I
Domenica di Quaresima – Anno C – 10 marzo 2019
Rito
Romano
Dt
26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13
Rito
Ambrosiano
Gl
2,12b-18; Sal 50; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11
1)
La Quaresima: perché?
In
questa prima domenica di Quaresima, il Vangelo ci porta nel deserto
con Gesù, luogo dell'incontro e dell'intimità con Dio, ma anche
luogo della lotta suprema con il tentatore. Lo scopo di questi 40
giorni è: la Chiesa sull’esempio di Gesù Cristo il quale si
ritirò nel deserto per digiunare 40 giorni, ci fa vivere lo stesso
periodo di tempo, al fine di prepararci al fatto che “ancora una
volta ci viene incontro la Pasqua del Signore! Per prepararci ad essa
la Provvidenza di Dio ci offre ogni anno la Quaresima, «segno
sacramentale della nostra conversione»,che annuncia e realizza la
possibilità di tornare al Signore con tutto il cuore e con tutta la
vita.” (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2019).
Lo scopo della Quaresima non è per la mortificazione, è per
l’incontro con il Cristo a Pasqua. Certo in questo cammino verso il
Crocifisso Risorto è necessaria la purificazione degli occhi, del
cuore e della mente, per guardare, amare e capire se stessi e gli
altri come fa Dio. In questo esodo verso la “terra” di Dio è
necessaria la preghiera, “che è
l'effusione del nostro cuore in quello di Dio”
(P. Pio da Pietrelcina). “E’ necessario che noi
preghiamo, perché la preghiera ci da’ un cuore puro ed un cuore
puro sa amare” (M. Teresa di Calcutta) e un cuore puro ha occhi
puri per vedere Dio. E’ necessario pregare come nel 49° capitolo
della sua Regola, san Benedetto raccomanda ai suoi monaci che si
applichino, durante questo santo tempo, a una preghiera “accompagnata
da lacrime”, siano esse del pentimento o dell’amore.
Se
è utile conoscere il fine del numero 40 legato ai giorni, è utile
conoscerne anche l’origine, che non è nel Vangelo, essa si trova
già nell’Antico Testamento.
“Nel
libro della Genesi leggiamo che, a causa del diluvio, l’uomo
giusto Noè trascorse quaranta giorni e quaranta notti nell’arca,
insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva detto di
portare con sé. Poi dovette aspettare altri quaranta giorni, dopo il
diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione
(cfr Gen 7,4.12; 8,6).
Il
libro dell’Esodo ci racconta di Mosè che restò quaranta giorni e
quaranta notti sul monte Sinai alla presenza del Signore e ricevette
la Legge. In tutto questo tempo digiunò (cfr Es 24,18).
Anche il Deuteronomio ci ricorda che il cammino del popolo ebraico
dall’Egitto alla Terra promessa durò quarant’anni e fu un tempo
privilegiato in cui il popolo eletto sperimentò la fedeltà di Dio.
«Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha
fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti
si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante
questi quarant’anni», disse Mosè al termine di questi
quarant'anni di deserto (Dt 8,2.4).
Quaranta
furono gli anni di pace di cui godette Israele sotto i Giudici (cfr
Gdc 3,11.30). Purtroppo, passato questo tempo, prevalse la
mancanza della memoria dei benefici di Dio e la mancata osservanza
della Legge.
Quaranta
furono i giorni necessari al profeta Elia per raggiungere il monte
Oreb, sul quale incontrò Dio (cfr 1 Re 19,8)”.
Quaranta
furono i giorni richiesti Giona ai cittadini di Ninive perché
facessero penitenza, ed ottennero il perdono di Dio (cfr Gn
3,4).
Quaranta
sono anche gli anni dei regni di Saul (cfr At 13,21), di
Davide (cfr 2 Sam 5,4-5) e di Salomone (cfr 1 Re
11,41), i tre primi re d’Israele.
Infine,
nel Nuovo Testamento leggiamo che quaranta giorni dopo la sua nascita
Gesù fu portato al Tempio e Simone al tramonto della sua vita poté
incontrare il Figlio di Dio, all’aurora della sua vita tra gli
uomini. E quaranta furono i giorni che senza mangiare Gesù passò
nel deserto, dove era andato sotto la guida dello Spirito (Lc
4, 1-13). Gesù nella preghiera si nutrì della Parola di Dio,
usandola come arma per vincere il diavolo. Dopo questi quaranta
giorni il Redentore cominciò la sua vita pubblica. E ancora quaranta
furono i giorni durante i quali Gesù risorto istruì i suoi, prima
di “concludere” la sua umana avventura e salire al Cielo e
inviare lo Spirito Santo (cfr At 1,3) per continuarla con noi
e in noi.
Quaranta,
dunque, è il numero simbolico con cui la Sacra Scrittura rappresenta
i momenti salienti dell’esperienza della fede del Popolo di Dio.
Questo numero non rappresenta tanto un tempo cronologico, scandito
dalla somma dei giorni, quanto piuttosto un periodo sufficiente per
vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi ad
assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi (Questi
pensieri sui quaranta giorni “biblici” si ispirano a Benedetto
XVI, Udienza Generale del 22 febbraio 2012).
2)
Un tempo provvidenziale.
Oltre
alla preghiera, per vivere questo tempo quaresimale quale tempo
propizio e provvidenziale la Chiesa dà come indicazione anche il
digiuno e la carità.
Per
spiegare brevemente il digiuno userei le parole mortificazione e
sacrificio nel loro significato del linguaggio corrente. In tal senso
esse significano una temperanza nell’impeto, nell’istinto, una
temperanza nell’uso dell’istinto. “Temperare”, in latino,
vuol dire governare secondo lo scopo, allo scopo, perciò, di
mantenere nell’ordine. Potremmo allora tradurre l’invito al
sacrificio, l’invito alla mortificazione e al digiuno, come fedeltà
a ciò “più significativo” nella cosa. C’è, infatti, un
significato immediato della cosa: uno ha fame, si avventa sul cibo;
uno prova affezione, e “usa” l’altra persone per il suo
istinto. C’è l’amore di completezza, il desiderio di essere
riconosciuti che se non è “temperato” diventa vanagloria,
orgoglio, sete di possesso. C’è un’ ingordigia nell’istinto,
una non-temperanza nell’istinto. La Chiesa ci invita al “digiuno”
perché, nella temperanza, il cibo sia vissuto come mezzo per il
cammino, e perché ci rapportiamo con le persone come compagni nello
stesso pellegrinaggio della vita, guardandole come icone di Dio.
Libertà
dal risultato, per cui uno finalmente è capace di voler bene
all’altro, libero dalla risposta dell’altro,
dal modo di corrispondenza dell’altro: è veramente la libertà, è
veramente l’amare e basta, l’amore finalmente senza la menzogna.
E, in secondo luogo, la libertà da se stessi, cioè dal gusto.
3)
Elemosina uguale a carità?
Se
si volesse essere rigorosi la risposta è: no. L’elemosina non è
sinonimo di carità, è un’opera di carità. Ma c’è del vero in
questa equipollenza popolare perché elemosina (che viene dal greco e
vuole dire avere pietà, come Dio l’ha nei nostri confronti sempre
e in particolare quando preghiamo: “Signore, pietà” Kyrie
eleison) è un gesto di carità, di compassione verso il povero.
Tuttavia
non bisogna ridurre la “carità” alla solidarietà o al semplice
aiuto umanitario. Un missionario comboniano (P.
Tiboni), che ha speso la sua vita
in Uganda diceva spesso: “La più
grande carità che noi possiamo avere verso gli africani è di
annunciare loro che Cristo è risorto”.
Non c'è gesto più caritatevole verso il prossimo che “spezzare
il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia
del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l'evangelizzazione è
la più alta e integrale promozione della persona umana”
(Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2013).
Fare
l’elemosina vuol dire vivere la riparazione del peccato altrui,
sentirci solidali con il mondo per riparare. Si tratta anche di
metter mano alla tasca, ma non crediamo di risolvere tutto con
l'elemosina, con la carità spicciola, perché questa è una carità
ma non è la Carità. La Carità vera è dare Dio alle anime. Non è
cambiare alcune cose, è cambiare la vita vissuta in sacrificio di
comunione.
Sant’Agostino
nel capitolo undicesimo del De
civitate Dei
dice che l’unico sacrificio è la comunione. L’unico sacrificio è
il passaggio alla comunione, arrivare a dire: “il mio io sei tu”.
L’unico sacrificio, perciò, è l’amore. È la grande rivoluzione
portata nella storia del mondo prima dai profeti e poi da Gesù. Il
suo amore rende possibili tutti i sacrifici per affermare l’altro,
anche il sacrificio della vita. Per questo la Chiesa identifica i
vergini e i martiri con la forma più alta di amore, perché
verginità e martirio sono la testimonianza che la gioia più grande
della vita è affermare l’altro, affermare che il tutto è l’altro
nell’“elemosina”. Questa parola deriva dal greco
eleèo
(=ho compassione),
da cui attraverso l'aggettivo eléemon
(=compassionevole) passò al latino
(cristiano)
eleemosyna
e da lì alle altre lingue
(per es.: francese
aumône,
spagnolo
limosna,
catalano
almoina,
inglese
alms,
tedesco
Almosen).
Dunque “fare l’elemosina” nel senso etimologico e cristiano del
termine vuol dire donare compassione, misericordia condividendo non
solo il pane materiale ma il Pane Vitale: Cristo Gesù.
Commentando
la parabola delle vergini prudenti San Giovanni Crisostomo esorta
tutti, lui compreso: “Laviamo nell’elemosina la nostra anima” e
rivolgendosi alle vergini continua “Il fuoco della verginità si
spegne se non si versa su di esso l’olio dell’elemosina e questo
olio è in vendita presso i poveri” (San Giovanni Crisostomo,
Omelia III,
2-3).
Le
Vergini Consacrate sono quelle vergini prudenti di cui parla il
vangelo, perché tutta la loro
vita è spesa per donarsi a Dio e servire il prossimo, nella
compassione. Esse non solo fanno l’elemosina, con la loro
consacrazione “sono” l’elemosina di Dio al mondo. Queste donne
testimoniano che la vera elemosina non è solamente dare dei soldi ai
poveri, ma dare loro l’amore. Questa donne consacrate totalmente a
Dio sono chiamate a vivere un’esistenza in cui esse diventano le
mani di Dio che soccorre il povero.
La vergini consacrate mostrano che L’elemosina
non è “la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la
persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente
bisogno”, ma è “un gesto di amore che si rivolge a quanti
incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a
noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e
comprende il valore dell’atto compiuto” (Papa Francesco).
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Discorso
209
QUARESIMA
http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_265_testo.htm
È
tempo di eliminare le inimicizie.
1.
È arrivato il tempo sacro nel quale mi sento in dovere di esortare
caldamente la vostra Carità a pensare più diligentemente all'anima
e a contenere gli stimoli del corpo. Questi quaranta giorni sono i
più sacri sopra tutta la terra, e il mondo intero, che Dio ha
riconciliato a sé in Cristo 1,
approssimandosi la Pasqua, li celebra solennemente con una pietà
encomiabile. Se ci sono delle inimicizie che non dovevano sorgere o
che dovevano estinguersi subito, ma che tuttavia han potuto perdurare
tra fratelli fino ad ora sia per negligenza sia per ostinazione sia
per una specie di vergogna non umile ma superba, almeno ora abbiano
termine. Sopra di esse il sole non avrebbe dovuto tramontare 2;
almeno ora, dopo tante levate e tramonti di sole, si estinguano
anch'esse finalmente col loro tramonto e non si rinnovino mai più
con la loro levata. Chi è negligente si dimentica di estinguere le
inimicizie, chi è ostinato non vuol concedere il perdono quando
viene pregato di farlo, chi si vergogna per superbia si rifiuta di
chiedere perdono. Le inimicizie vivono di questi tre vizi e recano la
morte a quelle anime nelle quali non vengono fatte morire. Vigili
contro la negligenza la memoria, contro l'ostinazione la
misericordia, contro la superba vergogna una prudenza umile. Chi si
ricorda di essere negligente nel cercare la concordia scuota il suo
torpore ridestandosi; chi pretende di rivendicare i suoi diritti da
chi è in debito con lui pensi bene che anch'egli è in debito con
Dio; chi si vergogna di chiedere al fratello di perdonarlo vinca con
un salutare timore la sua perversa vergogna: affinché, terminate e
uccise queste dannose inimicizie, voi possiate vivere. Tutto questo
lo compie la carità che non
si vanta 3.
Riguardo alla carità, fratelli miei, per quanta è già in noi la si
eserciti vivendo bene, per quanta ne manca la si ottenga chiedendola.
Sostenere
la preghiera con l'elemosina.
2.
Dobbiamo sostenere le nostre preghiere con adeguati aiuti. E poiché
in questi giorni dobbiamo pregare con più fervore, cerchiamo anche
di erogare elemosine con più fervore. Aggiungiamo ad esse quanto
risparmiamo digiunando e astenendoci dai soliti cibi. Tuttavia deve
fare maggiori elemosine soprattutto chi per qualche esigenza del
proprio corpo e per assuefazione ad alcuni alimenti non può
astenersene e quindi non può aggiungere all'elemosina che dà al
povero quanto nega a se stesso. Proprio perché non può mortificarsi
il buon fedele deve dare di più al povero; cosicché, avendo minore
possibilità di sostenere con i sacrifici del corpo le sue preghiere,
introduca una elemosina più abbondante nel cuore del povero affinché
essa possa intercedere per lui. È, questo, un salutarissimo
consiglio che ci viene dalle sacre Scritture e che dobbiamo
ascoltare: Chiudi
l'elemosina nel cuore del povero ed essa pregherà per te 4.
Come
mortificarsi.
3.
Esortiamo inoltre coloro che si astengono dalle carni a non evitare i
recipienti in cui sono state cotte come fossero immondi. L'Apostolo
infatti dice: tutto
è puro per i puri 5.
Secondo
la sana dottrina infatti quanto si compie in questa osservanza
quaresimale non lo si compie per evitare una impurità legale ma per
tenere a freno le passioni. Per cui sbagliano di molto anche coloro i
quali si astengono dalle carni però vanno in cerca di altri alimenti
che richiedono una preparazione raffinata o che costano di più.
Agire così non significa fare astinenza ma trovar varianti alla
voluttà. Come potremo dire a costoro di dare ai poveri quanto
sottraggono a se stessi se si privano del cibo abituale ma aumentano
la spesa per comprarsene un altro più costoso? In questi giorni
dunque digiunate con più frequenza, spendete di meno per voi e date
con più larghezza ai bisognosi. Questi giorni richiedono una certa
continenza anche riguardo ai rapporti coniugali: Per
un tempo determinato
- dice l'Apostolo - per
attendere alla preghiera; poi ritornate di nuovo insieme, perché
satana non vi tenti a causa della vostra incontinenza 6.
Non sarà arduo e difficile per gli sposati far questo per pochi
giorni, se si pensa che le vedove consacrate si sono impegnate a
farlo da un certo momento della loro vita fino alla fine e che le
vergini consacrate lo fanno per tutta la vita. E in tutte queste cose
siate fervorosi nella pietà evitando però l'orgoglio. Nessuno si
compiaccia di essere generoso così da perdere l'umiltà. Tutti gli
altri doni di Dio non giovano a nulla se manca il vincolo della
carità.
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