Rito Romano – III
Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 21 gennaio 2018
Gio
3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20
Rito Ambrosiano – III
Domenica dopo l’Epifania
Nm
11, 4-7. 16a. 18-20. 31-32a; Sal 104; 1Cor 10,1-11b ; Mt 14,13b-21
1) Conversione e lieta notizia.
1) Conversione e lieta notizia.
Oggi la liturgia della
Messa ci propone un brano dell’evangelista San Marco, che -con
stile scarno ed essenziale- sintetizza tutto il messaggio di Gesù
Cristo presentandolo come “Vangelo di Dio”. Questa divina, buona
e lieta notizia è proclamata in Galilea, regione confinante con la
terra dei pagani. In questo modo, è sottolineata la dimensione
perennemente missionaria dell’annuncio. La novità grandiosa di
questa espressione: “Vangelo di Dio” rischia di sfuggire a noi,
ormai lontani dall’esperienza dei primi lettori di San Marco.
La parola d’origine
greca “vangelo” è spiegata con l’espressione “buona
novella”. Suona bene, ma resta molto al di sotto dell’ordine di
grandezza inteso dalla parola “vangelo”. Questa parola appartiene
al linguaggio degli imperatori romani che si consideravano signori
del mondo, suoi salvatori e redentori. I proclami provenienti
dall’imperatore si chiamavano “vangeli”, indipendentemente dal
fatto che il loro contenuto fosse lieto oppure no. Ciò che viene
dall’imperatore - era l’idea soggiacente – è messaggio
salvifico, non è semplicemente notizia, ma trasformazione del mondo
verso il bene.
Scrivendo il “Vangelo
di Dio”, San Marco insegna che gli imperatori non sono i salvatori
del mondo. Il vero salvatore è Gesù, il cui nome vuol dire “Dio
salva”. Cristo è il Verbo di Dio e si manifesta come parola
efficace. In Lui e per Lui accade davvero quello che gli imperatori
pretendevano, senza poterlo realizzare.
Dunque, “Vangelo”
non è più l’annuncio della vittoria di un potente sui propri
nemici. Il “Vangelo di Dio” non è la proclamazione della
vittoria di un uomo forte che ha sconfitto un debole. Non riguarda
la gioia di qualcuno e il pianto di altri. Il “Vangelo di Dio”,
il lieto annuncio non riguarda più il potente di turno. La lieta
“buona novella” è proclamata da Gesù, mite e umile di cuore.
Questa buona notizia è proclamata in nome di Dio-Amore, è Dio
stesso che in Cristo si fa presente nel mondo e nella storia:
La
frase “Proclamando il Vangelo, Gesù diceva: ‘Il tempo è
compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel
Vangelo’” (Mc
1, 14) potrebbe essere riformulata così: “ Proclamando
la buona novella, Gesù diceva: ‘il tempo propizio è venuto. Il
Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete alla lieta novella”.
Il
senso di questa frase non è: “Fate la vostra conversione morale e
poi credete anche alla buona notizia”, ma piuttosto è :
“Accogliete la buona novella con fede viva. In questo modo tutto il
vostro modo di pensare, di volere, di agire sarà cambiato”.
Convertiamoci a Cristo riconoscendolo quale Via, Vita, Verità, quale
persona nella quale il Padre rende visibile tutto il suo amore.
In
breve, se ci convertiamo cambiando la mente e il cuore possiamo
credere alla lieta e buona notizia che Dio è in mezzo a noi. In un
certo senso convertirsi è vedere oltre, avere uno sguardo che va
oltre. In effetti, con la parola convertirsi si traduce quella
greca, che letteralmente significa “guardare oltre” quindi
capire, oltre le apparenze, il senso vero delle cose.
Anche
San Giovanni Apostolo ed Evangelista introduce il comandamento della
conversione, che chiede di amare il prossimo come Cristo ci ha amato,
con la forza del Vangelo della gioia, con l’annuncio della lieta
novella: “Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia
dimori in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio
comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”
(Gv 15,
11-12).
Se
ci convertiamo a Cristo che ci invita a dimorare in Lui per far
dimorare in noi la sua lieta novella, capiremo sempre meglio che il
significato vero del comandamento di Dio non è quello di essere una
imposizione, ma di essere una comunicazione di amore. Il “comando”
di convertirsi è un invito d’amore, che Cristo rivolge ai suoi
discepoli perché entrino in comunione con lui, perché accolgano la
sua offerta di amicizia.
Insomma
conversione cristiana non è tanto una nuova relazione ad un
imperativo o a nuove idee, quanto una relazione personale con Gesù,
che propone la sua amicizia che permette un'accoglienza festosa,
umile, riconoscente della verità salvifica.
2) Conversione e sequela di Cristo.
2) Conversione e sequela di Cristo.
Se
la conversione è il dimorare in Cristo e seguirLo, vuol dire che
questo “stare in Lui” è un verbo di movimento. C'è
un'idea di movimento nella conversione, come nel moto del girasole
che ogni mattino rialza la sua corolla e la mette in cammino sui
sentieri del sole. Allora, “convertirsi” vuol dire “girarsi
verso” la luce perché la Luce è già qui.
In
effetti la comunione con Lui, implica un seguirLo. Cristo non è
tanto una Parola da ascoltare o da leggere. Lui è il Logos, cioè la
Parola che dà significato e senso (inteso come direzione) alla vita
e dà luce ai nostri passi.
Quando
San Marco scrive che Gesù “passando lungo il mare di
Galilea vide Simone e Andrea, fratello di Simone e disse loro:
‘seguitemi’” non disse: “Imparate”, perché la prima
caratteristica del discepolo cristiano è quella di “seguire”. In
effetti il verbo, che abitualmente si accompagna alla parola
discepolo, è imparare. Usando, invece, il verbo seguire, il vangelo
sottolinea che al primo posto non c'è una dottrina, ma un modo di
vivere che implica un camminare con il Maestro, immedesimandosi in
lui.
La sequela evangelica
non è mai una chiamata a star fermi, ma a camminare. La chiamata
evangelica è un invito a uscire, ad andare verso il mondo e la
missione. Se il seguire non implica un “andare dietro Cristo”,
vuol dire che si segue se stessi. La sequela evangelica è diversa da
tutte quelle sequele che invitano invece a separarsi e a
rinchiudersi.
Comincia così la
novità dell’esistenza: andando dietro a Cristo che chiama e si
propone come strada per la vita dei suoi discepoli, noi compresi.
Gesù vede e parla a
due persone, la qualità della relazione a cui dà inizio, è segno
della novità dell'Amore. “Venite dietro a me, e vi farò diventare
pescatori di uomini”: il che vuol dire che Gesù chiede a Simone e
ad Andrea di convertirsi non facendo chissà che cosa, ma seguendolo
e facendo sì che la missione di salvezza di Cristo diventi la loro
vocazione.
La vocazione alla
conversione è quella di entrare in relazione con lui, di lasciarsi
amare da lui e di portare il suo amore e la sua verità nel mondo.
Gesù chiede di rispondere al suo Amore: Gesù ama e chiede di essere
amato. Ecco: la novità della storia è l’inizio della relazione
d’Amore, finalizzata a gustare l’Amore e ad immettere l’Amore
in ogni attimo, in ogni azione in cui la vita si dipana. Questa è la
“conversione” che Gesù chiede: non fare della vita un mezzo per
fare delle cose, ma vivere la vita in un tale Amore che ogni cosa
viva.
3)
La sequela delle Vergini consacrate.
Un esempio di vivere
il fatto di essere discepoli seguendo Cristo ci è dato dalle Vergini
consacrate. Con il loro gesto di offerta di se stesse al Signore
Gesù, queste donne testimoniano che la sequela di Cristo è imitare
Gesù casto, povero,
obbediente, pregandolo di essere rese capaci di amare con il
Suo amore, di donare con il Suo Cuore, di servire con la Sua luce, di
operare con i Suoi doni.
Con la loro vita
consacrata testimoniano, in primo luogo, che l’iniziativa è di
Cristo, e che il suo appello è gratuito. In secondo luogo, mostrano
che è possibile rispondere alla chiamata di Gesù anche se questo
appello comporta un distacco così radicale e profondo che San Marco
parla di abbandono del padre e del lavoro. Abbandonare il mestiere e
la famiglia è come sradicarsi. Ma vale la pena, perché così ci si
può radicare in Cristo.
La loro vita ci spinge
a fare nostra la preghiera che il Sacerdote oggi dice all’inizio
della Messa: “O Padre, che nel tuo Figlio ci hai dato la pienezza
della tua parola e del tuo dono, fa' che sentiamo l’urgenza di
convertirci a te e di aderire con tutta l'anima al Vangelo, perché
la nostra vita annunzi anche ai dubbiosi e ai lontani l’unico
Salvatore, Gesù Cristo”.
Sull’esempio delle
Vergini consacrate, ognuno di noi, ogni mattino, ad ogni risveglio, è
in grado di dire: “anch'io posso ‘convertirmi’, posso e devo
muovere pensieri e sentimenti e scelte verso Dio perché entri di più
nel mio cuore e in quello del mondo.
Lettura
Patristica
San
Girolamo
Comment.
in Marc., 1
"E camminando lungo il mare di Galilea, vide Simone e suo fratello Andrea che gettavano le reti in mare: infatti essi erano pescatori " (Mc 1,16). Simone, che non ancora si chiamava Pietro, perché non ancora aveva seguita la Pietra (cf. Ex 17,5-6 1Co 10,4) tanto da meritarsi il nome di Pietro, Simone, dunque, e suo fratello Andrea, erano sulla riva e gettavano le reti in mare. La Scrittura non precisa se, dopo aver gettato le reti, presero dei pesci. Dice soltanto: «Vide Simone e suo fratello Andrea che gettavano le reti in mare: infatti essi erano pescatori». Il Vangelo riporta che essi gettavano le reti, ma non aggiunge che cosa presero con esse. Cioè, ripeto, prima della passione essi gettarono le reti, ma non sta scritto se catturarono dei pesci. Invece, dopo la passione, gettano le reti e prendono i pesci: tanti ne prendono che le reti si rompono (Lc 5,6 Jn 1,11). Qui, invece, si dice soltanto che gettavano le reti, perché erano pescatori.
"E Gesù disse loro: «Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini»" (Mc 1,17). Oh, felice trasformazione della loro pesca! Gesù li pesca, affinché essi a loro volta peschino altri pescatori. Dapprima essi son fatti pesci, per poter essere pescati da Cristo: poi essi pescheranno altri. E Gesù dice loro: «Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini».
"E quelli, subito, abbandonate le reti, lo seguirono" (Mc 1,18). «Subito», dice Marco. La vera fede non conosce esitazioni: subito ode, subito crede, subito segue e subito fa diventare pescatore. E subito, dice Marco, «abbandonate le reti». Credo che con le reti essi abbiano abbandonato le passioni del mondo. «E lo seguirono»: non avrebbero infatti potuto seguire Gesù se si fossero portati dietro le reti, cioè i vizi terreni.
"E andato un poco avanti, vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, anch’essi nella barca che riattavano le reti" (Mc 1,19). Dicendo che riattavano le reti, si fa capire che esse erano rotte. Essi gettavano le reti in mare: ma poiché le reti erano rotte, non potevano prendere pesci. Aggiustavano, stando in mare, le reti: sedevano sul mare, cioè sedevano nella barca insieme al padre Zebedeo e riattavano le reti della legge. Abbiamo spiegato tutto questo secondo il suo significato spirituale. Essi aggiustavano le reti, ed erano nella barca. Erano nella barca, non sulla riva, non sulla terra ferma: erano nella barca, che era scossa dai flutti del mare.
"E subito li chiamò: e quelli, lasciato il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni, lo seguirono" (Mc 1,20). Qualcuno potrebbe dire: - Ma questa fede è troppo temeraria. Infatti, quali segni avevano visto, da quale maestà erano stati colpiti, da seguirlo subito dopo essere stati chiamati? Qui ci vien fatto capire che gli occhi di Gesù e il suo volto dovevano irradiare qualcosa di divino, tanto che con facilità si convertivano coloro che lo guardavano (Mc 11,5). Gesù non dice nient’altro che «seguitemi», e quelli lo seguono. È chiaro che se lo avessero seguito senza ragione, non si sarebbe trattato di fede ma di temerarietà. Infatti, se il primo che passa dice a me, che sto qui seduto, vieni, seguimi, e io lo seguo, agisco forse per fede? Perché dico tutto questo? Perché la stessa parola del Signore aveva l’efficacia di un atto: qualunque cosa egli dicesse, la realizzava. Se infatti "egli disse e tutto fu fatto, egli comandò e tutto fu creato" (Ps 148,5), sicuramente, nello stesso modo, egli chiamò e subito essi lo seguirono.
«E subito li chiamò: e quelli subito, lasciato il loro padre Zebedeo...» ecc. "Ascolta, figlia, e guarda, e porgi il tuo orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre: il re desidera la tua bellezza" (Ps 44,11ss). Essi dunque lasciarono il loro padre nella barca. Ascolta, monaco, imita gli apostoli: ascolta la voce del Salvatore, e trascura la voce carnale del padre. Segui il vero Padre dell’anima e dello spirito, e abbandona il padre del corpo. Gli apostoli abbandonano il padre, abbandonano la barca, in un momento abbandonano ogni loro ricchezza: essi, cioè, abbandonano il mondo e le infinite ricchezze del mondo. Ripeto, abbandonarono tutto quanto avevano: Dio non tiene conto della grandezza delle ricchezze abbandonate, ma dell’animo di colui che le abbandona. Coloro che hanno abbandonato poco perché poco avevano, sono considerati come se avessero abbandonato moltissimo.
Lasciato il padre Zebedeo nella barca con i garzoni, gli apostoli dunque lo seguirono. È giunto ora il momento di spiegare ciò che prima abbiamo detto in modo oscuro, a proposito degli apostoli che aggiustavano le reti della legge. La rete era rotta, non poteva prendere i pesci, era stata corrosa dalla salsedine marina, ed essi non sarebbero mai stati in grado di ripararla se non fosse venuto il sangue di Gesù a rinnovarla completamente.
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