Rito Romano – IV
Domenica del Tempo Ordinario - Anno B – 1° febbraio 2015
Dt
18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-281
Rito Ambrosiano – IV
Domenica dopo l’Epifania.
Sap
19,6-9; Sal 65; Rm 8,28.32; Lc 8,22-25
1) La parola
dolce, forte, vera del “profeta” Gesù.
Cristo, che è più
forte di Giovanni, ha una parola convincente, un insegnamento nuovo
che stupisce ed è autorevole
La Liturgia della
Parola di questa domenica presenta in risalto la figura di Gesù come
il vero profeta, che parla ed agisce in nome di Dio.
Il brano preso dal
libro del Deuteronomio descrive le caratteristiche del profeta, la
cui missione è profondamente ancorata a Dio. Il profeta è il
portavoce di Dio e la sua parola è efficace e creatrice, e chi non
l'ascolterà sarà chiamato a renderne conto e guai a chi si spaccia
come profeta e non lo è.
Il
profeta non è uno che predice l’avvenire. L’elemento essenziale
del profeta non è quello di predire i futuri avvenimenti; il profeta
è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè
si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina
anche il futuro. Dunque anche quando
parla del futuro il profeta non predice il futuro nei suoi dettagli,
ma rende presente a chi lo ascolta la verità divina e indica il
cammino da prendere.
A
questo punto, uno può chiedersi si può chiamare profeta il Cristo?
Penso proprio di sì. Nel Deuteronomio
(cfr I lettura di oggi) Mosè profetizza: “Un profeta come me”.
La guida liberatrice dall'Egitto ha trasmesso ad Israele la Parola e
ne ha fatto un popolo, e con il suo “faccia a faccia con Dio” ha
compiuto la sua missione profetica, portando gli uomini all’incontro
con Dio. Tutti gli altri profeti seguono quel modello di profezia,
sempre e nuovamente liberando la legge mosaica dalla rigidità per
trasformarla in un cammino vitale.
Padri
della Chiesa hanno interpretato questa profezia del Deuteronomio come
una promessa del Cristo. Ed hanno ragione, perché il vero e più
grande Mosè è quindi il Cristo, che realmente vive “faccia a
faccia con Dio” perché ne è il Figlio.
In ciò i Padri della
Chiesa non fanno che esplicitare il brano odierno preso dal Vangelo
di Marco, che mette in risalto che il profeta annunciato da Mosè è
Gesù ed infatti parla con autorità e comanda agli spiriti immondi
che gli obbediscono.
Nel brano di oggi del
Vangelo di Marco risalta che il profeta annunciato da Mosè è Gesù.
Come è solito fare il sabato, il Messia entra nella sinagoga, dove
la comunità ebraica locale2
era solita riunirsi per ascoltare e commentare la Torah, cioè la
legge. E' proprio in questo contesto che Gesù si manifesta come
nuovo profeta, suscitando stima e rispetto nei presenti, che però lo
condanneranno per seguire i falsi profeti.
Con questo episodio
l’Evangelista Marco inizia il racconto dell’attività pubblica di
Gesù e inizia lo svolgimento del suo tema più importante: chi è
Gesù?
Due cose sono subito
affermate con chiarezza, anche se non ancora svolte compiutamente
(l’Evangelista le svilupperà piano piano lungo l’intero suo
Vangelo): 1) l’insegnamento di Gesù è nuovo e diverso da quello
degli scribi; 2) la sua autorità si impone persino agli spiriti
maligni.
2) Lo stupore.
A questo riguardo
vorrei sottolineare lo stupore degli ascoltatori di
allora perché diventi anche nostro. San Marco ha scritto: “Erano
stupiti del suo insegnamento, perché insegnava come uno che ha
autorità e non come gli scribi”. La stessa annotazione – con
qualche variante – è ripetuta alla fine dell’episodio: “Che è
mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità”.
Tutti erano stupiti,
quasi increduli, ma percepivano, nelle parole di Lui, la forza
superiore della grazia, come scriverà pure San Luca: “erano
stupiti, per le parole di grazia che pronunciava” (Lc 4,22).
E’ questa
l’autorevolezza di Gesù del quale si dice: “Un grande profeta è
sorto tra noi: Dio ha visitato il suo popolo” (Lc 7, 16).
Davanti a questo
profeta “definitivo”, l’atteggiamento da avere è quello
dell’ascolto pieno di stupore. Ascolto che esige un clima di
silenzio interiore e di stupita tensione, segno del desiderio di
conoscenza, nel quale nasce e cresce un atteggiamento di accoglienza,
come ha fatto la Madonna: accoglienza della Parola, che, in Dio, è
Persona, quel Verbo eterno, di cui Giovanni dice: “E il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui
e, senza di lui, nulla fu fatto di ciò che è creato” (Gv
1,1-3).
La Parola di Dio non è
un semplice suono di voce, che veicola un pensiero, ma parola che
opera, e vivifica; Parola che salva e che, per amore, si è fatta
carne in Gesù di Nazareth, il Figlio di Maria, la donna dell’ascolto
e dell’accoglienza: “Eccomi -fu la sua risposta- avvenga (fiat)
in me secondo la tua parola...”(Lc 1,38), quella parola,
recata a lei dall’Angelo, che parlava da parte di Dio.
Siamo perseveranti
nell’imitare Maria. Di lei, icona dell’ascolto, e nel cui
grembo la Parola di Dio prese un corpo, come ogni altro figlio di
donna. Il Vangelo dice: “Maria, da parte sua, conservava tutte
queste cose, meditandole nel suo cuore”(Lc 2,19). Ed è
attorno alla parola e all’ascolto stupito che ruota, oggi, il
Vangelo di Marco, un brano brevissimo, che parla appunto di stupore,
da parte di quanti, nella sinagoga di Cafarnao, avevano udito Gesù
di Nazareth commentare i testi della Scrittura: “Erano stupiti del
suo insegnamento, perché insegnava loro, come uno che ha autorità,
e non come gli scribi” (Mc 1, 28).
Insisto
sull’importanza dello stupore, perché secondo me la certezza della
fede fiorisce dallo stupore di fronte a una presenza nella carne.
Basta guardare i Vangeli: dai pastori alla culla di Betlemme, fino
agli angeli che accolgono il Signore risorto nel suo vero corpo
quando ascende al Cielo. Oggi questo tratto distintivo della fede di
chi porta il nome cristiano sembra perduto. Tutto si concepisce e si
organizza come se la certezza cristiana fosse -solo o soprattutto-
conseguenza di una riflessione, di un discorso persuasivo. La Chiesa
è Maestra, che insegna la verità, ma è anche Madre che dona la
vita e come diceva san Giovanni di Damasco: “I concetti creano gli
idoli, lo stupore genera la vita”. Scrivo questo per evitare che il
nostro cristianesimo sia ridotto ad un discorso o ad un metodo
astratto da insegnare o da apprendere concettualmente, perché i
concetti sono l’esplicitazione sempre imperfetta di una conoscenza
personale. La sostanza della rivelazione non consiste
nell’insegnamento di una dottrina, ma nel manifestarsi di una
presenza. Il card. Henri de Lubac ha scritto che “può esistere una
idolatria della Parola e del parlare che non è meno dannosa di
quella delle immagini”.
Insisto sullo stupore
per sottolineare l’importanza della semplicità del cuore e della
mente. La semplicità che i poveri di spirito vivono è pure il
metodo con cui Dio si fa incontro a noi. Che c’è di più semplice
della grotta di Betlemme, della casa di Gesù a Nazareth, della
sinagoga a Cafarnao? E il Figlio di Dio vi è entrato. L’avvenimento
di Cristo è un fatto nuovo che entra nella vita, semplicemente. Se
ognuno di noi spalancherà gli occhi, il cuore, la mente e le
braccia, Cristo entrerà nelle nostre case, portando la sua pace e la
sua verità.
3)
Non solo nelle nostre case ma in noi, Tempio di Dio.
Domani,
2 febbraio, la liturgia celebra la Presentazione3
di Gesù. Quando Maria e Giuseppe
portarono il loro bambino al Tempio di Gerusalemme, avvenne il primo
incontro tra Gesù e il suo popolo, rappresentato dai due anziani
Simeone e Anna. “Quello fu anche un incontro all’interno della
storia del popolo, un incontro tra i giovani e gli anziani: i giovani
erano Maria e Giuseppe, con il loro neonato; e gli anziani erano
Simeone e Anna, due personaggi che frequentavano sempre il Tempio.”
(Papa Francesco).
Alla
luce di questa scena evangelica guardiamo alla vita
consacrata come ad un incontro con
Cristo: è Lui che viene a noi, portato da Maria e Giuseppe, e siamo
noi che andiamo verso di Lui, guidati dallo Spirito Santo. Ma al
centro c’è Lui. Lui muove tutto, Lui ci attira al Tempio, alla
Chiesa, dove possiamo incontrarlo, riconoscerlo, accoglierlo,
abbracciarlo.
Il
segno specifico della tradizione liturgica di questa Festa sono le
candele che irradiano luce. Questo segno manifesta la bellezza e il
valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un
segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la Vergine
Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce
stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo
con l’amore di Dio.
Un
modo particolare di vivere ciò e di diventare Tempio e Tabernacolo
della Divina presenza è quello delle Vergini consacrate nel mondo,
per le quali il Vescovo prega: “Signore nostro Dio, tu che vuoi
dimorare nell’uomo, tu che abiti quelle che ti sono consacrate …
accorda loro il tuo sostegno e la tua protezione a quelle stanno
davanti a Te e che attendono dalla loro consacrazione una
accrescimento di speranza e di forza” (RCV 24), perché crescano
nel loro credere all’amore, testimoniandolo con il sacrificio di sé
nella vita quotidiana. Il loro essere lampade che irradiano la
luce della verità e carità di Dio ci aiuti a diventarlo anche noi.
1
“Giunsero
a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga,
insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti
insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed
ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito
impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù
Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di
Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E
lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda:
«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità.
Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua
fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.”
(Mc 1,
21 -28).
2
Nella Palestina del tempo
c'erano sinagoghe non solo nei grandi centri, ma anche nelle piccole
città e nei villaggi. Gli israeliti vi convenivano per la preghiera
e per la lettura e la spiegazione della Scrittura. Non solo gli
scribi e gli anziani, ma ogni israelita poteva chiedere la parola e
intervenire. È così che Gesù, a Cafarnao, entra nella sinagoga e
prende la parola per insegnare.
3
Presentazione
del Signore al Tempio - 2 Febbraio -
è la
Festa
delle luci (cfr Lc 2,30-32) ed ebbe origine in Oriente con il nome
di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. Nel sec. VI si estese
all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più
penitenziale e in Francia con la solenne benedizione e processione
delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’. La
presentazione del Signore chiude le celebrazioni natalizie e con
l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il
cammino verso la Pasqua (Mess. Rom.).
La festività odierna,
di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme,
venne denominata fino
alla
recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS.
Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra
Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria,
nel rispetto della legge, si recò al Tempio di Gerusalemme,
quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo
primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La
riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo
di "presentazione del Signore", che aveva in origine.
L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, preannuncia la sua
offerta sacrificale sulla croce.
Questo atto di
obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né
Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a
coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio,
in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella
commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire
nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza dei
migranti e dei perseguitati, quindi degli esuli.
L'incontro del Signore
con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della
celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di
Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la
profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua
sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria,
grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene
associata al sacrificio del Figlio.
Il
rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già
nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi
han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è
derivato il nome popolare di festa della "candelora".
Beda il Venerabile,
In Ev. Marc. 1, 1, 21-27
Dottrina
e autorità di Cristo
"E
subito, giunto il sabato, entrato nella sinagoga, si mise a insegnare
loro"
(Mc
1,21).
Il fatto che egli offra con larghezza i doni della sua medicina e
della sua dottrina soprattutto di sabato, mostra che il Signore non è
soggetto alla legge, ma sta sopra la legge, egli che è venuto per
portare a compimento la legge e non per abrogarla (Mt
5,17).
Per insegnare egli sceglie non il sabato giudaico - nel quale era
vietato accendere il fuoco o adoperare le mani e i piedi - ma il vero
sabato, e mostra che il riposo preferito dal Signore consiste
nell’aver cura delle anime astenendosi dalle opere servili, cioè
da tutte le opere illecite.
"E
si stupivano della sua dottrina. Insegnava loro difatti come uno che
ha autorità e non come gli scribi"
(Mc
1,22).
«Gli scribi insegnavano al popolo le cose che leggiamo in Mosè e
nei profeti; Gesù invece, quasi fosse Dio e Signore di Mosè stesso,
seguendo la sua libera volontà, dava maggiore importanza a precetti
che sembravano secondari nella legge, oppure, modificando i
comandamenti, si rivolgeva al popolo come leggiamo in Matteo: -fu
detto agli antichi... ma io vi dico -» (Girolamo).
"Or,
ecco, c’era nella loro sinagoga un uomo posseduto da uno spirito
immondo, che gridava dicendo: - che c’è tra noi e te, Gesù
Nazareno? Sei venuto per rovinarci? Conosco chi sei, il Santo di Dio!
" (Mc
1,23-24).
«Questa non è una spontanea confessione di fede cui faccia seguito
il premio, ma una confessione necessariamente estorta che costringe
chi non vuole. Come accade agli schiavi fuggiaschi che, incontrando
dopo molto tempo il loro padrone, gridano implorazioni soltanto per
evitare le bastonate, così i demoni, avendo visto d’improvviso
apparire il Signore in terra, credevano che fosse venuto per
giudicarli. La presenza del Salvatore è infatti tormento per i
demoni» (Girolamo).
"Ma
Gesù lo rimproverò dicendo: - Taci, ed esci dall’uomo"
(Mc
1,25).
"Siccome
la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo"
(Sg
2,24),
la medicina della salvezza ha dovuto dapprima operare contro lo
stesso autore della morte per tacitare innanzi tutto la lingua del
serpente, affinché non spargesse più oltre il suo veleno; poi per
curare la donna, che fu per prima sedotta dalla febbre della
concupiscenza carnale; in terzo luogo per purificare dalla lebbra del
suo errore l’uomo che aveva ascoltato le parole della sposa che lo
spingeva al male, affinché il piano di redenzione si compisse nel
Signore come nei progenitori si era compiuta la caduta.
"E
dopo che l’ebbe agitato convulsamente, lo spirito immondo uscì da
lui, emettendo un gran grido"
(Mc
1,26).
«Luca dice che lo spirito immondo uscì dall’uomo senza fargli
male. Può sembrare una contraddizione, in quanto secondo Marco "dopo
che l’ebbe agitato convulsamente, uscì da lui", oppure, come
recano altri codici, "dopo che l’ebbe tormentato", mentre
secondo Luca non gli fece alcun male. In realtà, però, anche Luca
dice che il demonio uscì da lui dopo averlo gettato in terra, anche
se non gli fece del male (Lc
4,35).
Si comprende, da ciò, perché Marco abbia detto che lo tormentò e
lo agitò convulsamente intendendo ciò che ha detto Luca, scrivendo
che lo gettò a terra. E quanto Luca aggiunge, cioè che non gli fece
del male, significa che pur gettandolo in terra e agitandolo
convulsamente, non lo mutilò, come sono soliti fare i demoni quando
escono da qualcuno amputandogli o strappandogli le membra».
"E
si stupirono tutti, tanto che si domandavano l’un l’altro: -
Cos’è questo? Che nuova dottrina è questa dato che egli comanda
con autorità anche agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono?"
(Mc
1,27).
Di fronte alla grandezza del miracolo, ammirano la novità della
dottrina del Signore, e sono spinti dalle cose che hanno viste a far
domande su quello che hanno udito. Non v’è dubbio infatti che a
questo miravano i prodigi che il Signore stesso operava servendosi
della natura umana che aveva assunta, o che dava facoltà ai
discepoli di compiere. Per mezzo di questi miracoli gli uomini
credevano con maggior certezza al vangelo del regno di Dio che veniva
loro annunciato: infatti coloro che promettevano agli uomini terreni
la felicità futura mostravano di poter compiere in terra opere
celesti e divine. In verità, mentre i discepoli operavano ogni cosa
per grazia del Signore, come semplici uomini, il Signore operava
miracoli e guarigioni da solo, per virtù della sua potenza, e diceva
al mondo le cose che udiva dal Padre. Dapprima infatti il Vangelo
attesta che «egli insegnava loro come uno che ha autorità, e non
come gli scribi»; e ora la folla testimonia che egli «con autorità
comanda agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono».