V
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 10 febbraio 2019
Rito
Romano:
Is
6, 1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15, 1-11; Lc 5, 1-11
Rito
Ambrosiano
Sir
18,11-14; Sal 102; 2Cor 2,5-11; Lc 19,1-10
Ultima
Domenica dopo l’Epifania detta «del perdono»
1)
Da un incontro la vocazione.
Oggi
le letture della Messa ci parlano di tre persone che hanno avuto un
incontro vero, in cui è emersa la loro vocazione. Grazie
all’incontro con Dio, Isaia si offrì di diventare Suo profeta, San
Paolo accettò di esser il testimone del Vangelo a tutti i pagani e
San Pietro aderì alla proposta di Cristo di diventare pescatore di
uomini.
Per
queste tre sante e vere persone quello del loro incontro con Dio non
fu un giorno come un altro, per loro quel giorno fu come nessun
altro: fu un avvenimento, che cambiò la loro vita e loro la misero a
servizio di Dio.
E’
importante notare che in tutti e tre questi casi la vocazione fu per
una missione di salvezza e che per Dio il peccato e la fragilità dei
tre chiamati non furono un’obiezione alla chiamata che Lui faceva a
loro. Li perdonò, li purificò e diede loro la forza per il compito
a cui li invitava.
Tutti
e tre ricevettero la pace del perdono e divennero missionari tra gli
uomini, facendosi portavoce di Dio e del Suo Regno, che è regno di
libertà, di giustizia, di verità, di pace e soprattutto di amore.
A
Isaia che
accolse il grido divino: «Chi
manderò e chi andrà per noi?»,
il Signore cambiò il cuore perché potesse rispondere: «Ecco
manda me».
Questo grande profeta poté rispondere così perché il Serafino
aveva purificato con il carbone incandescente le sue labbra. Ma
questo gesto angelico è la conseguenza del fatto che Isaia aveva
incontrato Dio ed aveva riconosciuto la sua condizione di peccatore.
A
Paolo Cristo diede la sua grazia e gli disse “Ti
sono apparso per costituirti ministro e testimone di quelle cose che
hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora.”(At.
26, 16b). Anche per l’Apostolo delle genti l’incontro con il
Signore fu la condizione per cambiare il senso della vita e per
viverla come missione. Da persecutore accanito Paolo divenne
annunciatore infaticabile di Cristo.
A
Pietro Gesù diede la forza salda come una pietra perché il primo
degli apostoli lo seguisse senza cedimenti. Essendo stato
co-protagonista della pesca miracolosa, Pietro disse a Gesù:
“Signore,
vattene via da me che sono peccatore. Non sono degno di avere un
Santo nella mia barca”
(cfr. Lc 5,8). Ma il Redentore gli rispose: “Non
avere paura. Vieni con me, credi alla mia parola e ti farò pescatore
di uomini”
(cfr. Lc 5,10).E quell’umile pescatore di Galilea divenne colui che
lavorò alla pesca degli uomini, tirandoli fuori dall’acqua
avvelenata del peccato per metterli nell’acqua pura dell’amore di
Cristo.
2)
La vita come vocazione.
Lo
stupore del miracolo, delle parole e soprattutto dell’incontro con
Cristo non invase solo Pietro, ma tutti quelli che erano con lui per
la pesca: in particolare Andrea, suo fratello, come pure Giacomo e
Giovanni, soci di Pietro.
Gesù
non era più solo. Quattro uomini, due coppie di fratelli che
diventarono ancor più fratelli nella fede comune, lasciarono tutto,
lavoro e famiglia, per diventare compagni di cammino di Cristo.
Quattro poveri pescatori, quattro semplici uomini del lavoro, che non
erano certo laureati furono chiamati da Gesù per condividere la sua
missione di salvatore della grande famiglia umana.
Ma
perché questi pescatori lasciarono tutto per seguire quest’Uomo
che non prometteva né soldi né onori e parlava “solamente” di
amore, di perfezione, di povertà e di gioia: “Beati i poveri,
perché di loro è il Regno dei Cieli” ?
Lasciarono
tutto, perché Cristo era diventato il centro affettivo della loro
vita e solo Lui aveva parole di vita eterna. Lui è Vita della vita.
L’incontro con Cristo aveva travolto la loro nullità. La scoperta
di Cristo come centro di tutto eliminò la paura. Sperimentarono che
chi segue Gesù non cammina nelle tenebre e si misero a servizio del
Regno di Dio. Seguirono Cristo e vissero in comunità con Lui, che
descriveva se stesso con la parabola del Buon Pastore, in cui la
carità si manifesta in tutta la sua capacità di iniziativa,
creatività e forza (cfr Lc 15, 4-6).
In
breve, gli Apostoli accettarono la vita come vocazione e la missione
di Cristo divenne la loro vocazione.
3)
La vocazione di Zaccheo.
La
profonda disponibilità di mettere la loro vita al servizio
dell’amore di Cristo fu essenziale per capire la loro personale
vocazione. Ma non sembra il caso di Zaccheo, di cui ci parla il
vangelo ambrosiano di oggi (Lc
19,1-10).
Zaccheo
era solo curioso di vederlo, non aveva intenzione di andare vicino a
Cristo, anche perché essendo un pubblicano era accomunato con i
peccatori e quindi non poteva accostarsi a un santo. Non sapeva
ancora che Gesù era venuto a “chiamare” i peccatori, a dare loro
la vocazione, cioè la proposta di essergli vicino per condividere la
sua vita e la sua missione. Dunque, nel giorno in cui Cristo passava
da Gerico questo uomo, attaccato ai soldi, salì su un albero per
vedere il Messia, senza avvicinarsi.
E
quel giorno per lui non fu un giorno come un altro. Fu il giorno
dell’incontro tra lui e Cristo, che guardandolo con amore (Cristo
ama i peccatori, è venuto per loro, quindi per noi) gli disse: “Oggi
vengo a casa tua”. Chissà se Cristo non si è ispirato a Zaccheo
per la parabola del fariseo e pubblicano, che non aveva il coraggio
neanche di alzare gli occhi, pareva si vergognasse di comparire
davanti al Signore, Sospirava e si picchiava il petto e non diceva
altre parole che queste: “Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Forse
per Zaccheo la domanda di perdono era implicita nel desiderio di
vedere Gesù. Il resto lo fece il Signore, il cui sguardo salva. Lo
sguardo di Cristo va oltre le apparenze, vede il cuore che anela
risorgere. Non chiede a Zaccheo: “Cosa hai fatto?”, non gli
rinfaccia il suo peccato. Lo chiama per chiedergli di essere ospitato
in casa sua. E Zaccheo capisce che è una chiamata alla comunione con
Gesù.
E’
naturale allora che quest’uomo si metta a disposizione
dell’Uomo-Dio e della Sua missione messianica. Questo pubblicano
“accolse Gesù con gioia” perché l’invito di Cristo aveva dato
nuovo e vero senso alla sua vita. E imparò a guardare gli altri,
come Gesù aveva guardato lui: fraternamente.
Il prossimo non era più gente da
sfruttare ma uomini con cui instaurare rapporti di giustizia, di
perdono e, quindi, di fraternità vera.
4)
La vocazione all’amore.
Questa
nativa e fondamentale vocazione all'amore,
propria di ogni uomo e di ogni donna, può
realizzarsi pienamente nel matrimonio e
nella verginità: essi
sono «i due modi di esprimere e di
vivere l'unico mistero dell'alleanza di Dio con il popolo»
(Familiaris Consortio, n 11).
Il
matrimonio e la verginità non sono in contrapposizione tra loro;
sono piuttosto due doni diversi e complementari che convergono
nell'esprimere l'identico mistero sponsale dell'unione feconda e
salvifica di Cristo con la Chiesa.
Ma
è importante ricordare che la Verginità è nella Chiesa la
vocazione più alta, essa è il vertice dell’amore, è la risposta
piena alla predilezione di Cristo, dentro la quale si guarda alle
persone come le ha guardate Cristo. Di questo amore di predilezione
le Vergini sono chiamata ad essere martiri (parola greca che vuole
dire =testimoni), spose e madri nello spirito, capaci di dare la vita
con passione perché Cristo sia conosciuto e l’incontro con lui
cambi la vita.
«Voi
che siete vergini per Cristo – esorta
il Vescovo secondo il Rito di consacrazione dell’Ordo Virginum
– diventerete madri nello spirito, facendo la volontà del Padre,
cooperando con amore, perché tanti figli siano generati o ricuperati
alla vita della grazia» (CV 29); «Il
Signore Gesù Cristo / [...] renda feconda la vostra vita / con la
forza della sua parola» (CV 56). «La
Santa Madre Chiesa – si legge
nell’omelia rituale – vi considera
un’eletta porzione del gregge di Cristo; in voi fiorisce e
fruttifica largamente la sua soprannaturale fecondità»
(CV 29). In questo modo le Vergini consacrate collaborano alla pesca
divina, generando e recuperando tanti figli e figlie alla vita di
grazia e di amore portata da Cristo.
Lettura
Patristica
DISCORSO
93
SULLE
PAROLE DEL VANGELO DI MT 25, 1-13:
“IL
REGNO DEI CIELI SARÀ SIMILE ALLE DIECI VERGINI”
il
testo integrale è su:
Ecco
l’inizio:
Quali
sono da intendere le dieci vergini della parabola.
1.
1. Voi che ieri eravate presenti vi
ricordate che vi abbiamo fatto una promessa; ebbene oggi sarà
adempiuta, con l'aiuto di Dio, non solo per voi ma anche per gli
altri numerosi fedeli che si sono qui riuniti. Non è facile indagare
quali sono le dieci vergini, di cui cinque sono prudenti e cinque
stolte. Tuttavia attenendoci al contenuto dello stesso passo, che ho
voluto fosse letto anche oggi alla Carità vostra, per quanto il
Signore si degna di farmi capire, non mi pare che questa parabola o
similitudine si possa riferire alle sole vergini che si chiamano così
nella Chiesa per la loro particolare e più alta santità e che, con
un termine più comune, siamo abituati a chiamare "Santimoniali",
[ossia monache]; ma, se non vado errato, questa similitudine si
riferisce a tutta quanta la Chiesa. D'altro canto, anche se
intendessimo come vergini quelle sole che si chiamano "santimoniali",
sono forse soltanto dieci? Dio non voglia che una sì grande
moltitudine di vergini sia ridotta a un numero così piccolo!
Qualcuno forse potrebbe dire: "E che dire se molte sono tali di
nome ma tanto poche lo sono realmente da trovarsene appena dieci?".
No, non è così. Poiché se il passo volesse farci intendere che
solo dieci sono buone, non ci mostrerebbe tra esse cinque stolte. Se
infatti sono molte quelle chiamate vergini, perché la porta del
palazzo viene chiusa solo in faccia alle cinque stolte?
Le
dieci vergini sono qualunque anima della Chiesa.
2.
2. Dovremo dunque, carissimi, intendere
che questa parabola si riferisce a noi tutti, cioè assolutamente a
tutta quanta la Chiesa, non ai soli superiori, dei quali abbiamo
parlato ieri, né ai soli fedeli laici, ma a tutti assolutamente. Ma
perché allora cinque vergini sagge e cinque stolte? Queste vergini,
cinque sagge e cinque stolte, sono assolutamente tutte le anime dei
cristiani. Ma, per dirvi ciò che pensiamo per ispirazione di Dio,
non sono le anime di qualsiasi specie, ma le anime che hanno la fede
cattolica e si vedono praticare le opere buone nella Chiesa di Dio,
eppure di esse cinque sono sagge e cinque stolte. Prima dunque
vediamo perché sono indicate come cinque e come vergini e dopo
consideriamo il resto. Ogni anima nel corpo è denotata col numero
cinque perché fa uso dei cinque sensi. Noi infatti col corpo non
percepiamo alcuna sensazione se non attraverso una porta di cinque
sportelli: o con la vista, o con l'udito, o con l'odorato, o col
palato, o col tatto. Orbene, chi si astiene dal vedere, dall'udire,
dall'odorare, dal gustare o dal toccare cose illecite, riceve il nome
di vergine.
Non
basta né la verginità, né le opere buone.
2.
3. Ma
se è un bene astenersi dai moti illeciti dei sensi e perciò
qualunque anima cristiana ha ricevuto il nome di vergine, per qual
motivo cinque di esse vengono fatte entrare e cinque sono respinte?
Sono vergini eppure sono respinte. Non basta che siano vergini, ma
hanno anche le lampade. Sono vergini in quanto si astengono dalle
sensazioni illecite, hanno le lampade in quanto fanno le opere buone.
Di queste opere il Signore dice: La
vostra luce risplenda davanti agli uomini perché vedano le vostre
opere buone e diano gloria al Padre vostro ch'è nei cieli 1.
Ai discepoli dice ugualmente: Siate
sempre pronti con la cintura ai fianchi e le lampade accese 2.
Nei fianchi legati con la cintura è denotata la verginità, nelle
lampade accese le opere buone.
È
vergine ogni anima cristiana.
3.
4. È
vero che non si è soliti parlare di verginità a proposito di
persone coniugate, eppure anche nel matrimonio esiste la verginità
della fedeltà, la quale produce la pudicizia coniugale. Mi spiego:
perché la Santità vostra si convinca che ciascuno o ciascun'anima è
chiamata, in modo non inopportuno, vergine in relazione ai sentimenti
intimi e all'integrità della fede, con cui ci si astiene dalle cose
illecite e si compiono le opere buone; [ricordatevi che] tutta la
Chiesa, formata di ragazze e ragazzi, di donne maritate e di uomini
ammogliati, è chiamata con il nome di vergine al singolare. Come
proviamo quest'affermazione? Ascolta l'Apostolo che dice, non solo
alle donne consacrate a Dio, ma assolutamente a tutta la Chiesa:
Vi ho
promessi
in matrimonio a un solo sposo, a Cristo, per presentarvi a lui come
una vergine pura 3.
E poiché bisogna tenersi lontani dal diavolo ch'è il corruttore di
tale verginità, lo stesso Apostolo, dopo aver detto:
Vi ho promessi in matrimonio a un solo sposo, a Cristo, per
presentarvi a lui come una vergine pura, soggiunge
subito e dice: Temo
però che, come il serpente con la sua malizia ingannò Eva, così i
vostri pensieri vengano traviati dalla purezza riguardo a Cristo 4.
Quanto
al corpo sono pochi ad avere la verginità, ma tutti debbono averla
nel cuore. Se dunque è cosa buona l'astensione dalle azioni
illecite, e da ciò ha preso nome la verginità, e sono lodevoli le
opere buone simboleggiate dalle lampade, perché mai sono fatte
entrare solo cinque e le altre cinque sono respinte? Se uno è
vergine e porta le lampade e tuttavia non vien fatto entrare, dove
potrà veder se stesso chi non conserva la verginità astenendosi
dalle cose illecite e, trascurando di praticare le opere buone,
cammina nelle tenebre?
Oltre
alla continenza e alle opere buone si richiede la carità.
4.
5. Di
costoro, dunque, fratelli miei, di costoro piuttosto cerchiamo di
trattare. Chi non vuol vedere né udire ciò ch'è male, chi
distoglie l'odorato dagli effluvi illeciti che esalano dai sacrifici
pagani e il palato dagli illeciti cibi dei sacrifici, chi fugge
l'amplesso con la donna d'altri, spezza il pane agli affamati, ospita
in casa i forestieri, veste gl'ignudi, mette pace tra i litiganti,
visita i malati, dà sepoltura ai morti: ecco chi è vergine, chi ha
le lampade. Che cosa vogliamo di più? Desidero qualcosa di più.
"Che cosa vuoi ancora?" si dirà. Desidero ancora qualcosa.
Ha destato la mia attenzione il santo Vangelo. Le stesse vergini che
portavano anche le lampade, alcune le chiama sagge, altre stolte. Ma
come possiamo discernerle? da che cosa possiamo distinguerle?
Dall'olio. L'olio è il simbolo di qualcosa di grande, di molto
importante. Non è forse la carità? Questa che vi faccio è una
domanda, anziché un'affermazione precipitosa. Vi dirò perché mi
pare che l'olio sia simbolo della carità. L'Apostolo dice:
Io v'indico una via più sublime 5.
Quale via più sublime addita? Se
sapessi parlare le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi
la carità, sarei come una campana che suona o un tamburo che
rimbomba 6.
Ecco la via più sublime, cioè la carità, che a giusto titolo è
simboleggiata dall'olio. L'olio infatti rimane al di sopra di tutti i
liquidi. Se si mette dell'acqua in un vaso e vi si versa sopra
dell'olio, l'olio rimane alla superficie. Se ci metti olio e vi versi
sopra acqua, l'olio rimane a galla. Se lo lasci al suo posto naturale
l'olio sta sempre al di sopra; se tu volessi cambiare la sua
posizione naturale tornerebbe sempre a galla. La
carità non cadrà mai 7.
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