III
Domenica di Quaresima – Anno C - 24 marzo 2019
Rito
Romano
Es
3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
Rito
Ambrosiano
III
Domenica di Quaresima di Abramo
Dt
6,4a; 18,9-22; Sal 105; Rm 3,21-26; Gv 8,31-59
1)
Conversione: voltarsi a Cristo che ci ama.
Il
brano evangelico di questa domenica (Lc 13,1-9) può essere
diviso in due parti. Un parla della chiamata alla conversione
(13,1-5) la seconda ci presenta la parabola del fico sterile
(13,6-9). Le due parti trovano il loro punto di incontro nel tema
della conversione.
“Convertitevi”,
ci chiede il Salvatore, il cui invito ci è fatto ascoltare in questa
Domenica, come frequentemente accade nella liturgia quaresimale. Il
verbo «convertirsi» è ripetuto due volte nel vangelo di oggi.
L'avvertimento è dato in forma solenne («Io vi dico...») e come
condizione indispensabile per sfuggire al giudizio di Dio (“Se non
vi convertirete, perirete tutti”). Luca non è anzitutto
interessato al contenuto della conversione (quale cosa cambiare):
preferisce renderci consapevoli che il giudizio di Dio è imminente e
generale.
“Convertici,
o Dio, nostra salvezza” ci fa pregare la medesima liturgia. La
conversione dunque è un invito da accogliere e un dono da domandare
al Salvatore.
Nel
Vangelo “romano” San Luca ci parla della necessità della
conversione, della sua urgenza, del giudizio di Dio che incombe. Ma
che significa convertirsi?
Il
verbo privilegiato dall’Antico Testamento per indicare la
conversione è “shouv” che vuol dire: cambiare strada, tornare
indietro. Sul piano esistenziale o etico questo verbo ebraico connota
un cambiamento di orientamento, una modificazione del comportamento.
Sempre nell’Antico Testamento per indicare la conversione sono
usati anche i verbi ebraici “biqqesh” e “darash” il cui
significato è “cercare Dio o il bene”.
Il
Nuovo Testamento usa “epistrefein”, che letteralmente vuol dire
“voltarsi verso”, per indicare il mutamento esteriore e il
mutamento nel comportamento, mentre si serve di “metanoein”, che
viene dal verbo greco 'cambiare idea', composto da meta 'dopo' e noeo
'pensare', per indicare la mutazione interiore, il cambiamento di
mentalità. Il termine che Luca usa nel nostro testo è «metanoia»:
egli insiste dunque sul mutamento interiore, sul modo nuovo e diverso
di pensare, valutare le cose, di giudicarle.
Il
giudizio di Dio non conosce l’ingiustizia, va oltre la giustizia
(Divo Barsotti) e ad esso dobbiamo prepararci volgendo l’intelligenza
alla Verità, la volontà al Bene, testa e cuore a Gesù, Destino
nostro, in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita,
domandando che Dio ci trasformi, riconoscendo che dipendiamo da Dio,
dal suo amore creativo e misericordioso.
Una
misericordia per cui l'infecondità del fico sterile diviene per il
vignaiolo l'invito a lavorare ancora e ancora di più affinché tutto
sia fatto per mettere la pianta in condizioni di portare frutto. Alla
tentazione umana della durezza e dell'esclusione, la parabola oppone
la fatica raddoppiata della divina Carità.
Il
Signore, misericordioso e paziente, ci concede ancora del tempo per
portare frutto. Le parole di Cristo, il Vignaiolo, sono consolanti:
“Zapperò, metterò concime, curerò... e vedrai che porterà
frutti”. L’albero della nostra vita non può fiorire, se non ci
convertiamo a Cristo che con il suo amore compie il miracolo.
Seguiamo quindi l’invito che già nell’Antico Testamento Dio
rivolge al suo popolo: “Ritornate a me con tutto il cuore, con
digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti,
ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e
benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce
riguardo alla sventura.” (Gl 2, 12-13).
Per
ciò Papa Francesco insegna: “Questa è la regola della
conversione: allontanarsi dal male e imparare a fare il bene.
Convertirsi è un cammino. È un cammino che richiede coraggio, per
allontanarsi dal male, e umiltà per imparare a fare il bene. E che,
soprattutto, ha bisogno di cose concrete”(Meditazione
mattutina nella Cappella della Domus
Sanctae Marthae, Imparare
a fare il bene
-
14 marzo 2017). Le cose concrete nel cammino quaresimale sono le
opere di penitenza, che ci riportano nello
stato di luce,
il cui frutto consiste in
ogni sorta di bontà, di giustizia e di verità.
2)
La conversione di Abramo.
In
questo cammino verso Dio, la liturgia ambrosiana dopo averci proposto
“l’esempio” di Zaccheo e della Samaritana, oggi ci propone la
grande figura di Abramo, che ha convertito la sua vita in offerta
fino al punto di essere pronto a sacrificare il figlio Isacco.
Per
Abramo la promessa di Dio di dargli un popolo innumerevole fu più
certa del fatto del figlio Isacco, che lui non ricusò di sacrificare
all’Onnipotente che glielo chiedeva.
Il
totale abbandono a Dio è fonte di tranquillità e di serenità sia
nei confronti del passato che dell'avvenire. La conversione si
realizza con la rinuncia di sé e di quanto si ha di più caro, come
un figlio nel caso di Abramo, per occuparsi esclusivamente di Dio e
del suo disegno buono su di sé e sul mondo.
Se
a questo abbandono totale uniamo un’amorosa fiducia saremo sempre
più capaci di non aver cura di noi ma di lasciare che di noi abbia
cura il Signore. Allora il nostro cuore si dilata e siamo sollevati
dal peso di noi stessi, peso che ci opprime. Con stupore ci renderemo
conto di quanto retta e semplice fosse la via da seguire.
Noi
pensiamo che per la conversione siano necessari sforzo e tensione
ininterrotti, unitamente ad un continuo rinnovarsi di azioni e di
fatti. Secondo me per voltarci verso Cristo e seguirlo stabilmente
poche sono le cose da fare: è sufficiente, senza neppure troppo
ragionare sul passato o sul futuro, guardare a Lui sulla Croce con
fiducia, come ad un Fratello che ci conduce nella realtà presente,
come per mano. Se per una più o meno lunga distrazione lo dovessimo
perdere di vista, non indulgiamo in essa, ma rivolgiamoci a Lui, e
comprenderemo quale sia la sua volontà buona per noi. Se facciamo
dei peccati, convertiamoci accostandoci al sacramento della Penitenza
e facciamo una penitenza che sia un dolore tutto d'amore.
3)
Dalla conversione alla consacrazione
La
confessione è chiamata “sacramento della Penitenza poiché
consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di
pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore” (Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 1423). La prima conversione l’abbiamo
avuto con il battesimo, ma “la vita nuova ricevuta nell'iniziazione
cristiana non ha soppresso la fragilità e la debolezza della natura
umana” (1426), dunque la conversione è la legge che dura tutta la
vita, fino al momento in cui l'uomo dà l'ultimo respiro: è stato
così per San Pietro come per San Paolo, per tutti i santi a maggior
ragione per ciascuno di noi.
Convertirsi
è “abbandonare la volontà propria in quella di Cristo, attraverso
l’umiltà” (San Bernardo, Sulla conversione – Sermone
34) In questo ci sono di testimonianza le Vergini consacrate che alla
domanda del Vescovo: “Volete vivere solamente per Dio nel silenzio
e nella solitudine, nella preghiera assidua e nella penitenza
gioiosa, nel lavoro nascosto e nel servizio degli altri” hanno
risposto: “Si, lo vogliamo” (Rituale per la Consacrazione
delle Vergini, n. 55).
Queste
persone testimoniano che la consacrazione della vita a Dio significa
la verità dell'amore, del lavoro, della giustizia, della vita
stessa. La vita intera si trasfigura mediante l’offerta di sé a
Dio. La carità perfetta (nella quale consiste la perfezione di tutti
i Cristiani) vissuta verginalmente porta tutta la persona nel suo
Creatore e può essere definita: una totale consacrazione o
sacrificio che l’essere umano fa di sé a Dio, ad imitazione di
quanto fece il nostro Redentore Gesù Cristo.
Mediante
questa consacrazione le Vergini consacrate sono segno per tutti che
l’importante é non aver altro scopo ultimo in tutte le nostre
azioni che Dio, e di non far altra professione, né cercar altro
gusto sulla terra, eccetto quella di piacere a Dio e di servirlo:
cioè di essere giusti praticando la legge santa della carità.
Lettura
patristica
San
Bernardo di Chiaravalle
Sulla
conversione – Sermoni 34-39
Poiché,
non esiste (o almeno, io non l’ho trovata) la traduzione italiana
del testo citato di San Bernardo propongo un estratto di uno scritto
di P. Giovanni Lunardi.
"Ma
per imboccare e vivere la via dell’amore, è condizione
indispensabile una unica cosa, convertirsi, cioè abbandonare la
volontà propria, attraverso l’umiltà. Bernardo lo scopre
leggendo il Vangelo, là dove Gesù raccomanda ai discepoli: “ In
verità vi dico: Se non vi convertirete e non diventerete come
bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” ( Mt 18,3). E
che altro significa divenire bambini – si domanda Bernardo – se
non “divenire umili”? (Sulla quaresima II,1). Convertirsi si
riduce, quindi, ad apprendere la difficile arte dell’umiltà!
E
l’umiltà consiste semplicemente nel formarsi una valutazione
esatta di se stessi. “L’umiltà è la virtù per cui l’uomo
si crede spregevole a motivo di una esattissima conoscenza di se
stesso – humilitas est virtus qua homo verissima sui cognitione
sibi ipsi vilescit” (Sull’umiltà, 2). E cioè: siamo grandi,
perché “nessuna creatura è più vicina a Dio di quella fatta
ad immagine di Dio” (De diversis, IX,2). Ma anche siamo piccoli
per la presenza del peccato personale- “ La superbia è il
desiderio della propria preminenza – Superbia estappetitus propriae
excellentiae” (epist. 42).
Conversione,
perciò, significa riprendere, riconquistare faticosamente ciò che è
nativo nella natura umana, cioè l’umiltà. L’uomo è per natura
umile! La superbia, invece, è un prodotto inventato dal diavolo, e
esportato nell’uomo. Bisogna, in altre parole,
scandagliare le profondità del proprio cuore, ottenere con un lavoro
duro e assiduo, una valutazione esatta di se stessi. Infatti
l’orgoglio e la superbia, i grandi nemici dell’esistenza
cristiana, nascono proprio dall’ignoranza di se stessi. Più si
ignora se stessi e più si corre il pericolo di cadere nella
superbia.
Dall’umiltà
nasce la carità verso gli altri. La nostra miseria davanti a Dio
ci fa prendere il nostro giusto posto anche davanti agli altri.
Proprio attraverso l’esatta conoscenza di noi stessi arriviamo alla
conoscenza della debolezza altrui. Noi, dice Bernardo, attraverso la
nostra personale debolezza e fragilità, riflettiamo quasi in uno
specchio, quella del prossimo: Il cristiano, "partendo dalla
propria miseria mediterà su quella di tutti gli altri” - “ex
propria miseria generalem perpendat “ (Sui gradi dell’umiltà
e della superbia, 16). Dio ci lascia nei nostri difetti, perché
comprendiamo quelli degli altri. Infatti noi e gli altri siamo fatti
della stessa pasta. Di qui una unica conclusione appare possibile:
come io ho compassione delle mie miserie personali e non mi condanno,
così non potrò mai assumere atteggiamenti severi nei confronti del
fratello che pecca, dovrò essere aperto ad un indefinito perdono. Tu
sei un malato grave- ricorda Bernardo- e non potrai non aver
compassione del fratello che è malato come te. Infatti “solo un
malato può comprendere e aver compassione di un altro malato “
– “ solus aeger aegro compatitur” (Sull’umiltà, VI).
I cristiani “ partendo dalle proprie sofferenze imparano a
compatire quelle degli altri“(Sui gradi dell’umiltà , 18).
In
questo contesto si comprende la necessità della preghiera, come
espressione di amore. Per questo bisognerebbe pregare sempre,
pregare sempre a Dio: “ Tutto il tempo in cui non pensi a
Dio,devi considerarlo come tempo perduto” – “ omne tempus in
quo de Deo non cogitas, hoc te computes perdidisse” ( PL 184,
497A).”Non bisogna mettersi in preghiera una volta o due, ma
frequentemente e assiduamente, presentando a Dio i desideri del tuo
cuore e, a tempo opportuno, anche ad alta voce” – “Non enim
semel vel bis ad orationem est accedendum, sed frequenter et assidue,
ad Deum extendentes desideria cordis et in tempore opportuno
aperientes vocem oris” (Sermone sull’avvento).
Qualità
della preghiera: 1.- umile.. La preghiera è
incontro con il Signore mentre tu sei così piccolo. "“e sei
stato privato della grazia, stai pur certo che il motivo ne è stato
la tua superbia, anche se non lo si vede, anche se tu non te ne rendi
conto"”(Sul cantico 54, 10). 2.- Pura. Si
tratta di cercare unicamente Dio per se stesso (Sul cantico, 40, 3).
: “Tu non preghi in maniera conveniente se nella stessa
preghiera tu cerchi qualcos’altro all’infuori del Cristo, o se
nella preghiera tu cerchi, sì, il Cristo, ma non lo cerchi per se
stesso” (Sul cantico 86, 3). 3.- devota, cioè
fervorosa.”
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