venerdì 28 giugno 2013

Il comando di un Amico: “Seguimi”.

Rito romano
XIII domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 30 giugno 2013
1 Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
 
Tu solo hai parole di vita eterna.

Rito ambrosiano
VI Domenica di Pentecoste
Es 24,3-18; Sal 49; Eb 8,6-13a; Gv 19,30-35
«È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.



1) La sequela è un esodo1 verso l’Amore.
Il Vangelo romano di questa domenica ci presenta il Messia che si mette in cammino verso Gerusalemme. Gesù intraprende la strada verso la Città Santa (Lc 9,51) con consapevolezza, coraggio e decisione. Ma l’espressione greca, che è stata tradotta con l’avverbio “decisamente”, dice che Cristo: “Rese di pietra il suo volto”, che rende bene l'intensità dell'amore col quale il Figlio di Dio accoglie e obbedisce alla volontà del Padre.
Gesù Cristo sa che a Gerusalemme si compirà il suo destino d’amore e che la sua missione di Redentore vi troverà la sua piena attuazione con l'arresto, il processo e la condanna a morte. Ma non ha esitazione e con cuore saldo e volontà risoluta si incammina verso la Città Santa, spinto dall'amore per il Padre e per l'umanità intera. 

In questo esodo il passo del Vangelo di oggi ci parla di alcuni anonimi personaggi, che Messia, Pellegrino d’eternità, chiama perché li ama.
Sono persone, nelle quali ognuno di noi può identificarsi. Questi “anonimi” sono affascinati da Cristo ed hanno il forte desiderio seguire Cristo più da vicino. Egli è diventato il loro centro affettivo e intuiscono che con Lui la vita non sarà più banale né tantomeno disperata: Lui trasforma l’uomo in santo, cioè in uomo vero. Allora vale davvero la pena seguirLo anche se per fare ciò devono abbandonare le loro vite nelle mani di Dio.
La sequela è sempre un esodo da se stessi come ha felicemente detto Papa Francesco: “È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un “esodo” da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Questo “esodo” da se stessi è mettersi in un cammino di adorazione e di servizio” (Papa Francesco, alle Superiore Generali, 8 maggio 2013). E questo non vale solamente per le Suore, che erano in udienza dal Papa.
Tutti i cristiani devono seguire Cristo, il che implica, duemila anni fa come oggi, l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare con Lui. Comporta anche l’uscire dalla chiusura dell’io, lo spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del nostro tempo.
Ma perché centrare la nostra vita su Cristo? Perché lasciare tutto per seguire quest’uomo che non promette denari né terre, e parla “solamente” d’amore, di povertà e di perfezione?
Perché Lui è il solo che ha parole di vita eterna, parole che spiegano la vita. Parole che danno senso e unità ad un’esistenza che altrimenti sarebbe smarrita e frammentata.

2) Seguire il Prossimo: il Dio con noi.
Parole che rendono la nostra esistenza lieta nella verità di un amore infinito: cioè santa. La giustizia non sazia il nostro cuore. Cristo chiama a seguirLo e propone il “superamento” della giustizia non con una teoria sull’amore, ma con un’esperienza d’amore: con l’esperienza dell’Amore che si fa prossimo a noi e che vince la morte.
Il vero antidoto alla morte non è la vita (che soccombe alla morte), è l’amore. Chi nella propria vita segue Cristo, vive dell’amore di Dio, possiede già in se stesso la vita risorta di Cristo e con questa risurrezione anticipata che permea la propria vita su questa terra, va incontro alla morte e la vince: Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è lo slancio d’amore (Ct 8,6). Giovanni nella prima lettera dice: Noi sappiamo che siamo transitati da morte a vita perché amiamo i nostri fratelli (Gv 1, 14). La grazia in Cristo diventa avvenimento. La morte non è più una sconfitta. In Gesù Cristo la morte è diventata un atto di amore.
Seguire Cristo è la vita del cristiano: l’Amore è il destino del discepolo cristiano (cfr Ef 1,5). Se lo seguiamo, stiamo amorosamente accanto a Cristo che si fa a noi prossimo. Se mettiamo i nostri piedi sulle sue tracce, ci avviciniamo sicuramente e quotidianamente alla nostra unica destinazione: a Dio, fonte di quella felicità per la quale siamo fatti.
In Cristo il Prossimo (Dio, che è a noi più intimo di noi stessi: Deus intimior intimo meo, diceva Sant’Agostino) e il prossimo diventano per noi amabili. L’amore per Dio ha la dimensione parallela dell’amore per i fratelli. Dobbiamo re-imparare ad ascoltare, ad intendere la Parola, di cui ogni uomo è portatore.
In Cristo il desiderio di infinito, il desiderio di essere Dio si realizza perché, seguendo Gesù Via e Verità, imitiamo la Sua santità. Il discepolo di Cristo non ricusa di essere simile Dio, di essere con Dio: “Dii estis” (=siete Dei, ricorda san Paolo, “Soyons des Dieux – commentava Bossuet -soyons des Dieux, le Christ le permet pour l'imitation de sa sainteté”). Il discepolo lo è nell’obbedienza al Salvatore, nell’abbandono al Padre.
Decenni fa si parlava del principio-speranza Il principio-speranza2, io preferisco parlare del principio-misericordia. In nome di questo principio noi, Chiesa-Popolo di Dio, siamo chiamati ad offrire l’amore di Cristo a tutti, annunciando loro le sue parole e le sue opere, la sua prossimità e la sua cura delle ferite spirituali e materiali dell’umanità. La dedizione di Cristo al Padre e alla nostra povera umanità, fino al dono sacrificale della sua esistenza rivela a noi e, tramite noi, al mondo chi è Dio: Amore che eternamente si dona, Amore che, con assoluta gratuità, si dedica alla creazione ferita e lacerata dal peccato.

3) Seguire è imitare.
La sequela è non solo immedesimazione, ma è anche imitazione, soprattutto con la verginità. Gli apostoli e gli altri chiamati da Gesù nel vangelo di oggi non hanno aderito ad una organizzazione, ma sono entrati in comunione con il Signore che li invitava ad andare dietro a Lui. L’hanno imitato con verità e amore ed il loro cuore è cambiato, è stato convertito da cuore di pietra a cuore di carne (cfr Ez 36,28). La sequela fu per loro, e deve esserlo per noi, un ascolto denso di vita e un’immedesimazione con Cristo, facendoci suoi discepoli.
Qui è importante ricordare che il matrimonio cristiano e la verginità consacrata sono due modi “opposti” di vivere nella Chiesa la condizione di discepoli. Questi due modi, tuttavia, coincidono nell’essere ognuno simbolo compiuto delle nozze di Cristo con la Chiesa, perché tutti siamo chiamati alla carità perfetta.
Certo per quanto riguarda la verginità è importante ricordare, per esempio quanto Sant’Agostino d’Ippona insegna: “Seguite l'Agnello, perché la carne dell'Agnello è anch'essa vergine... voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos'è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, "affinché seguiamo le sue orme" (1 Pt 2, 21)”. La carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l'imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano.
Come una discepola del Signore divenga realmente “virgo sacrata” e “sponsa Christi” in virtù di un’unzione dello Spirito: «Lo Spirito consolatore [...] oggi mediante il nostro ministero vi consacra con una nuova unzione spirituale» (RCV 29); analogamente nella benedizione di congedo si afferma: «Lo Spirito santo [...] oggi ha consacrato i vostri cuori» (RCV 56).
1 Esodo da odòs strada, ex = da, quindi è un uscita da un luogo d’esilio per una terra di libertà. Gli Ebrei ebbero il loro esodo dall’Egitto verso la Terra promessa. Il Figlio di Dio, disceso dal Cielo per salvarci, dalla terra è ritornato alla Casa del Padre camminando verso Gerusalemme, dove lo attendeva l’altare della Croce.
2 Nel 1964 Jürgen Moltmann scrisse “La Teologia della Speranza”, opera che entrò in dialogo con le filosofie della Speranza, soprattutto con il pensiero di Ernst Bloch, autore di “Il Principio Speranza” (1954-1959).


Lettura patristica
Giovanni Crisostomo
Seguire Cristo (In Matth. 55, 1)
Nel Vangelo di Giovanni si legge: "Se il chicco di grano cadendo in terra non
muore, resta solo; ma se muore dà grande frutto" (Gv 12,24). Qui, trattando con
maggior ricchezza di argomenti questa verità, Gesú aggiunge che non solo lui
stesso deve morire, ma che pure i suoi discepoli debbono essere pronti a patire
e a morire. Vi sono - egli fa capire - talmente tanti vantaggi in queste
passeggere sofferenze che sarebbe un danno e una disgrazia per voi il non voler
morire; mentre sarebbe un bene e una grazia se foste disposti al supremo
sacrificio. Ma ciò è reso manifesto con evidenza dalle parole che seguono: per
ora Cristo tratta solo una parte di tale verità. Notate come non mette
costrizioni nelle sue parole. Non dice, ad esempio: Sia che lo vogliate, sia che
non lo vogliate, è necessario che affrontiate gravi sofferenze. Dice soltanto:
"Chi vuol venire dietro a me..." (Mt 16,24), cioè: Io non costringo né obbligo
alcuno a seguirmi, ma lascio ciascuno padrone della propria scelta; perciò dico
"chi vuole". Io infatti vi invito ai beni, non vi chiamo ai mali e alle pene, né
al castigo e al supplizio, perché io debba costringervi. La stessa natura di
questo bene ha forza sufficiente per trascinarvi. Parlando in tal modo il
Signore li attira ancor piú fortemente. Chi usa violenza, invece, chi costringe
con la forza, finisce spesso con l`allontanare. Al contrario, chi lascia alla
volontà dell`ascoltatore la libertà di accettare o di respingere una cosa,
l`attira a sé piú sicuramente. Il rispetto e l`ossequio della libertà è piú
forte della violenza. Ecco perché Gesú dice qui: "Chi vuole". I beni che offro -
egli fa intendere - sono cosí grandi ed eccezionali, che dovreste correre
spontaneamente verso di essi. Se qualcuno vi offrisse dell`oro e vi mettesse
davanti un tesoro, non userebbe certo vioienza nel proporvi di accettarlo.
Ebbene, se andiamo verso quei doni senza esser spinti da nessuna costrizione,
tanto piú spontaneamente dovremmo correre ai beni del cielo. Se, da sola, la
natura di questi beni non vi convince ad accorrere per ottenerli, vuol dire che
siete indegni di riceverli: e qualora li riceviate ugualmente, non sarete in
grado di apprezzarne a fondo il valore. Ecco perché Cristo non costringe, ma con
indulgenza ci esorta. Siccome Gesú nota che i discepoli sussurrano tra di loro,
sono turbati per le sue parole, aggiunge: Non occorre agitarsi cosí. Se non
siete convinti che quanto vi propongo, qualora si compia non solo in me, ma
anche in voi, sia causa di infiniti beni, io non vi forzo, né vi costringo, ma
chiamo soltanto chi vuol seguirmi. E non crediate che "seguirmi" significhi ciò
che voi avete fatto sinora, accompagnandomi nelle mie peregrinazioni. E`
necessario che voi sopportiate molte fatiche, innumerevoli pericoli, se volete
davvero venire dietro a me. Tu, o Pietro, che mi hai riconosciuto Figlio di Dio,
non devi certo pretendere di ottenere la corona soltanto perché hai fatto questa
professione di fede, né devi credere che essa sia sufficiente per assicurarti la
salvezza, e che tu puoi vivere d`ora in avanti tranquillamente come se già
avessi compiuto tutto. Io potrei sicuramente, in quanto sono Figlio di Dio,
esimerti dal subire sciagure e prevenire tutti i pericoli cui sarai esposto, ma
non voglio farlo nel tuo stesso interesse, perché tu possa portare qualcosa di
tuo, contribuendo alla tua salvezza e procurandoti cosí maggior gloria. Se
qualcuno di coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non
vorrà certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma piuttosto
per i suoi sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà cosí, in
quanto è suo amico e gli vuol bene. Nello stesso modo agisce Cristo: quanto piú
ama un`anima, tanto piú vuole che essa contribuisca con le sue forze alla
propria gloria e non solo che l`ottenga grazie al suo aiuto.



venerdì 21 giugno 2013

Non confondere Gesù Cristo con le nostre idee.

Rito romano
XII domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 23 giugno 2013
Zac 12,10-11; Ga 3,26-29; Lc 9,18-24
Che dice la gente chi io sia?

Rito ambrosiano
V Domenica di Pentecoste
Gen 18,1-2a.16-33; Sal 27; Rm 4,16-25; Lc 13,23-29
La porta stretta

1)Tre luoghi: il deserto, la preghiera e la comunità.
Quasi sempre, il Vangelo ci dice il luogo materiale, dove si svolge il fatto di cui parla: Betlemme, Nazareth, Gerico, Gerusalemme, Cesarea di Filippo, ecc. Oggi il brano del vangelo narra di Gesù che si trova in un luogo solitario, “materiale”, e in preghiera, cioè un luogo “spirituale” ed è circondato dai discepoli, che sono la sua comunità di vita e missione. Questo terzo luogo potremmo chiamarlo “luogo umano”, dove vive una fraterna comunione per l’annuncio della buona Novella.
Quindi se ciascuno di noi vuol essere discepolo (=colui che impara, dal verbo latino “dìscere”: imparare) deve stare con Gesù in un luogo solitario, deserto – cioè nel mondo ma non del mondo - e in comunità.
Ho già citato altre volte il versetto 2,16 del profeta Osea, ma oggi è utile arrivare almeno al 2,22: “Così dice il Signore: Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. (2,16-17b.21-22
).
Dio ci vuole completamente per sé e ci strappa da tutte le nostre consuetudini, dalla vita quotidiana, per portarci nel deserto, nel luogo solitario del nostro cuore. 
E in questa solitudine, Dio è tutto per l'anima e l'anima è tutta per Dio, che parla al cuore dell'uomo. Allora la persona umana è capace di accogliere questa dichiarazione d'amore che Dio gli fa: Egli le dice ti amo.
Ma dichiarazione d'amore è esigenza di risposta, che l’essere umano dà a Dio nella preghiera, che per essere fatta bene non ha bisogno di molte parole, né di molti studi.
Mi spiego con un episodio della vita del Santo Curato d’Ars, che vedeva spesso in chiesa un contadino. Questo uomo illetterato dopo una giornata di lavoro nei campi, andava verso sera nella piccola chiesetta di Ars, si sedeva in un banco davanti al tabernacolo e vi restava per molto tempo. Un giorno, il Santo Curato si avvicinò a questo contadino in preghiera, che non apriva bocca neppure per mormorare le consuete preghiere popolari, e gli chiese: “Cosa dici al Signore?”- “Niente” rispose l’uomo e aggiunse “Io guardo Lui e Lui guarda me”. L’adorazione è l’essenziale della preghiera, è la preghiera che diventa sguardo ed apre il cuore alla Presenza di Bontà, Verità e Amore.
Al giorno d’oggi, viviamo in mezzo a una intensa iperattività. Neppure i preti e i religiosi vi sfuggono, anche perché sono sollecitati da compiti pastorali urgenti e così numerosi, da non poter affrontarli tutti. In mezzo a questo dilagare di vita e di attività, i periodi di preghiera tendono a presentarsi come dei vuoti, delle soste. Inoltre, molto spesso, si pensa che l'attività per gli altri sia l’unico arricchimento possibile e l’unica necessità evangelica, arrivando a guardare ai momenti di preghiera come a reali perdite di tempo.
L’esempio del contadino di Ars dimostra che è un grave errore pensare che la pura e semplice preghiera possa diventare inutile, che il tempo dedicato solamente a Dio sia tempo perso.
In effetti, come amava ripetere il Papa emerito Benedetto XVI, nessuno più di Gesù Cristo fu permanentemente in stato di adorazione e di preghiera davanti al Padre, poiché la visione di Dio dimorava nell'anima sua in mezzo a tutte le sue attività di uomo. Tuttavia Lui coglieva tutte le occasioni per immergersi nel silenzio e nella solitudine di una pura preghiera: “E, avendo congedate le folle, salì sul monte, in disparte, per pregare” (Mt 14, 23). “Il mattino, molto prima dell'alba, egli si levò, uscì e andò in un luogo solitario. E là pregava” (Mt 1, 35). Questi momenti di preghiera Gesù li sottraeva alle giornate massacranti, durante le quali non cessava di appartenere ai suoi discepoli, ai malati, alla folla che gli si accalcava intorno e lo cercava. Alla sera, di notte, al mattino, Gesù andava in disparte a pregare. Gesù, come uomo, sentiva il bisogno di momenti prolungati di preghiera, liberi da ogni attività umana.

Non va dimenticato che per Lui il legame tra l’azione e la preghiera era l’amore e altrettanto deve esserlo per noi. Un amore che si mette a disposizione dell’annuncio che Dio è diventato uomo e che questo uomo è presente in un “segno” di concordia, di comunione, di unità e di comunità, di unità di popolo, nella comunità dei redenti (è il terzo “luogo” di cui oggi parliamo): la Chiesa, vissuta in famiglia, in parrocchia, nel movimento, nel monastero.

2) La gente chi dice che io sia? E voi?
Con queste domande Gesù non intende certamente fare un sondaggio di opinione, che va bene per farsi un'idea su un argomento, non per impegnare la vita. Egli fa questa domanda e vuole aiutare i discepoli di allora e quelli di adesso a capire chi è Lui per noi e chi siamo noi per Lui.
Nel Vangelo di oggi questa domanda riceve due risposte.
La prima esprime l’opinione della gente che in Gesù vede un profeta, magari un grande profeta, ma non riesce a scorgere altro. La gente non era ostile a Gesù. Anzi accorreva in massa ad ascoltarlo, ma era interessata più ai vantaggi materiali che poteva ottenere dai suoi miracoli che dai vantaggi spirituali della sua presenza di carità tra loro. Evidentemente la folla non aveva capito il mistero della persona di Gesù. 


La seconda risposta viene da San Pietro. Il Capo degli Apostoli dà una stupenda risposta: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Gesù è così contento di questa risposta che dice: “Beato te Simone, perché né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”. Ma nello stesso tempo afferma che non ci sarebbe mai arrivato da solo, se il Padre non gliel'avesse suggerito.
Va notato che Gesù non aveva fatto la domanda dicendo: “Tu chi dici che io sia”, sebbene: “Voi chi dite che io sia?”. Il “Voi” è ecclesiale, perché è in questa risposta che nasce la Chiesa. Il rapporto “Io-Tu” è molto bello, ma l’“Io-Voi” è ancora più bello, perché in questa risposta personale diventiamo comunità, “luogo della festa e del perdono” dove incontriamo il Dio della Vita e dell’Amore.
La risposta di Pietro è esatta: “Cristo è Dio”, che vince il male con la Croce, che fa morire la morte con la Croce, che dà la vita per amore, che è ricco “solamente” di misericordia. E’ il contrario dell’egoista che vuole salvare se stesso: Dio-Amore vuole salvare l’altro. Lui il giusto si lascia giudicare. Lui che è la legge, è misericordia e perdono. Noi gli togliamo la vita, Lui dona la vita per noi. E’ magnifico questo Uomo-Dio.
Ma come possiamo seguirLo (vangelo romano) e varcare la porta stretta (vangelo ambrosiano) che si apre solo con la Croce come chiave? Come possiamo parlare di Lui, il Cristo di Dio, come ha fatto San Pietro? In ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate, che parlano di Cristo solo quando viene loro chiesto, ma vivono in modo tale che si chieda loro di Cristo (cfr Paul Claudel), perché la loro vita vissuta nella verginità dice che “Cristo è Dio e merita tutto”. La loro vita parla. Con una vita di e da Vergini che attendono lo Sposo e con la preghiera vigilante esse domandano per sé e per l’umanità intera che sia Cristo a varcare la porta stretta del nostro cuore dilatandolo. (Rito di Consacrazione della Vergini, n. 36 – Invio per la missione)

Lettura Patristica

Propongo il prologo della Regola di San Benedetto perché aiuta a capire e a vivere il fatto che l’essenziale è che il cuore dilati dicendo liberamente sì ad una salvezza che non viene da lui mediante la consacrazione. E poi essenziale è che il cuore, cosciente della sua incapacità a salvarsi da sé, ma anche del suo inalienabile desiderio di pienezza e felicità, decida di ascoltare un Altro nella preghiera, e che lo ascolti con la disponibilità a lasciarsi guidare, istruire, condurre verso la vita.

  Regola dei monaci

Prologo
  • Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno,
  • in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza.
  • Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.
  • Prima di tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di portare a termine quanto di buono ti proponi di compiere,
  • affinché, dopo averci misericordiosamente accolto tra i suoi figli, egli non debba un giorno adirarsi per la nostra indegna condotta.
  • Bisogna dunque servirsi delle grazie che ci concede per obbedirgli a ogni istante con tanta fedeltà da evitare, non solo che egli giunga a diseredare i suoi figli come un padre sdegnato,
  • ma anche che, come un sovrano tremendo, irritato dalle nostre colpe, ci condanni alla pena eterna quali servi infedeli che non lo hanno voluto seguire nella gloria.
  • Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: "E' ora di scuotersi dal sonno!"
  • e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio:
  • " Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!"
  • e ancora: " Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!".
  • E che dice? " Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.
  • Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte".
  • Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo:
  • "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?".
  • Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà:
  • "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila".
  • Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!".
  • Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama?
  • Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita!
  • Armati dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo regno.
  • Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la sua tenda, ossia nel suo regno, ricordiamoci che è impossibile arrivarci senza correre verso la meta, operando il bene.
  • Ma interroghiamo il Signore, dicendogli con le parole del profeta: "Signore, chi abiterà nella tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?".
  • E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda:
  • "Chi cammina senza macchia e opera la giustizia;
  • chi pronuncia la verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua;
  • chi non ha recato danni al prossimo, né ha accolto l'ingiuria lanciata contro di lui";
  • chi ha sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue suggestioni, respingendolo dall'intimo del proprio cuore e ha impugnato coraggiosamente le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo sorgere;
  • gli uomini timorati di Dio, che non si insuperbiscono per la propria buona condotta e, pensando invece che quanto di bene c'è in essi non è opera loro, ma di Dio,
  • lo esaltano proclamando col profeta: "Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria!".
  • Come fece l'apostolo Paolo, che non si attribuì alcun merito della sua predicazione, ma disse:" Per grazia di Dio sono quel che sono"
  • e ancora: "chi vuole gloriarsi, si glori nel Signore".
  • Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia.
  • E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia".
  • Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni.
  • Ed è proprio per permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni di questa vita
  • secondo le parole dell'Apostolo: "Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla conversione?"
  • Difatti il Signore misericordioso afferma: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva".
  • Dunque, fratelli miei, avendo chiesto al Signore a chi toccherà la grazia di dimorare nella sua tenda, abbiamo appreso quali sono le condizioni per rimanervi, purché sappiamo comportarci nel modo dovuto.
  • Perciò dobbiamo disporre i cuori e i corpi nostri a militare sotto la santa obbedienza.
  • Per tutto quello poi, di cui la nostra natura si sente incapace, preghiamo il Signore di aiutarci con la sua grazia.
  • E se vogliamo arrivare alla vita eterna, sfuggendo alle pene dell'inferno,
  • finche c'è tempo e siamo in questo corpo e abbiamo la possibilità di compiere tutte queste buone azioni,
  • dobbiamo correre e operare adesso quanto ci sarà utile per l'eternità.
  • Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore
  • nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso;
  • ma se, per la correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia,
  • non ti far prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è necessariamente stretta e ripida.
  • Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dall'indicibile sovranità dell'amore.
  • Così, non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra sofferenza ai patimenti di Cristo per meritare di essere associati al suo regno.

venerdì 14 giugno 2013

Gli occhi del cuore vedono l’Amore.

Rito romano
XI domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 16 giugno 2013
2 Sam 12,7-10.13; Sal 31; Gal 2,16.19-21; Lc 7,36-8,3
la domanda di perdono a Dio

Rito ambrosiano
IV Domenica di Pentecoste
Gen 4, 1-16; Sal 49; Eb 11,1-6; Mt 5, 21-24
Il perdono fraterno


1) Lacrime per l’assoluzione.
Molte volte abbiamo ascoltato l’episodio del Vangelo “romano” di oggi che racconta un fatto apparentemente strano: in una casa di un uomo per bene entra una donna, che non è per bene e che si mette a lavare i piedi di Cristo con un profumo molto caro. E Cristo accetta questo gesto di amore umile e puro, che i benpensanti presenti alla scena osservano perplessi.
Immaginiamoci la scena.
Con un cuore trepido ma colmo di riconoscenza questa donna osa entrare non voluta perché donna e per di più peccatrice pubblica (ma per il Vangelo è anonima) in un banchetto di soli uomini, che l’opinione pubblica stima come persone rette, perché osservano la legge di Dio ma ne hanno dimenticato il cuore.
Sfida i loro sguardi e guarda a Cristo, forse perché vuol pubblicamente mostrargli la sua riconoscenza. Gesù è l’unico che l’ama secondo verità e la toglie dalla condizione e dalla vergogna di donna pubblica. Il Messia sa che questa donna non è più peccatrice. Questa donna di tutti ha capito che c’è un amore più grande di ogni piacere carnale e un povertà più ricca di oro e profumi.
Lei ha capito di essere di Dio, e lo manifesta senza parlare.
Parla con i gesti che compie nei confronti dei piedi di Gesù.
Le lacrime di questa donna mostrano il pentimento per il proprio peccato. Il suo cuore è cambiato. Tutta la sua vita è mutata e le sue mani ora sono pure e possono toccare il Figlio di Dio, umilmente e santamente. Questa donna è così riconoscente a Cristo che vuole ringraziarlo in pubblico. Davanti a tutti ringrazia Chi le ha risuscitato il cuore, mondato l’anima togliendola dalla pubblica vergogna.
Il profumo che versa sui piedi di Cristo mostra quanto per lei Lui valesse. Non va dimenticato che Giuda per il suo tradimento ricevette 30 denari, con i quali poi fu comperato un campo per farne un cimitero per i pellegrini a Gerusalemme. Questa donna senza nome “spreca” un profumo che costa 300 denari per un gesto di pentimento provocato dall’Amore. A parte il prezzo notevole del profumo, questa donna si priva di uno “strumento di lavoro”, che le serviva per rendersi più attraente.
E’ come se già avesse intuito quello che Gesù le avrebbe detto: “Ti sono rimessi i tuoi peccati… va e non peccare più… la tua fede ti ha salvata”, quindi investe su di Lui o, con un linguaggio meno commerciale, si abbandona a lui e lava quei piedi che l’hanno portato a lei e all’intera umanità, che hanno ridato speranza a lei e a tutti quelli che desiderano rialzarsi abbandonando le false speranze.
Davanti ad una fede così grande e ad un amore così audace, l’Amore incarnato, che ha piedi sporchi per il cammino fatto per portare la buona e gioiosa Notizia di verità e di amore, non può che perdonare.
Il Portatore di pace non può che effondersi nel cuore di chi crede all’amore. Gesù altro non fa che sigillare il pentimento della donna e la sua volontà di riscatto, purificazione, santità. Questa donna ha veramente compreso chi è Cristo Gesù: Il Santo di Dio, la cui santità santifica lei e il mondo intero, il vero Uomo buono che con il perdono rende buona tutta l’umanità.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, la più umile tra le donne, ci aiuti a crescere nell’amore a suo Figlio. Se non possiamo imitare la Madonna nella sua purezza, imitiamola nella sua umiltà, carità, giustizia, santità. Preghiamo perché i nostri pensieri non siano come quelli Simone, che ospita Gesù “fisicamente”, ma non “spiritualmente “perché ha il cuore ingombrato da giudizi iniqui e temerari.


2) Una affermazione contraddittoria?
Prima di proclamare pubblicamente il suo perdono alla donna, Gesù si rivolge a Simone con una parabola sul significato dell'amore e del perdono, per aiutarlo a uscire dall'osservanza legalistica delle regole e per accedere al discernimento di ciò che è veramente importante: l'amore a Dio e l'amore al prossimo, la relazione vera con gli altri per la salvezza di tutti.
Gli racconta la parabola dei due debitori (cfr vangelo romano di oggi), poi conclude con una affermazione che può sembrare contraddittoria: “Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”.
La domanda che viene da farsi è: “E’ perdonato molto a chi ama molto, o ama molto colui al quale è perdonato molto?”. Che cosa viene prima: l’amore o il perdono?
Non voglio addentrarmi in elucubrazioni astratte, voglio solamente sottolineare che Gesù indica una circolarità tra il perdono causato dall’amore riconoscente e l’amore causato dal perdono.
Come prete, che oramai da più di quarant’anni celebra il sacramento della confessione, cerco di essere come una finestra aperta sull’amore perdonante di Dio e di fare in modo che il o la penitente lasci il confessionale con il cuore pieno di riconoscenza, e con il desiderio di ringraziare non il prete, ma Dio.
Mediante la Confessione ciascuno di noi può percepire su di sé lo sguardo e le parole che hanno illuminato l’anima di quella donna che, da morta che era, rinasce dalle sue lacrime e dal perdono di Cristo, e ora merita che il suo nome sia conosciuto: Maria (amata da Dio) Maddalena (delle città di Magda ma a partire da questo gesto di penitenza ora vuol dire: penitente e missionaria della misericordia). Che si tratti di Maria Maddalena è discusso dal punto di vista esegetico ma una secolare tradizione lo attesta. Ora questa Maria è una donna dal cuore puro, che da quel giorno si è messa in cammino per seguire Gesù Misericordia e per portare al mondo l’annuncio del perdono di Dio.
Affidiamoci a questo amore misericordioso di Dio con l’umiltà e la gratitudine della Maddalena. In effetti nella donna che gli lava i piedi Gesù non guarda il peccato, ma l’amore e la gratitudine. E lei le dice grazie con tutta se stessa, offrendo a Cristo in segno del suo amore riconoscente un vaso colmo di profumo preziosissimo.
Grazie al perdono la Maddalena divenne quello che Maria era per grazia: vaso onorabile, Tempio di gloria come ci ricordano le Litanie lauretane. Entrambe furono, in gradi diversi, testimoni dell’amore misericordioso.
Anche le Vergini consacrate offrono il loro corpo a Cristo come Vaso spirituale, con la loro consacrazione confermano di essere persone spirituali la cui cittadinanza è nei cieli (cfr Fil 3,20) e vivono la vita di ogni giorno come particolare testimonianza della compassione di Dio, il cui amore non possiamo meritare. Lui nella sua misericordia ce lo dona.
Essere testimoni della divina misericordia richiede di mantenere lo stesso cuore puro e aperto di Maria Vergine e del cuore purificato di Maria Maddalena, pregare con perseveranza e intercedere per le persone che ci chiedono di pregare per loro. E’ il compito particolare della Vergini consacrate: si veda il Preambolo del Rituale del rito di consacrazione delle vergini, n. 2, traduzione letterale del testo latino(1): “Per adempiere il loro compito di preghiera, è vigorosamente raccomandato alla vergini consacrate di celebrare quotidianamente l’Ufficio divino, soprattutto le Lodi e i Vespri. In tal modo, associando nella comunione le loro voci a quella di Cristo, Sommo Sacerdote, e a quella della Chiesa, loderanno senza interruzione il Padre celeste e intercederanno per la salvezza del monto intero
Essere testimoni della Misericordia significa seguire queste Marie ai piedi della Croce, guardare verso di Lui con occhi puri e annunciare a tutta l’umanità che Cristo è Misericordia. E tutti, vinti dalla fedeltà paterna e misericordiosa di Dio e dal perdono fraterno (cfr Vangelo ‘ambrosiano’), potremo cantare: “Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio! Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali …E’ in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce.” (Sal 35/36, 8-9).

(1) Praenotanda N° 2 : « Ad orationis munus explendum, virginibus sacratis vehementer suadetur ut Officium divinum, Laudes et Vesperas praesertim, cotidie recitent ; ita, vocem suam cum Chisto summo Sacerdote sanctaque consociantes Ecclesia, caelestem Patrem sine intermissione laudabunt et pro totius mundi salute intercedent. »

Breve commento esegetico:
Gesù annuncia Dio come Padre che ama tutti i suoi figli, buoni e cattivi, e non allontana i peccatori ma li cerca. Il contrasto fra Gesù e il fariseo non è dunque solo morale, ma teologico: investe la concezione di Dio. E poi il fariseo non è consapevole di essere peccatore: la donna invece è convinta del proprio peccato ed è riconoscente verso chi la perdona. Il fariseo no, egli si crede già giusto per conto proprio. E questa è la seconda ragione che lo rende cieco. Dunque, due punti di vista contrapposti. Che fare? Gesù avrebbe potuto alzarsi e dire: «Guai a voi, farisei ciechi..». E invece no. Cerca di far ragionare il fariseo, raccontandogli una parabola. Un ricco banchiere condonò un debito a due suoi debitori, a uno moltissimo, a un altro poco. Quale dei due debitori avrà maggior riconoscenza verso il banchiere? Il fariseo risponde prontamente: chi aveva il debito più grande. Proprio così, dice Gesù. La donna è stata perdonata e salvata, aveva un grosso debito e le è stato tolto. L'incontro con Gesù ha rappresentato per lei una liberazione, un perdono inaspettato, una dignità ritrovata: ecco perché è nei suoi riguardi piena di slancio. Il fariseo, invece, chiuso nella sua giustizia, non prova verso Gesù alcuna particolare riconoscenza. Solo chi sa di dover essere perdonato e gratuitamente amato (e ne fa l'esperienza), coglie il vero senso della visita di Gesù.



NB
Il fiore di nardo, la cui immagine si trova riprodotta in basso a destra dello stemma di Papa Francesco (vedi sotto) è un olio profumato di altissimo valore. Nella Bibbia è simbolo dell’amore fedele fino a dare la vita. Un semplice vasetto di questo olio profumato, infatti, costava più di trecento denari, quasi quanto lo stipendio annuale di un salariato. Per tale motivo nella Bibbia il profumo del nardo esprime l’amore che non ha prezzo e si realizza diffondendosi. Nei Vangeli assume il senso di profezia della passione e morte di Gesù.
Illustrazione dello Stemma di Papa Francesco:
  • In alto centralmente l'emblema araldico della Compagnia di Gesù con un disco raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere IHS, il monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi della Passione.
  • In basso a sinistra si trova una stella a otto punte d'oro che simboleggia la Vergone Maria.
  • In basso a destra un fiore di nardo d'oro che simboleggia San Giuseppe.
.





Lettura Patristica
Omelie 25 ; PL 76, 1188
« Donna, perché piangi ?
di San Gregorio Magno (ca 540 – 604)

         Maria diviene testimone della compassione di Dio; sì, quella stessa Maria... che un fariseo voleva fermare nel suo slancio di tenerezza. “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice” (Lc 7,39). Le sue lacrime però hanno cancellato le macchie del suo corpo e del suo cuore; si è gettata nelle orme del suo Salvatore, abbandonando le vie del male. Era seduta ai piedi di Gesù e lo ascoltava (Lc 10,39). Vivo, lo stringeva tra le braccia; morto lo cercava. E ha trovato vivo colui che cercava morto. Ha trovato in lui tanta grazia da portare in prima persona l’annuncio agli apostoli, ai messaggeri di Dio!

         Cosa dobbiamo vedere in questo, fratelli, se non la tenerezza infinita del nostro Creatore che, per ravvivare la nostra coscienza, dispone dappertutto degli esempi di peccatori pentiti. Getto gli occhi su Pietro, guardo il ladrone, esamino Zaccheo, considero Maria, e non vedo nulla in essi se non delle chiamate alla speranza e al pentimento. La vostra fede è sfiorita dal dubbio? Pensate a Pietro che piange amaramente sulla sua vigliaccheria. Siete infiammati dall’ira contro il vostro prossimo? Pensate al ladrone: in piena agonia, si pente e guadagna le ricompense eterne. L’avarizia vi inaridisce il cuore? Avete spogliato altrui? Vedete Zaccheo che rende quattro volte tanto quanto aveva rubato. In preda a qualche passione, avete perso la purezza della carne? Guardate Maria, che purifica l’amore della carne al fuoco dell’amore divino.

         Sì, il Dio onnipotente ci offre dappertutto degli esempi e dei segni della sua compassione. Prendiamo dunque in odio i nostri peccati, anche i più antichi. Il Dio onnipotente dimentica volentieri che abbiamo commesso il male, ed è pronto a guardare al nostro pentimento come fosse l’innocenza in persona. Noi che, dopo le acque della salvezza eravamo rimasti macchiati, rinasciamo dalle nostre lacrime... Il nostro redentore consolerà le vostre lacrime di un giorno, nella sua gioia eterna.

Cenni biografici
Papa san Gregorio, nato intorno al 540, fu Vescovo di Roma tra il 590 e il 604, e meritò dalla tradizione il titolo di Magno/Grande.
Dopo un non lungo periodo come alto funzionario statale, lasciò ogni carica civile, per ritirarsi nella sua casa ed iniziare la vita di monaco, trasformando la casa di famiglia nel monastero di Sant’Andrea al Celio. In questo periodo di vita monastica, vita di dialogo permanente con il Signore nell’ascolto della sua parola, Papa Gregorio acquisì quella profonda conoscenza della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa di cui si servì poi nelle sue opere.  
Papa Gregorio fu anche attivo protagonista delle vicende politiche del suo tempo. A questo riguardo tre furono gli obiettivi sui quali egli puntò costantemente: contenere l’espansione dei Longobardi in Italia; sottrarre la regina Teodolinda all’influsso degli scismatici e rafforzarne la fede cattolica; mediare tra Longobardi e Bizantini in vista di un accordo che garantisse la pace nella penisola e in pari tempo consentisse di svolgere un’azione evangelizzatrice tra i Longobardi stessi.
Non va dimenticato che, se egli promosse intese sul piano diplomatico-politico, la sua priorità fu quella di essere un pastore della Chiesa e di diffondere l’annuncio della vera fede tra le popolazioni.
Accanto all’azione spirituale, pastorale e politica, questo grande Santo Papa svolse anche di una multiforme attività sociale. Con le rendite del considerevole patrimonio che la Sede romana possedeva in Italia, specialmente in Sicilia, comprò e distribuì grano, soccorse chi era nel bisogno, aiutò sacerdoti, monaci e monache che vivevano nell’indigenza, pagò riscatti di cittadini caduti prigionieri dei Longobardi, comperò armistizi e tregue.
Fu un uomo immerso in Dio: il desiderio di Dio era sempre vivo nel fondo della sua anima e proprio per questo egli era sempre molto vicino al prossimo, ai bisogni della gente del suo tempo. In un tempo disastroso, anzi disperato, seppe creare pace e dare speranza. Quest’uomo di Dio ci mostra dove sono le vere sorgenti della pace, da dove viene la vera speranza e diventa così una guida anche per noi oggi.