Domenica
XV del Tempo Ordinario – Anno B – 15 luglio 2018
Rito
Romano
Am
7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
Rito Ambrosiano
Gs
10,6-15; Sal 19; Rm 8,31b-39; Gv 16,33-17,3
VIII
Domenica dopo Pentecoste.
1) I Discepoli
sono dei chiamati.
Nel vangelo di oggi,
San Marco si preoccupa di fornirci i tratti essenziali della
fisionomia del discepolo: una persona scelta, separata, santa. In
effetti la parola “santo” viene dal latino che vuol dire
“separato”, separato dal mondo e dal male per entrare nelle sfera
di Dio, “messo a parte” per un compito speciale, quella di
portare l’annuncio di salvezza al mondo intero.
Il
discepolo è colui che ascolta, crede e si stacca dalla folla per
stare accanto a Cristo e portare l’annuncio della sua presenza
dalla quale è stato stupito. Anche la folla ascolta ma poi torna a
casa. Il discepolo, invece, rimane con Cristo e con Lui conduce,
fedelmente, una vita di comunione e di pellegrinaggio. Vive la
scelta, la separazione non come allontanamento dagli altri, ma come
prossimità, familiarità con Cristo. La vita di comunione con Lui
diventa missione.
Quali
sono, dunque, i tratti essenziali della figura dei discepoli
(quelli di allora e quelli di oggi) di Cristo? Sono: 1. l’abbandono
completo nella sequela, 2. l’amorosa confidenza, 3. la
missionarietà che reca gioia.
Nel brano evangelico di
questa domenica San Marco parla di Gesù che invia i suoi discepoli
in missione, perché il discepolo è colui che ha lasciato tutto per
seguire Cristo e diventarne missionario con una fiducia tale da
servirsi solo di mezzi poveri: un paio di sandali, un vestito e un
bastone per il cammino.
Dunque,
il discepolo è colui, che ascolta, crede, si distacca da ciò che
gli è caro e si pone al seguito di Gesù, che gli è diventato ciò
che di più caro ha: Gesù è la perla preziosa.
Il
discepolo rimane con Cristo, fa vita comune e itinerante con Lui . Ma
c’è anche un altro aspetto: il discepolo è inviato in missione.
In effetti, San Marco ci dice che Cristo ha inviato i suoi discepoli
per compiere la missione di portare a tutti i popoli l’annuncio
gioioso, non solo che la salvezza è vicina, ma che il Salvatore è
incontrabile tramite la presenza dei suoi discepoli di
vita nuova.
E
questo è vero anche oggi perché il cristianesimo vive come un fatto
presente e si comunica come incontro reale.
Ma va tenuto presente
che il discepolo cristiano è anzitutto un chiamato da Dio che si è
fatto incontro. Propriamente parlando, non si diviene cristiani per
autonoma scelta; lo si diventa per risposta ad una chiamata. C’è,
infatti, un amore che precede la nostra risposta. E’ questo che ci
è insegnato da Cristo quando dice: “Non voi avete scelto me, ma io
ho scelto voi” (Gv …) e da San Paolo: “In Cristo (il Padre) ci
ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1, 46). Già
l’Antico Testamento, da Abramo in poi, pone Dio all’origine di
ogni chiamata; l’iniziativa di avviare la storia della salvezza del
popolo d'Israele è tutta del Signore. “Abramo, chiamato da Dio,
obbedì” (Eb 11, 8).
Anche nelle narrazioni
delle vocazioni profetiche emerge con chiarezza il primato di Dio che
chiama. Esemplare è la vicenda di Amos, che ascoltiamo nella prima
lettura della Messa di questa Domenica. Questo profeta è come
scaraventato dalla vocazione in un duro confronto con le ingiustizie
del potere politico. Inoltre deve scontrarsi con le fredde
considerazioni del “cappellano di corte”, il sacerdote Amasia,
che lo esorta alla prudenza. Amos ribatte al sacerdote che alla
radice delle sue parole non c'è una sua scelta personale legata a
prospettive proprie. E' Dio stesso che lo ha costretto con una ben
precisa chiamata: “Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un
pastore e un raccoglitore di sicomori; il Signore mi prese di dietro
al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza in mezzo al mio
popolo Israele” (Am 7, 14 -15).
2)
Discepoli cioè missionari.
Non
solo il profeta è chiamato ad essere missionario. Anche il discepolo
è inviato in missione, come il brano evangelico di oggi1
(6,7-13) ci fa meditare. Infatti, l’evangelista Marco annota che
Gesù “li mandò” e questo comporta almeno la consapevolezza di
essere inviati da Dio e non da decisione propria, mandati per un
progetto in cui i discepoli sono coinvolti, ma di cui non sono i
proprietari.
Oggi
come allora i cristiani, che in quanto tali sono discepoli di Cristo,
vengono inviati quali Missionari della verità misericordiosa. Oggi
come allora i discepoli invitano la gente alla conversione e danno
sollievo alla sofferenza.
Il
messaggio, che in nome di Cristo annunciano, è un invito alla
conversione: “Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
Pure e sante sono le nostre mani sui malati con le quali annunciamo:
Dio è già qui, è vicino a te con amore, e guarisce la vita, girati
verso di lui”.
E’
importante capire l’insistenza di Gesù evangelica sulla povertà
come condizione indispensabile per la missione: né pane, né
bisaccia, né soldi. È una povertà che è fede, libertà e
leggerezza. Anzitutto, libertà e leggerezza: un discepolo
appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di
cogliere la novità di Dio e abilissimo nel trovare mille ragioni di
comodo per giudicare irrinunciabile la casa nella quale si è
accomodato e dalla quale non vuole più uscire. Inoltre la povertà è
anche fede: è segno di chi non confida in se stesso ma si affida a
Dio.
Ma
c’è anche un altro aspetto che non si può dimenticare:
l’atmosfera “drammatica” della missione. Il rifiuto è previsto
(Mc 7, 11): la parola di Dio è efficace, ma a modo suo. Il
discepolo deve proclamare il messaggio e in esso giocarsi
completamente, ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è
stato affidato un compito, ma non è garantito il successo.
Inoltre
è importante ricordare che il discepolo non è solo chiamato ad
essere un maestro, ma è pure un testimone che si impegna nella lotta
contro il Male, perché è dalla parte della verità, della libertà
e dell'amore,
Infine,
non bisogna dimenticare che per essere missionari, bisogna prima di
tutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l’invito
a seguirlo, imitandolo: “Imparate da me, che sono mite e umile di
cuore” (Mt 11,29). Un discepolo, in effetti, è una persona
che si pone all’ascolto della Parola di Gesù (cfr Lc
10,39), riconosciuto come il Maestro che ci ha amati fino al dono
della vita. Si tratta dunque, per ciascuno di noi, di lasciarsi
plasmare ogni giorno dalla Parola di Dio: essa ci renderà amici del
Signore Gesù e capaci di far entrare altre persone in questa
amicizia con Lui. Questa amicizia fraterna con Cristo, centro della
nostra vita, permette di andare nelle periferie umane per portare a
tutti la verità di Cristo, Amore incarnato.
Un
modo particolare di essere “discepoli-missionari” (Papa
Francesco) è quello delle vergini consacrate che vivendo e lavorando
nel mondo incontrano le persone che vivono e lavorano nelle periferie
esistenziali. Vi è uno stile femminile nel vivere la missione, uno
modo di essere discepole-missionarie come lo è stata la Vergine
Maria, la Discepola-Missionaria per eccellenza. Più che a Mnasone di
Cipro che ospitò San Paolo nel suo viaggio da Cesarea a Gerusalemme
è alla Madonna che compete il titolo di “discepolo della prima
ora” (At 21, 16), perché credette al Figlio di Dio
l’Altissimo nel momento in cui si incarnava nel suo grembo per
opera dello Spirito Santo.
E’ Maria la prima
missionaria perché per prima portò Cristo sulle strade del mondo
per andare dalla cugina Elisabetta. Fu una missionaria che portava
non un discorso, ma il Vangelo in carne e ossa. Le Vergini consacrate
imitano in modo speciale la Madonna mediante la vigilanza e la
preghiera, cioè mediante la custodia del cuore offerto a Cristo con
il dono della loro verginità, e la docilità allo Spirito Santo.
Mediante una vita riservata, anche se nel mondo le vergini consacrate
vivono un raccoglimento personale, grazie al quale si dedicano
all’ascolto delle Parola di Dio. Sul loro esempio, il nostro cuore
e la nostra mente tengano vivo l’amore materno, che anima tutti
quelli che nella missione della Chiesa cooperano alla rigenerazione
degli uomini (Cfr Lumen Gentium, 65). Ogni cristiano è
chiamato a fare proprio l’atteggiamento di Maria per animare
maternamente l’annuncio evangelico di Cristo e per esercitare il
“potere” di servire il Signore nei fratelli e sorelle in umanità,
vivendo nella propria situazione la fecondità verginale della
Chiesa, come appunto testimoniano le Vergini consacrate.
1 “Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (Mc 6. 7 – 13).
Lettura
Patristica
Beda
il Venerabile,
In
Evang. Marc., 2, 6, 6-9
Le caratteristiche
della missione dei discepoli
"E
percorreva i villaggi circostanti insegnando. Chiamò poi i dodici e
cominciò a mandarli a due a due a predicare e dava loro il potere
sugli spiriti immondi"
(Mc
6,6-7).
«Benevolo
e clemente, il Signore e maestro non rifiuta ai servi e ai discepoli
i suoi poteri, e, come egli aveva curato ogni malattia e ogni
debolezza, così dà agli apostoli il potere di curare ogni malattia
ed ogni infermità. Ma c’è molta differenza tra l’avere e il
distribuire, il donare e il ricevere. Gesù, quando opera, lo fa col
potere di un padrone; gli apostoli, se compiono qualcosa, dichiarano
la loro nullità e la potenza del Signore con le parole: "Nel
nome di Gesù, alzati e cammina"» (Girolamo).
"E
ordinò loro di non prender nulla per il viaggio se non un bastone
soltanto, non bisaccia, non pane, né denaro nella cintura, ma
andassero calzati di sandali e non indossassero due tuniche"
(Mc
6,8-9).
«Tanto
grande dev’essere nel predicatore la fiducia in Dio che, sebbene
non si preoccupi delle necessità della vita presente, tuttavia deve
sapere con certezza che non gli mancherà niente. E questo per
evitare che, se la sua mente è presa da preoccupazioni terrene, egli
non rallenti nell’impegno di comunicare agli altri le parole eterne
(Greg. Magno).
Quando
infatti - secondo Matteo - disse loro: "Non
vogliate possedere né oro né argento"
- con quel che segue, - subito aggiunse: "Perché
l’operaio ha diritto al suo sostentamento"
(Mt
10,9-10).
Mostra insomma chiaramente perché non ha voluto che essi
possedessero né portassero seco quei beni; non perché questi non
siano necessari al sostentamento di questa vita, ma perché egli li
inviava in modo da far capire loro che tali beni erano loro dovuti
dai credenti ai quali avrebbero annunziato il vangelo. È chiaro
dunque che il Signore non ordinò queste cose come se gli evangelisti
non dovessero vivere di altro che di ciò che offrivano loro i fedeli
cui essi annunziavano il vangelo (altrimenti si sarebbe comportato in
modo opposto a questo precetto l’Apostolo [cf. 1Th
2,9
], che era solito ricavare il sostentamento dal lavoro delle sue mani
per non essere di peso a nessuno), ma dette loro una libertà di
scelta nell’uso della quale dovevano sapere che il sostentamento
era loro dovuto. Quando il Signore comanda qualcosa, se questa non si
compie, la colpa è della disobbedienza. Ma quando è concessa la
facoltà di scelta, è lecito a ciascuno non usufruirne o sottostarvi
liberamente. Ebbene il Signore, col dare l’ordine, che l’Apostolo
ci riferisce (1Co
2,9)
essere stato da lui dato, a quanti annunziano il Vangelo, cioè di
vivere della predicazione del Vangelo, intendeva dire agli apostoli
che non dovevano possedere né dovevano avere preoccupazioni; che non
dovevano portare con sé né tanto né poco di ciò che era
necessario a questa vita; per questo aggiunse: "neppure
il bastone",
per sottolineare che da parte dei fedeli suoi tutto è dovuto ai suoi
ministri che non chiedono nulla di superfluo. Aggiungendo poi
"infatti l’operaio ha diritto al suo sostentamento", ha
chiarito e precisato il perché delle sue parole. Ha simboleggiato
nel bastone questa facoltà di scelta, dicendo che non prendessero
per il viaggio altro che un bastone, per fare unicamente intendere
che in grazia di quella potestà ricevuta dal Signore, e raffigurata
nel bastone, gli apostoli non mancheranno neppure delle cose che non
portano seco. La stessa cosa deve intendersi delle due tuniche
nessuno di loro ritenga di doverne portare un’altra oltre quella
che indossa, timoroso di poterne avere bisogno, in quanto può averla
grazie a quella potestà di cui abbiamo parlato».
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