venerdì 11 luglio 2014

Gesù, il Seminatore che semina la vita.

15ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 13 luglio 2014

Rito Romano
Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

Rito Ambrosiano
5ª Domenica dopo Pentecoste
Gen 11,31.32b-12,5b; Sal 104; Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62


  1. Le parole della Parola da seminare.
La parabola del seminatore parla in primo luogo di Gesù, il nostro Redentore, che vuole presentarci la sua missione e il senso della sua presenza in mezzo a noi con il paragone del seminatore.
In un brano precedente a quello proposto oggi, l’evangelista San Matteo scrive: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno” (9,35). Gesù dunque vede se stesso come chi è mandato a “predicare il Vangelo del Regno”. Quando Gesù inizia la sua attività pubblica attribuisce a se stesso un testo del profeta Isaia che dice: “Lo Spirito del Signore è sopra di me … e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio … e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,17-19). Gesù afferma che queste parole profetiche si realizzano in Lui: Lui è stato mandato “per annunciare una bella e lieta notizia”, per “predicare il tempo favorevole”. È questo il significato profondo di questa “parabola autobiografica” (Benedetto XVI): come il seminatore esce di casa per spargere il seme, così Gesù che esce dalla casa di Nazareth, per seminare in tutti la bella notizia, il lieto messaggio di Dio che salva l’uomo.
Quando Papa Francesco parla di Chiesa in uscita (Esort. Post-sinodale Evangelii gaudium 24) si ispira al Seminatore che senza cedere alla stanchezza percorre tutto il campo del mondo fino ai luoghi delle sue fragilità e delle sue bassezze, delle sue debolezze e delle sue contraddizioni, perfino al luogo delle bestemmie contro di Lui. Il Seminatore non cessa mai di gettare il buon seme. A noi sembra che getti il seme a caso1, ma credo che oggi possiamo interpretare questo modo di seminare come insegnamento di Gesù sul modo di essere missionari. La missione non è questione di strategie o di particolari attività da aggiungere al tessuto della nostra esistenza quotidiana. La missione è, soprattutto, una questione di portare una parola carica di una Presenza e nutrita ogni giorno da un esperienza di fraternità, che ripropone, ogni giorno, ad ogni singolo essere umano la domanda “chi sono?”, da dove vengo e, soprattutto, “dove vado e perché?”.
Da queste domande ineliminabili emerge come il mondo della pianificazione, del calcolo esatto e della sperimentazione, in una parola il sapere della scienza, pur importante per la vita dell’uomo, da solo non basta. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. Abbiamo bisogno di credere, di guardare alla vita con gli occhi della fede,
La fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un “Tu” che mi dona speranza e fiducia e amore senza misura.
La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla cattiveria dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza.
Avere fede, allora, è incontrare questo “Tu”, Dio, che ci sostiene e ci concede un amore indistruttibile che non solo tende all’eternità, ma la dona; è affidarci a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel “tu” della madre. E questa possibilità di salvezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli uomini.
Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche – la Parola di Dio seminata in noi, per capire che credere cristianamente significa questo abbandonarci con fiducia al senso profondo che sostiene noi e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui possiamo vivere senza paura. Dobbiamo essere capaci di accogliere questa certezza liberante e rassicurante della fede per poi annunciare la Parola con le nostre parole e di testimoniarla con la nostra vita di cristiani.
La parabola di questo seminatore, che è il Signore, che semina in maniera abbondante, ci aiuta a crescere nella consapevolezza e nell’impegno di accogliere la Parola di Dio e di farla fruttare. Ci sono molti rischi e molte situazioni in cui la Parola di Dio non porta frutto, non per l’azione di Dio, che più abbondante di così non potrebbe essere, ma per le distrazioni, le superficialità, le tentazioni nostre. Dunque il seminatore Gesù sparge il seme dovunque, con “spreco” si direbbe, non scartando nessun terreno ma ritenendo ciascuno degno di fiducia e di attenzione. Così la Chiesa per mezzo dei Vescovi, dei Preti e di tutti i Fedeli deve offrire la Parola a tutti e deve farlo senza risparmio di energie.
E’ la vocazione di ogni cristiano. Tutti siamo seminatori della Parola, dal Papa all'ultimo battezzato. Non tutti siamo seminatori allo stesso grado e con le stesse responsabilità, ma tutti siamo incaricati di portare la Parola al mondo, sapendo che la Parola è la nostra vita prima ancora che la nostra voce.
Ogni mattina ogni cristiano dovrebbe lasciare la sua casa non solo per andare a guadagnarsi da vivere materialmente ma anche spiritualmente, “uscendo a seminare Cristo, grano che diventa Pane”, senza scoraggiarsi se una parte del seme dovesse cadere su un terreno non buono.

2) Il seme e la terra.
La figura del seminatore appare all’inizio della parabola di oggi e poi scompare: i protagonisti sono il seme e la terra, e la situazione presentata dalla parabola è quella, in cui sembra che tutto vada perduto, che l'insuccesso del Regno e della Parola sia totale o eccessivo. E invece – afferma Gesù con questa parabola – non è così. E’ vero che ci sono gli insuccessi, e anche tanti, ma è certo che da qualche parte il successo c’è. Dunque è una lezione di fiducia.
Inoltre, va tenuto presente che in questa parabola Cristo rivolge l’attenzione alla “terra” delle anime degli uomini e delle umane coscienze e mostra che cosa avviene alla Parola di Dio a secondo dei vari tipi di terra di cui è fatto il campo dell’umanità. Gesù parla di un seme che è stato portato via e non è cresciuto nel cuore dell’uomo, perché questi ha ceduto al Maligno e non ha capito la Parola. Poi parla del seme caduto sulla terra rocciosa, sulla terra dura dove non era in grado di mettere le radici, dunque non ha resistito alla prima prova. Lo udiamo parlare anche del seme caduto tra i cardi e le spine e che è stato da essi soffocato (questi cardi e spine sono le illusioni del benessere che passa). Infine ci parla del seme caduto sulla terra buona, fertile, che produce frutto. Chi è questa terra fertile? Colui che ascolta la parola e la comprende. Ascolta e comprende. Non basta ascoltare il Vangelo della nuova ed eterna Alleanza, che è la parola di questo Verbo fatto carne, bisogna accoglierlo con la mente e con il cuore.
Nel corso di duemila anni la terra è stata già abbondantemente seminata con questa parola. È soprattutto Cristo stesso come Verbo che ha reso fertile questa terra della storia umana per mezzo della redenzione mediante il sangue della sua croce. E nella Parola della Croce continua la sua semina, dando inizio a “un nuovo cielo e una nuova terra” (cf. Ap 21, 1). Tutti i seminatori della parola di Cristo attingono la forza del loro servizio da quell’indicibile mistero, quale è diventata - una volta per sempre - l’unione del Dio Verbo con la natura umana, e in un certo senso con ogni uomo (come insegna il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, 22). Cadono le parole del Vangelo sulla terra delle anime degli uomini, ma soprattutto il Verbo Eterno stesso, generato per opera dello Spirito Santo da una Vergine-Madre, è diventato fonte di vita per l’umanità.
La Vergine Maria ci aiuti ad essere, sul suo modello, “terra buona”, dove il seme della Parola possa portare molto frutto.
Le Vergini consacrate nel mondo sono fra coloro che in un modo particolarissimo hanno preso a modello la Vergine Maria. Sull’esempio della Madonna, la loro parola si fa preghiera, si fa riconoscenza, si fa dono di amore. Con questa donazione d’amore la loro parola diventa annuncio della Parola di verità che unisce l’uomo alla vita d’amore di Dio. Nel dono verginale di sé riconoscono che Gesù Cristo, loro Sposo, è Re d’Amore, nella cui misericordiosa bontà è ragionevole confidare totalmente. Con la loro vita dimostrano la verità della frasi di Sant’Ambrogio “La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi” (si veda la lettura patristica che segue)


1 Per capire bene la parabola va tenuto presente che non si tratta di un seminatore incapace che getta il seme dove capita. Ai tempi della vita terrena di Cristo i campi non erano come quelli attuali soprattutto quelli nel mondo sviluppato. Erano terreni appena dirozzati e non omogenei quindi con pietre, rovi ecc. Quindi Gesù si riferisce a questo tipo di campo, che non veniva arato prima della semina, ma dopo: la semente veniva sparsa in tutte le parti del campo, anche nei sentieri che lo attraversavano e nelle zone sassose o piene di rovi. Per questo molta semente andava perduta (i tre quarti secondo la parabola, che calca intenzionalmente le tinte). Ma il risultato finale, cioè la resa del seme caduto sulla terra buona, compensava tutte le perdite.



Lettura Patristica
Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano (340 - 397)
Inizio del trattato «Sui misteri»
(Nn. 1-7; SC 25 bis, 156-158)


”Ogni giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché, modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che si addice ai battezzati.
Ora è venuto il tempo di parlare dei misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che spiegato questa dottrina. C'è anche da aggiungere che la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa, anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione previa.
Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo significato, quando celebrando il mistero dell'apertura degli orecchi vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo mistero quando ha curato il sordomuto.
Successivamente ti è stato spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su ciò che hai riposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri. La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi. Presso il fonte tu hai visto il levita, hai visto il sacerdote, hai visto il sommo sacerdote. Non badare all'esterno della persona, ma al carisma del ministero sacro. E` alla presenza di angeli che tu hai parlato, com'è scritto: Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione, perché egli è l'angelo del Signore degli eserciti (cfr. Ml 2, 7). Non si può sbagliare, non si può negare. E' un angelo colui che annunzia il regno di Cristo, colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo non dall'apparenza, ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha dato, pondera l'importanza del suo compito, riconosci che cosa egli fa.
Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso l'oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo, lo guarda diritto in faccia.”

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