venerdì 18 luglio 2014

La Pazienza sinonimo di clemenza; la carità di pari passo con la verità.

16ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 20 luglio 2014

Rito Romano
Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

Rito Ambrosiano
6ª Domenica dopo Pentecoste
Es 33,18-34,10; Sal 76 (77); 1Cor 3,5-11; Lc 6,20-31

1) La Pazienza è la virtù dell’Amore.
Il brano preso dal libro della Sapienza (12,13.16-19) e proposto come prima Lettura della Messa di oggi ricorda la pazienza di Dio. Questi esercita il Suo potere con la paziente mitezza, unendola alla clemenza indulgente, delicata e lenta all’ira. Grazie a questa “lentezza” Dio si distingue da tutte le altre divinità antiche ed anche dai potenti di questo mondo, che esercitano il loro potere senza la “moderazione” dell’amore, ma con la violenza della forza e non con quella dell’amore vero, che è sempre delicato. Inoltre, secondo l’autore del libro della Sapienza, il popolo di Dio dovrebbe comportarsi come il suo Dio, mostrandosi amico degli uomini e dovrebbe sempre ricordare che per quanto peccatori, si può contare ogni giorno sulla misericordia divina.
Nella Seconda Lettura presa dalla lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani (8,26-27), ci viene ricordato che da soli e senza la preghiera siamo incapaci di raggiunger la salvezza offertaci dalla misericordia. Ora lo Spirito, che è in noi mediante il battesimo, ci aiuta a formulare quella giusta preghiera che è secondo Dio, cioè secondo il suo piano di salvezza e che ha come oggetto la nostra stessa salvezza.
Mediante la parabola del buon grano e della zizzania1, anche il Vangelo di oggi (Mt 13,24-43) parla della pazienza di Dio.
La presenza della zizzania nel campo di grano – anche se i servi mostrano di esserne sorpresi – non è ancora in realtà il tratto più imprevisto e sorprendente della parabola. Tant’è vero che ai servi che gli chiedono spiegazioni, il padrone risponde semplicemente: “Il nemico ha fatto questo”. E neppure è inattesa l’affermazione che al tempo della mietitura grano e zizzania saranno accuratamente separati: il grano raccolto nel granaio e la zizzania buttata nel fuoco. Lo stupore dell’ascoltatore - stupore che, come spesso succede, indica il punto su cui concentrarsi – sta nel fatto che ora la zizzania non debba essere strappata, ma piuttosto lasciata crescere insieme al grano fino al tempo della messe: altrimenti c'è il rischio – aggiunge ironicamente il padrone – di strappare il grano e di lasciare la zizzania.
Gesù non si separa dai peccatori ma va da loro (da noi), non li (ci) abbandona ma li (ci) perdona. Accogliamo Lui, Bontà infinita, e prima di cercare di estirpare la zizzania negli altri sforziamoci di toglierla dal nostro cuore, “approfittando” della pazienza di Dio.


2) Pazienza, fedeltà, fiducia
Dunque, il centro della parabola è qui, in questa pazienza misericordiosa di Dio, in questa sua – strana per noi - politica di attesa. Però questo brano del Vangelo non è solamente un invito alla pazienza è anche un invito alla fedeltà. Il Cristo spiega in modo chiaro che la vera giustizia arriverà alla fine dei tempi. Fino ad allora dobbiamo convivere con la zizzania evitando che il buon grano possa essere danneggiato in qualche modo. Se questo indica la fedeltà a quel buon grano che ci alimenta, la pazienza è indicata dal fatto che chi rappresenta la zizzania fino alla fine deve essere tollerato sperando che si converta. Lasciamo giudicare a Dio alla fine. Adesso, a noi non spetta fare giustizia, ma testimoniare nella carità, pregando che venga aumentata la nostra fede.
E’ la nostra fede che deve continuamente confermarsi e accrescersi. Ogni indecisione può essere rischiosa e consentire al nemico di gettare il seme cattivo anche nel campo meglio coltivato. Il Signore stesso ci avverte: “mentre tutti gli uomini dormivano (...)”. Questo è un avvertimento per tutti e non solamente per coloro che devono vigilare sull’integrità del campo. Vigilare anche quando non sembra esserci pericoli. La zizzania, infatti, appare solo dopo che è cresciuta e quando estirparla può essere pericoloso per lo stesso grano. Si tratta di chiaro invito alla saggezza previdente.
Inoltre, la parabola della zizzania è un messaggio di fiducia per i discepoli di allora e di oggi. Anche se nel mondo vi è la presenza del male, Dio già sta attuando la sua opera di salvezza. Attraverso la predicazione di Gesù, Dio sparge e fa crescere nei cuori di tutti gli uomini il seme buono, fino alla fine del mondo, quando Dio separerà i giusti dai malvagi. Il tempo in cui la Parola sembra soffocata dall'azione del nemico è il tempo della pazienza salvifica di Dio.
Soltanto Dio giudica: noi credenti dobbiamo imitare la bontà del Salvatore, e pregare, perché il peccatore si converta. Pregare significa domandare nella carità la mietitura finale, in cui il bene trionferà definitivamente sul male. Pregare è unirsi al Dio, ricco di misericordia, che cerca di riportare nell'ovile la pecorella smarrita. Pregare in Dio è aver fiducia nell'annuncio della Parola che persiste nel male del mondo. Pregare, infine, è lasciarsi penetrare dallo Spirito “che viene in aiuto alle nostre debolezze”(Rm 8,26).
Anche nella seconda parabola del Vangelo di oggi (Mt 13,31-32), Gesù ci invita fortemente ad aver fiducia nella sua attività: Egli ha vinto la morte e il peccato, e instaurando il regno con la Sua predicazione e con la Sua presenza, ci rende partecipi della vita divina.
La terza parabola (13,33) è simile alla seconda. In essa Gesù sottolinea la sproporzione fra il pizzico di lievito con il quale la donna impasta la farina, e la quantità enorme di pasta lievitata che ne deriva. Tale paragone spiega l’attività del Figlio di Dio, che agli occhi umani di allora come a quelli di oggi appare irrilevante, e la forza silenziosa e spettacolare con cui Dio trasforma il mondo e salva l’uomo. Il lievito, dunque, rappresenta la forza del Vangelo, che, anche se nascosta e silenziosa agli occhi della storia, fermenta nei cuori dei credenti fino alla fine dei secoli.
Perché la Parola di Gesù possa fermentare nei nostri cuori, dobbiamo essere disponibili al Suo ascolto: meditare quotidianamente la Sacra Scrittura e partecipare assiduamente ai sacramenti. Insomma dobbiamo lasciare entrare il Salvatore nella casa, vale a dire, nel “campo” della nostra anima.

3) La terra del nostro cuore.
Il nostro cuore è un piccolo grumo di terra, dove è stato seminato il buon seme, ma che è assediato dalla zizzania.
Con il nostro modo poco benevolo verso gli altri e anche verso noi stessi vorremmo strappare subito tutto ciò che è immaturo, sbagliato, puerile, cattivo. Il Signore dice: abbiate pazienza, non agite con violenza, perché il vostro cuore è capace di grandi cose solo se è mite e umile, non se ha grandi reazioni immediate.
Mettiamoci sulla strada su cui Dio agisce, adottiamo il suo modo di agire: per vincere la notte Lui accende il mattino, per far fiorire il campo getta infiniti semi di vita, per far lievitare la farina immobile immette un pizzico di lievito. E’ il Seminatore dell’amore che assume su di se il peccato per trasfigurare il peccatore e non distrugge l’uomo vecchio per costruire l’uomo nuovo: lo redime.
Le Vergini consacrate nel mondo mostrano che l’importante è guardare la vita come la guarda Dio. I servi vedono soprattutto le erbacce, il negativo, il pericolo. Cristo e le persone consacrate fissano il loro sguardo sul buon grano, la zizzania è secondaria. Con la loro dedizione a Cristo mostrano che noi non siamo creati a immagine del Nemico e della sua notte, ma a immagine del Creatore e del suo giorno. Nessun essere umano coincide con il suo peccato o con le sue ombre. Ma se non vediamo la luce in noi, non la vedremo in nessuno. Queste donne non si preoccupano prima di tutto della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di coltivare una venerazione profonda per le forze di bontà, di generosità, di attenzione, di accoglienza, di libertà che Dio loro consegna mediante la vocazione. Esse, secondo me, incarnano il messaggio della parabola di oggi: venerano la vita che Dio ha posto in loro, la proteggono in sé e negli altri. Con la preghiera costante pensano al buon grano, amano i germi di vita donati da Dio, custodiscono ogni germoglio buono, sono indulgenti con tutte le creature. E anche con se stesse. Prediamole come esempio e tutto il nostro essere fiorirà nella luce.

1 Nella parabola della zizzania troviamo sostanzialmente lo stesso schema della parabola del seminatore. Vi è descritta la sorte del seme (Parola di Gesù e Gesù che è la Parola), la cui crescita nel mondo è vincolata dall’azione del nemico, che semina la zizzania, un’erbaccia che si avvinghia al frumento. Perché il buon seme venisse preservato, la zizzania non veniva estirpata prima della mietitura. Solo allora era possibile dividere il seme buono dalla zizzania.





LETTURA PATRISTICA
San Giovanni Crisostomo
In Matth. 46, 1

1. La vigilanza continua

       Anche questo è proprio del sistema diabolico, che consiste nel mescolare l’errore e la menzogna alla verità, in modo che, sotto la maschera ben colorata della verosimiglianza, l’errore possa apparire verità e possa facilmente sorprendere e ingannare coloro che non sanno resistere alla seduzione, o non comprendono l’insidia. Ecco perché Gesù chiama il seme del demonio «zizzania» e non con altro nome, poiché quest’erba è assai simile, in apparenza, al frumento. E subito dopo ci indica il modo in cui il diavolo attua i suoi tranelli e coglie le anime di sorpresa.

       “Or mentre gli uomini dormivano” (Mt 13,25): queste parole mostrano il pericolo cui sono esposti coloro che hanno la responsabilità delle anime, ai quali in particolare è affidata la difesa del campo; non solo però costoro, ma anche i fedeli. Cristo precisa inoltre che l’errore appare dopo lo stabilirsi della verità, come anche l’esperienza dei fatti può testimoniare. Dopo i profeti sono apparsi gli pseudoprofeti, dopo gli apostoli i falsi apostoli, e dopo Cristo l’anticristo. Se il demonio non vede che cosa deve imitare, o a chi deve tendere le sue insidie, non saprebbe in qual modo nuocerci. Ma ora che ha visto la divina seminagione di Gesù fruttificare nelle anime il cento, il sessanta e il trenta per uno intraprende un’altra strada; poiché si è reso conto che non può strappare ciò che ha radici ben profonde, né può soffocarlo e neppure bruciarlo, allora tende un altro insidioso inganno, spargendo la sua semente.

       Ma quale differenza vi è - mi chiederete - tra coloro che in questa parabola «dormono» e coloro che, nella parabola precedente sono raffigurati nella «via»? Nel caso di coloro che sono simboleggiati nella «via» il seme è portato via immediatamente dal maligno, che non gli dà il tempo di mettere radici; mentre in quelli che «dormono» il grano ha messo radici e allora il demonio deve intervenire con una più elaborata macchinazione. Cristo dice ciò per insegnarci a vigilare continuamente, perché - egli ci avverte - quand’anche riusciste a evitare quei danni cui è sottoposta la semente, non sareste ancora al sicuro da altri pericolosi assalti. Come là il seme si perde «lungo la via», o «sul suolo roccioso», o «tra gli spini», così anche qui la rovina può derivare dal sonno; perciò siamo obbligati a una vigilanza continua. Infatti Gesù ha detto pure che si salverà chi avrà perseverato sino alla fine (Mc 4,33)...

       Ma voi osserverete: Com’è possibile fare a meno di dormire? Certo non è possibile, se ci si riferisce al sonno del corpo: ma è possibile non cadere nel sonno della volontà. Per questo anche Paolo diceva: "Vigilate e restate costanti nella fede" (1Co 16,13) ...

       Considerate, invece, l’affettuoso interessamento dei servitori verso il loro padrone. Essi si sarebbero già levati per andare a sradicare la zizzania, anche se in tal modo non avrebbero agito in modo discreto e opportuno. Questo tuttavia mostra la loro cura per il buon seme e testimonia che il loro unico scopo non sta nel punire il nemico - non è questa la necessità più urgente - ma nel salvare il grano seminato. Essi perciò cercano il mezzo per rimediare rapidamente al male fatto dal diavolo. E neppure questo vogliono fare a caso, non s’arrogano infatti questo diritto, ma attendono il parere e l’ordine del padrone. "Vuoi, dunque, che andiamo a raccoglierla?" (Mt 13,28) - gli chiedono. Cosa risponde il padrone? Egli vieta loro di farlo, dicendo che c’è pericolo, nel raccogliere la zizzania, di sradicare anche il grano. Parla così per impedire le guerre, le uccisioni, lo spargimento di sangue.

      


2. Il Logos ha seminato il buon grano

       Ma, mentre dormono coloro che non praticano il comando di Gesù che dice: "Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41 Mc 14,38 Lc 22,40), il diavolo, che fa la posta (1P 5,8), semina quella che viene detta la zizzania, le dottrine perverse, al di sopra di ciò che alcuni chiamano i pensieri naturali, e al di sopra dei buoni semi venuti dal Logos. Secondo tale interpretazione, il campo designerebbe il mondo intero e non solamente la Chiesa di Dio; infatti è nel mondo intero che il Figlio di Dio ha seminato il buon seme e il cattivo la zizzania (Mt 13,37-38), cioè le dottrine perverse che, per la loro nocività, sono «figlie del maligno». Ma ci sarà necessariamente, alla fine del mondo, che vien detta «la consumazione del secolo», una mietitura, perché gli angeli di Dio preposti a tale compito raccolgano le cattive dottrine che si saranno sviluppate nell’anima e le consegnino alla distruzione, gettandole, perché brucino, in quello che viene definito fuoco (Mt 13,40). E così, «gli angeli», servitori del Logos, raduneranno «in tutto il regno» di Cristo, «tutti gli scandali» presenti nelle anime e i ragionamenti «che producono l’empietà», e li distruggeranno gettandoli nella «fornace di fuoco», quella che consuma (Mt 13,41-42) così del pari coloro che prenderanno coscienza che, poiché hanno dormito, hanno accolto in sé stessi i semi del cattivo, piangeranno e saranno, per così dire, in collera con sé stessi. Sta in ciò, in effetti, "lo stridor di denti" (Mt 13,42), ed è anche per questo che è detto nei Salmi: "Hanno digrignato i denti contro di me" (Ps 35,16). È soprattutto allora che "i giusti brilleranno", non tanto in modo diverso, come agli inizi, bensì tutti alla maniera di un unico "sole, nel regno del Padre loro" (Mt 13,43).

       Origene, In Matth. 10, 2

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