Rito Romano
VI Domenica di Pasqua – Anno C – 22 maggio 2022
At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29
Rito Ambrosiano
At 21,40b-22,22; Sal 66; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
1) Il cammino delle sei Domeniche di Pasqua.
Nel periodo di Pasqua, la Liturgia della Chiesa ci fa ricordare (nel senso biblico del termine: rendere presente) Cristo risorto concretamente presente e veramente vivente. Per questo durante le Messe delle prime tre Domeniche di Pasqua ci sono stati proposti i brani del Vangelo in cui sono raccontati gli incontri del Risorto con Maria Maddalena, con i discepoli di Emmaus, con gli Apostoli e con San Tommaso e alla fine con Pietro, che viene confermato nell’amore perché ha presentato a Cristo il suo dolore.
Nella IV domenica ci è stato ricordato che Cristo è il buon Pastore ed è presente come guida attraverso i sacerdoti e i vescovi. Nella V Domenica ci è stato ricordato che Gesù risorto è presente nell'amore concretamente vissuto e reciprocamente donato nella comunità dei cristiani, che hanno “come” esempio il Cristo stesso.
Oggi, l’insegnamento delle Domeniche precedenti arriva al culmine. Nella VI Domenica di Pasqua, infatti, il Vangelo ci fa ascoltare Gesù non si accontenta di abitare in mezzo a noi, ma chiede di essere ascoltato (di osservare la sua parola) per potere “dimorare” in noi. Cristo dunque non è più semplicemente uno con noi, uno tra di noi, anche se è il migliore: Lui ora è in noi con il suo Spirito.
A noi credenti che ascoltiamo la sua parola e ai quali dona lo Spirito Santo perché ci dia la pace e “richiami al nostro cuore tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le opere” (cfr. la Colletta della VI Domenica di Pasqua).
Sapere e fare esperienza dell’amore di Dio in noi e per noi è pace confortante e gioiosa, ma è anche responsabilità grande e quotidiana.
2) Osservare la Parola, che è dono dell’amore.
Dalla meditazione del passo odierno del Vangelo di Giovanni (14,23-29) emergono due temi: l’amore obbediente per Gesù e il dono dello Spirito.
In effetti, in questo brano evangelico, il Figlio di Dio presenta il legame indissolubile tra l’amore a Lui e l’osservanza della Sua Parola. A questo riguardo, va tenuto presente che il termine greco usato da San Giovanni: “Logos” secondo i vari contesti può significare: la “Parola” che è Cristo, il Verbo di Dio, la “parola” che Cristo rivolge ai suoi interlocutori, e il “comandamento” dato per amore e da osservare con amore. Questo terzo significato non è poi così strano perché se uno ama prende così sul serio la “parola” dell’amato da portarla nel cuore, da custodirla osservandola. Cioè se amiamo il Signore, vuol dire che Lo portiamo nel cuore, custodendo (osservando) le sue parole, perché vogliamo vivere come Lui, vogliamo che Lui diventi la nostra vita. In effetti, se si ama una persona, quella persona diventa la nostra vita e l’ascoltiamo mettendo in pratica quello che dice.
Dunque la prova che si ama veramente il Signore è l’obbedienza. E’ vero che il verbo “amare” dice anche desiderio, affetto, amicizia, appartenenza, ma qui si sottolinea che non si può parlare di vero amore se manca l’osservanza dei comandamenti: “Se uno mi ama osserverà la mia parola” (Gv 14, 23). E, subito, sempre nello stesso v. 23, Gesù aggiunge “e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Id 14, 23). In questo modo, il Figlio di Dio sottolinea un’altra caratteristica dell’amore: quella di essere il luogo dell'incontro con l’amore del Padre. Anzi è il luogo in cui il Padre e Gesù pongono la loro dimora.
L’icona, cioè l’immagine più bella di questa dimora “costruita” dall’obbedienza amorosa è la Maria, Vergine e Madre. La Madonna accolse nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla Parola di Dio.
L’obbedienza a Dio e alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio chi - come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come il profeta Simeone disse a Maria, quando insieme con Giuseppe presentò Gesù al Tempio (cfr Lc 2,35).
Il cammino di fede implica la gioia di ricevere il dono di amore, ma anche il momento dell’oscurità, dovuta alle sofferenze della vita, alle croci delle vita. Così fu per Maria, la cui fede le fece vivere la gioia dell’Annunciazione, ma passare senza cedere attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione.
Per gli Apostoli, allora, e per ciascuno di noi, oggi, il cammino di obbedienza nella fede non è diverso: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche tempi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio, osservata con amore, sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Come ha potuto la Madre di Dio vivere il suo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione della Provvidenza? E questa domanda vale anche per gli Apostoli: “Come hanno potuto perseverare nel cammino con Cristo e dare la vita per il Suo vangelo, cioè per la sua Parola buona e lieta che porta alla gioia della vita vera attraverso la croce.
Maria e gli apostoli hanno obbedito all’amore, hanno osservato la parola che era donata a loro, che stava davanti a loro. Hanno “dialogato” con Cristo, custodendo, osservando la Sua parola. Maria e gli Apostoli hanno riflettuto sul significato della parola di Cristo e ne hanno concluso che non potevano lasciarlo, perché solo Lui ha parola di vita eterna. Il termine greco usato nel Vangelo, per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che noi credenti, osservanti “uditori della Parola”, dobbiamo perseverare nel dialogo con la Parola di Dio che ci è detta, lasciandola penetrare nella mente e nel cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da ciascuno di noi.
3) Il dono dello Spirito.
Nel Vangelo di oggi ascoltiamo pure: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 25-26).
Che cosa vuol dire Gesù in questi due versetti? Il Risorto vuol dire ai suoi discepoli ieri e di oggi, di sempre che Lui non ci lascia soli, ci manda il Consolatore, lo Spirito Santo, lo Spirito della verità che dà la vita di Dio e la vita di Dio è l’amore. E’ questo amore che ci farà conoscere ciò che Gesù ha detto, progressivamente e più lo conosciamo più lo ami; più lo amiamo più lo conosciamo e avanti all’infinito e per sempre.
L'insegnamento dello Spirito è ancora l’insegnamento di Gesù. Non c’è contrasto tra i due. Compito dello Spirito è insegnare e ricordare. Si tratta sempre dell'insegnamento di Gesù, ma colto e compreso nella sua pienezza: “Vi insegnerà ogni cosa”. Non si tratta di aggiungere qualcosa all'insegnamento di Gesù, quasi fosse incompleto. “Ogni cosa” significa la pienezza, la sua radice, la sua ragione profonda. E anche la memoria, dono dello Spirito, non è ricordo ripetitivo, ma ricordo che attualizza. Lo Spirito mantiene aperta la storia di Gesù, rendendola perennemente attuale e salvifica. Quindi il dono dello Spirito che Gesù ci fa sulla croce e che fa nella storia ed è la sua presenza costante nella storia, è lo Spirito d’amore che ci fa capire e ci fa fare ciò che lui ha detto ed ha fatto. Lo Spirito non ci insegna o ispira cose strane, ci fa capire quello che Cristo ha detto e fatto, dandoci la forza di viverlo perché è solo l’amore che ci fa capire e ci fa fare.
Naturalmente tutti riceviamo il dono dello Spirito, la cui azione in noi ci fa “ricordare” (cioè ridare al cuore) e "rende presente" sempre di nuovo il Cristo. Ma in modo particolare va invocato sulle Vergini consacrate nel mondo, le quali sono, nella Chiesa, il segno visibile del mistero della Chiesa stessa, che è insieme vergine e sposa (cfr. 2 Cor 11,2; Ef 5, 25 – 27). Se da una parte la verginità annuncia fin da ora ciò che sarà la vita futura (cfr. Mt 22,30): la vita simile a quella degli angeli, essa (la verginità) ha anche un significato nuziale come nel Rituale di consacrazione è indicato mediante la consegna delle insegne della consacrazione, cioè il velo e l’anello, accompagnata da questa preghiera: “Ricevete il velo e l’anello, segno della vostra consacrazione nuziale. Sempre fedeli a Cristo, vostro Sposo, non dimenticate mai che vi siete donate totalmente lui e al suo corpo che è la Chiesa” (REV, n 19 e n. 88).
Lettura Patristica
Bernardo di Chiaravale
In Cant. Cant., Sermo 74, 6
Gli effetti della presenza di Cristo in me
Vivo e attivo è lui, e appena è entrato ha destato l’anima mia assopita; ha commosso, reso molle e ferito il mio cuore, poiché era duro e di sasso, e insensato. Ha cominciato anche a strappare e a distruggere, a edificare e a piantare, a irrigare ciò che era arido, a illuminare ciò che era tenebroso, a spalancare ciò che era chiuso, a riscaldare ciò che era freddo, e così pure a raddrizzare ciò che era storto, e a cambiare le asperità in vie piane, affinché l’anima mia, e tutto ciò che è in me, benedicesse il Signore e il suo santo nome. Entrando così più volte in me il Verbo, mio sposo, non ha fatto mai conoscere la sua venuta da nessun indizio: non dalla voce, non dall’aspetto, non dal passaggio. Nessun gesto suo insomma lo ha fatto scoprire, nessuno dei miei sensi si è accorto che penetrava nel mio intimo soltanto dal moto del cuore, come ho detto prima ho sentito ia sua presenza; dalla fuga dei vizi, dalla stretta dei desideri carnali, ho avvertito la potenza della sua virtù; dallo scuotimento e dalla riprensione delle mie colpe nascoste, ho ammirato la profondità della sua sapienza; dalla sia pur piccola correzione delle mie abitudini, ho sperimentato la bontà della sua mitezza, dalla trasformazione e dal rinnovamento dello spirito della mia mente, cioè del mio uomo interiore, mi son fatto comunque l’idea della sua bellezza; e nel contempo dall’esame di tutte queste cose, ho avuto timore delle sue grandezze senza numero.
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