venerdì 25 gennaio 2013

La Promessa e il suo Compimento: l’Alleanza definitiva.

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 27 gennaio 2013

Rito Romano
Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21

Rito Ambrosiano
Sir 44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.



1) La Promessa realizzata.
Nell'Antico Testamento Dio aveva parlato principalmente promettendo e chiedendo l’osservanza della Legge, che è “luce degli occhi e gioia del cuore” (cfr Sal. 18 B, 4).
Dunque è chiaro il perché, insieme con Esedra, il profeta Neemia, che ha assunto il compito di riedificare le mura di Gerusalemme e ripopolare la città abbandonata, riunisce la comunità ebrea ritornata dall’esilio di Babilonia, e celebra una grandiosa liturgia per conoscere la Legge ed impegnarsi a praticarla.
Sempre nel brano odierno tratto dal libro di Neemia leggiamo che il popolo, ascoltando la lettura della Legge, piange perché sente che la sua vita è messa in discussione e mossa alla conversione. Neemia, il principale organizzatore del ritorno dall’esilio in Babilonia e della rinnovata vita sociale e religiosa incoraggia i presenti: “Oggi è un giorno di festa! Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”. E lo diceva un uomo, che pur avendo ricostruito le mura di Gerusalemme (siamo nel 444 a.C.) era sicuro che il più valido muro di difesa è la fedeltà alla Legge data dal Signore al suo popolo. Questo profeta invita alla gioia perché è certo che, nonostante tutte le mancanze umane, Dio rimane fedele e che il giorno in cui inizia una vita nuova, convertita alla Legge, deve essere un giorno di festa, di gioia e di condivisione come il pranzo in comune indica.
Nacque allora la pratica ebraica di leggere ogni sabato nella sinagoga un brano tratto dalla Bibbia. Anche nel Vangelo la Parola è al centro dell’assemblea dei credenti. Ivi la Parola è proclamata solennemente, ascoltata attentamente e giustamente viene capita=accolta come messaggio di speranza, di gioia, di liberazione.
Dunque Gesù si inserisce in questa pratica e di sabato entra nella Sinagoga di Nazareth.
Ma solo con Gesù la Scrittura è attualizzata e realizzata pienamente: in Lui si compie la promessa. Gesù fa il suo commento, molto breve; ma in esso si rivela, si presenta, si fa conoscere apertamente come il Messia Salvatore. Sulla bocca di Cristo le parole antiche del profeta Isaia, vecchie di secoli, scritte su un rotolo vecchio diventano trasparenti, attuali, fresche, concrete, splendenti di una rivelazione che si compie. Sono parole che diventano nuove: una buona novella non solo promessa ma realizzata.
La gente di Nazareth (ma non solo) non è pronta, non è attenta al passaggio di Dio; a Nazareth succede il più grande scompiglio. I “suoi” non l'hanno accolto, non si sono aperti alla fede, hanno creduto che fosse un matto, al punto di volerlo gettare dalla rupe.
Gesù è stato chiaro: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udita”. 
Qual era la Scrittura letta e ascoltata? Era il testo profetico di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore”. 
Cristo Gesù è il Messia, l’Unto, il consacrato di Dio, perché ha ricevuto “l’unzione della gioia” divina e nuziale (Sal 44,8). A questo titolo usato nella Bibbia, mi permetto di aggiungere che Gesù è la “Parola indelebile” (Tommaso Federici, nato il 30 aprile 1927 e morto il 13 aprile 2002, fu un notevole Biblista, Patrologo e Liturgista italiano), il Cuore che parla ai cuori, l’Amore che guarisce gli amori umani: Gesù porta ed è la buona e lieta notizia che l'amore di Dio per tutti è senza limiti.
Come evitare di cadere nello stesso grave errore dei concittadini di Gesù, i quali fissarono su di Lui i loro occhi quando cominciò a leggere nella sinagoga di Nazareth, e dopo un primo momento di benevolo stupore, decisero di eliminarlo?
Volgendo, con-vertendo a Gesù non solo gli occhi, ma il cuore e con esso la vita intera. Allora su di noi “sarà impressa la luce del suo volto” (Sal 4,7).
Sull’esempio dei fedeli riuniti nella sinagoga di Nazareth guardiamo fisso verso Gesù in attesa del suo insegnamento, trattenendo il fiato in attesa che Gesù spieghi e completi quello che viene letto. Il loro cuore volto a Gesù, prima che Lui parlasse, era in ansia, dopo fu nello stupore di sentire che la promessa era compiuta. “Felice è quell’assemblea di cui la Scrittura testimonia che gli occhi erano fissi su di Lui” (Origene, Commento al Vangelo di Luca, 32, 2-6).
Purtroppo poi reagirono negativamente. Per non cadere in questo rifiuto dobbiamo chiedere di aver occhi puri e di fede per vedere che siamo nella pienezza dei tempi, in cui il Salvatore guarisce i ciechi (anche quelli che non vedono le cose celesti, perché chini su quelle terrestri, se lo domandano) e i sordi (anche quelli che non odono la Parola del Cielo, perché le loro orecchie sono otturate dai rumori della terra, se lo implorano), dona il Regno ai poveri (anche quelli che sono immersi nella povertà dell’egoismo, se tendono la mano per esserne tirati fuori), la libertà ai prigionieri (anche quelli che sono legati al peccato, se chiedono di esserne sciolti).
Il tempo è compiuto e l’uomo è ricreato dal Redentore mediante la misericordia, purché contrito domandi questa liberazione donata dall’alleanza nuova. Il Vangelo è la lieta “informazione” che tutto ciò è vero e possibile per sempre. “Il dono supera in abbondanza la domanda” (Sant’Ambrogio, Commento a Luca, 10, 121) e la realizzazione è ancor più grande della promessa.

2) L’Alleanza di misericordia rivolta a Teofilo.
L’alleanza nuova di Cristo è un’alleanza di misericordia, che è abbraccio di pace come quello dato dal Padre al figlio prodigo. E’ un’alleanza nuova che non è più incisa su pietre ma nel cuore, un’alleanza di perdono. Ma il perdono ricevuto implica un dovere: di perdonare. Portati a pienezza dall’Amore che redime perdonando, dobbiamo portare questo amore misericordioso agli altri, al mondo intero. Dobbiamo essere evangelizzatori nuovi recando nel mondo il perdono di Dio. Se Cristo in Croce disse: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, non potremo dire anche noi, come quel santo che pregando per i suoi nemici disse: “Signore a che serve che io li abbia perdonati, se tu non li fai entrare in Paradiso”? Sì, lo potremo con la grazia di Dio. Si lo potremo se saremo dei “Teofili”, per i quali San Luca ha scritto il suo Vangelo.
Teofilo (dal greco Theos = Dio, philos = amore) vuol dire chi ama Dio e/o chi è amato da Dio. In entrambi i casi - che noi amiamo Dio o che noi desideriamo di essere amati da Dio - dobbiamo leggere il Vangelo di San Luca come scritto per noi, donato a noi.
Un dono, un dono grande che è fatto non solo di parole: il Vangelo non è una delle tante visioni del mondo, una teoria sul mondo e sull’uomo. Il Vangelo è incontro con la persona di Gesù, che si fa avvenimento della nostra vita e fa della nostra vita un avvenimento della Sua presenza per gli altri.
Il modo migliore per corrispondere a un dono è quello di donare, di donarci a Cristo e di donarci alla sua missione in questo mondo, donarci agli altri con l’impegno quotidiano dei nostri gesti in casa e sul lavoro. In questo ci sia di modello la Santa Famiglia di Nazareth, la cui festa è oggi celebrata dalla liturgia ambrosiana.
Gesù, Maria e Giuseppe, quale comunità di vita sotto la volontà d’amore di Dio (H.U. von Balthasar), vissero la dimensione del dono e del perdono senza limiti (Per-donare è donare all’infinito). Il loro esempio ci chiama ad essere testimoni del dono di Dio che dà luce, senso, bellezza e gioia alla vita del mondo intero.
A questa testimonianza del dono sono chiamate in modo particolare le Vergini consacrate, come recita l’antichissima ed intensa preghiera consacratoria, risalente al IV secolo. Il Vescovo che presiede il rito dell’Ordo Virginum rivolgendosi a Dio tra l'altro recita: “...mentre rimaneva intatto il valore e l’onore delle nozze, santificate all’inizio dalla tua benedizione, secondo il tuo provvidenziale disegno, dovevano sorgere donne vergini che, pur rinunziando al matrimonio, aspirassero a possederne nell’intimo la realtà del mistero. Così tu le chiami a realizzare, al di là dell’unione coniugale, il vincolo sponsale con Cristo di cui le nozze sono immagine e segno”; e conclude: “In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto”.
In un tempo in cui la verginità è purtroppo poco stimata, perché sembra una mancanza invece che essere compresa nel valore di dono totale di sé che essa rappresenta, le Vergini consacrate testimoniano che è possibile vivere questo dono grande, lieto e utile. «Voi, vergini consacrate, siete già come angeli su questa terra» (Sant’Ambrogio, De Virginitate). Non nel senso che la loro vita si sottragga alla realtà concreta, ma perché testimoniano già oggi, l’oggi di Cristo, che il destino dell’uomo si gioca in riferimento a Cristo. Esse mostrano che questo dono riempie talmente di gioia la vita da poter diventare definitivo.


LETTURA PATRISTICA
SANT’AGOSTINO D’IPPONA
LA SANTA VERGINITÀ
http://www.augustinus.it/italiano/santa_verginita/index2.htm

Introduzione all'opera.
1. 1. Or non è molto abbiamo pubblicato un libro su La dignità del matrimonio. In esso esortavamo le vergini di Cristo - come le esortiamo anche adesso - a non disprezzare i coniugi dell'antico popolo di Dio, anche se, paragonandosi con loro, troveranno che il proprio dono divino è più grande e più sublime. Di tali coniugi e del ministero che mediante la generazione dei figli rendevano al Messia venturo fa l'elogio l'Apostolo chiamandoli il buon olivo, per eliminare ogni superbia nell'olivo selvatico che vi è stato innestato . Non si deve pensare che fossero inferiori in merito, anche se per diritto divino la continenza in se stessa è più eccellente del matrimonio e la verginità consacrata più eccellente delle nozze. Per loro mezzo, infatti, si preparavano e venivano realizzandosi quegli eventi futuri che noi oggi riscontriamo essersi verificati con meravigliosa efficacia: tanto che la stessa loro vita coniugale aveva un valore profetico, e non va attribuito ai soliti motivi di calcolo personale e di soddisfazione esclusivamente umana se in certuni di loro la fecondità meritò degli onori segnalati e se, in altri, fu resa feconda persino la sterilità. Ogni cosa in loro accadeva per un'arcana disposizione divina. Quanto al tempo presente, invece, coloro cui si riferiscono le parole: Se non riescono a contenersi, si sposino non hanno bisogno d'essere incoraggiati ma rasserenati. Mentre gli altri, per i quali sta scritto: Capisca chi può, hanno proprio bisogno di esortazione perché non si spaventino, e di salutare timore perché non si inorgogliscano. Non basta quindi elogiare la verginità perché venga amata. Occorrerà anche aggiungere degli ammonimenti perché non si gonfi d'orgoglio.

Dignità delle vergini nella Chiesa, vergine feconda.
2. 2. È quanto intraprendiamo con la presente trattazione. Ci aiuti Cristo, figlio della Vergine e sposo delle vergini, nato fisicamente da un grembo verginale, sposato misticamente con nozze verginali. Se tutta la Chiesa è una vergine fidanzata a un sol uomo, il Cristo  (come si esprime l'Apostolo), quale non dovrà essere l'onore che meritano quelle persone che custodiscono anche nel corpo l'integrità che tutti i credenti conservano nella fede! La Chiesa ricopia gli esempi della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo. Nell'una e nell'altra la verginità non ostacola la fecondità; nell'una e nell'altra la fecondità non toglie la verginità. La Chiesa è, tutt'intera, santa nel corpo e nell'anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell'anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell'anima?

Parentela di sangue e parentela spirituale.
3. 3. Un giorno - racconta il Vangelo - la madre e i fratelli di Gesù (cioè i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa perché la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro]. Gesù uscì in queste parole: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco i miei fratelli! Poiché, chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è mio fratello e madre e sorella . Ci insegnava con questo ad attribuire più importanza al nostro parentado spirituale che non a quello carnale. Ci insegnava a ritenere beata la gente, non per i vincoli di parentela o di sangue che vanta con persone giuste e sante, ma perché, attraverso l'obbedienza e l'imitazione, si adeguano al loro insegnamento e alla loro condotta. Proprio come Maria, la quale, se fu beata per aver concepito il corpo di Cristo, lo fu maggiormente per aver accettato la fede nel Cristo. A quel tale, infatti, che aveva esclamato: Beato il grembo che ti ha portato!, il Signore replicò: Beati sono, piuttosto, coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano. Si sa di certi fratelli di Gesù (cioè suoi parenti di famiglia), che non credettero in lui. A costoro cosa giovò la parentela che li univa a Cristo? E così anche per Maria: di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l'avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne.

Prototipo delle vergini è Maria, vergine per libera scelta.
4. 4. La verginità di Maria fu certamente molto gradita e cara [al Signore]. Egli non si contentò di sottrarla - dopo il suo concepimento - a ogni violazione da parte dell'uomo, e così conservarla sempre incorrotta. Già prima d'essere concepito volle scegliersi, per nascere, una vergine consacrata a Dio, come indicano le parole con le quali Maria replicò all'Angelo che le annunziava l'imminente maternità. Come potrà accadere una tal cosa - disse - se io non conosco uomo? . E certo non si sarebbe espressa in tal modo se prima non avesse consacrato a Dio la sua verginità. Ella si era fidanzata perché la verginità non era ancora entrata nelle usanze degli ebrei; ma s'era scelta un uomo giusto, che non sarebbe ricorso alla violenza per toglierle quanto aveva votato a Dio, che anzi l'avrebbe protetta contro ogni violenza. Che se nella sua risposta ella si fosse limitata a dire: Come accadrà questo? e non avesse aggiunto: poiché non conosco uomo, anche in questo caso le sue parole non sarebbero certo state una richiesta d'informazioni sul come avrebbe messo al mondo il figlio che le veniva promesso, qualora sposandosi non avesse escluso ogni uso del matrimonio. L'obbligo di restare vergine poteva anche esserle imposto dall'esterno, affinché il Figlio di Dio assumesse la forma di servo con un miracolo degno dell'evento. Ma non fu così: fu lei stessa a consacrare a Dio la sua verginità quando ancora non sapeva chi avrebbe concepito. E così sarebbe stata di esempio alle sante vergini, e nessuno avrebbe mai potuto credere che la verginità è una prerogativa di colei che aveva meritato la fecondità senza il concorso dell'uomo. In tal modo questa imitazione della vita celeste da parte di persone rivestite di corpo mortale e fragile cominciò ad esistere in forza d'una promessa, non di una imposizione; d'un amore che sceglie, non d'una necessità che rende schiavi. E così Cristo, nascendo da una vergine che aveva deciso di restare vergine quando ancora non sapeva chi sarebbe nato da lei, mostrò che preferiva intervenire all'approvazione della verginità piuttosto che ad impartirne il comando; e per questo motivo volle che, anche in colei che gli avrebbe somministrato la forma di servo, la verginità fosse di libera scelta.

Fratello, sorella e madre di Cristo.
5. 5. Le sante vergini non debbono rammaricarsi se, conservando la verginità, non possono diventar madri in senso fisico. Caso unico, infatti, in cui fu conveniente che la verginità partorisse fu quello di chi, nella sua nascita, non avrebbe dovuto avere l'eguale. Del resto, il parto di quella Vergine singolare e santa è una gloria di tutte le sante vergini: esse sono, in Maria, madri del Cristo, a condizione però che facciano la volontà del Padre. È infatti a questo titolo che Maria è madre di Cristo in senso più encomiabile e felice, secondo la parola evangelica sopra ricordata: Chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, costui mi è fratello e sorella e madre . Elenca tutti questi vincoli di parentela, ma, trattandosi del popolo dei redenti, li presenta elevati all'ordine soprannaturale, cioè riferiti a se stesso. Egli ritiene per fratelli e sorelle i santi e le sante con i quali condivide l'eredità celeste. Sua madre è la Chiesa universale, in quanto, mediante la grazia divina, genera le sue membra, cioè i suoi fedeli. Inoltre, di ogni anima devota si può dire che essa è madre di Cristo, nel senso che, facendo la volontà del Padre, mediante la carità - che è virtù fecondissima - dà la vita a tutti coloro in cui imprime la forma di Cristo. Quanto a Maria, essa adempì la volontà del Padre; e in tal modo, se fisicamente fu soltanto madre di Cristo, spiritualmente gli fu sorella e madre.

venerdì 18 gennaio 2013

L’amore fa miracoli: l’acqua trasformata in vino a Cana, il vino in sangue a Gerusalemme.

II Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 20 gennaio 2013

Rito romano
Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12

Rito ambrosiano
Est 5,1-1c.2-5; Sal 44; Ef 1,3-14; Gv 2,1-11


1) Un miracolo di gioia.
Non è casuale il fatto che il primo miracolo compiuto da Gesù sia dovuto all’intercessione di Sua Madre per far continuare la gioia del giorno in cui due sposi consacrano il loro amore alla presenza di Cristo Gesù.
L’episodio è molto conosciuto. Gesù insieme con i suoi discepoli è invitato a nozze in una piccola città non lontana da Nazareth: Cana di Galilea. Sappiamo che era presente anche la Madonna, che è la co-protagonista dell’avvenimento. In effetti, quando verso la fine del pranzo nuziale stava per finire il vino, la Vergine Maria fu la prima ad accorgersene e, in modo cortese ma deciso, chiese a suo Figlio di intervenire per risolvere questo inconveniente e, quindi, far continuare la gioia di due sposi novelli nel giorno in cui consacrano il loro reciproco amore a Dio.
Può sembrare strano che la Madonna si preoccupi di qualcosa che il cosiddetto buon senso considererebbe se non superfluo, almeno di non grande importanza. Sembrerebbe eccessivo scomodare l’onnipotenza di Dio per rimediare alla mancanza di vino, anche perché ormai si è alla fine della festa. Ma la Vergine Madre è donna sensibile e concreta e conosce l’importanza delle “piccole” gioie della vita.
Il primo messaggio del Vangelo odierno è, secondo me, questo: il primo miracolo di Gesù è, per intercessione della Madonna, un miracolo di gioia perché non venga meno la serenità della vita, che si svolge sotto gli occhi del Padre provvidente, che ha creato per noi il cielo e la terra e l’infinità di cose ed esseri che cielo e terra contengono.
L’amore divino fa miracoli sempre, anche per sostenere le gioie semplici dell’esistenza umana e lo fa con generosità così grande che a noi sembra uno spreco. Cristo trasforma in vino di alta qualità l’acqua contenuta in 6 anfore da un ettolitro l’una. Mette a disposizione ben sei ettolitri di vino per una fine-pasto: è veramente segno della munificenza di Dio.
Tuttavia non va dimenticata la risposta, all’apparenza un po’ brusca, di Gesù alla sollecitudine della Madre: “Che importa a te e a me, Donna?” (Questo appellativo “Donna” non indica una presa di distanza, una estraneità verso la Madre, il sostantivo “Donna” sarà usato da Cristo anche sulla croce quando dirà a sua Madre : “Donna, ecco tuo figlio” per affidarle l’Apostolo Giovanni e tutti noi con lui) e subito aggiunge: “La mia ora non è ancora venuta”. Maria, che non si sente indifferente a quanto sta accadendo ai giovani sposi, anticipa questa ora, che è l’Ora della Passione, con la sua intercessione di tenerezza. Perciò la madre disse ai servi: “Fate tutto quello che egli vi dirà”. Sono queste le ultime parole di Maria che i Vangeli ci riportano. Le ultime come le prime (quelle dette al momento dell’Annunciazione e della visita alla cugina Elisabetta) sono parole che la Madonna, nostra Madre, ci offre per indicarci il corretto rapporto con Cristo.
Chissà se la Madonna ha presentito che il riferimento all’“Ora” indicava che l’evento nuziale di Cana è un festoso quadro, sul cui sfondo si staglia la Passione del Figlio. A Cana l’acqua è trasformata in vino, a Gerusalemme, nel Cenacolo, quando l’Ora sarà arrivata, il vino sarà mutato in sangue.
Le nozze di Cana sono il segno di un’altra Alleanza, quella Nuova, quella che sarà sigillata dalla Croce e Maria diventerà la Donna dell’Alleanza sigillata dalla croce. Maria, la cui fede è un modello per noi, è guidata dal Figlio ad una fede ancor più adulta e, se la sua richiesta di un miracolo era per avere la soluzione all’imbarazzo degli sposi e delle loro famiglie, il miracolo compiuto da Gesù è pure per una rivelazione più alta. Egli rivela di essere venuto a restituire all'uomo e alla donna la capacità di essere famiglia, vera e lieta: santa. Egli ne è il fondamento, il sapore e la gioia, il vino nuovo, serbato fino alla fine e, in ciò -dice Giovanni- Gesù “manifesta la sua gloria”, perché “la Gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Sant’Ireneo), nell’immensa e eterna gioia.

2) Una risposta positiva grazie a Maria.
Diceva san Luigi Grignion de Montfort: “Dio ha riunito tutte le acque e le ha chiamate mare; ha riunito tutte le grazie e le ha chiamate Maria”. Figuriamoci se la Madre di tutte le grazie poteva avere una risposta negativa da suo Figlio. La Vergine Madre non ha avuto la minima indecisione nel dire ai servi, ancor prima di avere la risposta positiva di Gesù: “Fate tutto ciò che Egli vi dirà”. Sa benissimo che la fiducia totale in Lui non viene mai delusa. 
Lei è il Vangelo vivente, è l'esperta di Dio. A Lei furono consegnati i misteri della redenzione. Umile serva di Dio e liberamente docile alla Volontà di Dio, Maria ha ascoltato la Parola divina, L’ha accolta nel suo cuore e sotto il suo cuore, e ha portato frutto. Così, visto che lei per prima ha ascoltato Lui e ha fatto la Sua volontà, ora Gesù ascolta lei e fa la sua volontà, operando uno straordinario miracolo, ancor prima che fosse giunta la sua ora. 


Anche noi dobbiamo ascoltare il Signore, accoglierLo nella nostra esistenza e portare frutto.
Poi, dobbiamo essere evangelizzatori delle meraviglie, di cui siamo stati testimoni e beneficiari. 
Nel Vangelo odierno, non si tratta solo di un racconto di nozze. L’apostolo Giovanni dice che in quel giorno Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui.
La gloria indica l'essere profondo di una persona che viene rivelato. Gesù comincia a manifestare chi Egli è veramente. E' colui che dona il vino migliore, mostrando che Lui è il vero sposo che deve venire: il Messia. Le nozze di Cana richiamano le nozze di Dio con il suo popolo, annunciate dai profeti. 


3) Un miracolo che ne richiama un altro.
Quindi, credo di essere nel vero se affermo che il miracolo principale del vangelo di oggi riguarda la presenza di Cristo a Cana per queste nozze, in cui Lui purifica, eleva e santifica l’amore umano di un uomo e di una donna, radicandolo nel Suo Amore. Il miracolo dell’acqua trasformata in vino è segno miracoloso, semplice e stupefacente dell’amore di terra trasformato in amore di cielo.
Il mistero (parola che vuol dire anche sacramento e luogo dell’incontro con Dio) di Cana, che è il primo dei miracoli cristiani, ci spinge a credere pienamente in Gesù, come è accaduto ai discepoli, e allo stesso tempo ci dona una fiducia filiale in Maria e ci incoraggia a imitarLa.
Come imitare Maria? Come giungere alla sua sicura fiducia in Cristo?

Vivendo, come la Madonna, la consapevolezza di appartenere a Dio, vivendo come Lei di fede.
Con e per fede, Maria disse “sì” all’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio.
Con e per una fede amorosa, la Madonna si recò da Elisabetta ed innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie realizzate in coloro che si abbandonano fiduciosamente a Lui.
Con e per una fede gioiosa e trepidante, la Vergine Madre diede alla luce il suo unico Figlio.
Con e per questa fede, Lei ebbe piena fiducia in Giuseppe suo sposo e portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode.
Con e per questa stessa fede Lei accettò la vita pubblica del Figlio e lo seguì fino sul Calvario, rimanendo sotto la Croce.
Con e per fede accettò noi come suoi figli nel Figlio, noi che eravamo i colpevoli della morte del suo Figlio crocifisso.
Imitiamo la Madonna in questa vita di fede, dove preghiera e azione sono intimamente unite.
Maria è modello di fede perché è modello di contemplazione, di orante amore. Dunque, come faceva la Madonna anche noi contempliamo Gesù. Con amore che si fa preghiera, guardiamo il Verbo fatto carne quando vagisce, gioca, lavora, predica, muore sulla Croce e uccide la morte risplendendo nella Risurrezione.
Sull’esempio della Madre Vergine domandiamo grazie “visibili” con gli occhi del corpo come quella dell’acqua trasformata in vino e la Grazia “visibile” con gli occhi della fede: Gesù Cristo.
In ciò siano di sostegno le Vergini Consacrate, fra i cui compiti principali c’è quello di essere sorgenti contemplative e maestre di preghiera amorosa per tutti i cristiani, uomini e donne, piccoli e grandi.
É compito grande delle Vergini Consacrate quello di coltivare la contemplazione di Cristo, Verità vivente, e di farla scoprire agli altri. In questo modo il primato del contemplare sul fare, dell'essere sull'avere sarà sempre più riconosciuto.
Infatti, la consacrazione delle Vergini si pone essenzialmente sul piano dell'essere e non su quello del fare. Il ministero delle Vergini Consacrate è soprattutto un «ministero contemplativo», un «ministero dell'orante in ascolto della Parola e ministero dell'amore» (Premesse al Rito della Consacrazione delle Vergine, 1 e 2). In effetti, le vergini consacrate che vivono nel mondo sono segno e testimonianza profetica all'interno del popolo di Dio. Per condividere la Grazia di Cristo, esse nutrono la loro vita con il Corpo dello Sposo, l’alimentano con la meditazione della Parola e con la preghiera assidua.






LETTURA PATRISTICA
Dal vangelo secondo Giovanni.     
Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.
Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 
Omelia dai Trattati di sant'Agostino sul vangelo di Giovanni.
In Io,tr.VIII,1.3-4. PL 35,1450-1452.
 
Il miracolo di Cana non sorprende qualora si riconosca che fu Dio a compierlo. Colui che cambia in vino l'acqua di cui aveva fatto riempire quelle sei anfore, di anno in anno opera il medesimo miracolo in ogni ceppo di vite.
L'acqua versata dai servi al banchetto si trasforma in vino per l'azione del Signore, come l'acqua delle nubi che irriga la vite, diviene ogni anno vino grazie al medesimo Signore. Questo prodigio non ci sbalordisce, giacché si rinnova ogni estate: la regolarità con cui si ripete neutralizza la meraviglia, anche se è ancora più strepitoso di quello di Cana.
Osserva infatti le risorse che Dio dispiega nel reggere e governare questo mondo; come non rimanere ammirati, persino sopraffatti, di fronte a tale perpetuo miracolo? Considera anche un solo chicco di una qualsiasi semenza: che prodigio! La mente che vi fa attenzione ne resta come attonita.
Di fronte alle meraviglie del creato compiute dal Verbo di Dio, c'è da stupirsi se l'acqua è mutata in vino da Gesù uomo? Quando si è incarnato, il Verbo non ha smesso di essere Dio: si è aggiunto l'uomo, non è venuto meno Dio.
Non dobbiamo rimanere stupefatti del miracolo del vangelo: ma amiamo Dio, perché lo ha compiuto in mezzo a noi per la nostra salvezza.
Anche con una sua minima azione il Signore ci suggerisce qualcosa; cerchiamo di scoprire ciò che volle insegnarci intervenendo alle nozze. A parte il miracolo, il racconto stesso adombra un senso misterioso e sacro. Bussiamo perché Cristo ci apra e ci inebri del vino invisibile. Eravamo insipienti, insipidi come acqua, e Dio ci rende sapienti; mediante la fede ci converte in vino gustoso.
Forse cogliere il senso del miracolo di Cana spetta proprio a questa sapienza intrisa di onore per Dio, di lode per la sua potenza e di amore per la sua misericordia.
Il Signore, invitato, si recò al banchetto nuziale. C'è da meravigliarsi che sia entrato in quella casa per partecipare alle nozze, dato che è venuto nel mondo per celebrare le sue? Se lo Sposo è sceso fino a noi, dov'è la sposa? Ce lo spiega l'Apostolo, quando dice Vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo. Però san Paolo teme che la verginità della sposa di Cristo sia corrotta da inganni diabolici, per cui aggiunge: Temo però che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo (2 Cor 11,2-3).
Il Signore ha qui dunque una sposa. L'ha redenta con il suo sangue, le ha dato come pegno lo Spirito Santo; l'ha strappata alla tirannia del diavolo; è morto per le sue colpe; è risuscitato per la sua giustificazione. Quale sposo potrebbe offrire tanto alla sua sposa.
C'è chi porge in dono all'amata quanto di meglio esiste al mondo: oro, argento, pietre preziose, cavalli, schiavi, ville, possedimenti; ma ci sarà un solo uomo che dia il suo sangue? E' inconcepibile, perché offrendo il sangue non potrebbe più sposarla.
Invece il Signore affronta serenamente la morte, dà il suo sangue per colei che sarà sua dopo la risurrezione, colei che già aveva unito a sé nel seno della Vergine. Il Verbo infatti è lo Sposo e l'umanità di Cristo è la sposa; entrambi poi sono l'unico Figlio di Dio, che è insieme figlio dell'uomo. Il seno della Vergine Maria è il talamo nuziale, dove, secondo la profezia della Scrittura, Egli esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via (Sal 18,6).
 Il Capo della Chiesa, lo Sposo, s'avanza nel mondo e viene alle nozze di Cana dove è stato invitato.


venerdì 11 gennaio 2013

Battesimo di Gesù, epifania di un amore speciale: la misericordia

Battesimo di Gesù, epifania di un amore speciale: la misericordia
Domenica dopo l’Epifania, 13 gennaio 2013

Rito romano
Is 40,1-5.9-11; Sal 103; Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22.

Rito ambrosiano
Is 55, 4-7; Sal 29 (28), 1-3a. 3c-4. 3b. 9c-10; Ef 2, 13-22; Lc 3, 15-16.21-22



1) Ancora un’epifania.
Il giorno di Natale e il 6 gennaio, abbiamo accolto la manifestazione (=epifania) di Gesù ai pastori e ai saggi Re Magi, che erano andati da Lui, Lo avevano riconosciuto e adorato, mettendosi in ginocchio e offrendo doni.
I pastori – penso - Gli portarono in omaggio bianchi doni: latte, formaggio, lana e, perché no, un agnello per onorare il bianco Splendore di Dio. Doni poveri? Un dono è sempre di grande valore, se donato con gioia e amore. L’amore non si misura da quanto diamo, ma da quanto amore mettiamo nel dono.
Anche i Magi seguirono questa “legge del dono” (Madre Teresa di Calcutta) e mostrarono il loro amore rispettoso offrendo dell’oro al bambino Gesù onorato quale vero Re dei Re, Gli presentarono dell’incenso, perché in Lui riconobbero il vero Dio. Infine, riconoscendo in Gesù Cristo il vero Uomo Gli donarono la mirra, strano regalo per un bambino perché la mirra si usava per i morti: drammatica profezia del destino di un neonato venuto al mondo per donare la sua vita, totalmente. Dio è nato per donarsi a noi. Con un bambino, con questo Bambino ci è donata l’Eternità, la cui porta è aperta dalla Croce.
Oggi, la liturgia ci propone di celebrare il modo con cui Dio stesso vive la “legge del dono”, convalidando con la sua divina testimonianza quella dei pastori e dei Magi. Così ci è concesso di assistere ad un’altra epifania (=manifestazione) di Gesù, Pace inviata, donata e presente, mentre per secoli era stata promessa, differita, profetizzata. Dio manifesta la sua pace nell’umanità di Gesù, ricolma di grazia e di misericordia.
La manifestazione celebrata oggi ci spinge a contemplare e fare nostre almeno tre cose:
  1. l’umiltà di Cristo, Uomo-Dio, che va da un uomo a farsi battezzare, in segno di penitenza e conversione. Lui è l’Agnello innocente, che umilmente porta il peccato del mondo. Con l’incarnazione il Figlio di Dio, che è infinita potenza, che è la grandezza assoluta, diviene umile impotenza: è un bambino. Ma nel Battesimo Gesù scende ancora più in basso: si costituisce quasi peccatore, Egli entra nell'acqua presentandosi come peccatore pubblico, come penitente. Egli ci ama d’amore infinito e non esita a scendere nel fondo più abissale della nostra povertà, della nostra umiliazione, del nostro peccato.
  2. La solidarietà di Cristo, che pur essendo senza nessun peccato si mette in fila con i suoi fratelli uomini peccatori per condividere la loro sofferenza e portare il loro male. Lui prende su di sé anche il castigo di ogni peccato per far vivere l’uomo della Sua vita, della Sua santità. Nulla mostra maggiormente la misericordia divina che l'aver Egli assunto la nostra stessa miseria. E questa misericordia non è una debolezza, ma una passione d’amore che ricrea.
  3. La testimonianza di Dio Padre, che apre il cielo del Suo Cuore e manda il Suo Spirito dolce, soave come una colomba e dice: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo”. Ora gli uomini non hanno scuse per non credere: Dio si fa udire e la Sua testimonianza è davvero credibile. I Vangeli ci narrano di due volte, in cui il Padre riconosce Gesù come Suo Figlio: nel Battesimo e durante la Trasfigurazione. Alla testimonianza Paterna legata al Battesimo di Gesù assistettero Giovanni il Battista e la folla, che vide Gesù discendere nell'acqua in mezzo a tutti i peccatori, come uno di loro. Questa folla vide aprirsi i cieli, ascoltò le parole pronunciate dal Padre per indicare il Figlio prediletto e fu educata a riconoscere la grandezza di Dio e la Sua suprema umiltà che si spoglia di tutto: Gesù è l'umiltà che vuol mettersi al di sotto di noi per poterci portare al Padre.


2) Tutta la vita di Cristo è una epifania di paradiso.
Nel Battesimo al Giordano troviamo in germe l'intera vita di Gesù, che porta il Cielo sulla Terra. Allo stesso modo nel nostro battesimo c'è il germe di tutta la nostra esistenza cristiana, che è una esistenza da Paradiso.
Mi spiego: Cristo, facendosi solidale con noi, ci ha resi uno con Lui: tutti gli esseri umani vivono nel Figlio. A noi figli nel Figlio il Padre si comunica, a noi dona il suo Spirito. E se lo Spirito di Dio è in noi, il Paradiso è qui, è aperto per noi e per tutta l’umanità. Origene affermò ancora di più e scrisse: “Vedendo il Figlio, riposando in noi la compiacenza del Padre che ci ama nell’Amato, noi siamo il Paradiso di Dio”.
Quindi, il battesimo – quello di Gesù e il nostro – implica una missione di paradiso. Una missione da svolgere, come dice il profeta Isaia (cfr I lettura della Messa), nella fermezza: «Proclamerà il diritto con fermezza», e nella dolcezza: «Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta». Una missione che non percorre le vie della violenza superba, ma quelle della delicatezza umile: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce». Una missione che dà speranza e salvezza agli infelici: «Perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri». Una missione, infine, universale: i suoi confini sono la «terra», «le nazioni», «le isole lontane».
Il Figlio di Dio è entrato nel mondo non per starsene nascosto, ma anzi proprio per farsi conoscere e amare, per costruire il mondo nuovo e salvare l’uomo. Anche quando noi diventiamo cattivi, Cristo rimane buono e perdona le nostre cattiverie. Lui non vuole distruggere, lui ama ricostruire. Egli è venuto su questa terra per aprire in terra il Paradiso con la sua bontà onnipotente e inesauribile.
Salvare l’uomo per Cristo vuol dire liberarlo dal peccato e dalle violente miserie che ne derivano. Vuol dire saldarlo in una comunione con Lui e con gli altri uomini così che il prossimo diviene fratello e sorella: questa è una vita da paradiso. Vuol dire fare nostre e condividere con gli altri le parole del buon ladrone: “Signore ricordati di me nel tuo Regno” ed accogliere la risposta di Cristo che disse: “Oggi sarai con me in Paradiso” cioè “D’ora in poi sarai sempre con me”.
Non dobbiamo dimenticare che questa salvezza non riguarda solo la fine e l’al di là della storia: la lavora dall’interno, le dà un senso. La vita eterna è già cominciata e germoglia sulla terra.
Il Regno di Dio è in cantiere nel cuore degli uomini indaffarati a costruire la loro città. I cristiani non sono migliori degli altri, ma sono consapevoli di essere peccatori rendenti, che annunciano al mondo che Gesù è il Signore. I cristiani in forza del battesimo sono chiamati ad essere il sale che deve salare la terra, la luce che illumina il mondo, portando la gioia del Paradiso.
Il cristiano non fugge dal mondo, “lavora” per metterlo sempre più nelle mani di Dio, per partecipare, con il cuore e con l’azione, alla gestazione del mondo nuovo, dove tutti avremo stabile e felice dimora.

3) Un’epifania femminile
Tutti siamo chiamati a questo “lavoro” che realizza sempre di più l’epifania di Dio nel mondo. Credo, tuttavia, di non sbagliare se affermo che le vergini consacrate sono chiamate a vivere questa epifania secondo la loro femminilità.
Incontrandole il 2 giugno 1995, il Beato Giovanni Paolo II disse loro: “Carissime Sorelle, Maria è vostra madre, sorella, maestra. Imparate da lei a compiere la volontà di Dio e ad accogliere il suo progetto salvifico; a custodirne la parola e a confrontare con essa gli accadimenti della vita; a cantare le sue lodi per le “grandi opere” in favore dell’umanità; a condividere il mistero del dolore; a portare Cristo agli uomini e a intercedere per chi è nel bisogno.
Siate con Maria là, nella sala delle nozze dove si fa festa e Cristo si manifesta ai suoi discepoli come Sposo messianico; siate con Maria presso la Croce, dove Cristo offre la vita per la Chiesa; restate con lei presso il Cenacolo, la casa dello Spirito, che si effonde come divino Amore nella Chiesa Sposa.” (Giovanni Paolo II, Discorso alle Partecipanti al Convegno internazionale dell’ ORDO VIRGINUM nel 25 anniversario della promulgazione del Rito, 2 giugno 1995, n. 8).
Dunque, sempre e particolarmente nel contesto attuale, credo sia molto importante la presenza della vergine consacrata proprio come donna. Ovunque si trovi a vivere, lavorare, studiare, parlare, servire, pregare, con il suo modo di essere testimonia la nuzialità della sua esistenza donata e capace di abbracciare Cristo nella sua totalità, cantando le lodi dello Sposo e allargando il cuore a ogni figlio fino a sentirsi «corpo» della Chiesa, diventando epifania dello Sposo mediante il dono sincero e totale di se stessa.