Rito Romano – VI Domenica di Pasqua– Anno B – 6 maggio 2018
At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17
Rito
Ambrosiano
At 26,
1-23; Sal 21; 1Cor 15, 3-11; Gv 15, 26-16, 4
VI
Domenica di Pasqua
"Rimanete
nel mio Amore": Gesù parla ad una comunità di persone chiamate
a condividere il suo Amore
1)
Il nome dei discepoli di Cristo: “Amici”.
In
questa sesta domenica di Pasqua, Gesù, che continua ad invitarci a
“rimanere” in Lui, ci svela chi Lui è: l’Amato, e che la sua
vita è relazione di Amore. Per questo ci chiama ad essere una
comunità di persone la cui vocazione è quella di condividere il Suo
Amore.
Dopo
aver esortato i suoi a rimanere in Lui come i tralci nella vite (cfr.
il Vangelo di domenica scorsa), oggi Gesù ci chiede di rimanere nel
suo Amore, di non allontanarci dalla fonte della vita, ad aprirci a
Lui che, nel dono totale di sé, ci ha inclusi nel suo rapporto con
il Padre.
L’amore
di Cristo è l’amore più grande perché lui dà la vita per noi,
suoi amici: :
“Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici.
E Voi siete miei amici”
(Gv
15,13).
Non
dimentichiamo che tra gli amici a cui Gesù si rivolge nel cenacolo
c’è Giuda (che è appena uscito e l’ha chiamato “amico”);
c'è Pietro (che lo rinnegherà tre volte) e ci sono gli altri, che
durante la passione lo lasceranno solo). E lui li chiama “amici”.
Oggi ci siamo noi nel cenacolo della chiesa e anche noi siamo da lui
chiamati: “amici”, anche se siamo fragili e peccatori.
In
effetti, nell’ultima cena, ma non solo, Gesù chiama suoi amici,
suoi pari (l’amore di amicizia è tra persone uguali ed è
reciproco), quelli che lo tradiranno rinnegandolo e andando lontano
da lui. Perché? Perché li ama d’un amore gratuito e sa che
risponderanno al suo amore, che anche se non lo amano con pienezza,
almeno desiderano amarlo, grati per l’amore che lui ha per loro.
Quando
lo vedranno innalzato, quando scopriranno il suo amore smisurato,
crederanno a questo amore “eccessivo”.
Anche
noi siamo chiamati a diventare suoi amici conoscendo il suo amore per
noi. Ed è bella questa affermazione: “Non vi chiamo servi, ma
amici” (Gv 15, 15), perché “servi” (nel testo greco c’è
scritto “schiavi”) per sé è un titolo onorifico ed indica i
ministri del re. Ministro è parola di origine greca che vuol dire
servo. Quindi Ministri sono le persone più importanti dopo il Re. Il
massimo, dopo Dio, sono i servi di Dio, i profeti, i santi. Ma oggi
Cristo insegna: “Voi non siete “servi”, neanche i più grandi.
Siete qualcosa di più. Siete amici pari tra di noi e con Lui. Siamo
chiamati a diventare uguali a Dio. Perché? Perché l’amore che il
Padre ha per il Figlio, il Figlio l’ha dato a noi e noi possiamo
amare con lo stesso amore di Dio e diventiamo come Dio che è amore.
Quindi siamo amici, pari a pari. E’ proprio questo amore dei
fratelli nel Fratello Gesù, che ci rende uguali a Dio. Nella
parte finale del v. 15 del cap. 15, prosegue: “il servo non sa
quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto
ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.” Gesù
spiega cosa intende per “amici”. Cristo riconosce come amici i
discepoli, perché fanno ciò che Lui domanda loro, cioè credono e
amano. Di fronte al Re dei Re, la condizione del discepolo è di per
sé quella del “servo”, termine che nella Bibbia (ma non solo)
rappresenta un titolo di importanza, perché caratterizza la
relazione con Dio: indica una persona fedele e a disposizione del
Signore. Non ha il senso di schiavo, se non quando indica un uomo
assoggettato a un padrone di questo mondo o (cfr. Gv 8,34) alla
potenza del peccato. Il titolo di “servo” è già importante, ma
il titolo “amico” indica che al centro della vita di Dio e
dell'uomo, c'è l'amicizia, la forma più perfetta dell'Amore, la
relazione gratuita e non possessiva che realizza la comunione delle
persone.
2)
Amici di Cristo.
Oggi
Cristo, ci rivela che non siamo solo servi e discepoli, ma amici.
Se
non fossimo che ministri (=servi), saremo in ogni caso sottomessi al
Re. Anche se saremo lieti di servire una buona causa, saremo sempre
sudditi costretti ad osservare la legge. Se non fossimo che
discepoli, dovremo andare a scuola dal Maestro, contenti di imparare
la verità e di ricevere parole di vita eterna.
Ma
siamo anche “amici”, siamo “soggetti” alla legge della
libertà generata dall'Amore al quale Lui si è affidato e di cui ci
rende partecipi se rimaniamo nella sua parola: “Questo vi comando,
che vi amiate reciprocamente”.
Questo
più che un comando è un’implorazione che Gesù ci rivolge, perché
Lui per primo ci ha amati e Lui ci dona la forza perché noi pure lo
facciamo. E’ la novità della comunità ecclesiale: essere una
scuola di amicizia, dove impariamo la logica del dono e della fede.
Rimanere
nell’amicizia di Cristo significa entrare nella relazione nuova con
Dio. Con il Dio della nuova Alleanza, il quale non è tanto un
legislatore supremo che ci chiede l’osservanza della Legge, quanto
un Padre che ci implora di credere in un Amore che è arrivato a
donare il proprio Figlio.
In
questa amicizia con Cristo, Lui - che è il pastore, la via, la
verità e la vita – diventa la porta attraverso la quale l’Amore
del Padre diventa la nostra casa. Perché oggi Cristo ci ripete che
siamo di casa nell’amore che il Padre ha per Lui, il Figlio. E
come facciamo a dimorare in questa casa? Stiamo nella casa dell’amore
se, a nostra volta, amiamo. Quindi “Amatevi gli uni gli altri, come
io ho amato voi”. Amando i fratelli, siamo nella Casa del Padre.
Questo amore fraterno ci fa amici di Cristo. Amando il fratello
diventiamo come Dio, come il Figlio, che è tale perché ama i
fratelli con l’amore del Padre.
In
questa amicizia
- la via non è una strada da percorrere, è una persona da seguire: Cristo;
- la verità non è un concetto astratto, è un uomo da frequentare: Cristo;
- e la vita non è semplicemente un fatto biologico, la vita è amare come si è amati, colui che Ci ama, è amare Cristo.
“Amici”
è il nome più vero dei discepoli di Gesù. Non siamo più servi,
costretti ad osservare una legge, ma amici liberi di quella libertà
generata dall'Amore al quale Lui si è affidato e di cui ci rende
partecipi se rimaniamo nella sua parola: “Questo vi comando, che vi
amiate reciprocamente”.
3)
Le vergini consacrate, testimoni dell’amicizia con Cristo.
La
vocazione all’amicizia con Cristo per le vergine consacrate va
capita alla luce del Cantico dei Cantici dove si legge: “Ora
l’amato mio prende a dirmi: «Alzati, amica
mia,
mia bella, e vieni, presto! Perché, ecco, l'inverno è passato, è
cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa
sentire nella nostra campagna. Il fico sta maturando i primi frutti e
le viti in fiore spandono profumo. Alzati, amica
mia,
mia bella, e vieni, presto” (Ct 2, 10 – 13).
Queste
donne consacrate con il dono di se stesse a Cristo dimostrano che
hanno creduto all'amore
di Dio e si offrono senza riserve a Gesù, Sposo e
Amico, testimoniando
che “all’inizio
dell'essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande
idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà
alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”
(Benedetto XVI).
Quali
spose di Cristo, le vergini consacrate testimoniano l’amore di
amicizia, di cui Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato
agli altri.
Con
semplicità ma con perseveranza queste donne mostrano che l’amicizia
con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre
nostro: ‘Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”.
Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà
umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha
sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio
portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera
libertà: ‘Non come voglio io, ma come vuoi tu’.
In
questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione:
essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo
Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera
libertà, cresce la gioia di essere redenti. Ringraziamo Gesù per la
Sua amicizia e siamo sempre più fraterni amici fra di noi. “Se non
celebriamo con
gratitudine il dono gratuito dell’amicizia con il Signore, se non
riconosciamo che anche la nostra esistenza terrena e le nostre
capacità naturali sono un dono. Abbiamo bisogno di riconoscere
gioiosamente che la nostra realtà è frutto di un dono, e accettare
anche la nostra libertà come grazia. Questa è la cosa difficile
oggi, in un mondo che crede di possedere qualcosa
da sé stesso, frutto della propria originalità e libertà” (Papa
Francesco, Es. Ap. Gaudete
et exultate, sulla
chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, n. 55).
Lettura
quasi patristica
Nel
suo magistero varie volte Papa Francesco ci ha parlato
dell’amicizia, di questo importante sentimento umano, ma
evidentemente anche divino, come il Vangelo insegna.
E così parlando al Serra Club, Papa Francesco ricorda che nel Vangelo “Gesù stesso spoglia questo concetto di ogni ‘sentimentalismo’ ed indica ‘una verità scomoda’, e cioè che ‘c’è vera amicizia solo quando l’incontro mi coinvolge nella vita dell’altro fino al dono di me stesso’. L’amicizia è pertanto ‘un impegno di responsabilità, che coinvolge la vita’ nel senso di “condivisione del destino dell’altro, compassione, coinvolgimento che conduce fino a donarsi per l’altro”. Un vero amico, secondo il Papa, è chi “si affianca con discrezione e tenerezza al mio cammino; mi ascolta in profondità, e sa andare oltre le parole; è misericordioso nei confronti dei difetti, è libero da pregiudizi; sa condividere il mio percorso, facendomi sentire la gioia di non essere solo; non mi asseconda sempre, ma, proprio perché vuole il mio bene, mi dice sinceramente quello che non condivide; è pronto ad aiutarmi a rialzarmi ogni volta che cado”.
Nello
stesso discorso il Papa si sofferma sulla difficile amicizia che lega
sacerdoti e laici che vogliono aiutarli, come è nello statuto dei
serrani. "Com'è' triste vedere che, a volte, proprio noi uomini
di Chiesa non sappiamo cedere il nostro posto, non riusciamo a
congedarci dai nostri compiti con serenità, e facciamo fatica a
lasciare nelle mani di altri le opere che il Signore ci ha affidato".
Sono parole di Papa Francesco al Serra Club International,
un'associazione di imprenditori e professionisti che vogliono aiutare
i sacerdoti offrendo amicizia e sostegno economico. "Anche voi,
allora, siempre adelante! Con coraggio, con creatività e con
audacia", ha esortato il Papa. "Senza paura di rinnovare le
vostre strutture e senza permettere che il prezioso cammino fatto
perda lo slancio della novità. Come nei giochi olimpici, possiate
essere sempre pronti - ha concluso Papa Francesco - a passare la
fiaccola soprattutto alle generazioni future, consapevoli che il
fuoco è acceso dall'Alto, precede la nostra risposta e supera il
nostro lavoro. Così è la missione cristiana: uno semina e
l'altro miete".
Cinque
chiavi di Papa Francesco sull’amicizia (27 luglio 2017)
1. Un
buon amico conosce i tuoi segreti:
Avere buoni amici vuol dire avere persone nelle quali avere fiducia e
aprire il nostro cuore per condividere pene e gioie, senza paura di
essere giudicati. “Un amico fedele – dice la Bibbia – è un
rifugio sicuro; chi lo trova, trova un tesoro. Niente vale tanto come
un amico fedele; il suo valore è incalcolabile”. Tuttavia, questo
non nasce da un giorno all’altro e, come dice Papa Francesco: “Un
amico non è un conoscente, uno con il quale si fa una piacevole
conversazione. L’amicizia è qualcosa di più profondo”. “È
necessaria la pazienza per creare una buona amicizia tra due persone.
Molto tempo per parlare, per stare insieme, per conoscersi, e lì si
crea l’amicizia. Quella pazienza nella quale un’amicizia è
reale, solida”.
2. Un
buon amico non ti abbandona mai:
Gesù diceva che “non c’è amore più grande di chi dà la vita
per i suoi amici”. Papa Francesco avverte: “Quando uno ama
l’altro, gli sta accanto, lo guida, lo aiuta, gli dice quello che
pensa, sì, però non lo abbandona. Così è Gesù con noi, non ci
abbandona mai”. La vera amicizia è disinteressata, si sforza di
dare più che di ricevere.
3. Un
buon amico ti difende sempre:
Felici quelli che sanno mettersi al posto dell’altro, quelli che
hanno la capacità di abbracciare, di perdonare. Errori ne facciamo
tutti, sbagli a migliaia. Perciò felici quelli che sono capaci di
aiutare gli altri nel loro errore, nei loro sbagli. Questi sono i
veri amici e non abbandonano nessuno.
4. Un
buon amico non ti “vende fumo”:
“la vera amicizia comporta anche uno sforzo cordiale per
comprendere le convinzioni dei nostri amici, anche se non giungiamo a
condividerle, né ad accettarle”. Stare con Gesù ci porta a un
atteggiamento aperto, comprensivo, che aumenta la capacità di avere
amici. “Gesù non ti vende fumo – annunciava Papa Francesco –
perché sa che la felicità, quella vera, quella che riempie il
cuore, non sta negli «stracci» che indossiamo, nelle scarpe che
portiamo, nell’etichetta di una determinata marca. Egli sa che la
vera felicità sta nell’essere sensibili, nell’imparare a
piangere con quelli che piangono, nello stare accanto a quelli che
sono tristi, nel porgere la spalla, nell’abbracciare. Chi non sa
piangere non sa ridere, e dunque non sa vivere. Gesù sa che in
questo mondo di tanta competenza, di tante invidie e tanta
aggressività, la vera felicità passa dall’imparare a essere
pazienti, a rispettare gli altri, a non condannare né giudicare
nessuno. La proposta di Gesù è di pienezza. Però, al di là di
ogni altra cosa, è una proposta di amicizia, di amicizia vera, di
quell’amicizia di cui tutti abbiamo bisogno”.
5. Un
buon amico ti sostiene (ti dà coraggio/ti appoggia):
Una caratteristica dell’amicizia è dare ai nostri amici il meglio
che abbiamo. E il nostro valore più alto, senza paragoni, è essere
amici di Gesù. Papa Francesco ci incoraggia e essere veri amici dei
nostri amici, amici nello stile di Gesù: “E non per rimanere tra
noi, ma per “uscire all’aperto”, per andare a farsi altri
amici. Per contagiare l’amicizia di Gesù per il mondo, dovunque
siano, nel lavoro, nello studio, attraverso WhatsApp, o Facebook o
Twitter. Quando vanno a ballare, o a prendere un buon aperitivo. In
piazza o giocando una partitella sul piazzale del quartiere. È lì
che stanno gli amici di Gesù. Non vendono fumo, ma hanno pazienza.
La pazienza dovuta al fatto di sapere che siamo felici, perché
abbiamo un Padre che è nei cieli”.
Lettura
patristica
Gregorio
Magno
Hom.
in Ev.,
27, 1 s.
Dal
momento che la Sacra Scrittura è tutta piena di divini precetti,
come mai il Signore parla della carità quasi di un comandamento
unico, e dice: "Questo
è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente"
(Gv
15,12),
se non perché i comandamenti sono tutti compendiati nell’unica
carità e tutti formano un unico comandamento? Infatti, tutto ciò
che ci viene comandato ha il suo fondamento solo nella carità. Come
i molteplici rami di un albero provengono da una sola radice, così
le molteplici virtù traggono origine dalla sola carità. E non ha
vigore di verde il ramo del ben operare, se non resta unito alla
radice della carità. Perciò, i precetti del Signore sono molti e al
tempo stesso uno solo: molti per la diversità delle opere, uno per
la radice della carità.
Come
poi dobbiamo conservare la carità, ce lo insegna quegli stesso che
in varie parti della Scrittura ci ordina di amare gli amici in lui e
i nemici per lui. Possiede, invero, carità vera solo chi ama l’amico
in Dio, e il nemico per Dio.
Vi
sono alcuni, infatti, che amano il prossimo per affetto di sangue o
di parentela, e ciò non trova sanzione di condanna nella Scrittura.
Ricordiamoci però che una cosa è ciò che nasce spontaneamente
dalla natura, un’altra è quel che siamo tenuti a praticare in
obbedienza al precetto del Signore. Coloro che amano di amore
naturale i loro parenti, amano certamente il prossimo; tuttavia, essi
non acquistano i nobilissimi premi della carità perché il loro
amore non è spirituale, bensì carnale. Ecco perché il Signore
Gesù, dopo aver detto: "Questo
è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente",
subito aggiunge: "come
io ho amato voi".
Quasi a volerci dire: «Amatevi per quei motivi per i quali io stesso
ho amato voi».
Per
la qual cosa, fratelli carissimi, va notato con scrupolosa diligenza
che il nostro antico avversario, mentre attrae il nostro spirito
verso il diletto delle cose temporali, ci mette contro qualche
prossimo debole, per strapparci via ciò che amiamo. E non si dà
pensiero questo antico avversario, così facendo, di toglierci le
cose terrene, bensì di ferire la carità in noi.
Invero,
quando ciò si verifica, noi subito diamo in escandescenze, e mentre
bramiamo uscire vittoriosi all’esterno, dentro veniamo gravemente
feriti; mentre all’esterno difendiamo cose da nulla, dentro
alieniamo le maggiori, poiché mentre amiamo le cose temporali,
perdiamo il vero amore. Chiunque infatti ci toglie del nostro, è un
nemico. Però se avremo incominciato ad odiare il nemico, è dentro
di noi che si verifica la perdita. Quindi, quando subiamo qualche
sgarbo esterno da parte di un prossimo, rimaniamo ben vigili rispetto
al devastatore dell’anima nostra: nei suoi confronti non si dà
modo più clamoroso di vittoria, se non quello stesso che usiamo
quando ricambiamo con l’amore chi ci porta via i beni esteriori.
Una sola è la prova suprema della carità: amare anche chi ci si
rivela nemico. Ecco perché il Signore Gesù, pur subendo i tormenti
della crocifissione, mostra verso i suoi persecutori sentimenti di
carità, e dice al Padre: "Perdona
loro, perché non sanno quello che fanno"
(Lc
23,24).
C’è
da meravigliarsi dunque se i discepoli amano in vita quei nemici che
il Maestro ha amato proprio mentre veniva ucciso? Egli esprime il
culmine della carità, quando soggiunge: "Nessuno
ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici"
(Gv
15,13). Il Signore era venuto a morire per i nemici, e tuttavia
diceva di voler dare la sua vita per gli amici, per mostrarci che,
senza ombra di dubbio, mentre possiamo trarre merito dall’amore dei
nemici, diventano alla fine nostri amici persino coloro che ci
perseguitano.
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