la voce
della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine. Credo che
più degli altri fosse rimasta colpita e atterrita da quelle parole
che aveva sentito dal Signore: Chi di
voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei.
Quelli, badando ai fatti loro e con la
loro stessa partenza confessandosi rei, avevano abbandonato la donna
col suo grande peccato a colui che era senza peccato. E poiché essa
aveva sentito quelle parole: Chi di voi
è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei,
si aspettava di essere colpita da colui nel quale non si poteva
trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari di lei con
la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della
mansuetudine, le chiese: Nessuno ti ha
condannato? Ella rispose: Nessuno,
Signore. Ed egli: Neppure
io ti condanno, neppure io, dal quale
forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun
peccato. Neppure io ti condanno. Come,
Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate
ciò che segue: Va' e d'ora innanzi non
peccare più (Gv 8, 10-11). Il Signore,
quindi, condanna il peccato, ma non l'uomo. Poiché se egli fosse
fautore del peccato, direbbe: neppure io ti condanno; va', vivi come
ti pare, sulla mia assoluzione potrai sempre contare; qualunque sia
il tuo peccato, io ti libererò da ogni pena della geenna e dalle
torture dell'inferno. Ma non disse così.
7.
Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e
temano la verità. Infatti dolce e retto
è il Signore (Sal 24, 8). Se lo ami
perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto è
mansueto dice: Ho taciuto; ma
in quanto è giusto aggiunge: Forse che
sempre tacerò? (Is 42, 14 sec. LXX).
Il Signore è misericordioso e benigno.
Certamente. Aggiungi: longanime,
e ancora: molto
misericordioso, ma tieni conto anche di
ciò che è detto alla fine del testo scritturale, cioè verace
(Sal 85, 15). Allora infatti giudicherà quanti l'avranno
disprezzato, egli che adesso sopporta i peccatori. Forse
che disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza,
della sua longanimità, non comprendendo che questa bontà di Dio ti
spinge solo al pentimento? Con la tua ostinatezza e con il tuo cuore
impenitente accumuli sul tuo capo l'ira per il giorno dell'ira,
quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il quale renderà a
ciascuno secondo le sue opere (Rm 2,
4-6). Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è
misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo
di correggerti; ma tu fai assegnamento su questa dilazione, senza
impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono.
Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia. Tu invece
rimandi sempre e ti riprometti moltissimo dalla misericordia di Dio,
come se colui che ti ha promesso il perdono in cambio del pentimento,
ti avesse anche promesso una vita molto lunga. Che ne sai cosa ti
porterà il domani? Giustamente dici in cuor tuo: quando mi
correggerò, Dio mi perdonerà tutti i peccati. Non possiamo certo
negare che Dio ha promesso il perdono a chi si corregge e si
converte; è vero, puoi citarmi una profezia secondo cui Dio ha
promesso il perdono a chi si corregge; non puoi, però, citarmi una
profezia secondo cui Dio ti ha promesso una vita lunga.
[Tra
la speranza e la disperazione.]
8.
Gli uomini corrono due pericoli contrari, ai quali corrispondono due
opposti sentimenti: quello della speranza e quello della
disperazione. Chi è che s'inganna sperando? chi dice: Dio è buono e
misericordioso, perciò posso fare ciò che mi pare e piace, posso
lasciare le briglie sciolte alle mie cupidigie, posso soddisfare
tutti i miei desideri; e questo perché? perché Dio è
misericordioso, buono e mansueto. Costoro sono in pericolo per abuso
di speranza. Per disperazione, invece, sono in pericolo quelli che
essendo caduti in gravi peccati, pensano che non potranno più essere
perdonati anche se pentiti, e, considerandosi ormai destinati alla
dannazione, dicono tra sé: ormai siamo dannati, perché non facciamo
quel che ci pare? E' la psicologia dei gladiatori destinati alla
morte. Ecco perché i disperati sono pericolosi: non hanno più
niente da perdere, e perciò debbono essere vigilati. La disperazione
li uccide, così come la presunzione uccide gli altri. L'animo
fluttua tra la presunzione e la disperazione. Devi temere di essere
ucciso dalla presunzione: devi temere, cioè, che contando unicamente
sulla misericordia di Dio, tu non abbia ad incorrere nella condanna;
altrettanto devi temere che non ti uccida la disperazione; che
temendo, cioè, di non poter
ottenere il perdono delle gravi colpe commesse, non ti penti e così
incorri nel giudizio della Sapienza che dice: anch'io,
a mia volta, godrò della vostra sventura
(Prv 1, 26). Come si comporta il Signore con quelli che sono
minacciati dall'uno o dall'altro male? A quanti rischiano di cadere
nella falsa speranza dice: Non tardare a
convertirti al Signore, né differire di giorno in giorno; perché
d'un tratto scoppia la collera di lui, e nel giorno del castigo tu
sei spacciato (Sir 5, 8-9). A quanti
sono tentati di cadere nella disperazione cosa dice? In
qualunque momento l'iniquo si convertirà, dimenticherò tutte le sue
iniquità (cf. Ez 18, 21-22 27). A
coloro dunque che sono in pericolo per disperazione, egli offre il
porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla falsa speranza
e si illudono con i rinvii, rende incerto il giorno della morte. Tu
non sai quale sarà l'ultimo giorno; sei un ingrato; perché non
utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti? E' in questo
senso che il Signore dice alla donna: Neppure
io ti condanno: non preoccuparti del
passato, pensa al futuro. Neppure io ti
condanno: ho distrutto ciò che hai
fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho
promesso.
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