Rito
Romano
XVI
Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 23 luglio 2017
Sap
12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43
Rito Ambrosiano
Gs 4,1-9; Rm 3 29-31; Lc 13,22-30
Domenica
VII dopo Pentecoste
1)
La crescita del Regno.
Tre
sono le parabole che in questa domenica il Vangelo ci fa meditare:
quella del grano e della zizzania, quella del granellino di senape, e
infine quella del lievito.
Queste
tre parabole raccontano l’amore con cui Dio cura tutte le cose;
della sorprendente iniziativa Divina che con “giustizia” e
“mitezza” tiene nel palmo della sua mano la vita dell’uomo.
Il
Regno dei Cieli sempre viene, vince e si afferma se, con umiltà,
l’uomo si lascia guidare da Dio che dona ai suoi figli «la buona
speranza», che rende il cuore umano, seppur piccolo, capace di
contenere tutta la Grazia e di tendere al Regno celeste
Per
descrivere il Regno dei Cieli, Gesù ci presenta tre immagini, che
hanno in comune il verbo
“crescere”: il grano buono e la zizzania “crescono”
insieme per poi
essere separati, il granello di senape “cresce” per
diventare un grande albero, il pugno di lievito nella farina
fa crescere la
massa della pasta.
Quindi,
una delle caratteristiche del Regno dei Cieli è quella di non
essere qualcosa di statico, ma di dinamico, destinato a “crescere”
ogni giorno e in ogni circostanza.
La
parabola del granellino di senape che diventa un albero indica la
“crescita” del Regno di Dio sulla terra. Sulla bocca di Gesù
questa era anche una temeraria profezia. Chi poteva immaginare, poco
meno di duemila anni fa, che il Vangelo predicato in villaggi
sconosciuti al resto del mondo a povera gente, non istruita e con
lavori umili quali quello del contadino e del pescatore avrebbe in
poco tempo conquistato il mondo? Anche la parabola del lievito nella
farina significa la “crescita” del Regno, non tanto però in
estensione, quanto in intensità; indica la forza trasformatrice del
vangelo che come lievito fa “crescere” la farina e la prepara a
diventare pane.
Queste due parabole
furono comprese facilmente dai discepoli, non così la terza, del
grano e della zizzania, che Gesù fu costretto a spiegare loro a
parte. Il seminatore –disse il Messia- era lui stesso, i figli del
regno sono il seme buono, i figli del maligno sono la zizzania, il
campo è il mondo e la Chiesa, che è il pezzo di mondo salvato, e la
mietitura è la fine del mondo, quando “i giusti splenderanno come
il sole nel Regno del Padre loro”. Gregorio Palamas commenta: “I
servi del Padre si accorsero che c’era la zizzania nel campo, che
cioè gli empi e i cattivi erano mescolati ai buoni e vivevano
insieme con loro, persino nella Chiesa di Cristo. Dissero al Signore
: ‘Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania ?’, in altri
termini : ‘vuoi che togliamo questa gente dalla terra facendola
morire ?’ ... Col tempo, molti empi e peccatori, nel vivere insieme
con uomini pii e giusti giungono al punto di pentirsi e di
convertirsi ; si mettono alla scuola della pietà e della virtù, e
smettono di essere zizzania per diventare grano. Così gli angeli,
afferrando di forza tali uomini prima che potessero pentirsi,
rischiavano di sradicare il grano, raccogliendo la zizzania. Per di
più, ci sono spesso stati uomini di buona volontà fra i figli e i
discendenti dei cattivi. Per questo, colui che sa ogni cosa prima che
succeda non ha permesso che la zizzania fosse sradicata prima il
momento opportuno” (Omelia
27, PG 151, 345-353). Dunque se vogliamo essere salvati dal castigo
alla fine del mondo ed ereditare il Regno eterno di Dio dobbiamo
essere grano e non zizzania, astenendoci da ogni parola vana o
cattiva, esercitandoci nelle varie virtù e producendo veri frutti di
penitenza. In questo
modo diventeremo degni del granaio celeste, e saremo chiamati figli
del Padre, l'Altissimo, e, lieti e risplendenti della gloria divina,
entreremo come eredi nel Regno celeste.
2)
La Pazienza di Dio.
Credo
che il tema più
importante della parabola sia la pazienza di Dio. La liturgia di
questa domenica lo sottolinea con la
scelta della prima lettura che è un inno alla forza di Dio che si
manifesta sotto forma di pazienza: “Padrone
della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta
indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale
modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare
gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i
peccati, tu concedi il pentimento” (Sap
12, 16-19).
La
pazienza di Dio non è un semplice aspettare, è longanimità,
misericordia, volontà di salvare. “Non sai che la pazienza di Dio
ti spinge alla conversione?” (Rm
2, 4). Lui è davvero, “un Dio di pietà, compassionevole, lento
all’ira e pieno di amore” (Sal
85, salmo responsoriale della Messa di oggi).
Dunque,
nel Regno di Dio non c’è posto perciò per servi impazienti che
non sanno far altro che invocare i castighi di Dio e indicargli di
volta in volta chi deve colpire. Gesù un giorno rimproverò due
discepoli che gli chiedevano di far piovere fuoco dal cielo su coloro
che li avevano rifiutati.
Imitare
la pazienza di Dio non implica che dobbiamo aspettare la mietitura
come quei servi trattenuti a fatica perché pronti ad agire con la
falce in pugno, quasi fossimo ansiosi di vedere la faccia dei malvagi
nel giorno del giudizio.
Questa
pazienza non implica neppure che dobbiamo rimanere a braccia conserte
e senza far niente, ma anzi dobbiamo lavorare con impegno a cambiare
noi stessi e, per quanto ci è possibile, gli altri da zizzania in
buon grano. In questo modo sarà esaudita la preghiera d’inizio
della Messa di oggi: “Ci
sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore;
fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della Chiesa, perché
si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il
Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno”
(Colletta
della
XVI Domenica del Tempo Ordinario, Anno A).
3)
Verginità e pazienza.
Siamo
tutti frutto della pazienza misericordiosa di Dio. In essa siamo
nati, custoditi, accompagnati. Nella sua pazienza abbiamo conosciuto
le insondabili possibilità di male del nostro cuore ingannato, e le
infinite possibilità di amore dello stesso cuore ricolmo di Spirito
Santo.
Cristo
è il “segno” più alto della pazienza di Dio, che per primo è
paziente, costante, fedele al suo amore verso di noi. Lui è il vero
“agricoltore” della storia, che sa attendere.
Dalla
torre di Babele in poi, troppe volte gli uomini hanno tentato di
costruire il mondo da soli, senza o contro Dio. Il risultato è
stato sempre contro l’uomo.
La
perseveranza paziente nella costruzione della storia, sia a livello
personale che comunitario, non si identifica con la tradizionale
virtù della prudenza, di cui certamente si ha bisogno, ma è
qualcosa di più grande e più complesso e, al tempo stesso, è
qualcosa di umile e semplice.
Con
la perseverante fedeltà ai loro “proposta” le vergini consacrate
ci testimoniano che essere costanti
e pazienti nel vivere la vocazione alla verginità contribuiscono a
costruire la storia del mondo, perché solo edificando su di Lui e
con Lui la costruzione è ben fondata, non è strumentalizzata per
fini ideologici, ma è veramente degna dell’uomo.
La
semplice vita di queste donne consacrate è una risposta alla
chiamata
all’umiltà e alla misericordia che si sprigiona dalla parabola
evangelica del grano e della zizzania, ed una testimonianza che noi
tutti possiamo mettere in pratica ogni giorno. La verginità
consacrata fa di queste donne delle spose di Cristo, il cui amore
paziente e misericordioso è riflesso nella loro persona e nella loro
vita. Esse sono il terreno particolarmente fertile, che accoglie Gesù
Cristo il quale è stato solamente grano senza zizzania. Lui
è quel chicco di grano che un giorno cadde in terra, morì e fu
sepolto. Nell’Eucaristia quel chicco, divenuto pane, viene a noi
per farci “frumento di Dio” verginalmente consacrato.
Lettura
Patristica
In
Matth. 46, 1
“Considerate, invece, l’affettuoso interessamento dei servitori verso il loro padrone. Essi si sarebbero già levati per andare a sradicare la zizzania, anche se in tal modo non avrebbero agito in modo discreto e opportuno. Questo tuttavia mostra la loro cura per il buon seme e testimonia che il loro unico scopo non sta nel punire il nemico - non è questa la necessità più urgente - ma nel salvare il grano seminato. Essi perciò cercano il mezzo per rimediare rapidamente al male fatto dal diavolo. E neppure questo vogliono fare a caso, non s’arrogano infatti questo diritto, ma attendono il parere e l’ordine del padrone. "Vuoi, dunque, che andiamo a raccoglierla?" (Mt 13,28) - gli chiedono. Cosa risponde il padrone? Egli vieta loro di farlo, dicendo che c’è pericolo, nel raccogliere la zizzania, di sradicare anche il grano. Parla così per impedire le guerre, le uccisioni, lo spargimento di sangue.”
Origene
(185 - 254)
In
Matth.
10, 2
Ma,
mentre dormono coloro che non praticano il comando di Gesù che dice:
"Vegliate
e pregate, per non entrare in tentazione"
(Mt
26,41 Mc
14,38 Lc
22,40),
il diavolo, che fa la posta (1P
5,8),
semina quella che viene detta la zizzania, le dottrine perverse, al
di sopra di ciò che alcuni chiamano i pensieri naturali, e al di
sopra dei buoni semi venuti dal Logos. Secondo tale interpretazione,
il campo designerebbe il mondo intero e non solamente la Chiesa di
Dio; infatti è nel mondo intero che il Figlio di Dio ha seminato il
buon seme e il cattivo la zizzania (Mt
13,37-38),
cioè le dottrine perverse che, per la loro nocività, sono «figlie
del maligno». Ma ci sarà necessariamente,
alla fine del mondo, che vien detta «la consumazione del secolo»,
una mietitura, perché gli angeli di Dio preposti a tale compito
raccolgano le cattive dottrine che si saranno sviluppate nell’anima
e le consegnino alla distruzione, gettandole, perché brucino, in
quello che viene definito fuoco (Mt
13,40).
E così, «gli angeli», servitori del Logos, raduneranno «in tutto
il regno» di Cristo, «tutti gli scandali» presenti nelle anime e i
ragionamenti «che producono l’empietà», e li distruggeranno
gettandoli nella «fornace di fuoco», quella che consuma (Mt
13,41-42)
così del pari coloro che prenderanno coscienza che, poiché hanno
dormito, hanno accolto in sé stessi i semi del cattivo, piangeranno
e saranno, per così dire, in collera con sé stessi. Sta in ciò, in
effetti, "lo
stridor di denti"
(Mt
13,42),
ed è anche per questo che è detto nei Salmi: "Hanno
digrignato i denti contro di me"
(Ps
35,16).
È soprattutto allora che "i
giusti brilleranno",
non tanto in modo diverso, come agli inizi, bensì tutti alla maniera
di un unico "sole,
nel regno del Padre loro"
(Mt
13,43).
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