1)
Il natale del Precursore.
Nel
vangelo di domenica 23 dicembre 2012, ascoltiamo, fra l’altro, la
domanda di Elisabetta alla Madonna: “A che devo che la madre del
mio Signore venga a me?” (Lc 1,43). E mentre la madre di
Gesù, il Salvatore, rispondeva al saluto della madre di Giovanni il
Precursore, Giovanni, esultando nel grembo della madre, salutava
Gesù: tutti e due non apparivano nella carne, e tutti e due erano
fonte di gioia. Cristo era ospite del grembo di Maria, lieta di
portare questa presenza, Giovanni era portato dal seno di Elisabetta,
lieta di non essere più sterile. Come non applicare al Precursore le
parole del profeta Geremia: “Prima di formarti nel grembo, ti
conoscevo, prima che uscissi dal ventre, ti avevo santificato; ti ho
stabilito profeta delle nazioni”(1,5).
In
effetti, fin dall'inizio della vita di Gesù c’è il profeta
Giovanni Battista, che svolge appunto il ruolo di precursore.
Dobbiamo tener presente che Giovanni, in quanto figlio di Zaccaria e
di Elisabetta, entrambi di famiglie sacerdotali, non solo è l'ultimo
dei profeti, ma rappresenta anche l'intero sacerdozio dell'Antica
Alleanza e perciò prepara gli uomini al culto spirituale della Nuova
Alleanza, inaugurato da Gesù (cfr Benedetto XVI, L’infanzia di
Gesù, pp 27-28). Il natale del Precursore ci invita ad essere
gli uni per gli altri segno di grazia e salvezza, in-segnando vale a
dire indicando Cristo come l’Eterno fiorito nel tempo, indicando a
tutti –come da grande farà il Battista- l’Agnello innocente che
toglie i peccati del mondo.
E’
importante, poi, sottolineare che Elisabetta e Maria sono donne
contente perché sono diventate madri di santi. La sterile nella sua
vecchiaia ha messo al mondo Giovanni il Battista, la Vergine ha
partorito Gesù, il cui nome vuole dire: “Dio salva”. Maria è
benedetta tra tutte le donne e tutte le donne in lei sono benedette.
Con questa benedizione tutte le donne possono essere madri di santi.
Questa
vale veramente per tutte le donne sia che siano consacrate nel
matrimonio o con il voto di castità.
“La
verginità e il celibato per il regno di Dio non solo non
contraddicono la dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la
confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di
esprimere e di vivere l’unico mistero dell’alleanza di Dio con il
suo popolo. Quando non si ha stima del matrimonio, non può esistere
neppure la verginità consacrata; quando la sessualità umana non è
ritenuta un grande valore donato dal Creatore, perde significato il
rinunciarvi per il regno dei cieli.
Rendendo
libero in modo speciale il cuore dell’uomo, «così da accenderlo
maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini», la
verginità testimonia che il regno di Dio e la sua giustizia sono
quella perla preziosa che va preferita a ogni altro valore sia pure
grande, e va anzi cercato come l’unico valore definitivo. È per
questo che la chiesa, durante tutta la sua storia, ha sempre difeso
la superiorità di questo carisma nei confronti di quello del
matrimonio, in ragione del legame del tutto singolare che esso ha con
il regno di Dio. Pur avendo rinunciato alla fecondità fisica, la
persona vergine diviene spiritualmente feconda, padre e madre di
molti, cooperando alla realizzazione della famiglia secondo il
disegno di Dio.
Gli
sposi cristiani hanno perciò il diritto di aspettarsi dalle persone
vergini il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla loro
vocazione fino alla morte. Come per gli sposi la fedeltà diventa
talvolta difficile ed esige sacrificio, mortificazione e rinnegamento
di sé, così può avvenire anche per le persone vergini. La fedeltà
di queste, anche nella prova eventuale, deve edificare la fedeltà di
quelli. (Cfr Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio,
nn. 11 e 16).
2)
Il Natale del Salvatore.
La
notte tra il 24 ed il 25 dicembre, celebriamo la nascita di Gesù
Cristo. E ne siamo profondamente contenti. Non solo perché è la
festa del Figlio di Maria, ma è la festa di noi, figli di Maria, ai
quali è concesso di incontrare il Figlio di Dio, il Fratello nostro.
Se un incontro, ogni vero incontro cambia la vita, quello con Dio la
cambia rinnovandola.
Ce
ne danno l’esempio i Pastori.
La
notte in cui nacque Gesù, l’atteso delle genti, l'angelo apparve
ai pastori dell’area di Betlemme e disse: «Non
temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il
popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è
il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino
avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia»
(Lc 2, 10-12). E quando i pastori arrivarono alla Grotta, si
inginocchiarono e adorarono in silenzio il mistero dell’Amore di
Dio fatto carne. Questi poveri uomini stettero in silenzio davanti a
Dio e misero la loro speranza in Lui. Confidarono nel Signore,
cercarono la gioia in Dio loro salvatore, e i desideri del loro cuore
furono esauditi (cfr Sal 36 (37),
2-3.7).
Con
i canti e le parole angeliche e con la luce splendente nel cielo, Dio
non solo invita i pastori ma li attira alla grotta dove il Figlio
Gesù è nato. Quella povera gente si mosse e vide qualcosa di
meraviglioso: il
corpo di un bambino, che irradiava l’Eterna Verità e Bellezza: “La
verità quando si esprime diventa amore e l’amore quando fiorisce
diventa bellezza” (p. Pavel Florenskij).
Noi
dovremmo vivere davanti a Dio come i pastori. Nella notte santa, il
cielo esultava di gioia, ma quando hanno veduto, Gesù, Figlio di
Dio, hanno veduto un bambino in una mangiatoia, deposto in una
mangiatoia in una povera grotta. “Tutto il cielo gioiva, ma
esultava per questa umiltà senza limiti di un Dio che si era
spogliato di tutto per donare tutto agli uomini che Egli amava.
Rimanere dinanzi al Bambino Gesù ecco quello che io credo sarebbe
opportuno per noi, per imparare come si vive, per imparare come si
ama. Che il Signore ci doni una umiltà vera, che ci doni l'amore
all'umiltà, che il Signore ci faccia comprendere che non c'è altro
cammino per giungere a Lui che quello di spogliarci sempre di più di
tutto perché Lui solo rimanga per noi”. (Divo Barsotti), il
Verbo della Vita, il Verbo che si fa carne, il Verbo che si fa
bellezza da contemplare e da vivere.
Il
Natale di Cristo, nato poveramente, non è un racconto di cui
emozionarsi, è l’annuncio di una presenza scomoda ma lieta. E’
sconvolgente questa “povertà” di Dio ed è pure sconvolgente il
fatto che dei pastori, poveri, e dei Re Magi ricchi sono andati ad
una grotta e si sono messi in ginocchio davanti a un bambino povero,
deposto in una mangiatoia povera.
Cosa
li ha spinti a lasciare la tranquillità dell’ovile o della reggia
per andare a Betlemme? La loro natura umana? Secondo me no. Fu la
grazia che diede loro l’audacia di intraprendere la strada, che era
indicata dalla luce degli angeli per i pastori e della stella per i
Re Magi.
3)
Perché Gesù scelse Betlemme e non Nazareth o Gerusalemme o Roma?
Perché per nascere, per far apparire la bontà di Dio e il suo amore
per gli uomini (cfr Tt 3.4), Gesù non solo scelse una città
piccola, la più piccola tra le città di Giuda, ma volle nascere in
una grotta? La riposta alla seconda domanda è abbastanza facile. Il
Vangelo dice: “perché non c'era posto per loro (Giuseppe e Maria)
nell'albergo”. Ma credo di non tradire l’insegnamento teologico
se scrivo che Gesù sta ancora cercando alloggio nel cuore nostro e
dell’intera umanità. Inoltre non va dimenticato che Dio si
propone, non si impone, quindi si rivela nell'umiltà, si rivela
nella povertà, si rivela nella semplicità della vita. E venne di
notte, perché Lui è la Luce che rischiare le tenebre del nostro
cuore.
Per
rispondere alla domanda “Perché Betlemme?” mi faccio aiutare dal
profeta Michea e da San Tommaso d’Aquino.
Nella
prima lettura della IV Domenica di Avvento il brano preso dal libro
del profeta
Michea annuncia che il “liberatore” di
Israele uscirà da Betlemme ma che “le sue origini sono
dall'antichità, dai giorni più remoti”. Dopo che “Dio li
metterà in potere altrui”, pur non avendo mai abbandonato il
suo popolo, egli interverrà per liberarlo. Ciò avverrà “quando
colei che deve partorire partorirà”. Betlemme, piccola e
oscura città della Giudea, è il terreno fertile in cui germoglia e
si sviluppa l'opera divina. Lo stesso connotato di piccolezza, tanto
caro al Figlio di Dio si trasferisce a sua madre, che Lui ha guardato
ammirandone l'umiltà, grazie alla quale la Madonna è lieta di
essere a servizio di Dio.
Nella Summa Teologica San Tommaso d’Aquino risponde così:
“Cristo
volle nascere a Betlemme per due ragioni.
Primo,
perché egli, come dice S. Paolo, secondo la carne “è nato
dalla stirpe di David”; e a David era stata fatta speciale
promessa del Cristo, secondo le parole del Libro dei Re: “Così
parlò (David) l'uomo a cui fu fatta la promessa del Cristo del
Dio di Giacobbe”. Perciò egli volle nascere a Betlemme dov'era
nato David, affinché dallo stesso luogo di nascita fosse
manifesto l'adempimento della promessa. È quanto vuol dire
l'Evangelista quando scrive: “Perché egli era della casa e
della famiglia di David”.
Secondo,
perché, come nota S. Gregorio, “Betlemme significa casa del
pane. E Cristo disse di sé: Io sono il pane vivo, disceso dal
cielo.” (San Tommaso d’Aquino, Summa Teologica,
III, q. 35, a. 7).
ll
grande Santo domenicano prosegue:
|
“David
nacque a Betlemme, ma scelse Gerusalemme come sede del suo regno,
per costruirvi il tempio di Dio e fare di Gerusalemme una città
regale e sacerdotale insieme. Ebbene, il sacerdozio di Cristo e il
suo regno furono attuati soprattutto con la sua passione. Ecco
perché egli scelse Betlemme come luogo di nascita e Gerusalemme
per la sua passione.
In questo modo egli volle anche confondere
la gloria degli uomini, i quali si vantano di essere nati in
illustri città; e in esse bramano essere particolarmente onorati.
Cristo al contrario volle nascere in una città umile ed essere
oltraggiato in una città nobile.
Cristo
volle fiorire per la santità. della vita, e non per l'origine
carnale. Ecco perché volle esser nutrito ed educato nella città
di Nazareth. Mentre a Betlemme volle nascere come un forestiero;
perché, come dice S. Gregorio, ‘per l'umanità che aveva presa,
nacque come in casa d'altri; uniformandosi ad essi non nella
potenza, ma nella natura’. Inoltre, come afferma S. Beda, ‘col
rendersi bisognoso di un ricetto, preparò a noi molte mansioni
nella casa del Padre suo’.
Come
si legge in un sermone del Concilio di Efeso, ‘se (Cristo)
avesse scelto Roma, la città più potente, si sarebbe potuto
pensare che avrebbe cambiato il mondo per il potere dei
concittadini. Se fosse stato figlio dell'Imperatore, la sua
riuscita sarebbe stata attribuita al potere (imperiale). Ma per
mostrare che il mondo sarebbe stato trasformato dalla sua
divinità, si scelse una madre povera e una patria ancora più
povera’.
Ora, come afferma S. Paolo, ‘Dio ha scelto le cose
deboli del mondo per confondere i forti’. Perciò, per
manifestare meglio la sua potenza, stabilì a Roma, capitale del
mondo, il centro della sua Chiesa, come segno di completa
vittoria, affinché di là la fede si diffondesse su tutta la
terra, secondo la profezia di Isaia:‘Umilierà la città sublime
e la calpesteranno i piedi dei poveri’, cioè dei poveri di
Cristo, vale a dire i piedi degli Apostoli Pietro e Paolo.”
(Ibid.).
|
Egli
viene.
E con Lui che viene,
viene la gioia.
Se lo vuoi ti è
vicino.
Anche se non lo vuoi ti è vicino.
Ti parla anche se non
gli parli.
Se non l’ami, egli ti ama ancora di più.
Se ti
perdi, viene a cercarti.
Se non sai camminare, ti porta e ti salva:
per questo è nato, per vivere con noi e per noi un’ umana
avventura e darci la vita in pienezza.
***
Consiglio
per questi giorni la preghiera tratta da un Inno (VII e VIII strofa)
di S.Efrem il Siro, uno dei più grandi scrittori cristiani del IV
secolo (306 – 373), amico tra l'altro di Ambrogio di Milano. E una
preghiera da rileggere con pazienza e da meditare, lasciando che le
riflessioni di un grande cristiano di tanti secoli fa susciti nel
vostro cuore lo stupore, la gioia, la meraviglia di un Dio che, per
venire a confortarci e riaprire i nostri cuori alla speranza, ha
fatto quello che ha fatto in Maria e attraverso di Lei.
“Signore
Gesù Cristo,
tua
Madre è causa di stupore:
è
entrato in Lei il Signore
ed è divenuto un servo;
è
entrato Colui che è la Parola
ed è divenuto silenzioso;
è
entrato in Lei il tuono che scuote la foresta
ed è nato nel
silenzio della notte;
è
entrato il Pastore di tutti
ed è diventato l'Agnello che toglie
il peccato del mondo.
Tua
Madre ha stravolto l'ordine delle cose:
il
Creatore di tutto è entrato nella sua proprietà,
ma è uscito
povero;
l'Altissimo è entrato in Lei
ma è uscito umile;
lo
Splendore è entrato in Lei,
ma è uscito rivestito di debole luce.
Il
Potente è entrato
e ha assunto insicurezza e timore;
Colui
che nutre ogni cosa è entrato
e ha provato la fame;
Egli,
che tutti disseta,
è entrato e ha provato la sete;
nudo e
spogliato, ecco, viene fuori da lei
Colui che veste ogni cosa!”
Lettura
patristica
Esichio
di Gerusalemme
Sermo
IV, de sancta Maria Deipara
Questo
giorno di festa che stiamo ora celebrando, supera ogni gloria, in
quanto contiene la solennità della Vergine che tutte sovrasta in
prestigio; in esso invero ella ha ricevuto lo stesso Verbo Dio,
quando egli volle; lui che ella stessa contiene al di là di ogni
angustia di spazio.
A lei, l’arcangelo Gabriele, con ammirazione, disse prima di tutto: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te; ecco concepirai e darai alla luce un figlio, e lo chiamerai Emanuele" (Lc 1,28 Lc 1,50).
Fausto annunzio quello di Gabriele che segnò il repentino inizio di letizia. Mentre, infatti, la prima vergine per la sentenza di condanna finiva nelle angustie inflitte a lei a seguito della trasgressione e da lei derivarono molti gemiti: ogni donna per causa sua, fu costituita nel dolore ed ogni parto, per lei, provava l’afflizione; la seconda vergine, per la denominazione angelica, respinse ogni miseria del sesso femminile, chiuse ogni fonte di tristezza che suole esser compagna delle partorienti, e dissipò ogni nube di disperazione che si addensava sulla donna in parto; e inoltre, fece brillare tra gli oppressi la luce di letizia.
Ascoltando da Gabriele le parole: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te", ella non accolse il saluto con animo tranquillo; anzi, appena ebbe ascoltata quella voce e, per quella voce l’arcangelo Gabriele che le annunciava che avrebbe partorito, rimase turbata nei propri pensieri; era verosimilmente portata a respingere quelle affermazioni di Gabriele, introdottosi inaspettatamente in casa, magari dicendogli: «Tutto ciò oggi in te mi appare strano, e non tiene conto della pubblica opinione. E poi: Con qual diritto hai osato introdurti sconsideratamente da una vergine non sposata e pronunciare parole incredibili? Dici, infatti, che partorirò un figlio senza il seme; hai detto che concepirò senza che siano avvenute le nozze; che il mio grembo darà frutto senza la coabitazione e la convivenza con un uomo. Chi vide mai, chi, esperto sulla fertilità dei campi, ha mai sentito dire che un campo incolto abbia prodotto la spiga, o che un terreno non piantato abbia dato l’uva, il vino senza vite, o il fiume senza la sorgente da cui proviene? Un discorso del genere, sicuramente, nessuno lo ha mai ascoltato dagli inizi dei secoli, né, tanto meno avrà potuto vedere che si sia verificato. Per qual motivo e con quale garanzia per me dovrò prestarti fede?».
Cosa rispose Gabriele a lei che esitava?
«Dissi ciò che ho appreso, pronuncio ciò che ho sentito: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà da te sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35); come colui dal quale è e al quale tende ogni creatura, come Creatore e Artefice di tutti, come Padre dei secoli, come generatore del tempo, come costruttore di tutti, come più antico dei cieli, come artefice degli angeli e formatore dell’umanità, e di quelli, per finire, che, per altri motivi, sarebbero periti. Oltre questo non posso farti sapere altro. Infatti, non ho, o Vergine, un mandato per dirti con quale diritto su ogni singolo punto: bensì che io sia ministro di quelle cose che rendono fausto per te il mio annuncio.
Ammira dunque insieme a me il mistero e accogli la buona novella senza dubitare».
Lei, in verità, rispose: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Noi, perciò, informati della natività del Signore dai discorsi dell’arcangelo Gabriele, ci incamminiamo dietro alla sua progenie. Io, come lui e al di là della presente disquisizione, conosco la divina potenza di quel parto e dichiaro: dai Magi abbiamo appreso (cf. Mt 2,1ss), poi siamo stati istruiti a venerare religiosamente quella cosa. Infatti, coloro che cercavano il bambino, con la guida della stella, non dissero a quelli che interrogavano: Come avviene il concepimento divino? Come si spiega un utero senza il seme? Come un parto incorrotto? Come permane vergine la madre dopo il parto? Come soggiace al tempo colui che è prima del tempo? Come fa ad esistere nel tempo chi è prima dei secoli? Come poté l’utero contenere colui che è incontenibile? Come colui che è incorporeo, senza cambiamento, si fece carne? Come Dio Verbo, annientando se stesso nell’utero della Vergine (Ph 2,6 Ph 2,7), da insigne e glorioso fattosi uguale a servo, da quello in modo ineffabile si è incarnato? Come ciò che è perfetto poté farsi bambino? Come poté succhiare il latte colui che nutre? Come colui che copre e abbraccia l’universo, poté essere preso tra le braccia? Come il Padre del secolo venturo si fece bambino? Come fa ad essere in alto e in basso? Come viene avvolto in panni, colui che è l’auriga dei carri dei Cherubini? Come giace in una greppia, colui che è nel seno del Padre? Come è costretto in fasce, colui che conduce i prigionieri con fortezza? (Ps 67,7).
E molte altre cose che aborrisco riferire.
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