Pentecoste
– anno B – 20 maggio 2018
Rito
Romano
At
2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-1
Rito
Ambrosiano
At
2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
1) Dalla torre di Babele al Cenacolo di Pentecoste.
1) Dalla torre di Babele al Cenacolo di Pentecoste.
La prima lettura
(At 2,1-11) di questa Domenica di Pentecoste è presa
dagli Atti degli Apostoli, in cui si racconta il fatto della
Pentecoste, tenendo sullo sfondo la storia della Torre di Babele
(cfr Gen 11,1-9).
Cosa implica la
narrazione della costruzione della Torre di Babele? Si tratta della
descrizione di un regno, in cui gli uomini avevano acquisito così
tanto potere da pensare di essere capaci di costruire da soli una via
che portasse al cielo per aprirne le porte, mettendosi al posto di
Dio. Ma proprio in questa situazione si verificò qualcosa di
inatteso. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire
la torre, improvvisamente si resero conto che stavano lavorando l’uno
contro l’altro. Mentre cercavano di essere come Dio senza l’aiuto
di Dio, divennero meno uomini, rovinando il fatto di essere creati a
immagine e somiglianza di Dio Comunione perché avevano perduto un
elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di
accordarsi, di capirsi e di operare insieme.
Questo racconto del
Vecchio Testamento contiene una perenne verità, che il Card. Henri
de Lubac ha sintetizzato così: “Si può costruire una città senza
Dio, ma sarà sempre contro l’uomo”.
Possiamo constatare la
verità di questa affermazione di questo grande Gesuita, ripensando
alla storia lontana e recente dell’umanità. Con il progresso
della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare
forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri
viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa
situazione, pregare Dio sembra qualcosa di superato, di inutile,
perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che
vogliamo. Ma il caos e il male, che ne derivano, ci fanno accorgere
che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele.
L’unità che gli
uomini volevano costruire a Babele è un progetto di unità, deciso
dall’uomo e che ha per scopo la gloria dell’uomo: “Venite –
dicono i costruttori senza Dio –, costruiamoci una città e una
torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non
disperderci su tutta la terra” (Gn 11, 4). E’ un progetto di
unità, che nasce da volontà di potenza e di fama, cioè da
superbia.
Invece, nella
Pentecoste lo Spirito, con il dono delle lingue, mostra che la sua
presenza unisce e trasforma la confusione in comunione.
L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni,
innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito
Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di
tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione
fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore. Quindi la
Chiesa, più che la nuova Babele, è l’anti-Babele, vivificata dal
fuoco dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.
Se
vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una
pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza,
dobbiamo mendicare il dono dello Spirito Santo, mettendoci in umile e
silenzioso ascolto della Parola di Dio e, magari, ripetendo spesso la
giaculatoria “Vieni,
Santo Spirito, Vieni per Maria”.
In
questo giorno di Pentecoste, come la Vergine dobbiamo, aprirci
totalmente a questo Dono di Dio, accoglierlo in noi, perché tutta la
nostra umanità sia attratta, assunta dal Verbo, divenga un solo
corpo col Cristo e, vivendo, in una sola vita con Cristo Signore,
tutta la nostra vita sia trasfigurata, divenga puro amore: amore per
Iddio e amore per i fratelli.
Perché
la Pentecoste si rinnovi in noi oggi, dobbiamo essere meno
“affannati” per le attività da fare e più dediti alla
preghiera, perché più saremo uniti a Dio, più saremo uniti fra di
noi nel cenacolo della Chiesa, la quale proclama che Cristo è il
centro del mondo.
Se, con l’aiuto dello
Spirito Santo, passiamo
da Babele dell’egoismo a Pentecoste dell’Amore, ci “decentreremo
da noi stessi per ricentrarci su Dio” (cfr. Pierre
Teilhard de Chardin)
e vivremo “aggregati1”
in comunione lieta e forte.
Lo
Spirito Santo con il suo dono compone in unità l’essere umano,
come già insegnava sant’Ireneo: “L’uomo è sfuggito alle mani
di Dio col peccato, ma ecco le mani di Dio riprendono l'uomo e lo
plasmano nuovamente e le mani di Dio sono il Verbo e lo Spirito
Santo”. Queste mani devono prendere anche ciascuno di noi per
modellarci di nuovo secondo l’immagine di Dio, per ridonarci unità.
“Dispersi, divisi interiormente è per l’amore di Dio e
nell’amore di Dio che saremo ricomposti in perfetta unità, sì che
il nostro corpo risponda allo spirito, sì che la legge del nostro
corpo non contrasti la legge del nostro spirito e tutto l'essere
nostro consumi nella lode divina, nell'amore” (Divo Barsotti).
2) La Pentecoste
di e con Maria.
San
Luca descrive con cura il nucleo della prima comunità in attesa
della Pentecoste: “Tutti questi (gli undici apostoli) erano assidui
e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria,
madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (At 1,14). Dunque,
quattro sono le categorie di persone presenti nel Cenacolo il giorno
di Pentecoste.:
- Gli apostoli, che sono le colonne portanti della Chiesa nascente. Loro, che hanno incontrato Gesù risorto in Galilea (cfr. Mc 14,27-28), sono ritornati a Gerusalemme per attendere lo Spirito secondo la promessa di Gesù durante l’ultima cena (cfr. Lc 24,42-49; At 1,4-5).
- Le donne. E’ probabile che si tratti delle donne nominate da San Luca nel Vangelo come presenti alla crocifissione, sepoltura e risurrezione di Gesù (Lc 8,1-3; 23,49.55; 24,10). Il gruppo delle pie donne non è stato meno sensibile del resto della prima Assemblea di Pentecoste, alla discesa di quel Dio che si è mostrato come fuoco. L’amore che le trattenne ai piedi della croce di Gesù e che le condusse, per prime, al Sepolcro nel mattino di Pasqua, si è acceso di nuovo ardore. La lingua di fuoco si è fermata sopra ciascuna ed esse pure saranno eloquenti nel parlare del Maestro agli Ebrei ed ai Pagani.
- Maria è la sola donna presentata con il suo nome e con la sua funzione: “Madre di Gesù”. Con la sua presenza, che testimonia la realtà storica dell'incarnazione, è l’elemento di continuità tra la nascita di Cristo e la nascita della Chiesa, ambedue opera dello Spirito.
- I fratelli di Gesù, cioè i suoi parenti, che sono passati da un’iniziale incredulità alla fede nel Risorto, soprattutto quando questi appare a Giacomo, come ricorda San Paolo (cfr. 1Cor 15,7). Allora il lutto familiare per la morte di Gesù si trasforma in gioia pasquale.
Ma è sulla presenza
della Vergine Maria, Madre di Cristo, nel cenacolo il giorno della
Pentecoste che vorrei condividere ulteriori, brevi riflessioni.
Immaginiamo
di essere presenti nel Cenacolo e Maria, più che mai “Piena
di Grazia”. Come il giorno dell’Annunciazione è ricolma di
Spirito Santo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te
stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo” (Lc 1,35),
così il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo “stende la sua
ombra” sulla Chiesa nascente, perché sotto il suo soffio essa
riceva la forza di “annunziare le grandi opere di Dio” (cfr. At
2,11). Ciò che nell'incarnazione era avvenuto nel grembo di Maria,
trova ora una sua nuova attuazione2.
Una
nuova missione inizia per la Madre di Cristo. Possiamo dire che in
questo giorno: la Chiesa è generata da Lei. Da Maria nasce al mondo
la Sposa del suo Figlio e nuovi doveri l’aspettano. Gesù è ormai
asceso al Cielo ed ha lasciato sua Madre sulla terra, affinché
prodigasse le sue cure materne alla Chiesa nascente, suo Corpo
mistico. E’ commovente e consolante sapere che la Chiesa nascente è
accolta nelle braccia di Maria, nutrita da lei, sostenuta dal suo
appoggio già dai primi passi nel mondo. La lingua di fuoco, che si
è posata sul capo della Madonna, non la farà parlare in pubblico,
ma la farà parlare agli Apostoli, guidandoli e consolandoli nella
loro missione di evangelizzatori.
La Vergine Maria, Madre
di Cristo e della Chiesa (il 3 marzo 2018 Papa Francesco ha stabilito
che si celebri la memoria obbligatoria della Beata Vergine Maria
Madre della Chiesa ogni lunedì di Pentecoste), si dedica tutta a
questa nuova, materna missione. La nuova festa liturgica voluta da
Papa Francesco accresca la crescita del senso materno della Chiesa.
In questo contesto, ci
siano di esempio le Vergini consacrate che con il completo dono di se
stesse a Cristo e con una vita esemplare vivono una maternità
spirituale nella gioia: “Gioite, vergini di
Cristo: la madre di Cristo è vostra sorella. Non avete potuto essere
madri di Cristo nella carne, ma non avete voluto essere madri per
amore di Cristo. Colui che non è nato da voi è nato per voi.
Tuttavia se ricordate le sue parole - e dovete ricordarle - anche voi
siete madri sue, perché fate la volontà del Padre suo”
(Sant’Agostino, Discorso 192).
E’ una maternità
spirituale vissuta nel servizio di carità e nella preghiera, che è
dialogo. In effetti, nel dialogo con Dio si
aprono al dialogo con tutte le persone che loro incontrano e delle
quali sono madri, madri dei figli di Dio (cfr.
Rito della Consacrazione delle
Vergini, 29).
1 In effetti, San Tommaso d’Aquino chiama l’amore di Dio aggregativo e quello di sé disgregativo. “L’amore di Dio è aggregante in quanto riporta il desiderio dell’uomo dalla molteplicità a un’unica cosa; l’amore di sé invece disperde, disgrega il desiderio umano nella molteplicità delle cose. Infatti l’uomo ama se stesso desiderando per sé i beni temporali che sono molti e diversi” (Summa Theologica, II-IIae, q. 73, a. 1, ad 3).
2 Nell’Enciclica Redemptoris Mater al numero 24 San Giovanni Paolo II sottolinea il ruolo della Vergine Maria nella nascita della Chiesa e lascia intravedere una continuità della maternità di Maria: «Nell'economia della grazia, attuata sotto l'azione dello Spirito Santo, c'è una singolare corrispondenza tra il momento dell'incarnazione del Verbo e quello della nascita della Chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazareth e Maria nel cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della nascita dallo Spirito. Così colei che è presente nel mistero di Cristo come madre, diventa - per volontà del Figlio e per opera dello Spirito Santo - presente nel mistero della Chiesa
Lettura
patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 - 4309
Sermo 267
La molteplicità delle lingue non è più necessaria
Che forse non c’è lo
Spirito Santo? Chi pensa così non è degno di riceverlo. C’è e
adesso. Perché, allora, nessuno parla tutte le lingue, come quella
volta coloro che ne furono ripieni? Perché? Perché ciò che quel
fatto voleva significare, ora si è compiuto. E che cosa è questo?
La Chiesa allora era tutta in una sola casa, ricevette lo Spirito
Santo: era solo in pochi uomini, ma era nelle lingue di tutto il
mondo. Ecco che cosa voleva dire quel fatto. Che quella piccola
Chiesa parlasse le lingue di tutte le genti; infatti, che cosa è se
non questa realtà di questa nostra Chiesa, che da oriente a
occidente parla con le lingue di tutti i popoli? Oggi si avvera ciò
che allora si accennava. Sentimmo, vediamo. "Senti,
figlia, e vedi"
(Ps
44,11);
fu detto: Ascolta la promessa, vedine l’adempimento. Il tuo Dio non
ti ha ingannato, non ti ha ingannato il tuo Sposo, non ti ha
ingannato colui che ti ha fatto la dote col suo sangue; non ti ha
ingannato colui che da brutta ti ha fatto bella e da immonda ti ha
fatto vergine immacolata. A te stessa tu sei stata promessa; promessa
in pochi, adempita in molti.
San Girolamo (347 – 419/420)
Epist,
82, 2
La
pace frutto della carità
Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo!, e di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro.
La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia!
Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo ad ogni cosa il suo nome appropriato? C’è odio? Allora diciamo che c’è ostilità! Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! E neppure mi taglio fuori dalla comunione dei Padri! Fin da quand’ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: "Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì ti viene in mente che un tuo fratello ha qualcosa contro di te lascia lì l’offerta, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta" (Mt 5,23-24).
Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il Corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo "Amen" dopo aver ricevuto l’Eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?
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