III
Domenica di Avvento – Rito Romano - 16 dicembre 2018
Sof
3,14-18;Is 12;Fil 4,4-7;Lc 3,10-18
La
gioia è la presenza dell’Amato.
V
Domenica di Avvento – Rito Ambrosiano
Is
30,18-26b; Sal 145; 2Cor 4,1-6; Gv 3,23-32a
Il
Precursore che
annuncia la gioia di una Presenza.
1)
La gioia non è semplicemente un’emozione, è un’esperienza.
I
brani di vangelo proposti dalla liturgia romana e ambrosiana attirano
la nostra attenzione su Giovanni il Battista, chiamato anche il
Precursore. Questo appellativo indica che Giovanni correva non solo
in avanti, che è ovvio, ma davanti a Cristo, per preparargli la
strada, appianandola con la carità di una vita e di una predicazione
di conversione.
Il
Precursore non ha meritato questo “soprannome” perché correva
fisicamente, ma perché camminava con passi di amore. Potremmo dire
che era un ambasciatore dell’Amore, che insegnava che occorreva
andare verso il Messia con passi d’amore purificato, convertito.
La
conversione è dire “si” a Dio, come il profeta Sofonia (I
lettura) ce lo ricorda, e dire “si” al prossimo (Vangelo
odierno). In effetti, alle folle che gli chiedevano: “Che cosa
dobbiamo fare?”, Giovanni rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia
una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia lo stesso.
Sofonia
ci insegna che l’amore rinnova il cuore (I lettura, 3,18) e la
paura lo invecchia. Il Vangelo di oggi ci insegna che l’amore è
condivisione e fonte di vita. Anche il salmo ci invita alla gioia:
“Gridate lieti ed esultate,
abitanti di Sion, perché grande in mezzo a voi è il Santo di
Israele”.
Nella seconda
lettura l’Apostolo Paolo non è da meno, scrivendo ai cristiani di
Filippi insiste sulla gioia: “Ve lo
ripeto rallegratevi…”,
precisando il perché: “il Signore
è vicino”. La gioia implica la
scomparsa dell'ansia e dell'inquietudine: “Non
angustiatevi di nulla” e se per
caso “Avete dei fastidi?...
condivideteli con Dio. Nella preghiera fategliene parte”.
La
sorgente della gioia è Dio, che guida i nostri passi per condurci
dove Lui ci attende. Ma come camminare verso la grande luce di
Cristo, che ci è indicate da quella, piccola, di Giovani? La torcia
che Giovanni ci indica il Sole che è Cristo (in questo modo i nostri
occhi non si bruciano). Restituendo il cuore a Gesù, Luce che dà
forza e speranza, anche in mezzo alle situazioni più difficili.
L’importante
è abbandonarsi alle braccia divine, che ci sostengono nel nostro
cammino. Dio non ci abbandona mai: è l’Emmanuele, il Dio sempre
con noi.
Rivolgiamo
(=con-vertiamo) il nostro sguardo a Lui. Ammiriamolo sul legno della
culla a Betlemme e su quello della croce a Gerusalemme, dove ha
definitivamente donato la sua vita perché ci ama. La contemplazione
di un amore così grande porterà nei nostri cuori una speranza e una
gioia che nulla può abbattere.
Come
possiamo essere tristi, se abbiamo incontrato Cristo, che ha dato la
vita per noi, per ciascuno di noi? Ma anche se fossimo tristi, non
importa. La tristezza è segno che Dio ci manca, anche se non ne
siamo consapevoli. La tristezza, che si fa umile domanda, è il
prezzo della gioia della risposta. Basta che il nostro cuore gridi:
“Vieni, Signore Gesù”, il Figlio di Dio che non si compiace del
male (cfr Sal 5,5). Allora faremo esperienza di Dio, che benedice “il
giusto: come scudo lo copre la sua benevolenza” (Sal 5,13) ed
avremo una serena fiducia, fondata sulla misericordia-fedeltà (in
ebraico hésed)
di Dio, da una parte, e giustizia-salvezza (in ebraico sedaqáh)
dall’altra.
Queste
due parole ebraiche sono usate dalla Bibbia per celebrare l’alleanza
che unisce per sempre il Signore al suo popolo ed ai singoli fedeli
nella gioia. Infatti la gioia di Cristo consiste nel fatto che Lui si
degna di gioire di noi e la nostra gioia perfetta consiste
nell’essere in comunione con Lui (cfr S. Agostino, Discorso
32): è l’Alleanza nuova ed
eterna.
2)
La gioia non è solo essere amati, ma amare donando.
La
carità nasce da un cuore dilatato dalla gioia e la carità è
condividere la gioia, è trasmetterla. Dare una festa, per poter
condividere la gioia con gli altri (“rallegratevi
con me”) è il modo che il Pastore
buono conosce per poter trasmettere la gioia quando trova la pecora
che si era perduta, è il modo che il Padre misericordioso usa
quando il figlio prodigo torna a casa.
Nell’esempio
del buon Pastore e del Padre misericordioso vediamo che l’amore
produce gioia, e la gioia è una forma d’amore. Amare significa
voler bene e voler bene significa procurare il vero bene alla persona
amata, fino al dono lieto e totale di se stessi a
e per
chi si ama, come ha fatto Gesù a Betlemme e sul Calvario. Come ha
fatto la Madonna, che piena di grazia e di gioia (“l’anima
mia magnifica il Signore e gioisce il mio spirito in Dio mio
salvatore”) ha portato ad
Elisabetta non tanto il suoi aiuto materiale, ma la gioia in persona:
Cristo. Una gioia tale che anche il piccolo Giovanni, ancora nel
grembo della madre anziana, sussultò di letizie, percependo la
presenza di Gesù, ancora nel grembo della giovane mamma.
Se
Giovanni fu capace di percepire la presenza di Cristo, nonostante
l’oscurità del grembo che lo conteneva, e gioì, non
potremo noi percepire la presenza di Gesù, nonostante l’oscurità
delle nostre difficoltà o del nostro “banale” quotidiano ed
essere nella gioia? Certamente. Basta che con la curiosità dei
pastori e la preghiera dei Re Magi andiamo a Cristo e davanti a Lui
ci mettiamo in ginocchio. Poi come loro offriamo a Cristo il nostro
stupore e i nostri semplici doni (per Colui che ha fatto il mondo
tutte le cose -oro compreso- sono poca cosa) e Lui di nuovo si donerà
a noi completamente e teneramente.
“Le
donne consacrate sono chiamate in modo tutto speciale ad essere,
attraverso la loro dedizione vissuta in pienezza e con gioia, un
segno della tenerezza
di Dio verso il genere umano ed una
testimonianza particolare del mistero della Chiesa che è vergine,
sposa e madre”(Giovanni Paolo II, Esort ap
Vita Consecrata, 25 marzo 1996, n.
57).
Questo
dono le Vergini consacrate lo ricevono in modo particolare nel Rito
della consacrazione e sono chiamate a viverlo in modo sempre più
maturo e consapevole.
Per tale dono “la
vergine diventa una persona consacrata, segno sublime dell’amore
che la Chiesa porta a Cristo, immagine escatologica della sposa
celeste e della vita futura”
(Premesse al Rito, 1). “Ricevete
l’anello delle mistiche nozze con Cristo e custodite integra la
fedeltà al vostro Sposo, perché siate accolte nella gioia del
convito eterno” (Rituale di
Consacrazione delle Vergini, n. 40).
La
modalità abituale è fare memoria di
Cristo, nato per noi, nel quotidiano come storia di salvezza e
rendere grazie (=fare Eucaristia). “Vivano con lode senza ambire la
lode; a Te solo diano gloria nella santità del corpo e nella purezza
dello spirito; con amore ti temano, per amore ti servano” (Rituale
di Consacrazione delle Vergini, n. 38).
Tutti
poi, celibi o sposati, laici o religiosi, siamo chiamati a mettere in
pratica le parole di Gesù richiamate da San Paolo negli Atti degli
Apostoli: «Si è più beati nel dare
che nel ricevere» (At
20,35). Parole che Madre Teresa di Calcutta spiegava così: «La
gioia è una rete d’amore per catturare le anime. Dio ama chi dona
con gioia. E chi dona con gioia dona di più».
E il Servo di Dio Paolo VI scriveva: «In
Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono»
(Esort. Ap. Gaudete in Domino,
9 maggio 1975).
Quindi
con gioia prepariamoci ad accogliere Cristo, che riporta nel mondo il
Dono di Dio, l’infinito amore fedele e misericordioso, giusto e
salvifico.
Per
prepararsi bene a Cristo, Perdono di Dio, che viene a Natale,
consiglio per questa domenica le seguente preghiera di S. Tommaso
Moro:
“Signore,
dammi
una buona digestione
ed
anche qualcosa da digerire.
Donami
la salute del corpo
col
buonumore necessario a mantenerla.
E
donami, Signore, un'anima santa
che
faccia tesoro
di
quello che è buono e puro,
affinché
non si spaventi
alla
vista del male,
ma
trovi, alla tua presenza,
la
via per rimettere le cose a posto.
Donami
un'anima che non conosca
la
noia, i brontolii, i sospiri e i lamenti;
e
non permettere che io mi affligga eccessivamente
per
quella cosa troppo invadente
che
si chiama "io".
Signore,
dammi
il senso del ridicolo
e
concedimi la grazia di comprendere gli scherzi,
affinché
conosca nella vita
un
po' di gioia e possa farne partecipi anche gli altri. Amen”
San
Tommaso Moro, Martire (7 febbraio 1477 - 6 luglio 1535)
Marito
e padre esemplare, uomo politico, grande umanista cristiano ha
coniato il termine «utopia» (parola composta da ou
= non e topos
= luogo), indicando un'immaginaria isola dotata di una società
ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più
famosa, «L'Utopia»,
del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla
rivendicazione dal Re Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa
d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica
conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento.
S.
Tommaso Moro
preferì essere condannato a morte da Enrico VIII, piuttosto di
tradire la propria coscienza.
L’armonia
fra il naturale e il soprannaturale costituisce forse l'elemento che
più di ogni altro definisce la personalità di questo grande
Statista inglese: egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà
semplice, contrassegnata dal celebre "buon umore", anche
nell'imminenza della morte.
Spinto dalla sua passione per la
verità, mostrò anche con l’accettazione della sua condanna a
morte che non si può separare l’uomo da Dio, né la politica dalla
morale.
La
testimonianza di san Tommaso Moro, ucciso mediante decapitazione,
illustra con chiarezza una verità fondamentale dell’etica
politica: la difesa della libertà della Chiesa da indebite ingerenze
dello Stato è allo stesso tempo difesa, in nome del primato della
coscienza, della libertà della persona nei confronti del potere
politico.
Il
31 ottobre 2000, il B. Papa Giovanni Paolo II lo proclamò Patrono
dei Governanti e dei Politici.
Lettura
patristica
San Gregorio Magno (ca 540 – 604)
San Gregorio Magno (ca 540 – 604)
Hom.,
20, 1-7
Il
Battista
Il precursore del nostro Redentore viene presentato attraverso l’indicazione delle autorità che governavano Roma e la Giudea al tempo della sua predicazione, con le parole: "Nel quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Pilato, tetrarca della Galilea Erode, Filippo suo fratello tetrarca dell’Iturea e della Traconitide e Lisania tetrarca dell’Abilene, mentr’erano principi dei sacerdoti Anna e Caifa, la Parola di Dio si manifestò a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto" (Lc 3,1s). Poiché, infatti, Giovanni veniva ad annunziare colui che doveva redimere alcuni Giudei e molti Gentili, i tempi vengono indicati menzionando il re dei Gentili e i principi dei Giudei. Poiché poi i Gentili dovevano venir raccolti e i Giudei stavano per essere dispersi a causa della loro perfidia, nella descrizione dei principati, la repubblica romana è tutta assegnata a un solo capo e nel regno della Giudea viene sottolineata la divisione in quattro parti. Il nostro Redentore infatti dice: "Ogni regno diviso in se stesso, andrà in rovina" (Lc 11,17). È chiaro allora che la Giudea, divisa tra tanti re, era giunta alla fine del regno. E proprio opportunamente vien notato non solo chi fossero a quel tempo i re, ma anche chi fossero i sacerdoti, perché Giovanni Battista avrebbe annunziato colui che sarebbe stato allo stesso tempo e re e sacerdote.
"E si recò per tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati" (Lc 3,3). Chi legge comprende che Giovanni non solo predicò ma diede anche ad alcuni il battesimo di penitenza, ma tuttavia non poté dare il suo battesimo in remissione dei peccati. La remissione dei peccati, infatti, avviene solo nel Battesimo di Cristo. Bisogna osservare che vien detto: "Predicando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati", predicava cioè un battesimo che perdonasse i peccati, perché non lo poteva dare. Come annunziava con la parola il Verbo del Padre che si era incarnato, così nel suo battesimo che non poteva perdonare i peccati, anticipava il Battesimo di penitenza, che avrebbe liberato dai peccati. La sua predicazione anticipava la presenza del Redentore, il suo battesimo era ombra del vero Battesimo di Cristo.
"Com’è scritto nel libro d’Isaia: Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri" (Is 40,3). Lo stesso Battista, interrogato chi egli fosse, rispose: "Io sono la voce di colui che grida nel deserto" (Jn 1,23). È detto voce, perché annunzia il Verbo. Quello poi che diceva sta nelle parole: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri". Chiunque annunzia la fede vera e predica le opere buone che altro fa se non preparare i cuori di chi lo ascolta al Signore che viene? Perché la forza della grazia penetri, la luce della verità illumini, raddrizzi le vie innanzi al Signore, mentre il sermone della buona predicazione forma buoni pensieri nell’animo.
"Ogni valle sarà riempita e ogni colle e monte sarà abbassato". Che cosa s’intende qui per valli se non gli umili, che cosa per monti e colli se non i superbi? Alla venuta del Salvatore le valli saranno riempite, i colli e i monti saranno abbassati, perché com’egli stesso dice: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11). Infatti, la valle riempita s’alza, il monte e il colle umiliato, s’abbassa, perché nella fede del Mediatore tra Dio e gli uomini Cristo Gesù, la gentilità ricevette la pienezza della grazia e la Giudea per la sua perfidia perdette ciò di cui s’inorgogliva. Ogni valle sarà riempita, perché i cuori degli umili saranno riempiti dalla grazia delle virtù…
Il popolo, poiché vedeva Giovanni Battista fornito di meravigliosa santità, lo riteneva un monte singolarmente alto e solido... Ma se lo stesso Giovanni non si fosse ritenuto una valle, non sarebbe stato riempito dello spirito della grazia. Egli infatti disse di sé: "Viene uno più forte di me; non son degno di sciogliere i legacci dei suoi calzari" (Mc 1,7). Ed anche: "Chi ha la sposa è lo sposo, l’amico dello sposo sta lì a sentirlo e gode a sentir la voce dello sposo. Questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io devo essere diminuito" (Jn 3,29-30). Infatti, essendo stato ritenuto, a motivo della sua eccezionale virtù, d’essere il Cristo, non solo disse di non esserlo, ma disse addirittura ch’egli non era degno di sciogliere i lacci dei suoi calzari, di frugare, cioè, nel mistero della sua incarnazione. Credevano che la Chiesa fosse sua sposa; ma egli li corresse: "Chi ha la sposa è lo sposo". Io non sono lo sposo, ma l’amico dello sposo. E diceva di godere non della propria voce, ma di quella dello sposo, perché si rallegrava non di essere umilmente ascoltato dal popolo, quanto perché sentiva dentro di sé la voce della verità, ch’egli annunziava. Dice che la sua gioia era piena, perché colui che gode della sua propria voce, non ha gioia piena, e aggiunge: "Lui deve crescere, io devo essere diminuito".
Bisogna ora chiedersi in che cosa è cresciuto il Cristo e in che cosa è stato diminuito Giovanni, ed è che il popolo vedendo l’astinenza e la solitudine di Giovanni, lo credeva il Cristo, vedendo invece il Cristo che mangiava coi pubblicani e peccatori, credeva che non fosse il Cristo, ma un profeta. Ma con l’andar del tempo, quando il Cristo, ch’era ritenuto un profeta fu riconosciuto come il Cristo e Giovanni, che era ritenuto di essere il Cristo, fu riconosciuto come un profeta, allora si avverò ciò che il precursore aveva detto del Cristo: "Lui deve crescere, io devo essere diminuito... E le vie storte saranno raddrizzate e le aspre appianate". Le vie storte si raddrizzano, quando i cuori dei malvagi, storpiati dall’ingiustizia, vengono allineati con la giustizia (Is 40,4). E le vie aspre vengono appianate, quando le menti iraconde tornano, per opera della grazia, alla serenità della mansuetudine. Quando, infatti, la mente iraconda respinge la parola di verità, è come se l’asprezza del cammino impedisse il passo del viandante. Ma quando l’anima iraconda, attraverso la grazia ricevuta, accoglie la parola della correzione, allora il predicatore trova la via piana, laddove non osava muovere il piede.
"E ogni uomo vedrà la salvezza di Dio". Ma non tutti gli uomini hanno potuto vedere Cristo, salvezza di Dio, in questa vita. Dove allora appunta lo sguardo il profeta, se non all’ultimo giorno del giudizio? Quando, aperti i cieli, tra gli angeli e gli apostoli, in un trono di maestà, apparirà il Cristo e tutti, eletti e dannati, lo vedranno, perché i giusti abbiano un premio senza fine e i dannati gemano nell’eternità del supplizio.
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