15ª
Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 13 luglio 2014
Rito
Romano
Is
55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23
Rito
Ambrosiano
5ª
Domenica dopo Pentecoste
Gen
11,31.32b-12,5b; Sal 104; Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62
- Le parole della Parola da seminare.
La
parabola del seminatore parla in primo luogo di Gesù, il nostro
Redentore, che vuole presentarci la sua missione e il senso della sua
presenza in mezzo a noi con il paragone del seminatore.
In
un brano precedente a quello proposto oggi, l’evangelista San
Matteo scrive: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi,
insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno”
(9,35). Gesù dunque vede se stesso come chi è mandato a “predicare
il Vangelo del Regno”. Quando Gesù inizia la sua attività
pubblica attribuisce a se stesso un testo del profeta Isaia che dice:
“Lo Spirito del Signore è sopra di me … e mi ha mandato per
annunziare ai poveri un lieto messaggio … e predicare un anno di
grazia del Signore” (Lc
4,17-19). Gesù afferma che queste parole profetiche si realizzano in
Lui: Lui è stato mandato “per annunciare una bella e lieta
notizia”, per “predicare il tempo favorevole”. È questo il
significato profondo di questa “parabola autobiografica”
(Benedetto XVI): come il seminatore esce di casa per spargere il
seme, così Gesù che esce dalla casa di Nazareth, per seminare in
tutti la bella notizia, il lieto messaggio di Dio che salva l’uomo.
Quando
Papa Francesco parla di Chiesa in
uscita (Esort. Post-sinodale
Evangelii gaudium
24) si ispira al Seminatore che senza cedere alla stanchezza percorre
tutto il campo del mondo fino ai luoghi delle sue fragilità e delle
sue bassezze, delle sue debolezze e delle sue contraddizioni, perfino
al luogo delle bestemmie contro di Lui. Il Seminatore non cessa mai
di gettare il buon seme. A noi sembra che getti il seme a caso1,
ma credo che oggi possiamo interpretare questo modo di seminare come
insegnamento di Gesù sul modo di essere missionari. La missione non
è questione di strategie o di particolari attività da aggiungere al
tessuto della nostra esistenza quotidiana. La missione è,
soprattutto, una questione di portare una parola carica di una
Presenza e nutrita ogni giorno da un esperienza di fraternità, che
ripropone, ogni giorno, ad ogni singolo essere umano la domanda “chi
sono?”, da dove vengo e, soprattutto, “dove vado e perché?”.
Da
queste domande ineliminabili emerge come il mondo della
pianificazione, del calcolo esatto e della sperimentazione, in una
parola il sapere della scienza, pur importante per la vita dell’uomo,
da solo non basta. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale,
abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un
fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un
senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà
e nei problemi quotidiani. Abbiamo bisogno di credere, di guardare
alla vita con gli occhi della fede,
La
fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle
verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente
a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un “Tu” che mi dona
speranza e fiducia e amore senza misura.
La
fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte
alla cattiveria dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è
capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la
possibilità della salvezza.
Avere
fede, allora, è incontrare questo “Tu”, Dio, che ci sostiene e
ci concede un amore indistruttibile che non solo tende all’eternità,
ma la dona; è affidarci a Dio con l’atteggiamento del bambino, il
quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi
sono al sicuro nel “tu” della madre. E questa possibilità di
salvezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli
uomini.
Penso
che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana,
caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche – la
Parola di Dio seminata in noi, per capire che credere cristianamente
significa questo abbandonarci con fiducia al senso profondo che
sostiene noi e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di
darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui
possiamo vivere senza paura. Dobbiamo essere capaci di accogliere
questa certezza liberante e rassicurante della fede per poi
annunciare la Parola con le nostre parole e di testimoniarla con la
nostra vita di cristiani.
La
parabola di questo seminatore, che è il Signore, che semina in
maniera abbondante, ci aiuta a crescere nella consapevolezza e
nell’impegno di accogliere la Parola di Dio e di farla fruttare. Ci
sono molti rischi e molte situazioni in cui la Parola di Dio non
porta frutto, non per l’azione di Dio, che più abbondante di così
non potrebbe essere, ma per le distrazioni, le superficialità, le
tentazioni nostre. Dunque il seminatore Gesù sparge il seme
dovunque, con “spreco” si direbbe, non scartando nessun terreno
ma ritenendo ciascuno degno di fiducia e di attenzione. Così la
Chiesa per mezzo dei Vescovi, dei Preti e di tutti i Fedeli deve
offrire la Parola a tutti e deve farlo senza risparmio di energie.
E’
la vocazione di ogni cristiano. Tutti siamo seminatori della Parola,
dal Papa all'ultimo battezzato. Non tutti siamo seminatori allo
stesso grado e con le stesse responsabilità, ma tutti siamo
incaricati di portare la Parola al mondo, sapendo che la Parola è la
nostra vita prima ancora che la nostra voce.
Ogni
mattina ogni cristiano dovrebbe lasciare la sua casa non solo per
andare a guadagnarsi da vivere materialmente ma anche spiritualmente,
“uscendo a seminare Cristo, grano che diventa Pane”, senza
scoraggiarsi se una parte del seme dovesse cadere su un terreno non
buono.
2)
Il seme e la terra.
La
figura del seminatore appare all’inizio della parabola di oggi e
poi scompare: i protagonisti sono il seme e la terra, e la situazione
presentata dalla parabola è quella, in cui sembra che tutto vada
perduto, che l'insuccesso del Regno e della Parola sia totale o
eccessivo. E invece – afferma Gesù con questa parabola – non è
così. E’ vero che ci sono gli insuccessi, e anche tanti, ma è
certo che da qualche parte il successo c’è. Dunque è una lezione
di fiducia.
Inoltre,
va tenuto presente che in questa parabola Cristo rivolge l’attenzione
alla “terra” delle anime degli uomini e delle umane coscienze e
mostra che cosa avviene alla Parola di Dio a secondo dei vari tipi di
terra di cui è fatto il campo dell’umanità. Gesù parla di un
seme che è stato portato via e non è cresciuto nel cuore dell’uomo,
perché questi ha ceduto al Maligno e non ha capito la Parola. Poi
parla del seme caduto sulla terra rocciosa, sulla terra dura dove non
era in grado di mettere le radici, dunque non ha resistito alla prima
prova. Lo udiamo parlare anche del seme caduto tra i cardi e le spine
e che è stato da essi soffocato (questi cardi e spine sono le
illusioni del benessere che passa). Infine ci parla del seme caduto
sulla terra buona, fertile, che produce frutto. Chi
è questa terra fertile? Colui che
ascolta la parola e la comprende. Ascolta e comprende. Non basta
ascoltare il Vangelo della nuova ed eterna Alleanza, che è la parola
di questo Verbo fatto carne, bisogna accoglierlo con la mente e con
il cuore.
Nel
corso di duemila anni la terra è stata già abbondantemente seminata
con questa parola. È soprattutto Cristo
stesso come Verbo che ha reso fertile questa terra della storia umana
per mezzo della redenzione mediante il sangue della sua croce. E
nella Parola della Croce continua la sua semina, dando inizio a “un
nuovo cielo e una nuova terra” (cf. Ap
21, 1). Tutti i seminatori della parola di Cristo attingono la forza
del loro servizio da quell’indicibile mistero, quale è diventata -
una volta per sempre - l’unione del Dio Verbo con la natura umana,
e in un certo senso con ogni uomo (come insegna il Concilio Vaticano
II nella
Gaudium
et spes,
22). Cadono
le parole del Vangelo sulla terra delle anime degli uomini, ma
soprattutto il Verbo Eterno stesso, generato per opera dello Spirito
Santo da una Vergine-Madre, è diventato fonte di vita per l’umanità.
La
Vergine Maria ci aiuti ad essere, sul suo modello, “terra buona”,
dove il seme della Parola possa portare molto frutto.
Le
Vergini consacrate nel mondo sono fra coloro che in un modo
particolarissimo hanno preso a modello la Vergine Maria. Sull’esempio
della Madonna, la loro parola si fa preghiera, si fa riconoscenza,
si fa dono di amore. Con questa donazione d’amore la loro parola
diventa annuncio della Parola di verità che unisce l’uomo alla
vita d’amore di Dio. Nel dono verginale di sé riconoscono che Gesù
Cristo, loro Sposo, è Re d’Amore, nella cui misericordiosa bontà
è ragionevole confidare totalmente. Con la loro vita dimostrano la
verità della frasi di Sant’Ambrogio “La
tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro
dei viventi” (si veda la lettura patristica che segue)
1
Per capire bene la parabola va tenuto presente che non si tratta di
un seminatore incapace che getta il seme dove capita. Ai tempi della
vita terrena di Cristo i campi non erano come quelli attuali
soprattutto quelli nel mondo sviluppato. Erano terreni appena
dirozzati e non omogenei quindi con pietre, rovi ecc. Quindi Gesù
si riferisce a questo tipo di campo, che
non veniva arato prima della semina, ma dopo: la semente veniva
sparsa in tutte le parti del campo, anche nei sentieri che lo
attraversavano e nelle zone sassose o piene di rovi. Per questo
molta semente andava perduta (i tre quarti secondo la parabola, che
calca intenzionalmente le tinte). Ma il risultato finale, cioè la
resa del seme caduto sulla terra buona, compensava tutte le perdite.
Lettura
Patristica
Inizio
del trattato «Sui misteri»
(Nn.
1-7; SC 25 bis, 156-158)
”Ogni
giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano
o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché,
modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie
degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli
divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che
si addice ai battezzati.
Ora è venuto il tempo di parlare dei
misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto
prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che
spiegato questa dottrina. C'è anche da aggiungere che la luce dei
misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa, anziché
arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione
previa.
Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita
eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo
significato, quando celebrando il mistero dell'apertura degli orecchi
vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno
di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa
sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse
rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo
mistero quando ha curato il sordomuto.
Successivamente ti è stato
spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della
rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su
ciò che hai riposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al
mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri. La tua parola è
custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi.
Presso il fonte tu hai visto il levita, hai visto il sacerdote, hai
visto il sommo sacerdote. Non badare all'esterno della persona, ma al
carisma del ministero sacro. E` alla presenza di angeli che tu hai
parlato, com'è scritto: Le labbra del sacerdote devono custodire la
scienza e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione, perché egli è
l'angelo del Signore degli eserciti (cfr. Ml 2, 7). Non si può
sbagliare, non si può negare. E' un angelo colui che annunzia il
regno di Cristo, colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo
non dall'apparenza, ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha
dato, pondera l'importanza del suo compito, riconosci che cosa egli
fa.
Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si
suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso
l'oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo,
lo guarda diritto in faccia.”
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