Rito romano
XIII domenica
del Tempo Ordinario – Anno C - 30 giugno 2013
1
Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
Tu
solo hai parole di vita eterna.
Rito
ambrosiano
VI
Domenica di Pentecoste
Es
24,3-18; Sal 49; Eb 8,6-13a; Gv 19,30-35
«È
compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Il
Vangelo romano di questa domenica ci presenta il Messia che si mette
in cammino verso Gerusalemme. Gesù intraprende la strada verso la
Città Santa (Lc
9,51) con consapevolezza, coraggio e decisione. Ma l’espressione
greca, che è stata tradotta con l’avverbio “decisamente”,
dice che Cristo: “Rese
di pietra il suo volto”,
che rende bene l'intensità dell'amore col quale il Figlio di Dio
accoglie e obbedisce alla volontà del Padre.
Gesù
Cristo sa che a Gerusalemme si compirà il suo destino d’amore e
che la sua missione di Redentore vi troverà la sua piena attuazione
con l'arresto, il processo e la condanna a morte. Ma non ha
esitazione e con cuore saldo e volontà risoluta si incammina verso
la Città Santa, spinto dall'amore per il Padre e per l'umanità
intera.
In
questo esodo il passo del Vangelo di oggi ci parla di alcuni anonimi
personaggi, che Messia, Pellegrino d’eternità, chiama perché li
ama.
Sono
persone, nelle quali ognuno di noi può identificarsi. Questi
“anonimi” sono affascinati da Cristo ed hanno il forte desiderio
seguire Cristo più da vicino. Egli è diventato il loro centro
affettivo e intuiscono che con Lui la vita non sarà più banale né
tantomeno disperata: Lui trasforma l’uomo in santo, cioè in uomo
vero. Allora vale davvero la pena seguirLo anche se per fare ciò
devono abbandonare le loro vite nelle mani di Dio.
La
sequela è sempre un esodo da se stessi come ha felicemente detto
Papa Francesco: “È
Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo
significa compiere continuamente un “esodo” da voi stesse per
centrare
la vostra esistenza su Cristo e sul
suo
Vangelo,
sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter
dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in
me» (Gal
2,20). Questo “esodo” da se stessi è mettersi in un cammino di
adorazione e di servizio”
(Papa Francesco, alle
Superiore Generali,
8
maggio 2013).
E questo non vale solamente per le Suore, che erano in udienza dal
Papa.
Tutti
i cristiani devono seguire Cristo, il che implica, duemila anni fa
come oggi, l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare
con Lui. Comporta anche l’uscire dalla chiusura dell’io, lo
spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del
nostro tempo.
Ma
perché centrare la nostra vita su Cristo? Perché lasciare tutto per
seguire quest’uomo che non
promette
denari né terre, e parla “solamente” d’amore, di povertà e di
perfezione?
Perché
Lui è il solo che ha parole di vita eterna, parole che spiegano la
vita. Parole che danno senso e unità ad un’esistenza che
altrimenti sarebbe smarrita e frammentata.
2)
Seguire il Prossimo: il Dio con noi.
Parole
che rendono la nostra esistenza lieta nella verità di un amore
infinito: cioè santa. La giustizia non sazia il nostro cuore. Cristo
chiama a seguirLo e propone il “superamento” della giustizia non
con una teoria sull’amore, ma con un’esperienza d’amore: con
l’esperienza dell’Amore che si fa prossimo a noi e che vince la
morte.
Il
vero antidoto alla morte non è la vita (che soccombe alla morte), è
l’amore. Chi nella propria vita segue Cristo, vive dell’amore di
Dio, possiede già in se stesso la vita risorta di Cristo e con
questa risurrezione anticipata che permea la propria vita su questa
terra, va incontro alla morte e la vince: Forte
come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è lo slancio
d’amore (Ct
8,6). Giovanni nella prima lettera dice: Noi
sappiamo che siamo transitati da morte a vita perché amiamo i nostri
fratelli (Gv
1, 14). La grazia
in Cristo diventa avvenimento. La morte non è più una sconfitta. In
Gesù Cristo la morte è diventata un atto di amore.
Seguire
Cristo è la vita del cristiano: l’Amore è il destino del
discepolo cristiano (cfr Ef
1,5). Se lo seguiamo, stiamo amorosamente accanto a Cristo che si fa
a noi prossimo. Se mettiamo i nostri piedi sulle sue tracce, ci
avviciniamo sicuramente e quotidianamente alla nostra unica
destinazione: a Dio, fonte di quella felicità per la quale siamo
fatti.
In
Cristo il Prossimo (Dio, che è a noi più intimo di noi stessi: Deus
intimior intimo meo,
diceva Sant’Agostino) e il prossimo diventano per noi amabili.
L’amore per Dio
ha la dimensione parallela dell’amore per i fratelli. Dobbiamo
re-imparare ad ascoltare, ad intendere la Parola, di cui ogni uomo è
portatore.
In
Cristo il desiderio di infinito, il desiderio di essere Dio si
realizza perché, seguendo Gesù Via e Verità, imitiamo la Sua
santità. Il discepolo di Cristo non ricusa di essere simile Dio, di
essere con Dio: “Dii estis” (=siete Dei, ricorda san Paolo,
“Soyons
des Dieux –
commentava Bossuet -soyons
des Dieux, le Christ le permet pour l'imitation de sa
sainteté”).
Il discepolo lo è nell’obbedienza al Salvatore, nell’abbandono
al Padre.
Decenni
fa si parlava del principio-speranza
Il principio-speranza2,
io preferisco parlare del principio-misericordia. In nome di questo
principio noi, Chiesa-Popolo di Dio, siamo chiamati ad offrire
l’amore di Cristo a tutti, annunciando loro le sue parole e le sue
opere, la sua prossimità e la sua cura delle ferite spirituali e
materiali dell’umanità. La dedizione di Cristo al Padre e alla
nostra povera umanità, fino al dono sacrificale della sua esistenza
rivela a noi e, tramite noi, al mondo chi è Dio: Amore che
eternamente si dona, Amore che, con assoluta gratuità, si dedica
alla creazione ferita e lacerata dal peccato.
3)
Seguire è imitare.
La
sequela è non solo immedesimazione, ma è anche imitazione,
soprattutto con la verginità. Gli apostoli e gli altri chiamati da
Gesù nel vangelo di oggi non hanno aderito ad una organizzazione, ma
sono entrati in comunione con il Signore che li invitava ad andare
dietro a Lui. L’hanno imitato con verità e amore ed il loro cuore
è cambiato, è stato convertito da cuore di pietra a cuore di carne
(cfr Ez
36,28).
La sequela fu per loro, e deve esserlo per noi, un ascolto denso di
vita e un’immedesimazione con Cristo, facendoci suoi discepoli.
Qui
è importante ricordare che il matrimonio cristiano e la verginità
consacrata sono due modi “opposti” di vivere nella Chiesa la
condizione di discepoli. Questi due modi, tuttavia, coincidono
nell’essere ognuno simbolo compiuto delle nozze di Cristo con la
Chiesa, perché tutti
siamo chiamati alla carità perfetta.
Certo
per quanto riguarda la verginità è importante ricordare, per
esempio quanto Sant’Agostino d’Ippona insegna: “Seguite
l'Agnello, perché la carne dell'Agnello è anch'essa vergine... voi
avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della
carne, dovunque vada. Che cos'è infatti seguire se non imitare?
perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice
san Pietro apostolo, "affinché seguiamo le sue orme" (1
Pt
2, 21)”.
La carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di
affetto con lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con
l'imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità
alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere
umano.
Come
una discepola del Signore divenga realmente “virgo sacrata” e
“sponsa Christi” in virtù di un’unzione dello Spirito: «Lo
Spirito consolatore [...] oggi mediante il nostro ministero vi
consacra con una nuova unzione spirituale» (RCV 29); analogamente
nella benedizione di congedo si afferma: «Lo Spirito santo [...]
oggi ha consacrato i vostri cuori» (RCV 56).
1
Esodo da
odòs
strada,
ex
= da, quindi è un uscita da
un luogo d’esilio per
una terra di libertà. Gli Ebrei ebbero il loro esodo dall’Egitto
verso la Terra promessa. Il Figlio di Dio, disceso dal Cielo per
salvarci, dalla
terra è ritornato alla Casa del Padre camminando verso Gerusalemme,
dove lo attendeva l’altare della Croce.
2 Nel
1964 Jürgen Moltmann scrisse “La Teologia della Speranza”,
opera che entrò in dialogo con le filosofie della Speranza,
soprattutto con il pensiero di Ernst Bloch, autore di “Il Principio
Speranza” (1954-1959).
Lettura
patristica
Giovanni
Crisostomo
Seguire
Cristo (In Matth. 55, 1)
muore,
resta solo; ma se muore dà grande frutto" (Gv 12,24). Qui,
trattando con
maggior
ricchezza di argomenti questa verità, Gesú aggiunge che non solo
lui
stesso deve
morire, ma che pure i suoi discepoli debbono essere pronti a
patire
e a morire.
Vi sono - egli fa capire - talmente tanti vantaggi in queste
passeggere
sofferenze che sarebbe un danno e una disgrazia per voi il non
voler
morire;
mentre sarebbe un bene e una grazia se foste disposti al supremo
sacrificio.
Ma ciò è reso manifesto con evidenza dalle parole che seguono:
per
ora Cristo
tratta solo una parte di tale verità. Notate come non mette
costrizioni
nelle sue parole. Non dice, ad esempio: Sia che lo vogliate, sia
che
non lo
vogliate, è necessario che affrontiate gravi sofferenze. Dice
soltanto:
"Chi
vuol venire dietro a me..." (Mt 16,24), cioè: Io non
costringo né obbligo
alcuno a
seguirmi, ma lascio ciascuno padrone della propria scelta; perciò
dico
"chi
vuole". Io infatti vi invito ai beni, non vi chiamo ai mali e
alle pene, né
al castigo
e al supplizio, perché io debba costringervi. La stessa natura di
questo bene
ha forza sufficiente per trascinarvi. Parlando in tal modo il
Signore li
attira ancor piú fortemente. Chi usa violenza, invece, chi
costringe
con la
forza, finisce spesso con l`allontanare. Al contrario, chi lascia
alla
volontà
dell`ascoltatore la libertà di accettare o di respingere una
cosa,
l`attira a
sé piú sicuramente. Il rispetto e l`ossequio della libertà è
piú
forte della
violenza. Ecco perché Gesú dice qui: "Chi vuole". I
beni che offro -
egli fa
intendere - sono cosí grandi ed eccezionali, che dovreste correre
spontaneamente
verso di essi. Se qualcuno vi offrisse dell`oro e vi mettesse
davanti un
tesoro, non userebbe certo vioienza nel proporvi di accettarlo.
Ebbene, se
andiamo verso quei doni senza esser spinti da nessuna costrizione,
tanto piú
spontaneamente dovremmo correre ai beni del cielo. Se, da sola, la
natura di
questi beni non vi convince ad accorrere per ottenerli, vuol dire
che
siete
indegni di riceverli: e qualora li riceviate ugualmente, non
sarete in
grado di
apprezzarne a fondo il valore. Ecco perché Cristo non costringe,
ma con
indulgenza
ci esorta. Siccome Gesú nota che i discepoli sussurrano tra di
loro,
sono
turbati per le sue parole, aggiunge: Non occorre agitarsi cosí.
Se non
siete
convinti che quanto vi propongo, qualora si compia non solo in me,
ma
anche in
voi, sia causa di infiniti beni, io non vi forzo, né vi
costringo, ma
chiamo
soltanto chi vuol seguirmi. E non crediate che "seguirmi"
significhi ciò
che voi
avete fatto sinora, accompagnandomi nelle mie peregrinazioni. E`
necessario
che voi sopportiate molte fatiche, innumerevoli pericoli, se
volete
davvero
venire dietro a me. Tu, o Pietro, che mi hai riconosciuto Figlio
di Dio,
non devi
certo pretendere di ottenere la corona soltanto perché hai fatto
questa
professione
di fede, né devi credere che essa sia sufficiente per assicurarti
la
salvezza, e
che tu puoi vivere d`ora in avanti tranquillamente come se già
avessi
compiuto tutto. Io potrei sicuramente, in quanto sono Figlio di
Dio,
esimerti
dal subire sciagure e prevenire tutti i pericoli cui sarai
esposto, ma
non voglio
farlo nel tuo stesso interesse, perché tu possa portare qualcosa
di
tuo,
contribuendo alla tua salvezza e procurandoti cosí maggior
gloria. Se
qualcuno di
coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non
vorrà
certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma
piuttosto
per i suoi
sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà cosí,
in
quanto è
suo amico e gli vuol bene. Nello stesso modo agisce Cristo: quanto
piú
ama
un`anima, tanto piú vuole che essa contribuisca con le sue forze
alla
propria
gloria e non solo che l`ottenga grazie al suo aiuto.
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