III
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 27 gennaio 2013
Rito
Romano
Ne
8,2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21
Rito
Ambrosiano
Sir
44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
Festa
della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.
1)
La Promessa realizzata.
Nell'Antico
Testamento Dio aveva parlato principalmente promettendo e chiedendo
l’osservanza della Legge, che è “luce
degli occhi e gioia del cuore”
(cfr Sal. 18 B, 4).
Dunque
è chiaro il perché, insieme con Esedra, il profeta Neemia, che ha
assunto il compito di riedificare le mura di Gerusalemme e ripopolare
la città abbandonata, riunisce la comunità ebrea ritornata
dall’esilio di Babilonia, e celebra una grandiosa liturgia per
conoscere la Legge ed impegnarsi a praticarla.
Sempre
nel brano odierno tratto dal libro di Neemia leggiamo che il popolo,
ascoltando la lettura della Legge, piange perché sente che la sua
vita è messa in discussione e mossa alla conversione. Neemia, il
principale organizzatore del ritorno dall’esilio in Babilonia e
della rinnovata vita sociale e religiosa incoraggia i presenti: “Oggi
è un giorno di festa! Non vi rattristate, perché la gioia del
Signore è la vostra forza”.
E lo diceva un uomo, che pur avendo ricostruito le mura di
Gerusalemme (siamo nel 444 a.C.) era sicuro che il più valido muro
di difesa è la fedeltà alla Legge data dal Signore al suo popolo.
Questo profeta invita alla gioia perché è certo che, nonostante
tutte le mancanze umane, Dio rimane fedele e che il giorno in cui
inizia una vita nuova, convertita alla Legge, deve essere un giorno
di festa, di gioia e di condivisione come il pranzo in comune indica.
Nacque
allora la pratica ebraica di leggere ogni sabato nella sinagoga un
brano tratto dalla Bibbia. Anche nel Vangelo la Parola è al centro
dell’assemblea dei credenti. Ivi la Parola è proclamata
solennemente, ascoltata attentamente e giustamente viene
capita=accolta come messaggio di speranza, di gioia, di liberazione.
Dunque
Gesù si inserisce in questa pratica e di sabato entra nella Sinagoga
di Nazareth.
Ma
solo con Gesù la Scrittura è attualizzata e realizzata pienamente:
in Lui si compie la promessa. Gesù fa il suo commento, molto breve;
ma in esso si rivela, si presenta, si fa conoscere apertamente come
il Messia Salvatore. Sulla bocca di Cristo le parole antiche del
profeta Isaia, vecchie di secoli, scritte su un rotolo vecchio
diventano trasparenti, attuali, fresche, concrete, splendenti di una
rivelazione che si compie. Sono parole che diventano nuove: una buona
novella non solo promessa ma realizzata.
La
gente di Nazareth (ma non solo) non è pronta, non è attenta al
passaggio di Dio; a Nazareth succede il più grande scompiglio. I
“suoi” non l'hanno accolto, non si sono aperti alla fede, hanno
creduto che fosse un matto, al punto di volerlo gettare dalla rupe.
Gesù
è stato chiaro: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi
avete udita”.
Qual era la Scrittura letta e ascoltata? Era il
testo profetico di Isaia: “Lo
Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con
l'unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista,
per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia
del Signore”.
Cristo Gesù è il Messia, l’Unto, il consacrato di Dio, perché
ha ricevuto “l’unzione
della gioia”
divina e nuziale (Sal 44,8). A questo titolo usato nella Bibbia, mi
permetto di aggiungere che Gesù è la “Parola indelebile”
(Tommaso Federici,
nato il 30 aprile 1927 e morto il 13 aprile 2002, fu un notevole
Biblista, Patrologo
e Liturgista italiano),
il Cuore che parla ai cuori, l’Amore che guarisce gli amori umani:
Gesù porta ed è la buona e lieta notizia che l'amore di Dio per
tutti è senza limiti.
Come
evitare di cadere nello stesso grave errore dei concittadini di Gesù,
i quali fissarono su di Lui i loro occhi quando cominciò a leggere
nella sinagoga di Nazareth, e dopo un primo momento di benevolo
stupore, decisero di eliminarlo?
Volgendo,
con-vertendo a Gesù non solo gli occhi, ma il cuore e con esso la
vita intera. Allora su di noi “sarà
impressa la luce del suo volto”
(Sal
4,7).
Sull’esempio
dei fedeli riuniti nella sinagoga di Nazareth guardiamo fisso verso
Gesù in attesa del suo insegnamento, trattenendo il fiato in attesa
che Gesù spieghi e completi quello che viene letto. Il loro cuore
volto a Gesù, prima che Lui parlasse, era in ansia, dopo fu nello
stupore di sentire che la promessa era compiuta. “Felice
è quell’assemblea di cui la Scrittura testimonia che gli occhi
erano fissi su di Lui”
(Origene, Commento
al Vangelo di Luca,
32, 2-6).
Purtroppo
poi reagirono negativamente. Per non cadere in questo rifiuto
dobbiamo chiedere di aver occhi puri e di fede per vedere che siamo
nella pienezza dei tempi, in cui il Salvatore guarisce i ciechi
(anche quelli che non vedono le cose celesti, perché chini su quelle
terrestri, se lo domandano) e i sordi (anche quelli che non odono la
Parola del Cielo, perché le loro orecchie sono otturate dai rumori
della terra, se lo implorano), dona il Regno ai poveri (anche quelli
che sono immersi nella povertà dell’egoismo, se tendono la mano
per esserne tirati fuori), la libertà ai prigionieri (anche quelli
che sono legati al peccato, se chiedono di esserne sciolti).
Il
tempo è compiuto e l’uomo è ricreato dal Redentore mediante la
misericordia, purché contrito domandi questa liberazione donata
dall’alleanza nuova. Il Vangelo è la lieta “informazione” che
tutto ciò è vero e possibile per sempre. “Il
dono supera in abbondanza la domanda”
(Sant’Ambrogio, Commento
a Luca,
10, 121) e la realizzazione è ancor più grande della promessa.
2)
L’Alleanza di misericordia rivolta a Teofilo.
L’alleanza
nuova di Cristo è un’alleanza di misericordia, che è abbraccio di
pace come quello dato dal Padre al figlio prodigo. E’ un’alleanza
nuova che non è più incisa su pietre ma nel cuore, un’alleanza di
perdono. Ma il perdono ricevuto implica un dovere: di perdonare.
Portati a pienezza dall’Amore che redime perdonando, dobbiamo
portare questo amore misericordioso agli altri, al mondo intero.
Dobbiamo essere evangelizzatori nuovi recando nel mondo il perdono di
Dio. Se Cristo in Croce disse: “Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno”,
non potremo dire anche noi, come quel santo che pregando per i suoi
nemici disse: “Signore
a che serve che io li abbia perdonati, se tu non li fai entrare in
Paradiso”?
Sì, lo potremo con la grazia di Dio. Si lo potremo se saremo dei
“Teofili”, per i quali San Luca ha scritto il suo Vangelo.
Teofilo
(dal greco Theos = Dio, philos = amore) vuol dire chi
ama Dio e/o chi
è amato da Dio. In
entrambi i casi - che noi amiamo Dio o che noi desideriamo di essere
amati da Dio - dobbiamo leggere il Vangelo di San Luca come scritto
per noi, donato a noi.
Un
dono, un dono grande che è fatto non solo di parole: il Vangelo non
è una delle tante visioni del mondo, una teoria sul mondo e
sull’uomo. Il Vangelo è incontro con la persona di Gesù, che si
fa avvenimento della nostra vita e fa della nostra vita un
avvenimento della Sua presenza per gli altri.
Il
modo migliore per corrispondere a un dono è quello di donare, di
donarci a Cristo e di donarci alla sua missione in questo mondo,
donarci agli altri con l’impegno quotidiano dei nostri gesti in
casa e sul lavoro. In questo ci sia di modello la Santa Famiglia di
Nazareth, la cui festa è oggi celebrata dalla liturgia ambrosiana.
Gesù,
Maria e Giuseppe, quale
comunità di vita sotto la volontà d’amore di Dio
(H.U. von Balthasar), vissero la dimensione del dono e del perdono
senza limiti (Per-donare è donare all’infinito). Il loro esempio
ci chiama ad essere testimoni del dono di Dio che dà luce, senso,
bellezza e gioia alla vita del mondo intero.
A
questa testimonianza del dono sono chiamate in modo particolare le
Vergini consacrate, come recita l’antichissima ed intensa preghiera
consacratoria, risalente al IV secolo. Il Vescovo che presiede il
rito dell’Ordo Virginum rivolgendosi a Dio tra l'altro recita:
“...mentre rimaneva
intatto il valore e l’onore delle nozze, santificate all’inizio
dalla tua benedizione, secondo il tuo provvidenziale disegno,
dovevano sorgere donne vergini che, pur rinunziando al matrimonio,
aspirassero a possederne nell’intimo la realtà del mistero. Così
tu le chiami a realizzare, al di là dell’unione coniugale, il
vincolo sponsale con Cristo di cui le nozze sono immagine e segno”;
e conclude: “In te,
Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra
di tutto”.
In
un tempo in cui la verginità è purtroppo poco stimata, perché
sembra una mancanza invece che essere compresa nel valore di dono
totale di sé che essa rappresenta, le Vergini consacrate
testimoniano che è possibile
vivere questo dono grande, lieto
e utile. «Voi,
vergini consacrate, siete già come angeli su questa terra»
(Sant’Ambrogio, De
Virginitate). Non nel
senso che la loro vita si sottragga alla realtà concreta, ma perché
testimoniano già oggi, l’oggi
di Cristo, che il
destino dell’uomo si gioca in riferimento a Cristo.
Esse mostrano che questo dono riempie talmente di gioia la vita da
poter diventare definitivo.
LETTURA PATRISTICA
SANT’AGOSTINO
D’IPPONA
LA
SANTA VERGINITÀ
http://www.augustinus.it/italiano/santa_verginita/index2.htm
Introduzione all'opera.
1.
1. Or non è molto abbiamo pubblicato un libro su La
dignità del matrimonio.
In esso esortavamo le vergini di Cristo - come le esortiamo anche
adesso - a non disprezzare i coniugi dell'antico popolo di Dio, anche
se, paragonandosi con loro, troveranno che il proprio dono divino è
più grande e più sublime. Di tali coniugi e del ministero che
mediante la generazione dei figli rendevano al Messia venturo fa
l'elogio l'Apostolo chiamandoli il buon olivo, per eliminare ogni
superbia nell'olivo selvatico che vi è stato innestato .
Non si deve pensare che fossero inferiori in merito, anche se per
diritto divino la continenza in se stessa è più eccellente del
matrimonio e la verginità consacrata più eccellente delle nozze.
Per loro mezzo, infatti, si preparavano e venivano realizzandosi
quegli eventi futuri che noi oggi riscontriamo essersi verificati con
meravigliosa efficacia: tanto che la stessa loro vita coniugale aveva
un valore profetico, e non va attribuito ai soliti motivi di calcolo
personale e di soddisfazione esclusivamente umana se in certuni di
loro la fecondità meritò degli onori segnalati e se, in altri, fu
resa feconda persino la sterilità. Ogni cosa in loro accadeva per
un'arcana disposizione divina. Quanto al tempo presente, invece,
coloro cui si riferiscono le parole: Se
non riescono a contenersi, si sposino
non hanno bisogno
d'essere incoraggiati ma rasserenati. Mentre gli altri, per i quali
sta scritto: Capisca
chi può,
hanno proprio bisogno di esortazione perché non si spaventino, e di
salutare timore perché non si inorgogliscano. Non basta quindi
elogiare la verginità perché venga amata. Occorrerà anche
aggiungere degli ammonimenti perché non si gonfi d'orgoglio.
Dignità delle vergini nella Chiesa, vergine feconda.
2.
2. È quanto intraprendiamo con la presente trattazione. Ci aiuti
Cristo, figlio della Vergine e sposo delle vergini, nato fisicamente
da un grembo verginale, sposato misticamente con nozze verginali. Se
tutta la Chiesa è una vergine
fidanzata a un sol uomo, il Cristo
(come si esprime
l'Apostolo), quale non dovrà essere l'onore che meritano quelle
persone che custodiscono anche nel corpo l'integrità che tutti i
credenti conservano nella fede! La Chiesa ricopia gli esempi della
madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e
vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci
della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli
coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente
il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di
quel capo. Nell'una e nell'altra la verginità non ostacola la
fecondità; nell'una e nell'altra la fecondità non toglie la
verginità. La Chiesa è, tutt'intera, santa nel corpo e nell'anima,
ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell'anima.
Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra
che conservano la verginità nel corpo e nell'anima?
Parentela di sangue e parentela spirituale.
3.
3. Un giorno - racconta il Vangelo - la madre e i fratelli di Gesù
(cioè i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa
perché la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro].
Gesù uscì in queste parole: Chi
è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i
suoi discepoli, disse: Ecco i miei fratelli! Poiché, chiunque fa la
volontà del Padre mio, questi è mio fratello e madre e sorella .
Ci insegnava con
questo ad attribuire più importanza al nostro parentado spirituale
che non a quello carnale. Ci insegnava a ritenere beata la gente, non
per i vincoli di parentela o di sangue che vanta con persone giuste e
sante, ma perché, attraverso l'obbedienza e l'imitazione, si
adeguano al loro insegnamento e alla loro condotta. Proprio come
Maria, la quale, se fu beata per aver concepito il corpo di Cristo,
lo fu maggiormente per aver accettato la fede nel Cristo. A quel
tale, infatti, che aveva esclamato: Beato
il grembo che ti ha portato!,
il Signore replicò: Beati
sono, piuttosto, coloro che ascoltano la parola di Dio
e la osservano.
Si sa di certi
fratelli di Gesù (cioè suoi parenti di famiglia), che non
credettero in lui. A costoro cosa giovò la parentela che li univa a
Cristo? E così anche per Maria: di nessun valore sarebbe stata per
lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l'avesse
portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì
nella carne.
Prototipo delle vergini è Maria, vergine per libera scelta.
4.
4. La verginità di Maria fu certamente molto gradita e cara [al
Signore]. Egli non si contentò di sottrarla - dopo il suo
concepimento - a ogni violazione da parte dell'uomo, e così
conservarla sempre incorrotta. Già prima d'essere concepito volle
scegliersi, per nascere, una vergine consacrata a Dio, come indicano
le parole con le quali Maria replicò all'Angelo che le annunziava
l'imminente maternità. Come
potrà accadere una tal cosa -
disse - se io non
conosco uomo? .
E certo non si sarebbe
espressa in tal modo se prima non avesse consacrato a Dio la sua
verginità. Ella si era fidanzata perché la verginità non era
ancora entrata nelle usanze degli ebrei; ma s'era scelta un uomo
giusto, che non sarebbe ricorso alla violenza per toglierle quanto
aveva votato a Dio, che anzi l'avrebbe protetta contro ogni violenza.
Che se nella sua risposta ella si fosse limitata a dire: Come
accadrà questo? e non
avesse aggiunto: poiché
non conosco uomo,
anche in questo caso le sue parole non sarebbero certo state una
richiesta d'informazioni sul come avrebbe messo al mondo il figlio
che le veniva promesso, qualora sposandosi non avesse escluso ogni
uso del matrimonio. L'obbligo di restare vergine poteva anche esserle
imposto dall'esterno, affinché il Figlio di Dio assumesse la forma
di servo con un miracolo degno dell'evento. Ma non fu così: fu lei
stessa a consacrare a Dio la sua verginità quando ancora non sapeva
chi avrebbe concepito. E così sarebbe stata di esempio alle sante
vergini, e nessuno avrebbe mai potuto credere che la verginità è
una prerogativa di colei che aveva meritato la fecondità senza il
concorso dell'uomo. In tal modo questa imitazione della vita celeste
da parte di persone rivestite di corpo mortale e fragile cominciò ad
esistere in forza d'una promessa, non di una imposizione; d'un amore
che sceglie, non d'una necessità che rende schiavi. E così Cristo,
nascendo da una vergine che aveva deciso di restare vergine quando
ancora non sapeva chi sarebbe nato da lei, mostrò che preferiva
intervenire all'approvazione della verginità piuttosto che ad
impartirne il comando; e per questo motivo volle che, anche in colei
che gli avrebbe somministrato la forma di servo, la verginità fosse
di libera scelta.
Fratello, sorella e madre di Cristo.
5.
5. Le sante vergini non debbono rammaricarsi se, conservando la
verginità, non possono diventar madri in senso fisico. Caso unico,
infatti, in cui fu conveniente che la verginità partorisse fu quello
di chi, nella sua nascita, non avrebbe dovuto avere l'eguale. Del
resto, il parto di quella Vergine singolare e santa è una gloria di
tutte le sante vergini: esse sono, in Maria, madri del Cristo, a
condizione però che facciano la volontà del Padre. È infatti a
questo titolo che Maria è madre di Cristo in senso più encomiabile
e felice, secondo la parola evangelica sopra ricordata: Chi
fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli,
costui mi è fratello e
sorella e madre .
Elenca tutti questi
vincoli di parentela, ma, trattandosi del popolo dei redenti, li
presenta elevati all'ordine soprannaturale, cioè riferiti a se
stesso. Egli ritiene per fratelli e sorelle i santi e le sante con i
quali condivide l'eredità celeste. Sua madre è la Chiesa
universale, in quanto, mediante la grazia divina, genera le sue
membra, cioè i suoi fedeli. Inoltre, di ogni anima devota si può
dire che essa è madre di Cristo, nel senso che, facendo la volontà
del Padre, mediante la carità - che è virtù fecondissima - dà la
vita a tutti coloro in cui imprime la forma di Cristo.
Quanto a Maria, essa adempì la volontà del Padre; e in tal modo, se
fisicamente fu soltanto madre di Cristo, spiritualmente gli fu
sorella e madre.