Domenica di Pasqua – Resurrezione del Signore – Anno A – 9 aprile 2017
At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9
1) Il cristianesimo è la religione dei vivi.
“Fra tutti i giorni dell’anno che la Liturgia celebra in vari modi, non ce n’è uno, che superi per importanza la festa di Pasqua, perché, nella Chiesa di Dio, questa rende sacre tutte le altre solennità. Anche la nascita del Signore è orientata verso questo mistero: il Figlio di Dio non ebbe altra ragione di nascere, che quella di essere inchiodato alla croce. Nel grembo della Vergine, infatti, egli prese carne mortale; in questa carne mortale fu realizzato interamente il disegno della passione; e così avvenne che, per un piano ineffabile della misericordia di Dio, questa diventasse per noi sacrificio redento re, abolizione del peccato e inizio di risurrezione alla vita eterna” (San Leone Magno, Sermo XLVIII, 1 - P.L. 54, 298 A - 299 A). Quindi è stato giusto e doveroso preparaci alla Pasqua con il cammino (=l’esodo) quaresimale ci ha resi ancor più consapevoli che siamo un popolo “costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità” (Lumen Gentium, 9, e da Lui preso per essere strumento della redenzione di tutta l’umanità.
Oggi, inizia l’esodo pasquale per camminare “nel mondo alla ricerca della città futura e permanente (cfr. Eb 13, 14) e portare al mondo Cristo, autore della salvezza e principio di unità e di pace, perché noi, Chiesa, sia per tutti e per ciascuno il sacramento visibile di questa unità salvifica” (cfr. Ibid.).
Chi ci guida in questo cammino? Cristo risorto dalla morte, una morte alla quale l’avevano condannato assurdamente, perché Lui aveva detto al mondo la verità ed aveva dato l’amore.
Gesù, buon Pastore, ci guida usando come pastorale la Croce, sulla quale è morto. Il suo (di Gesù) morire in Croce tra gli insulti e i maltrattamenti, da Lui patiti fino alla morte, fu un morire per noi, povere creature, per il nostro vantaggio e al nostro posto. Mentre pativa l’odio degli uomini, prendeva questo odio su di sé; togliendolo a loro e accogliendolo nella sua misericordia. Il suo fu un morire dell’amore che non muore.
Cristo, buon Pastore, non solo guida le sue pecore, ma prende quella smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Stretti al suo Corpo viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio.
Questo cuore infinito ci è stato rivelato da Cristo che, mediante la sua risurrezione, rivela che l’amore è più forte della morte, più forte del male. La forza per mezzo della quale ci porta con sé, tenendoci stretti sulle sue spalle. Uniti al suo amore, saliamo anche con Lui verso la casa del Cielo, la dimora della Vita nell’amore.
In Cristo crocifisso, il dolore umano ha un senso, perché non mira a distruggere la vita, ma a chi lo sa accettare serve a renderla più intensa e perfetta: santa e salvifica.
La croce non è “scandalo” per gli ebrei e “follia” per i greci di duemila anni fa, anche oggi per molti essa “scandalo” e “follia”. Ma se contempliamo con attenzione e devozione il mistero della Pasqua capiamo che l’ “assurdo” e “scandaloso” agire di Dio ha come ragione l’amore gratuito, misericordioso e onnipotente di Dio per gli uomini che si manifesta in pienezza e potenza sulla Croce di Cristo. In effetti, questa Croce ha due facce: l’apparente sconfitta e la vittoria, il Crocifisso e il Risorto. Nella Croce si rivela tutta la cattiveria e la miseria dell'uomo che non esita a condannare il Figlio di Dio innocente, ma si manifesta anche tutta la profondità e l'efficacia del perdono di Dio.
In Cristo crocifisso e risorto l’ultima parola non ce l’ha l’odio, ma l’amore. In questa totale carità, e non altrove, va cercata la vera ragione della speranza cristiana, la buona notizia[1], che dà senso e spessore alla vita e alla storia, nonostante i fallimenti. Ma è una buona e lieta notizia, che esige conversione non solo ad una vita morale buona ma alla religione della Vita vera.
In questa religione, camminiamo con Cristo risorto che passa dalla morte alla vita, e passiamo dal sacrificio alla gloria, dall’abnegazione alla fecondità, dalla rinuncia all’amore, dall’amore alla vita. Non c’è altra via che conduce alla beatitudine, alla pienezza completa, alla Vita. E’ il cammino tracciato dalla Resurrezione.
2) Cristo è risorto, non è qui.
Alle pie donne che, nel primo bagliore del giorni, erano andate al sepolcro per imbalsamare il corpo di Gesù, gli angeli dissero: "Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. E’ risorto, non è qui". Questa parole esprimono tutto il mistero che oggi noi celebriamo: Gesù Nazareno, il crocefisso, è risorto.
Cosa vuol dire questa affermazione: “E’ risorto”? Non vuol dire che Gesù morto in croce è stato rianimato, restituito cioè alla vita di prima, come per esempio era successo al figlio della vedova di Naim e a Lazzaro, che furono richiamati dalla morte ad una vita che poi doveva concludersi con una morte definitiva. La risurrezione di Gesù non è un superamento della morte fisica, che conosciamo anche oggi: superamento provvisorio che ad un certo momento termina con un morte senza ritorno. Gesù non rivive come un morto rianimato, ma in forza della potenza divina, al di sopra e al di fuori della zona di ciò che è fisicamente e chimicamente misurabile. La potenza di Dio fa sì che il corpo morto-crocefisso di Gesù sia reso partecipe della stessa vita divina: vita eterna. Vita qualitativamente diversa da quella vissuta prima.
Per usare parole più concrete (almeno lo spero): il Verbo incarnato è introdotto, passando attraverso la morte, con la sua umanità in quella Gloria divina di cui nella sua divinità godeva da sempre. Nell’ultima sera della sua vita terrena, Gesù aveva pregato così: “e ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5). La mattina di Pasqua questa preghiera è stata esaudita.
3) Cercatelo in Galilea, cioè tra i vivi.
Dopo aver detto alle pie donne: “Non è qui, è risorto”, gli angeli aggiungono subito: “Andate in Galilea, là lo vedrete”. Cosa vuol dire per noi oggi questa indicazione di andare in Galilea. Secondo me, almeno per noi, “Galilea” non è un luogo geografico, è un luogo del cuore, un luogo esistenziale.
Non dobbiamo cercare Cristo nei sepolcri dei defunti, neppure tra i grandi personaggi impolverati dal tempo che noi chiamiamo storia, tantomeno nei libri e nelle utopie. Cerchiamolo tra i vivi, cerchiamolo perché Cristo è il Dio del fiore vivo e non dei morti pensieri.
Ma mi si potrebbe chiedere: “Come possiamo essere sicuri che i vivi non ci ingannano?”. In questo caso risponderei così: “Cercatelo tra i viventi in Cristo, cioè nella Chiesa”. Cerchiamolo tra quelli che hanno la forza e la grazie di affermare : “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1 Gv 1, 1-4).
Alla luce di quanto scrive San Giovanni, cerco di indicare alcune modi di dove e come incontra Gesù Risorto.
Il primo – ne ho fatto cenno poco sopra - è la Chiesa, che diventa esperienza concreta nella comunità cristiana, dove la Parola ci edifica, i Sacramenti ci santificano e ci rendono partecipi della vita di Cristo.
Il secondo è la consuetudine con la Bibbia e, in particolare, il Vangelo da intendere come la testimonianza di chi ha incontrato Gesù e che per opera dello Spirito Santo ha consegnato la sua esperienza nello scritto dei quattro Vangeli. Il Vangelo è fondamentale: va letto, studiato, meditato, pregato, vissuto con l’aiuto dello Spirito Santo e dentro la Chiesa che, fedele lungo i secoli alla testimonianza degli Apostoli, ce lo presenta nella liturgia e ce lo mette tra le mani perché sia il nostro nutrimento di ogni giorno.
Il terzo modo di incontrare Cristo, morto e risorto, quello sacramenti, in particolare l’Eucaristia che ci mette in comunione con il dono di sé di Gesù e ci rende suo Corpo, e la Confessione, grazie alla quale riceviamo il frutto della redenzione che ci viene dalla croce di Cristo e la nostra vita si rinnova con un cuore purificato e aperto al Redentore ed al prossimo.
Il quarto modo è quello di praticare le opere di misericordia materiale e spirituale che ci permettono di percepire la presenza di Cristo nel povero, nel fratello bisognoso. A questo riguardo, teniamo presente i la parabola del giudizio finale, dove Gesù dice: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36).
4) Testimoni dell’Amore risorto.
Ogni cristiano è chiamato ad essere testimone della risurrezione di Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove più forte è l’oblio di Dio e lo smarrimento dell’uomo, coltivando nel cuore l’impegno a dimorare nell’amore di Dio, rimanendo uniti a Lui e tra di noi. Qual è allora la specificità della testimonianza delle Vergini consacrate nel mondo? Quella che è possibile vivere esclusivamente per amore di Cristo. Donandosi completamente a Cristo, vivono anche un amore di obbedienza a Lui, facendo la sua volontà e vivendo il suo amore crocifisso Gesù ad un certo punto per amare è andato in un’esperienza progressiva di svuotamento di sé fino alla croce. Se vogliamo amare da cristiani dobbiamo saperlo e fare come lui. Questo modo di amare mette l’Altro prima di me e mi fa vivere del suo amore di Risorto. Sì, l’amore di Cristo è un amore risorto, un amore che ricomincia sempre da capo, è un amore di Pasqua. L’amore del cristiano è luminoso, come il sole del mattino, è un amore che si riprende, che non rimane adagiato, che si risolleva sempre di nuovo. È un amore pieno di coraggio perché è il dono commosso di sé. L’amore di Gesù è così ed è capace di trasformare la tristezza in gioia, di far ardere il cuore, di ricordare le Scritture, come ai due discepoli di Emmaus. L’amore verginale è, in un modo speciale, un amore risorto. La verginità consacrata testimonia che si può vivere per Dio e nel suo amore, e annunciare con la parole e con la vita la risurrezione di Cristo, testimoniando la comunione tra noi e la carità verso tutti, nessuno escluso.
Lettura Patristica
San Gregorio Magno
Hom. 26, 10-11
La festa degli uomini e la festa eterna
Ecco, noi stiamo celebrando le feste pasquali; ma dobbiamo vivere in modo tale da meritare di giungere alla festa eterna. Passano tutte le feste che si celebrano nel tempo. Cercate, voi che siete presenti a queste solennità, di non essere esclusi dalla solennità eterna. Cosa giova partecipare alle feste degli uomini, se poi si è costretti ad essere assenti dalle feste degli angeli? La presente solennità è solo un’ombra di quella futura. Noi celebriamo questa una volta l’anno per giungere a quella che non è d’una volta l’anno, ma perpetua. Quando, al tempo stabilito, noi celebriamo questa, la nostra memoria si risveglia al desiderio dell’altra. Con la partecipazione, dunque, alle gioie temporali, l’anima si scaldi e si accenda verso le gioie eterne, affinché goda in patria quella vera letizia che, nel cammino terreno, considera nell’ombra del gaudio. Perciò, fratelli, riordinate la vostra vita e i vostri costumi. Pensate come verrà severo, al giudizio, colui che mite risuscitò da morte. Certamente nel terribile giorno dell’esame finale egli apparirà con gli angeli, gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati e le potestà, allorché i cieli e la terra andranno in fiamme e tutti gli elementi saranno sconvolti dal terrore in ossequio a lui. Abbiate davanti agli occhi questo giudice così tremendo; temete questo giudice che sta per venire, affinché, quando giungerà, lo possiate guardare non tremanti ma sicuri. Egli infatti dev’essere temuto per non suscitare paura. Il terrore che ispira ci eserciti nelle buone opere, il timore di lui freni la nostra vita dall’iniquità. Credetemi, fratelli: più ci affannerà ora la vista delle nostre colpe, più saremo sicuri un giorno alla sua presenza.
Certamente, se qualcuno di voi dovesse comparire in giudizio dinanzi a me domani insieme al suo avversario, passerebbe tutta la notte insonne, pensando con animo inquieto a cosa gli potrebbe essere detto, a come controbattere, verrebbe assalito da un forte timore di trovarmi severo, avrebbe paura di apparirmi colpevole. Ma chi sono io? o cosa sono io? Io, tra non molto, dopo essere stato un uomo, diventerò un verme, e dopo ancora, polvere. Se dunque con tanta ansia si teme il giudizio della polvere, con quale attenzione si dovrà pensare, e con quale timore si dovrà prevedere il giudizio di una così grande maestà?
Nessun commento:
Posta un commento