Rito Romano
IV Domenica di Quaresima – Anno C – 27 marzo 2022
Gs 5,91.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
Rito Ambrosiano
IV Domenica di Quaresima
Es 17,1-11; Sal 35; 1Ts 5,1-11; Gv 9,1-38b
Domenica del Cieco
1) La gioia della misericordia.
Il Vangelo di San Luca, lo scrittore della mansuetudine di Gesù Cristo (Dante Alighieri definì San Luca “scriba mansuetudinis Christi”), insegna che il Messia è l’incarnazione della presenza misericordiosa di Dio tra noi. Cristo è presenza di amore, di perdono e di gioia che ci ‘ordina’: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36). Santa Faustina Kowalska scrisse: “La Misericordia è il fiore dell’amore, Dio è amore, la misericordia è la Sua azione, nell’amore ha il suo inizio, nella misericordia la sua manifestazione” (Diario, Città del Vaticano 2004, II, p. 420).
Dunque, in questa domenica “Laetare” (= rallegratevi) e facciamo nostro l’invito di Papa Francesco: “Affidiamoci totalmente al Padre. Lasciamo che le nostre spalle di persone in ginocchio siano accarezzate come quelle del figlio prodigo dalle mani del Padre, il cui amore paterno si rivolge a ciascuno di noi come misericordia, cioè come amore di Dio, che si china sul peccatore, sul debole, il bisognoso. In questo modo potremo sperimentare la gioia di essere amati da questo “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà”.
Non dimentichiamo, però, che non solo noi siamo nella gioia perché perdonati dal Padre ma che possiamo dare a Dio la gioia di poterci perdonare. Questa della gioia di Dio nel perdonare è il nocciolo più originale del messaggio biblico e cristiano. “Noi a Dio - insegnava un anziano e saggio biblista francese - non possiamo regalare nulla che già non abbia: è il padrone di tutto! Tranne una cosa: dargli la gioia di poterci perdonare”.
La consapevolezza di questa gioia divina ci spinge ad aprirci senza esitazione all’amore di Dio mediante la conversione e appartenere a Lui, che ci accoglie come figlio con un cuore ricco di misericordia.
Per convertirci a questa Dio di misericordia ed aiutarci a mettere in pratica il comando di essere misericordiosi, il Redentore dell’uomo peccatore annuncia il suo vangelo di perdono e di gioia raccontando la parabola che è tradizionalmente chiamata “del figlio prodigo”. Questo brano evangelico, che la Liturgia della Parola oggi ci propone, ha come ritornello la gioia alla quale Dio invita tutti quando trova il figlio perduto. Per partecipare a questa gioia dobbiamo condividere il perdono che il Padre, prodigo di misericordia, concede al figlio ritrovato e accettare l’invito alla cena organizzata per festeggiare il ritorno dell’errante. In effetti, chi non accetta come fratello il peccatore, non accetta l’amore “gratuito” del Padre e non ne è figlio. E’ come il fratello maggiore, di cui parla la parabola e che si arrabbiò per il perdono concesso al fratello minore. Chi non sa perdonare e condividere la gioia del Padre si affoga nella sua meschina giustizia, che sa solo punire, resta fuori dal banchetto della gioia e dell’amore.
La Messa è per noi questo banchetto di amore che inizia con il perdono domandato, concesso e condiviso. L’Eucaristia è il gesto in cui la presenza di Cristo sacrificato e risorto ci abbraccia nel perdono che ricrea. Cristo, Pane di vita, mistero del perdono e della risurrezione, fa sì che noi possiamo essere abbracciati dal Padre, purificando la nostra vita di erranti e facendosi cibo per il nostro esodo. E, come il ritorno alla casa del Padre da parte del figlio prodigo non fu solo la fine di un’avventura umana disastrosa, ma fu anche l’inizio di una vita nuova, di una lieta storia di verità e di amore, così è e sarà per noi se in ginocchio, almeno con il cuore, chiederemo perdono ricevendo con esso il Pane degli angeli fattosi Pane per noi poveri peccatori.
Nel Pane eucaristico Gesù ci ha donato il suo amore, che lo ha spinto ad offrire sulla croce la sua vita per noi. Nel Cenacolo, nella prima Cena eucaristica Cristo lavò i piedi ai discepoli, dando questo comandamento d’amore: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ma poiché questo è possibile solo rimanendo uniti a Lui, come tralci alla vite (cfr. Gv 15,1-8), il Redentore ha scelto di rimanere Lui stesso tra noi nell’Eucaristia, perché noi potessimo rimanere in Lui. Dunque, quando mangiamo con fede il suo Corpo e il suo Sangue, il suo amore passa in noi e ci rende capaci a nostra volta di dare la vita per i fratelli (cfr. 1 Gv 3,16). Da qui scaturisce la gioia cristiana, la gioia dell’amore.
2) Il Padre prodigo.
Esaminiamo ora più da vicino questa parabola che mi sono permesso di chiamare “parabola del Padre prodigo”, perché si prodiga nel donare con abbondanza e senza risparmio la sua misericordia.
In questo racconto Cristo comincia dicendo: “Un uomo aveva due figli”. Possiamo vedere in questi due figli i rappresentanti di tutta l’umanità che si divide in due categorie: quella dei peccatori, come il figlio minore e quella di coloro che si credono giusti, come il maggiore. Dunque, vi siamo compresi tutti.
Ciò che può apparire strano è che il figlio prodigo, che sbaglia, fa meno problema del figlio che è sempre rimasto a casa. Questo “giusto” non accetta che il Padre (Dio) sia amore e misericordia.
Un altro elemento da tenere presente è che tutti e due questi figli hanno in comune la stessa immagine del padre come qualcuno di esigente e duro: lo dice chiaramente il maggiore “ti ho servito, ti sono stato servo tutta la vita e non mi dai mai niente”. Un padre-padrone esigente da servire, come spesso l’uomo immagina Dio che costringe la libertà umana con una moltitudine di precetti, di ordini, di divieti. Il minore si ribella, ma almeno lo chiama padre: “Padre dammi la metà della parte che mi spetta”.
L’immagine che ha del padre è sbagliata, ma è giusto quello che vuole da lui: vuole la vita, la pienezza, la libertà. Questo è ciò che deve dare un padre, altrimenti che padre è? A questa domanda corretta il padre risponde dividendo i suoi beni in due. Ciò può significare che questo padre vorrebbe che anche l’altro, il più grande, se ne andasse, che desiderasse la libertà e la vita e non stesse in casa a fare lo schiavo.
Il minore “raccolse tutte le sue cose, emigrò in paese lontano”, perché pensa che solamente lontano da Dio lui può trovare la felicità. Come ha fatto Adamo, è il suo peccato, è la stessa storia di Adamo. Adamo voleva essere come Dio e si ribella a Dio per essere come Dio.
Cosa succede quando si è lontani da Dio? Si trova la morte, perché Dio è vita. Se Dio è pienezza, lontano da Lui trovo il vuoto. Se Dio é gioia, lontano da Lui c’è tristezza. Se Dio è libertà, senza di Lui sono nella schiavitù. Allora la parabola del figlio prodigo manifesta la parabola dell’uomo che crede che la sua realizzazione sia andare lontano da Dio.
Ma, in questa ricerca di libertà lontano dal padre, il figlio minore dissipa, spreca tutta la ricchezza ricevuta: perde tutto. E’ la storia dell’uomo che, essendo immagine e somiglianza di Dio, lontano da Lui perde la verità di sé, diventa vuoto, povero e immerso nei suoi limiti. Cercava la libertà dal padre da servire con amore, per servire degli uomini, che adorano idoli e che gli fanno custodire i porci e patire la fame.
Avendo toccato il fondo, il figlio prodigo, che ha dilapidato le ricchezze del padre, rientra in sé e decide di tornare a casa. Il bisogno lo fa rinsavire e comincia a ragionare. Di per sé, non pare molto pentito, di per sé, ha solo fame e dice: “Quanti salariati di mio padre sovrabbondano di pane”. Comunque è convinto di aver perso l’amore del padre e di doverselo meritare di nuovo. Ma il Padre, che è prodigo di amore, non ha mai smesso di amarlo. Quando il figlio gli chiede perdono, non lo lascia neppure parlare: il suo amore precede il pentimento e la conversione; gli offre con gioia veste, anello, calzari, “segni” dell'essere figlio e vuole che si faccia festa per il ritorno del giovane, il quale, travolto da questa misericordia sovrabbondante, finalmente capisce che il padre non solo l'ha sempre atteso, ma l'ha sempre amato, anche quando lui lo aveva dimenticato, o forse odiato.
Ed è ricolmo della gioia del Padre che subito organizza una festa perché ha ritrovato il figlio, che ha riscoperto la sua dignità di figlio. Questo Padre misericordioso dice: “Presto, portate fuori una veste, la prima, e vestitelo”. Qual era la prima veste di Adamo? Era nudo. La sua veste era essere immagine e somiglianza di Dio, cioè essere figlio. Quella è la nostra veste. Il nostro essere figlio è sempre presso il padre, perché lui sempre ci è padre. Quella è la nostra veste, la nostra dignità, la nostra identità.
3) Madre di Misericordia
Il centro della parabola di oggi non è il peccato ma la misericordia di Dio, che possiamo sperimentare anche noi soprattutto con la Confessione. Con questo sacramento noi possiamo come il figlio prodigo incontro con Cristo il Padre misericordioso. E’ vero che a volte la Confessione è vista più come un tribunale dell’accusa più che una festa del perdono. Senza sottovalutare l’importanza di dire i proprio peccati, va ricordato che ciò che è assolutamente centrale nell’ascolto dei peccati è l’abbraccio benedicente del Padre misericordioso. Troppo spesso noi consideriamo prima il peccato e, poi, la grazia. Invece prima c’è il gratuito, misericordioso e prodigo amore di Dio, che accoglie, ricrea. Dio non si ferma davanti al nostro peccato, non indietreggia davanti alla nostre offese, ma ci corre incontro come il Padre misericordioso corse incontro al figlio che con dolore e umiltà tornava a casa.
Ma questa riflessione sarebbe ancora parziale, se non pensassimo alla Madre della Misericordia,, perché la misericordia è una qualità dell’amore materno. Il Figlio, prodigo=generoso di perdono, è stato da lei generato perché fosse la misericordia dell’umanità. Maria diffonde questa misericordia con amore di Madre e la estende di generazione in generazione, secondo il disegno buono del Padre che l’ha associata intimamente al mistero di Cristo e della Chiesa. Maria è mediatrice di misericordia, rifugio di misericordia, “porta” attraverso la quale il credente si presenta al Giudice divino, che è Figlio della donna di Nazareth e fratello di tutti noi che siamo divenuti suoi figli ai piedi della croce: figli dell’amore misericordioso.
Le Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a testimoniare questa materna misericordia prendendo la Vergine Maria modello della cooperazione della donna con Dio. Certo, la Vergine di Nazareth ha ricevuto una pienezza di grazia eccezionale per rispondere perfettamente alla missione unica che le è stata affidata. Ma nella sua volontà di considerare la donna come sua prima alleata, Dio accorda a ogni donna la grazia necessaria per adempiere a questo ruolo, di modo che la cooperazione, pur essendo libera e personale, si effettua sempre con le forze ricevute dall'alto.
Nel caso di Maria, la cooperazione è di un genere eccezionale, per il fatto che la maternità è verginale. Ma ogni generazione di un essere umano richiede l’azione creatrice di Dio e dunque una cooperazione dei genitori umani con questa azione sovrana. Collaborando con l’onnipotenza divina, la donna riceve da essa la sua maternità. Maternità che nelle Vergini consacrate è spirituale, ma non per questo meno reale e concreta.
Il volto della madre, soprattutto di quello che lo è nello Spirito, è un riflesso del volto del Padre, che possiede in lui le caratteristiche proprietà dell’amore paterno e dell’amore materno.
Lettura Patristica
Nerses Snorhali
Jesus, 19-25, 591-600
La parabola del figlio perduto (Lc 15,11-32)
Al presente, ti supplico con lui:
«Padre, contro di te ho peccato e contro il cielo;
non son più degno che tu mi chiami figlio
fa’ di me l’ultimo dei tuoi salariati».
Rendimi degno del più puro e santo
bacio del Padre tuo sì buono.
Sotto il tetto della sala di Nozze
ti piaccia ricevermi di nuovo.
E la veste iniziale della quale
briganti di strada mi spogliarono,
rivestimene ancora
come ornamento di Sposa preparata.
L’anello regale,
che d’autorità è il segno,
fa’ ch’io lo riporti nella mano destra,
per non deviare mai più verso sinistra.
E come protezione dal Serpente
metti scarpe ai miei piedi
perché non urtino la tenebra,
ma la sua testa schiaccino.
Al sacrificio del vitello grasso,
che sulla Croce per noi s’è immolato
e al sangue uscito per la lancia dal Costato
donde usciva il ruscello della Vita,
fammi partecipare nuovamente,
come nella parabola del Figlio Prodigo,
per mangiare il pane che dà vita,
per bere alla tua celeste coppa...
Sulle tracce del Prodigo ho camminato
in paesi estranei e lontani;
l’eredità paterna ho scialacquato
che al Fonte sacro avevo ricevuto.
Laggiù straziato fui da carestia
del Pane della Vita e della divina Bevanda.
Pascolando il gregge dei porci, sfamato
non mi son con i peccati della dolce carruba.
Invoco il Padre tuo come il cadetto
dicendo: «Contro Te e contro il ciel peccai;
anche se di figlio il nome al tuo cospetto,
Padre celeste, non son degno di portare.
Fa’ di me (quantomeno) un salariato
che per modesta paga compia il bene;
(ponimi) tra quei che son salvati dal secondo gruppo,
perché ho spezzato l’amor dovuto al Padre».
Accoglimi tra le braccia per esser da Te curato,
o Sublime; rendimi degno del tuo santo bacio;
sostituisci, o Immortal, col tuo profumo,
il lezzo cadaverico dell’anima!
Dammi la carne del Vitello grasso;
il vin che è sulla Croce fammi bere;
allieta lo stuol degli angeli,
perch’io morto la vita ho ritrovato.
L’Ebreo, figlio primogenito,
ovver color che son dei Giusti a lato,
che provenendo dal campo della Legge,
alla tua Chiesa vennero,
sol da lontano intesero la voce,
dei suoi figli che danzavano concordi,
e non vollero entrar nel Santuario,
quali persone afflitte alla maniera umana.
Si consumavan per la gelosia
al veder la salvezza dei gentili:
poiché si vantavano i lor padri
che la tua Legge non han trasgredito.
Quanto ad essi, non erano salvati
né dal Vitello grasso, olocausto di tuo Figlio,
né dal capretto pure immolato
per umano od angelico che fosse.