XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 21 agosto 2022
Rito Romano
Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30
Rito Ambrosiano
Esd 2,70-3,7.10-13; Sal 101; Ef 4,17-24; Mt 5,33-48
XIV Domenica dopo Pentecoste
1) Il dono della vita per entrare nella Vita è una lotta.
Se leggiamo con attenzione il brano del Vangelo di questa Domenica, ci accorgiamo che Gesù non risponde direttamente alla domanda: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23), ma invita alla serietà dei propositi e delle scelte: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non vi riusciranno” (Lc 13,24).
Per Cristo non è importante rispondere alla domanda su quanti si salvano. Per Lui è importante dire come ci si può salvare ed indica il cammino della salvezza che passa per una porta stretta. La vera domanda che dobbiamo farci non è: “Sono pochi quelli che si salvano?”, ma “Cosa dobbiamo fare per non essere esclusi dalla salvezza?”. E’ per questo che il Cristo inizia la sua risposta con un imperativo: “Lottate”. La traduzione ufficiale in italiano è “Sforzatevi!”, ma il testo greco usa “agonìzesthe” da “agonizo” (da cui viene la parola “agonia” che è la lotta finale prima della morte), che va tradotto “lottate” con ogni forza, senza sosta e con fermezza di orientamento, cioè con lo sguardo e il cuore fermamente orientati a Cristo.
Inoltre occorre fare attenzione al fatto che invece di rispondere ad una domanda sugli altri (“quanti sono ‘quelli’ che si salvano?”), Gesù da una risposta che riguarda direttamente chi lo ascolta: “Lottate”.
“Lottate”, “sforzatevi” di entrare per la porta stretta. Per la porta larga passa chi crede di avere addosso l’odore di Dio, preso tra incensi, riti e preghiere, e di questo si vanta. Per la porta stretta entra “chi ha addosso l’odore delle pecore” (Papa Francesco), l’operaio di Dio con le mani segnate dal lavoro, dal cuore buono. È la porta del servizio d’amore, del mettersi a disposizione di Dio e del prossimo.
Gesù ci dice che occorre percorrere la via tracciata da Lui e passare per quella porta che è Lui stesso: “Io sono la porta; se uno entra attraverso di me sarà salvo” (Gv 10,9). Per salvarsi bisogna prendere come lui la nostra croce, rinnegare noi stessi nelle nostre aspirazioni contrarie all'ideale evangelico e seguirlo nel suo cammino: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).
Per tutti quelli che lo vogliono il passaggio alla vita eterna è aperto, ma è ‘stretto’ perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo: è crocifiggente. Ma vale davvero la pena di accogliere la chiamata dell’unico Redentore che invita tutti al banchetto della vita immortale.
Già da ora e per l’eternità, la vita è bella e lieta non quando è nell’egoismo, ma quando si appropria della croce e la riempie di un amore che libera e fa sprigionare tutto il bene che è dentro di noi.
Ma c’è da soddisfare un’unica condizione uguale per tutti: quella di lottare, di sforzarsi di seguire Cristo ed imitarlo, prendendo su di sé, come Lui ha fatto, la propria croce e dedicando la vita al servizio dei fratelli.
2) Porta della misericordia.
Gesù parla di se stesso come Porta e andando in croce mostra che la chiave di questa porta è la Croce. E’ una porta “stretta” perché il suo è un amore esigente e perché noi siamo larghi, gonfi di superbia e di amor proprio. Cristo è la Porta di misericordia che perdona al nostro cuore contrito, cioè sminuzzato, sbriciolato perché da cuore di pietra è diventato cuore di carne. Porta stretta la cui chiave è la Croce, che permette di aprire la porta del Cuore di Gesù anche se sono gli ultimi istanti di vita, come è accaduto al buon ladrone, che grazie a questa chiave ha avuto aperta la porta del Cielo, dove è stato accolto (Lc 23, 39-43). Anche noi possiamo e dobbiamo “usare” questa chiave, che ci fa rinunciare alla vita per avere la Vita, entrando nel Regno di Dio per restare sempre nel suo amore e nella sua gioia.
Cristo è la porta “stretta”, ma è anche la porta “larga”, perché ha la larghezza dell'infinita misericordia di Dio.
Mi spiego con un esempio preso dalla vita di San Girolamo1, che - dopo la conversione - per far penitenza dei suoi peccati scelse Betlemme per 35 anni della sua vita. Fino alla morte, per tutti questi anni visse in una povera cella accanto alla grotta della Natività, pregando, studiando e traducendo in latino la Bibbia. In una notte di Natale gli appare Gesù Bambino che gli chiede: Non hai niente da darmi nel giorno della mia Nascita? Il Santo gli risponde: Ti do il mio cuore! - Va bene, ma desidero ancora qualche altra cosa. - Ti do le mie preghiere! Va bene; ma voglio qualche cosa di più, insisteva Gesù. - Non ho più niente, che vuoi che ti dia? - Dammi i tuoi peccati o Girolamo, rispose Gesù Bambino, perché io possa avere la gioia di perdonarli ancora. Gesù ci domanda tutto, persino i peccati, per donarci (per-donarci) tutto.
Con dolce violenza, l’amore misericordioso di Gesù continua il suo cammino alla conquista dei cuori. Tra questi cuori, occupano un posto speciale quelli delle Vergini Consacrate nel mondo che, vivendo nella verginità il dono totale di sè a Cristo, accettano lietamente di passare per la porta stretta per appartenere strettamente a Lui, che dice: “Ecco Io sto alla porta (del cuore) e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre Io verrò da lui e farò grande festa con lui” (cfr. Ap 3, 20).
Con la loro esistenza vissuta nella semplicità e nel nascondimento, queste donne testimoniano che la porta stretta è l’adesione sponsale a Cristo mediante 'accettazione umile, nella fede pura e nella fiducia serena, della parola di Dio, del suo disegno di amore esigente, stringente sulla loro persone, sul mondo e sulla storia; è l'osservanza dei comandamenti, come manifestazione della volontà amorosa di Dio, in vista di un bene superiore che realizza la vera felicità. E’ pure l’accettazione della sofferenza come mezzo di espiazione e di redenzione per sé e per gli altri, e quale espressione suprema di amore.
Le vergini consacrate testimoniano che la porta stretta è, in una parola, l’accoglienza della mentalità evangelica, che trova nel discorso della montagna la più pura sintesi e nella verginità la più alta realizzazione. E’ l’amore puro e casto che salva, l’amore che è già sulla terra beatitudine interiore di chi, nei modi più svariati, nella mansuetudine, nella pazienza, nella giustizia, nella sofferenza e nel pianto, si dimentica di sé e si dona. La croce – porta stretta perché stringente, esigente - è simbolo e icona dell’amore verginale, perché la croce è la pienezza massima dell’amore per Dio e per ogni persona umana. E’ un amore che abbraccia tutti e non esclude nessuno; è la sintesi al massimo grado di amore ricevuto e donato, di amore crocifisso e già risorto o illuminato dai chiarori dell’alba della risurrezione. La croce è il cuore del mondo, così è stato nella storia della salvezza, e le donne che hanno scelto questo amore verginale ospitano in sé questo cuore.
1 Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7) e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana. Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali.
Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa poi in Egitto. Nel 386 si fermò a Betlemme, dove furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa. A Betlemme restò fino alla morte. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.
Lettura patristica
San Girolamo (347 - 419/420)
Epist., 148, 31-32
«Il Signore ama il cuore puro»
Questo mistero è grande, ed è arduo il percorso della castità; ma è grande pure la ricompensa, e il Signore vi ci chiama quando dice nel Vangelo: "Venite, benedetti del Padre mio, e prendete possesso del regno che vi è stato preparato fin dall’origine del mondo" (Mt 25,34). E ancora, sempre il Signore in persona, dice: "Venite a me, tutti voi che soffrite e che vi sentite stanchi, ed io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono dolce ed umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre, perché il mio giogo è soave e il mio peso leggero" (Mt 11,28-30).
Ancora il Signore, invece, dirà a quelli che saranno alla sua sinistra: "Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno che il Padre mio ha preparato per il diavolo e per i suoi satelliti. Non vi conosco, voi che siete operatori d’iniquità. Là vi sarà pianto e stridor di denti" (Mt 25,41 Lc 13,27-28).
E certamente in quel luogo vi saranno gemiti e pianti da parte di tutti coloro che si sono ingolfati negli affari di questa vita tanto da dimenticarsi di quella futura, di coloro che la venuta del Signore sorprenderà sotto il peso del sonno dell’ignoranza, oppressi dalle onde d’una dannosa spensieratezza. È per questo, appunto, che ancora lui dice nel Vangelo: "State all’erta, perché non vi succeda di appesantirvi il cuore nei bagordi, nell’ubriachezza e nelle preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno vi colga all’improvviso come un laccio, perché piomberà così su tutti coloro che si troveranno sulla faccia della terra" (Lc 21,34-35); e ancora: "Vegliate e pregate, perché non sapete quando arriverà questo momento" (Mc 13,33).
Sono fortunati coloro che quel giorno l’aspettano, lo stanno a spiare, direi, per fare in modo di prepararvisi giorno per giorno; e senza starsene tranquilli per la vita trascorsa nella giustizia, si rinnovano di giorno in giorno nella virtù (2Co 4,16). È un fatto che dal giorno in cui uno smette di esser giusto, la giustizia del passato non gli servirà proprio a niente, come pure l’ingiustizia non porterà alcun danno al malfattore dal momento in cui questi si convertirà dalla sua vita iniqua (Ez 18,26-28).
Per conseguenza, un santo non deve essere sicuro di se stesso finché si trova a combattere in questa vita, ma neppure deve disperarsi chi è peccatore, poiché in base alla massima del Profeta che abbiamo riportato può diventar giusto in un solo giorno.
Ma tu mettiti sotto per far sì che lungo il tempo di tua vita riesca a praticare la giustizia; e non fidarti della rettitudine in cui hai trascorso la vita passata, perché questo ti renderebbe più rilassata. Fa’ invece come dice l’Apostolo: "Dimentico il passato, e proteso a ciò che mi sta davanti corro verso la meta per conseguire il premio della mia sublime vocazione" (Ph 3,13-14), ben sapendo che sta scritto come chi scruta il nostro cuore è Dio (Pr 24,12). Appunto per questo si preoccupa di aver l’anima monda dal peccato, in quanto sta scritto ancora: "Salvaguarda il tuo cuore con ogni attenzione possibile" (Pr 4,23), e anche: "Il Signore ama i cuori puri, e tutti coloro che sono senza macchia li guarda con amore" (Pr 22,11).
Sotto, dunque, a regolare il tempo che ti resta di vita in modo da passarlo senza colpa alcuna. Potrai allora tranquillamente cantare col Profeta: "M’aggiravo dentro casa mia con l’innocenza nel cuore" (Ps 100,2), e anche: "M’accosterò all’altare di Dio, al Dio che rende gioiosa la mia giovinezza" (Ps 42,4).
Non basta, infatti, cominciare. La giustizia sta nel portare a termine.
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