La
legge della felicità realizzata e non solo desiderata sospirata
IV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 29 gennaio 2017
Rito
Romano
Sof
2,3;3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12
Rito
Ambrosiano
Sir
7, 27-30. 32-36; Sal 127; Col 3, 12-21; Lc 2, 22-33
Ultima
Domenica di gennaio
Santa
Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe – Festa
1)
La legge delle Beatitudini.
Il
Vangelo di oggi ci propone le beatitudini, che sono così conosciute,
citate e commentate che rischiamo di pensare di conoscerle già e di
non avere bisogno di rileggerle, di meditarle di nuovo per meglio
comprenderle e metterle in pratica.
La
prima parola che Gesù ha detto nel Discorso della Montagna è:
“Beati1”
(Mt 5, 2). Quale nuovo Mosè, il Messia è salito sulla
montagna e da questa cattedra dà la legge che afferma la gioia come
un dovere per il cristiano. In effetti, le Beatitudini nel Vangelo di
san Matteo rispondono al Decalogo del Libro dell’Esodo. La prima
alleanza fatta fra Dio e il popolo di Israele fu ratificata con dono
della Legge e con l’accettazione da parte d’Israele di questa
divina volontà. Anche la Nuova Alleanza comincia con la legge, ma la
legge della Nuova Alleanza sono le Beatitudini2
ed è ratificata dal nostro “sì”, “fiat”, “amen”, grazie
al quale in noi, come prima di tutti, in Maria, la gioia si è fatta
carne ed ha messo la sua dimorata tra e in noi.
La
legge cristiana, i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa,
tutti si realizzano nel fatto stesso che abbiamo la gioia, che è
Cristo, la gioia che deriva dal possesso di Dio, la gioia che deriva
dal fatto che non soltanto siamo amati e crediamo all’amore, ma a
quest’amore rispondiamo donandoci totalmente al Signore. E in ciò
sta la felicità: di amare perché amati.
La
Legge dell’Antico Testamento è portato a pienezza dal dono della
“Legge delle Beatitudini” del Nuovo Testamento. Questo dono ci fa
capire come effettivamente l’unica legge del cristiano non può
essere che la gioia, dal momento che tutte le Beatitudini iniziano
sempre con la stessa parola: “beati”. “Beati” perché poveri,
“beati” perché miti, “beati” perché puri di cuore, “beati”
perseguitati: comunque, sempre “beati”. Le beatitudini sono leggi
donate da Cristo per indicarci la vocazione dei fedeli associati
alla gloria della sua Passione e della sua Risurrezione. Le
Beatitudini “illuminano le azioni e le disposizioni caratteristiche
della vita cristiana; sono le promesse paradossali che, nelle
tribolazioni, sorreggono la speranza; annunziano le benedizioni e le
ricompense già oscuramente anticipate ai discepoli; sono inaugurate
nella vita della Vergine e di tutti i Santi” (CCC 1717).
Le
Beatitudini sono una promessa di pienezza di vita e una legge che
indica un programma di vita lieta. Tuttavia non si deve pensare alle
beatitudini come a gioie esenti da prove e sofferenze, come a uno
“stare bene” puramente terrestre. Si deve comprenderle come
possibilità di sperimentare che ciò che si è e si vive ha un senso
(cioè una direzione e un significato), fornisce una “convinzione”,
dà una ragione per cui vale la pena vivere. Va anche ricordato che
questa felicità la si misura alla fine del percorso di sequela,
perché durante il cammino è presente, ma a volte può essere
contraddetta dalle prove, dalle sofferenze, dalla passione.
Vivere
le Beatitudini è vivere come Cristo, ma è difficile, in effetti il
cristianesimo “non è facile, ma felice” (Paolo VI).
2)
Ritratto di Cristo e nostro.
Le
beatitudini non sono solo la nuova legge che Cristo promulga, esse
“dipingono il suo santo volto e ne descrivono la carità” (CCC
1717), facendo emergere i tratti della sua figura e mettendo in
evidenza il suo modo di pensare e di agire che dobbiamo fare nostro
con amore.
Da
una parte, le beatitudini rappresentano il ritratto del Figlio di Dio
venuto fra noi, dall’altra, descrivono le caratteristiche del
discepolo che, nella sequela del Maestro, per la forza dello Spirito,
vive l’imitazione del suo Signore, lasciandosi abitare da Lui.
Dunque, mettiamo in pratica le beatitudini per divenire uomini nuovi
con la grazia che ci viene da Gesù: in esse riconosciamo il progetto
e il percorso della santità secondo il Vangelo, perché il santo non
è che l’uomo nuovo reso tale da Cristo.
Quello
che Cristo esige non è soltanto di essere santi, perfetti nell’amore
(“Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”
- Mt 5, 48), ma di essere beati, felici nella nostra
perfezione, perché la santità non può essere distinta dalla
felicità.
Ma
se la beatitudine suppone la perfezione, che cos’è perfezione?
È
la presenza nel nostro cuore di Dio a cui abbiamo detto di “sì”.
E’
il vivere la vita stessa di Dio, il quale si dona a ciascuno di noi.
Di
conseguenza, è importante che ciascuno di noi diventi consapevole di
questo dono che abbiamo ricevuto. E, nella misura che ne saremo
consapevoli, nella misura che veramente crederemo in questo dono,
nella stessa misura faremo esperienza della gioia, che è esperienza
di essere amati.
Ma
il tema della gioia non lo troviamo solamente nel Vangelo di oggi.
Tutta la Liturgia della Parola di questa domenica mette in risalto la
gioia, partendo in primo luogo dalla beatitudine della povertà, come
appare dal ritornello del salmo responsoriale, dalla lettura di
Sofonia e dallo stesso passo della prima lettera ai Corinti, dove
Paolo dice che Dio si serve di quelli che non contano per confondere
il mondo. “Beati i poveri” implica certamente un invito a mettere
al centro della propria attenzione i poveri. Il povero di spirito è
colui che si fida di Dio, attende da Dio, ripone la sua fiducia
unicamente in Dio. Come la intende San Matteo la povertà di spirito
non è riducibile a un astratto e generico distacco dai beni. Al
contrario, è un atteggiamento concreto e pubblico, il cui contenuto
è determinato dalle beatitudini successive: la costruzione della
pace, la fame di giustizia, la misericordia, la limpidezza interiore.
Tutti atteggiamenti concreti e attivi. Pur mettendo in primo piano
atteggiamenti interiori e spirituali, San Matteo non dimentica di
invitare a un concreto e coraggioso impegno per la giustizia e la
pace.
Ecco
dunque la legge cristiana: l’essere contenti, l’esser beati
nell’amore ricevuto e condiviso con spirito di povertà.
Con
questa descrizione esistenziale che è proposta come legge, il
Redentore risponde all’innato desiderio di felicità, il quale è
di origine divina. Dio l’ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo
a sé, perché egli solo lo può colmare. “Noi tutti certamente
bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c’è nessuno che neghi
il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che venga
esposta in tutta la sua portata (Sant'Agostino, De moribus
ecclesiae catholicae, 1, 3, 4: PL 32, 1312). “Come ti cerco,
dunque, Signore? Cercando Te, Dio mio, io cerco la felicità. Ti
cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima
e la mia anima vive di Te” (Sant'Agostino, Conf., 10, 20,
29).
“Dio
solo sazia” (San Tommaso d’Aquino, Expositio in symb. Ap.
1). E’ per questo che è giusto e doveroso riconoscere che la gioia
delle beatitudini trova il suo fondamento nella certezza di un futuro
felice, in comunione con Dio e dono di Dio, e insieme nella gioiosa
scoperta che già ora è possibile pregustare un modo nuovo di
vivere.
3)
Le beatitudini e la vita consacrata nel mondo.
Il
mondo pone il fondamento della propria gioia nel possesso dei beni,
nel successo, o in altre cose simili. Invece Cristo con il Vangelo
della gioia ci invita a mettere il fondamento della nostra gioia nel
suo amore ed assomigliargli assumendo i suoi paradossali tratti di
uomo vero, perché povero, mite, umile, piangente, affamato e
assetato di giustizia, misericordioso, puro di cuore, artigiano di
pace, perseguitato per la giustizia (cfr. Mt. 5, 3 – 10)
Un
modo significativo di imitare Cristo e mettere in pratica le
beatitudini è quello delle vergini consacrate nel mondo. Con il dono
totale di se stesse, queste donne testimoniano che è possibile
essere felici e non lasciarsi affascinare dalle cose del mondo pur
vivendoci. Davanti alle cose umane siamo come gli antichi greci
davanti alla Medusa: rimanevano pietrificati. E noi stessi rimaniamo
pietrificati e non abbiamo più la capacità di credere, di andare
fino a Dio. Le cose terrene hanno un potere affascinatore; non
soltanto ci strappano a Dio, ma ci paralizzano, ti impediscono di
accedere a Lui, ci impediscono di avere una vera esperienza di quella
che è la nostra vera ricchezza, Dio stesso. Queste consacrate ci
ricordano che Dio solo sazia (San Tommaso d'Aquino, Expositio in
symb. Ap. 1), che Dio solo basta (Santa Teresa d’Avila3),
che il nostro corpo vive della nostra anima e la nostra anima vive di
Dio, cercando il quale cerchiamo la felicità (Cfr. Sant’Agostino,
Confessioni, 10, 20, 29). E trovando Dio, troviamo la vera ed
eterna felicità (P. Olivier Marie).
1 La traduzione con l’aggettivo “beati” del termine greco “makárioi” da dove viene pure l’espressione “magari” non rende adeguatamente il significato che questo aggettivo ha in greco. “Beati” non va inteso solamente come un aggettivo, ma come un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può rapire né spegnere (cfr. 16,23). “Beati” ha anche il valore di “benedetti” (cf. 25,34), in opposizione ai “guai” (cfr. 23,13-32; 6,24-26), ma indica qualcosa che non è soltanto un’azione di Dio che rende giusti e salvati nel giorno del giudizio (cfr l 1,1; 41,2), ma che già da ora dà un senso, una speranza consapevole e gioiosa a chi è destinatario di tale parola.
2 Le Beatitudini vengono non di rado presentate come l'antitesi neotestamentaria al Decalogo, come, per così dire, l'etica più elevata dei cristiani nei confronti dei comandamenti dell'Antico Testamento. Questa interpretazione fraintende completamente il senso delle parole di Gesù. Gesù ha sempre dato per scontata la validità del Decalogo (cfr., per es., Mc 10,19; Lc16,17); il Discorso della montagna riprende i comandamenti della Seconda tavola e li approfondisce, non li abolisce (cfr. Mt 5,21-48); ciò si opporrebbe diametralmente al principio fondamentale premesso a questo discorso sul Decalogo: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure uno iota o un segno, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5,17s). Comunque è importante sottolineare che Gesù non intende abolire il Decalogo, al contrario, lo rafforza.
3 La preghiera completa di Santa Teresa d’Avila è: “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta! Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di lui e vivrai in una grande pace”.
Lettura
patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Sermo
53, 1-6.9
Chi
sono i veri beati
"Tutti
vogliono essere beati. Chi - però - è povero di spirito?"
Nella festa di questa vergine santa, che dette testimonianza a Cristo
e la meritò da lui, uccisa pubblicamente e coronata in segreto,
ammaestriamo la Carità vostra con quella esortazione che il Signore
pronunciava nel suo Vangelo, annunziando molte cause della vita
beata, che nessuno dice di non volere. In verità, non esiste chi non
voglia essere beato. Ma che gli uomini non ricusino di sottostare
alle condizioni richieste, così come desiderano ricevere la pattuita
mercede! Chi non correrebbe celermente, quando gli si dice: Sarai
beato? Ascolta volentieri, e quando vien detto: Se avrai fatto
questo, non si ricusi l’impegno, se si aspira al premio; e si
accenda l’animo all’alacrità dell’opera con l’aiuto della
ricompensa. Ciò che vogliamo ciò che desideriamo, ciò che
chiediamo, sarà dopo: ciò che, al contrario, ci viene ordinato di
fare, in vista di ciò che verrà dopo, sia ora. Ecco, comincia a
rimeditare i detti divini, ivi compresi i precetti e i pesi
evangelici: "Beati
i poveri di spirito poiché di essi è il regno dei cieli"
(Mt
5,3).
Dopo, sarà tuo il regno dei cieli; ora, sii povero di spirito . Vuoi
che dopo sia tuo il regno dei cieli? Guarda di chi sei tu ora. Sii
povero di spirito. Chiedi forse di sapere che significa essere povero
di spirito? Chi è superbo non è povero di spirito: quindi l’umile
è povero di spirito. Alto è il regno dei cieli: "ma,
chi si umilia sarà esaltato"
(Lc
14,11).
"Chi
è il mite?"
Sta attento a qual che segue: "Beati",
egli aggiunge, "i
miti, perché possederanno la terra"
(Mt
5,5).
Ora tu vuoi possedere la terra: bada, però, di non essere posseduto
dalla terra. Possederà il mite, sarà posseduto il non-mite. E,
quando ascolti del premio promesso e cioè che possederai la terra,
non dilatare il grembo dell’avarizia, con la quale vuoi possedere
ora la terra, con esclusione persino del tuo vicino: non ti inganni
una tale opinione. Possederai la terra solo quando aderirai a colui
che ha fatto il cielo e la terra. Questo infatti significa essere
mite: non resistere al tuo Dio, affinché in ciò che fai di bene, ti
piaccia egli e non te stesso; mentre in ciò che giustamente soffri
di male, non sia egli a dispiacerti, bensì te stesso. Infatti, non è
piccola cosa se cercherai di piacere a lui dispiacendoti;
dispiaceresti a lui, per contro, piacendo a te stesso.
"Coloro
che piangono".
Fa’ attenzione al terzo: "Beati
coloro che piangono, perché saranno consolati"
(Mt
5,4).
Nel lutto è l’impegno, nella consolazione la ricompensa. Infatti,
coloro che piangono carnalmente, quali consolazioni hanno? Temibili
molestie. Sarà consolato chi piange, se teme di non piangere ancora.
Ad esempio, il figlio morto contrista mentre dà gioia il nato:
quello è tolto via, questo è accolto, in quello è tristezza in
questo timore: in nessuno quindi è consolazione. Dunque, vera
consolazione sarà quella che vien data e non può essere tolta;
cosicché quelli che amano essere consolati dopo, ora piangono da
pellegrini.
"Gli
affamati".
Ed ecco il quarto, opera e servizio: "Beati
coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati"
(Mt
5,6).
Tu vuoi essere saziato. Donde? Se brami la sazietà di carne - una
digerita sazietà -, tornerai ad aver fame. "E
chi beve di quest’acqua, tornerà ad avere sete"
(Jn
4,13),
egli dice. La medicina che si applica ad una ferita, non fa più
male, se è riuscita a risanarla; per contro, ciò che si applica
alla fame, quasi esca, si risolve a poco. Infatti, passata la
sazietà, ritorna la fame. Arriva perciò quotidianamente il rimedio
di sazietà, ma non è risanata la ferita dell’infermità. Abbiamo
fame quindi, e saziamoci di giustizia, affinché dalla medesima
giustizia possiamo essere saziati, della quale ora abbiamo fame e
sete. Saremo in effetti saziati di quello di cui abbiamo fame e sete.
Il nostro uomo interiore abbia fame e sete: egli ha in effetti il suo
cibo e la sua bevanda. "Io
sono",
spiega egli, "il
pane che è disceso dal cielo"
(Jn
6,41).
Ora che hai il pane dell’affamato, desidera anche la bevanda
dell’assetato: "Poiché presso di te è la fonte della vita"
(Ps
35,10).
"I
misericordiosi".
Ora, attento al seguito che dice: "Beati
i misericordiosi, poiché di loro Dio avrà misericordia"
(Mt
5,7).
Fa’ e sarà fatto: fa’ con l’altro, perché sia fatto a te.
Infatti, tu abbondi e difetti: abbondi di cose temporali, difetti
delle eterne. Ascolti il mendicante e sei tu stesso mendico di Dio.
Ti si chiede, e chiedi a tua volta. E come avrai agito con il tuo
richiedente, così Dio agirà con il suo. Sei pieno e vuoto ad un
tempo: riempi il vuoto della tua pienezza, affinché la tua
vuotaggine sia riempita della pienezza di Dio.
"I
puri di cuore".
Ascolta quel che segue: "Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio"
(Mt
5,8).
Questo è il fine del nostro amore, il fine per cui ci perfezioniamo,
per cui ci consumiamo. Si finisce il cibo, si finisce il vestito: il
cibo, perché si consuma mangiando; il vestito, perché si finisce
[si porta a termine] tessendo. E di questo e di quello si dice del
pari che finisce: ma questa fine tende alla consumazione, quella alla
perfezione. Qualunque cosa facciamo, o facciamo bene, sosteniamo,
lodevolmente ci scaldiamo, incolpevolmente desideriamo, quando sarà
pervenuto alla visione di Dio, non lo ricercheremo più. Cosa cerca
in effetti colui al quale si fa presente Dio? O cosa potrà bastare a
colui al quale non basta Dio? Noi vogliamo vedere Dio, chiediamo di
vedere Dio, ardiamo dal desiderio di vedere Dio. Chi mai non è
d’accordo? Ma, osserva quel che è detto: "Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio".
Questo prepara, affinché tu veda. In effetti, per parlare secondo la
carne, a che pro desideri il sorgere del sole con occhi cisposi?
Siano sani gli occhi, e quella luce sarà una gioia: non sono sani
gli occhi, quella luce risulterà un tormento. Non ti sarà permesso
infatti di vedere con cuore non-puro, poiché non si vede che con
cuore puro. Sarai respinto, sarai allontanato, non vedrai. "Beati",
infatti, "i
puri di cuore, perché vedranno Dio".
Quanti beati ho già enumerato? Quali cause di beatitudine, quali
opere, quali doveri, quali meriti, quali premi? Non è detto in alcun
luogo. "Essi
vedranno Dio. Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno
dei cieli. Beati i miti: possederanno la terra. Beati quelli che
piangono: saranno consolati. Beati coloro che hanno fame e sete della
giustizia: saranno saziati. Beati i misericordiosi: troveranno
misericordia". Da nessuna parte è detto: Essi vedranno Dio.
Arrivati però ai puri di cuore, ecco che qui si promette la visione
di Dio.
"In
che senso la visione di Dio è promessa specificamente ai puri di
cuore". Quindi, non che tu debba intendere quei precetti e
quei premi nel senso che ascoltando: "Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio", tu ritenga che i poveri di spirito
non vedranno, o non vedranno i miti, o coloro che piangono, o quelli
che hanno fame e sete della giustizia, oppure i misericordiosi. Non
argomenterai che, visto che questi vedranno in quanto puri di cuore,
quelli siano separati dalla visione. Tutte queste cose sono infatti
comuni a tutti loro. Essi vedranno, però non vedranno specificamente
per questo e cioè perché poveri di spirito, perché miti, o perché
piangono, hanno fame e sete della giustizia, o perché sono
misericordiosi: ma anche perché sono puri di cuore. Di modo che, se
determinate opere corporali si addicono a determinate membra del
corpo, sì che si può dire, ad esempio: Beati coloro che hanno i
piedi, perché cammineranno; beati coloro che hanno le mani, perché
opereranno, beati coloro che hanno la voce, perché grideranno; beati
coloro che hanno bocca e lingua, perché parleranno; beati coloro che
hanno gli occhi, perché così potranno vedere? In tal modo, quasi
componendo delle membra spirituali, egli [Gesù] insegnò ciò che è
pertinente ad uno in rapporto con l’altro. Adatta è l’umiltà
per avere il regno dei cieli; atta la mansuetudine per possedere la
terra; adatte fame e sete di giustizia per essere saziati; atta la
misericordia per implorare misericordia; adatto un cuore puro per
vedere Dio.