4ª Domenica di Avvento – Anno A – 18 dicembre 2022
Rito Romano
Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24
Rito Ambrosiano
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38°
6ª Domenica di Avvento
Domenica dell’Incarnazione
o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
1) Un modello di attesa: Giuseppe
Nella prima domenica di Avvento la Liturgia ci ha invitato a vivere intensamente l’attesa dell’Atteso come l’ha vissuta la Madonna, non lasciando che il nostro cuore si addormenti, perché appesantito da preoccupazioni varie.
La seconda domenica di questo tempo di attesa siamo stati invitati a vivere una costante conversione. Per accogliere la Parola e non le chiacchere, occorre saper ascoltare e accogliere la Parola con la mente e col cuore trasformati dalla conversione.
La terza, facendoci riflettere sull’esperienza dolorosa del carcere e del dubbio di S. Giovanni Battista, ci ha insegnato che ci vuole la fiducia nella Parola, altrimenti rimane lettera morta, non certamente Spirito e Vita. Questa Parola è Vita e fonte di gioia.
Nella quarta domenica di Avvento, dopo che in quelle precedenti ci ha chiesto di vivere l’Avvento come Giovanni il Battista e la Madonna hanno vissuto l’attesa di Cristo, la Liturgia ci propone un terzo modello di come vivere l’Avvento: quello di San Giuseppe.
Dunque, in questa domenica la Chiesa ci chiede di vivere i pochi giorni che ci separano dal Natale, come San Giuseppe ha vissuto i giorni che sono passati dalla notte piena di timore, in cui - in sogno – ricevette l’annuncio che in Maria, sua promessa sposa, era germinata la Vita, alla notte piena di gioia, in cui il Figlio di Dio nacque nella grotta di Betlemme.
La traiettoria che Giuseppe ci indica è chiara: dall’ascolto della Parola dèttagli da un angelo in sogno, all’abbandono fiducioso alla volontà di Dio che gli chiede di essere il custode del Redentore che sta per nascere.
Umanamente parlando Giuseppe è grande, perché conoscendo e amando veramente Maria si arrende davanti al concepimento in Maria, non discute sulle cause di quella gravidanza inspiegabile e sceglie la via umanamente più misericordiosa: difende la dignità di Maria, rinunciando ad un pubblico rifiuto, - usanza di allora che sarebbe stato un condannare Maria al disprezzo di tutti - e la congeda ‘in silenzio”.
Divinamente parlando Giuseppe è grande, perché quando Dio stesso lo illumina sulla vera identità del Figlio di Maria, nato non da uomo, ma dallo Spirito Santo, Giuseppe ritorna sulla sua decisione (cioè si converte) e “la prese con sé come sua sposa”. Si convertì cambiando modo di ragionare. Questa conversione della mente implicò un cambiamento di vita. Per essere il custode del Redentore, visse l’attesa della sua nascita non aspettando un’idea, ma una persona. Per Lui il Natale fu ricevere la visita di persona, fu un incontro che cambiò la vita. Organizzò la sua vita per custodire la Vita e donarla al mondo.
Chiediamo umilmente la grazia di potere imitare questo padre legale di Gesù. Non dimentichiamo però l’aggettivo “legale” che deriva si dal sostantivo “legge”, ma la legge della Carità. Contempliamo stupiti e imitiamo tenaci la fede operosa di San Giuseppe e il suo totale abbandono a ciò che il Signore gli chiede di fare di fronte al mistero del concepimento e della nascita di Gesù: di esserne il “padre legale”. Questa espressione è più corretta di quella di “padre putativo”. In effetti, San Giuseppe non è un padre solamente perché l’opinione comune lo reputa tale. Lui è realmente padre. Certo, come ha ben scritto Sant’Agostino: “Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità”.
2) I tre sì.
Riflettiamo ora sulla frase finale del vangelo di oggi: “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt.1, 14). Lo sposo di Maria disse sì a Dio non parlando ma facendo. Nel silenzio il falegname di Nazareth accettò ed espletò il compito di essere il Capo-famiglia, che protegge la crescita di Cristo nel mondo. Lui è l’uomo a cui Dio Padre ha affidato Suo Figlio da custodire e proteggere, e ci è riuscito per questa semplice sequenza logica e pratica, a cui si è sempre attenuto: la parola che aveva ascoltato l'ha sempre immediatamente fatta, operata, incarnata.
Lui è il padre legale di Cristo perché ha vissuta una paternità verso Gesù che si è espressa concretamente assolvendo il compito di “custode del Redentore” (San Giovanni Paolo II) e facendo della sua vita “un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa” (Paolo VI, in Insegnamenti, IV, 1966, p.110).
Grazie al “sì” silenzioso di Giuseppe, Maria, la donna del “sì” totale a Dio, ebbe una casa dove il Verbo di Dio, che aveva detto “sì”, divenne l’Emmanuele, il Dio con noi, per noi e in noi. Come dice San Paolo, in Cristo non c’è stato il ‘sì’ e il ‘no’: ma solo il ‘sì’ (Cfr. 2 Cor 1, 18-19) ). Nel Getsemani ricordiamo l’atto di affidamento di Gesù alla volontà del Padre: non la mia ma la tua volontà si compia, o Padre (Cfr. Lc 22, 42) ). Il salmo 39 ci fa pregare: “Tu non hai voluto offerte e sacrifici: un corpo mi hai dato; allora io detto: ecco io vengo”. E nella lettera agli Ebrei: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà’” (10, 4-10)
3) Il sì delle Vergini consacrate nel mondo: un sì dentro i tre sì.
Tutti desideriamo essere come Maria e Giuseppe e con loro essere la casa di Cristo. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni della Parola che non colpisce solo l’udito ma i cuori aprendoli e dimorandovi stabilmente.
E se ora mi domandassi quale “utilità” ha la devozione a San Giuseppe per le vergini consacrate, che con il loro sì si impegnano ad essere testimoni speciali della fecondità della Parola, risponderei che le aiuta a vivere nell’umiltà di stare al posto scelto per loro dal Padre
Mediante il sacrificio totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole dono sponsale di sé in modo verginale. Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sè e ne rispetta l'esclusiva appartenenza a Dio.
Inoltre la verginità rappresenta l’imitazione del modo con cui Giuseppe ha vissuto l’affetto verso Gesù e verso la Madonna e anticipa il modo compiuto di vivere gli affetti nella vita eterna. Da qui scaturisce la modalità di vivere la maternità e paternità di chi si consacra a Dio. Ma non si deve mai dimenticare che per generare bisogna essere stati generati e per essere padri e madri bisogna non solo essere stati, ma essere tuttora figli. Essere generati dall’amore ci rende a nostra volta capaci di trasmettere e di donare vita. Da qui l’importanza di vivere una effettiva appartenenza alla Chiesa, di cui San Giuseppe è il Patrono.
Sull’esempio di Gesù, Maria e Giuseppe anche noi diciamo il nostro ‘sì’ . Allora la nostra vita sarà trasfigurata dalla misericordia di Dio.
Lettura Patristica
San Agostino d’Ippona
Sermone 51, 16.26; 20.30
La vera paternità di Giuseppe
La dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti dell’adozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà dell’adottante che non la natura del generante.
Allo stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo un uomo giusto(Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E gli partorì un figlio (Lc 2, 7), parole con cui senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. (…) E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva ch’egli fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù (Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio.
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