VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 17febbraio 2019
Rito Romano:
Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Rito Ambrosiano
Is 56,1-8; Sal 66; Rm 7,14-25a; Lc 6, 17,11-19
VI Domenica dopo l'Epifania
Premessa:
Meditiamo le parole di Gesù che oggi ci dice: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti “(Lc6, 20 – 26).
Ascoltando queste parole, permettiamo a Cristo di toccare la nostra mentre ed il nostro cuore e di guarirci completamente, dalla radice dei nostri mali. Gesù infatti è venuto a portare l’amore e la vita, che vince l’egoismo e la morte. L’egoista cerca ricchezze e prende tutto, per dominare sugli altri ed essere superiore a tutti. Chi ama dà tutto, fino a dare se stesso, e serve gli altri con umiltà, ed è beato, felice qui sulla terra e per l’eternità.
1) Le beatitudini secondo Luca.
Il versetto iniziale del Vangelo di oggi (Lc6,17) è molto solenne e preciso: dopo aver pregato tutta la notte e aver poi scelto i suoi dodici apostoli, il Redentore scende dalla montagna in un luogo pianeggiante e pronuncia il suo discorso circondato dai discepoli e dalla folla. Una folla venuta da ogni dove, persino dalle contrade pagane di Tiro e di Sidone. Il confronto con le beatitudini di Matteo (5,3-12) ci offre il modo di notare alcune particolarità proprie della narrazione di Luca, il cui modo di narrare è più personale di quello di Matteo, e coinvolge direttamente l'ascoltatore (“Beati voi poveri”). Inoltre Luca parla di poveri, di piangenti, di affamati, di perseguitati, senza precisare – come invece fa Matteo – che sono poveri nello spirito, affamati di giustizia. Infine Luca elenca tre “guai”, che imprimono al discorso un tono quanto mai drastico e radicale (6,24-26).
I profeti hanno descritto il tempo messianico come il tempo in cui Dio si sarebbe preso cura dei poveri, degli affamati, dei perseguitati. Gesù proclama che questo tempo è arrivato. Per i profeti le beatitudini erano al futuro, una speranza: “Verrà un tempo in cui i poveri saranno beati”. Per Gesù è un presente: oggi i poveri sono beati. La ragione è una sola, fondamentale: il Messia, il Re dei re con il suo Regno è arrivato. È alla luce del Regno arrivato – un Regno che capovolge i valori comuni – che si giustifica la paradossalità di queste parole di Gesù.
Mentre Matteo elenca otto beatitudini, mentre Luca ne propone che quattro e che riguardano: i poveri, i piangenti, gli affamati, i perseguitati. Partendo dalla stessa fonte Matteo e Luca ci offrono testi differenti, perché gli evangelisti non sono semplici cronisti, interessati solo a trasmettere fatti e parole, ma testimoni. Le parole di Gesù sono un fermento di vita: la Chiesa primitiva le trasmette soltanto avvolgendole nella sua propria vita (cfr. J. Dupont).
Nella modo di pensare e di vivere di Luca per “povero” non si intende semplicemente chi è privo di mezzi, ma indica la situazione del mendicante trascurato, povero accanto a gente ricca, deriso: i piangenti e gli affamati sono sostanzialmente una ripetizione dei poveri. Più che a delle virtù (come invece Matteo) Luca sembra fare riferimento a delle situazioni di fatto, cioè alla moltitudine dei poveri che non hanno cercato la loro povertà e tuttavia sono chiamati a viverla. La quarta beatitudine (i perseguitati) è quella del discepolo, di colui che ha scelto di seguire Gesù, trovandosi coinvolto nel suo destino di persecuzione. Questa sintetiche spiegazioni fanno emergere un giudizio severo sul mondo ricco: un giudizio che si rafforza se si leggono i quattro guai: “Guai a voi ricchi, guai a voi che siete sazi, guai a voi che ora ridete, guai a voi che ora siete applauditi”.
Con le Beatitudini e i “guai” Cristo ci si presenta un altro criterio di valori. E mentre quella scala di valori che stiamo seguendo è esattamente il principio della violenza, della guerra, dell’uccisione, della morte, dell’uccisione dell’essere figli, dell’essere fratelli e dello sterminio dei beni della terra, non solo degli uomini, l’altro, invece, è il principio dell’amore, del dono, della solidarietà, della vita, della vita vivibile, dell’essere figli, dell’essere fratelli.
2) “Beati i poveri, perché vostro è il regno di Dio”
Se seguiamo la logica non cristiana, diciamo: “Beati i ricchi, beati i sazi, beati i gaudenti e beati gli onorati, i famosi. Chi dice il contrario è considerato come un pazzo o come uno che ha voglia di scherzare.
Vediamo cosa vuol dire beato cristianamente parlando. Beato vuol dire: mi congratulo con te, hai vinto. Sei della parte giusta: beato te! Beato te: è forma di congratulazione. E Gesù si congratula con i poveri! Il vangelo di Luca in greco usa la parola “povero”. Il povero sarebbe il contrario del ricco. Il ricco è quello che ha tanto con poca fatica, idealmente senza fatica, molto di più allora. Il povero è quello che ha poco con tanta fatica. La parola usata in greco da Luca è “ptochoi”(=pitocco). Chi è il “pitocco”, è colui che ha niente ed ha tanta pena e che, quindi, vive di elemosina, vive di dono, vive di dipendenza. Di questi dice il motivo perché questi poveri sono beati: non perché sono poveri, ma perché “vostro è il Regno di Dio”.
Questa beatitudine è al presente: il regno di Dio è già “vostro”. Cosa vuol dire che il regno di Dio è del pitocco, è del povero? Il regno di Dio è Dio stesso che regna sulla terra. Noi vediamo sulla terra che regnano i ricchi che dominano sugli altri.
Ma Dio regna in un altro modo. Dio regna servendo perché è amore. E l’amore dona tutto fino a dar se stesso. E Dio è estremamente povero perché ama, dà tutto, fino a dar se stesso.
Dio stesso è dono e il peccato è voler possedere il dono come ci pare e piace e così lo distruggiamo. Il dono è significativo perché è relazione con chi dona e, allora, non cadiamo nel feticismo, nell’idolatria delle cose.
Se viviamo del dono condividendolo, esso resta sempre dono e si ravviva. Se, invece, ci impossessiamo avidamente del dono, alla fine neghi la vita stessa che è dono. La vita è dono, tutte le cose fondamentali sono dono. Noi siamo chiamati a vivere di doni, come il povero.
L’accumulare è il far consistere il bene nelle cose, e credere che la nostra vita consiste nelle cose da tenere strette. Si diventa schiavi delle cose. Immoliamo la vita alle cose, i poveri muoiono di fame, i ricchi muoiono di di stress. Non è vita questa.
Il desiderio delle cose ci divide gli uni dagli altri e ci distrugge. Per questo la povertà - come molto spesso fortunatamente Papa Francesco ci ricorda - è la cosa più sublime che ci sia da imparare oggi, per la salvezza del mondo. Altrimenti il mondo è perduto perché se tutti vogliamo possederci, alla fine ci distruggiamo. L’importante è capire la bellezza di questa povertà e capire come ogni relazione vera è povera, perché non è un dominio sull’altro, perché l’altro non è un nostro possesso.
Riceviamo l’altro gratuitamente, altrimenti che relazione é? E i figli sono amati gratuitamente, e il marito e la moglie si amano veramente quando si amano gratuitamente: uno e dono per l’’altra e tutti e due sono un dono di Dio.
A vivere e testimoniare questa vita di dono sono chiamate in modo particolare le Vergini consacrate e che con il dono totale di se stesse a Cristo Sposo diventano immagine concreta della Chiesa Sposa. Queste donne consacrate sono chiamate a vivere come la Vergine Maria: tenera e umile, povera di cose e ricca di amore. Consacrandosi, le vergini consacrate si riflette la natura della Chiesa, animata dalla carità tanto nella contemplazione quanto nell’azione; discepola e missionaria; protesa verso il compimento escatologico e allo stesso tempo partecipe delle gioie, delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini del proprio tempo soprattutto dei più fragili e poveri; immersa nel mistero della trascendenza divina e incarnata nella storia dei popoli” (Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica, Istruzione sull’Ordo Virginum,Ecclesiae Sponsae Imago, n. 20).
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