Rito Romano
Is 60,1-6; Sal 71; Ef
3,2-3.5-6; Mt 2,1-12
Rito Ambrosiano
Is 60, 1-6; Sal 71; Tt 2,
11-3, 2; Mt 2, 1-12
Dio, i Re Magi e noi
1)
Tre domande e un racconto per capire l’Epifania:
Le feste natalizie hanno
nella festa dell’Epifania1
il loro compimento, che dà al mistero dell’Incarnazione la nuova
prospettiva di universalità della salvezza, il suo più consolante
significato di speranza infinita. In effetti, alla domanda: “A
chi Dio vuol far conoscere suo Figlio incarnato?” La risposta che
oggi ci viene proposta è: “A
tutti”. Ma allora “perché non tutti lo riconoscono?” “Perché
non basta sapere cosa dice la Scrittura sul Messia per credere in
Gesù”. Così accadde ai sacerdoti interrogati da Erode circa la
nascita del Messia, diedero la risposta giusta ma non andarono alla
grotta di Betlemme. E neppure lo può incontrare chi lo sente come
potenziale nemico, come Erode che voleva sapere dove Gesù fosse nato
per eliminarlo.
Come i pastori e la gente
semplice a Natale, solo i Magi – e oggi quelli che hanno il loro
medesimo atteggiamento - trovano Gesù che si manifesta (“Epifania”
vuol dire “manifestazione”) loro come l’obiettivo del loro
viaggio. Mettiamoci in cammino anche noi e non ci accada che noi,
vicini, non lo incontriamo e non lo accogliamo, mentre verranno da
lontano a chiederci dove è nato il Re.
Cosa accomunava i Pastori e
i Magi? Il desiderio di salvezza, riconosciuta in un Bambino, a cui
donarono i primi: latte e lana, i secondi: oro, incenso e mirra. Ma
soprattutto tutti donarono se stessi, mettendosi in ginocchio e
adorando.
Noi oggi siamo chiamati ad
avere lo stesso atteggiamento di cercatori di infinito e di adoratori
della Verità che si manifesta in quell’amore di bambino. Dio non
si manifesta “come” un bambino, Lui è questo Bambino, che
manifesta il cuore del Padre, che ce lo dona perché diventi cibo per
il nostro cammino, medicina per la nostra debolezza, amico della
nostra conversazione.
Questo Bambino crescerà,
sarà giovane, adulto, sarà Maestro e operatore di miracoli, sarà
deriso, rifiutato, abbandonato, sepolto, risorgerà dai morti, di
nuovo ed eternamente vivente: in tutto questo Lui è “epifania”
in cui Dio manifesta se stesso. E questo Dio noi, come i Re Magi,
adoriamo.
Ma anche ogni essere umano
è, in un certo senso, epifania di Dio. Dio
ha deciso di rivelarsi, “nascondendosi” in ogni uomo, come ce lo
ricorda questo episodio di scrittore anonimo, che ci invita a cercare
e trovare frammenti del volto di Dio nel volto dei fratelli in
umanità:
“C’era una volta un
monaco di nome Epifanio. Un giorno scoperse in sé un dono del
Signore che non aveva mai sospettato di possedere: sapeva dipingere
bellissime icone. E allora non si dette più pace: voleva, a tutti i
costi, ritrarre il volto di Cristo. Ma dove trovare un modello adatto
che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e resurrezione,
divinità e umanità? Epifanio allora si mise in viaggio. Percorse
l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna, scrutando ogni volto.
Nulla: il volto adatto per rappresentare il Cristo non c’era.
Stanco si addormentò ripetendo le parole del salmo: ‘Il tuo volto
Signore io cerco. Mostrami il tuo volto!’. Fece un sogno. Gli
apparve un angelo che lo riportò dalle persone incontrate e per
ognuno gli indicò un particolare che rendeva quel volto simile a
Cristo: la gioia di un Innamorato, l’innocenza di un bambino, la
forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un
condannato, la tenerezza di una madre, lo sgomento di un orfano, la
speranza di un giovane, l'allegria di un giullare, la misericordia di
un confessore, il mistero del volto bendato di un lebbroso ... E
allora Epifanio capì e tornò al suo convento. Si mise al lavoro e
dopo un po’ di tempo l’icona era pronta e la presentò al suo
abate. Questi rimase attonito: era meravigliosa. Volle sapere di
quale modello si era servito perché desiderava mostrarlo anche agli
altri artisti dei monastero. Ma il monaco rispose: Nessuno, padre, mi
è stato di modello, perché nessuno è uguale a Cristo, ma Cristo è
simile a tutti. Non trovi il Cristo nel volto di un solo uomo, ma
trovi in ogni uomo un frammento del volto di Cristo”.
2)
Un cammino coerente all’ideale.
I Re Magi sono un modello
per noi non solamente perché furono cercatori di Infinito, ma perché
l’hanno trovato sapendo riconoscerLo in un bambino o, meglio, nel
Bambino. Sono stati grandi nella loro fedeltà al fragile segno di
una stella senza farsi condizionare dalla nostalgia dei palazzi
lasciati (cfr T.S. Eliot). Seppero continuare la ricerca
dell’Eccezionale, dello straordinario sulle strade del quotidiano.
Questi tre camminatori che
non si sono accontentati delle ricchezze e della loro sapienza. Non
volevano solamente sapere tante cose, ma vogliono sapere
l’essenziale. Hanno sentito il cuore vibrare e si sono scomodati,
agganciando una stella al bramire dei loro animali allevati nelle
stalle d'Oriente: “Dov'è
il Re dei Giudei che è nato?”.
A caccia del fondamentale nelle strade battute del quasi banale.
Scelsero il rischio dell'ignoto alla sicurezza dei calcoli, con
quell'ansia di andare a cercare un Bambino: “La ricerca della
Verità era per i Magi più importante della derisione del mondo
apparentemente intelligente” (Benedetto XVI). Nell’umiltà dei
loro passi curiosi risuona l’eco di mille voci, anche di voci che
cantavano agli orecchi, dicendo che tutto questo è follia. Il
rischio della follia o la sicurezza dell’ignoranza: i Magi
preferirono la fragile rotta del Cielo all'abituale mappa tracciata
dagli uomini. Hanno usato la loro intelligenza e sapienza in un modo
che poteva sembrare umanamente assurdo e poco scientifico e sono
partiti alla volta di Betlemme, barattando la sicurezza delle loro
abitudini con il rischio di un viaggio, che divenne pellegrinaggio.
Infatti il pellegrino ha
come meta non un luogo turistico ma un luogo sacro: il Tempio dove
c’è Dio. L’ha
compreso molto bene Paul Claudel “le cose non sono più il mobilio
della nostra prigione, ma quelle del nostro tempio”, dove il
bambino Gesù rende sacra persino la paglia. La grotta, la paglia
fatta giaciglio, gli abiti essenziali per un viaggio nella Giudea, si
sacralizzano e trasfigurano attorno al nucleo essenziale del mistero
dell’Incarnazione in una nascita.
L’Epifania non è
soltanto la manifestazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato e
Redentore di tutta l’umanità, ma è anche la solennità
dell’adorazione e della donazione.
Il testo del Vangelo di
oggi ci ricorda la venuta dei Magi alla Grotta di Betlemme e le tre
azioni molto importanti di questi Re davanti al Re dei Giudei:
prostrazione,
adorazione e donazione.
Prostrazione
è l’atteggiamento di umile riverenza verso un’autorità morale e
spirituale. Gesù è riconosciuto dai sapienti del suo tempo
l’autorità morale e religiosa, con la quale confrontarsi.
Adorazione.
E’ l’altra azione che compiono i Magi davanti a Gesù. Adorano la
vera divinità. Gli antichi adoravano gli idoli. In un momento
drammatico, Israele si formò un vitello d’oro e lo adorava, mentre
Mosè stava a contatto con Dio sul Monte Sinai. Da sempre l’uomo si
è costruito falsi idoli e li ha coltivati come possibile soluzione
dei propri problemi esistenziali. Ancora oggi affascinano gli idoli
del successo, del benessere, della carriera, dei potere economico,
militare, politico e religioso e tanti altri del genere che mettono
l'uomo nella condizione di offendere e distruggere altri uomini per
arrivare a tali scopi. I Magi invece adorano il Dio vivente che in
quel Bambino, povero, umile, che giace in una mangiatoia merita tutta
la loro attenzione e la loro preghiera.
Donazione.
Quando c’è la bontà nel cuore e c’è l’apertura all’altro
scatta quasi istintivamente il donare qualcosa di se stesso a chi si
ha di fronte. Qui i Magi si trovano di fronte al Re dei Giudei e
quale gesto di riconoscimento dell’identità e della natura vera di
Gesù Bambino, gli offrono tre doni, oro, incenso e mirra, proprio
per far risaltare la sua regalità, la sua missione e la sua morte e
risurrezione. Anche in questi doni c’è tutto uno specifico
significato che è possibile attribuire a Gesù Bambino, quale Figlio
di Dio e Redentore dell'umanità. In più, come ho detto poco più
sopra, donano se stessi.
Ecco la festa dell’Epifania
che apre indirettamente su un'altra e più importante festa liturgica
della chiesa cattolica: la Pasqua di Gesù, che ha donato se stesso,
completamente. Saremo saggi come i Magi se prendendo Cristo come via,
imbocchiamo la strada della fede, la strada della conversione, la
strada dell’amore.
Un esempio speciale di
questo cammino d’amore è donato dalle Vergini Consacrate nel
mondo. Tutta
la loro vita appartiene al Signore. Mediante la consacrazione si sono
messe a disposizione di Dio senza riserva, in modo che tutta la loro
vita esprima prostrazione, adorazione e donazione piena e pura a Dio.
La vita di una
persona consacrata nel mondo testimonia che si può vivere di Cristo
in ogni istante e vivere della speranza che viene dalla grotta di
Betlemme. A questo proposito è ancora illuminante ciò che viene
affermato nell’esortazione post-sinodale, sempre al numero 27: “Chi
attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di
infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso
sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro. La sua è una speranza
fondata sulla promessa di Dio contenuta nella Parola rivelata: la
storia degli uomini cammina verso il nuovo cielo e la nuova terra”
(Esortazione
apostolica post-sinodale “Vita
Consecrata”,
1996, n. 27).
1
Epifania
è parola greca che vuol dire “manifestazione”.
Lettura Patristica
San Leone Magno, papa
Discorso 3 sull’Epifania,
1-3. 5; PL 54, 240-244
Il Signore ha manifestato
in tutto il mondo la sua salvezza
La Provvidenza
misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il
mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i
popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad
Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non
secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata
paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le
genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri,
entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle
genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe
di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i
popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore
dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in
tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome»
(cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri
della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno
della nostra nascita e l'inizio della chiamata alla fede di tutte le
genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l'Apostolo,
«ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella
luce. E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha
trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L'aveva
annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre,
vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una
luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore:
«Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti
ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo
giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli
della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè
nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato
padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che
quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21).
Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che
hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per
dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha
manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua
giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è
realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono
condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della
terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio
che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre
forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei
cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come
figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le
buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e
con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
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