II Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 16 gennaio 2022
Rito Romano
Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12
Rito Ambrosiano
Est 5,1-1c.2-5; Sal 44; Ef 1,3-14; Gv 2,1-11
II Domenica dopo l’Epifania
1) La terza epifania nel settimo giorno.
Dopo averci fatto celebrare – domenica scorsa - il battesimo di Gesù nel Giordano, oggi la Liturgia ci propone di far memoria delle nozze di Cana, dove Cristo si manifesta cambiando l’acqua in vino.
A Cana Gesù si rivela Dio con un miracolo che mostra la bellezza
- dell’amore nuovo, dell’amore della madre per i suoi figli più piccoli a cui non sfugge che, nel momento della festa del loro amore nuziale, viene loro a mancare un elemento importante;
- dell’amore del Figlio di Dio, che mostra ai discepoli che il vero vino della festa sarà la sua Presenza. «Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente “secondo vino” è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare»1 (Benedetto XVI).
La bellezza di Gesù si manifesta nel rendere possibile l’impossibile, nell’aprire la strada ad un amore vero e duraturo già sulla terra. Il primo vino deve essere sostituito da un secondo, dal vino redento e reso definitivo dall’amore del Signore. Qui, nella gioiosità e serenità di Cana, già si intravede anticipata la presenza di un altro calice, contenente il vino nuovo, quello del sangue versato una volta per tutte sulla croce, che renderà possibile e definitivo tutto ciò.
Contempliamo questa terza epifania (=manifestazione) di Gesù, che l’inno e l’antifona dei Vespri dell'Epifania affiancano a quella dei Re Magi e a quella del battesimo di Gesù al Giordano. A Betlemme, il Messia si manifesta come Figlio di Dio che inizia la sua vita terrena portando la luce ed è adorato dai Magi. Al Giordano, battezzato da Giovanni, è manifestato da Dio Padre che lo indica come il suo Figlio prediletto, l’Amato, che inizia il suo ministero di perdono. A Cana di Galilea, alla festa di nozze, mutando l’acqua in vino nuovo, manifesta la sua gloria per aiutare la fede dei discepoli, mettendosi a servizio dell’amore umano da Lui purificato e redento.
La presenza di Gesù alle nozze di Cana è collocata dall’evangelista Giovanni al settimo giorno dall’inizio dell’attività pubblica del Battista (Gv 1,19-28), “l’amico dello sposo” (Gv 3,29), che prepara l’incontro con Cristo. E’ così stabilita una settimana1 particolare che rimanda al primo capitolo del libro della Genesi: il racconto della creazione del mondo che Dio fece in sei giorni, dopo dei quali, creata infine la prima coppia umana, “nel settimo giorno cessò da ogni suo lavoro” (Gn 2,2). Ma va tenuto presente che se il sabato è il giorno del riposo, nella Chiesa nascente è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno della settima: la Domenica. Questo giorno del Signore è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno della settima, con il giorno dell’incontro con il Risorto. Quindi è una festa “attiva”.
Il Vangelo di oggi ci mostra come Cristo festeggia attivamente il “nuovo Sabato”: il Figlio di Dio si manifesta la sua gloria per aiutare la fede dei suoi discepoli. Partecipando ad una festa che celebra la bellezza e la gioia di un amore umano di un uomo e una donna che si uniscono in matrimonio Gesù dà significato pieno e splendore alla famiglia. Si fa presente a una festa di nozze, fa un miracolo generoso (600 litri di vino per una festa che sta per concludersi) che fa in modo che la gioia non si trasformi in delusione per la mancanza di vino: manifesta un amore più grande. Ma quale amore? Il suo o quello degli sposi? L’amore di Gesù e insieme l’amore degli sposi? La risposta è: l’amore umano nell’amore divino.
2)Una epifania nuziale.
L’amore nuziale di due giovani sposi, che celebrano l’inizio della loro vita di famiglia, si radica nell’amore di Cristo che “celebra” l’inizio della sua donazione sponsale all’umanità rappresentata in particolare dai suoi discepoli. Le nozze sono simbolo dell’alleanza tra l’uomo e Dio, il segno più bello, quello che l’uomo sperimenta nell’amore: la reciprocità, il dono, la gioia, l’affidabilità, la compagnia, la tenerezza. “Con questo “segno” di Cana, Gesù si rivela come lo Sposo messianico, venuto a stabilire con il suo popolo la nuova ed eterna Alleanza, secondo le parole dei profeti: ‘Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te’ (Is 62,5). E il vino è simbolo di questa gioia dell’amore; ma esso allude anche al sangue, che Gesù verserà alla fine, per sigillare il suo patto nuziale con l’umanità” (Benedetto XVI, 20 gennaio 2013).
Gesù, il Signore risorto, non manca mai alle nostre feste d’amore e l’amore di questi due sposi di Cana, nel giorno delle nozze, entra sorprendentemente nel tempo di Dio e nell’ora di passione e resurrezione di Gesù.
Quando la festa dell’amore è celebrata con il sacramento del matrimonio, l’acqua è trasformata in vino, come a Cana di Galilea, e gli sposi ricevono in dono da Dio la purificazione e la stabilità del loro amore. L’amore è meraviglioso e fragile, ma nel sacramento del matrimonio Dio compie il miracolo di renderlo santo e saldo, fedele e forte per sfidare il tempo e le difficoltà e per renderlo fecondo.
Come a Cana, Gesù unisce il cammino degli sposi al Suo cammino di obbedienza amorosa e fedele al Padre, un’obbedienza che lo condurrà alla croce e alla gloria.
In quella cittadina di Galilea, grazie all’amore di due sposi e alla sollecitudine di sua Madre, Gesù incomincia a manifestare la sua gloria del suo amore: amore che svelerà in pienezza con la sua Pasqua e che ci lascerà nel segno della cena eucaristica.
Nutrendosi dell’Eucaristia, ogni famiglia cristiana partecipa dell’amore di Cristo e impara ad amare come Lui ci ha amato. Nell’Eucaristia, come a Cana, l’amore di Gesù compare nel segno del vino, che riempie il calice dolce della festa e quello amaro della passione, perché amore è dono e offerta. Dunque, se una famiglia vuole vivere la pienezza dell’amore, deve imparare sempre di più questo amore, partecipando al l’Eucaristia, nella quale Gesù offre il suo amore per noi.
Nella piccola Cana di Galilea, Gesù dà inizio ai suoi miracoli.
Nella piccola “Cana” delle nostre famiglie, Cristo compie dei “segni” che, nella fede e nella preghiera, nell’ascolto reciproco e nel confronto quotidiano, ognuno di noi può accorgersi che ancora oggi avvengono miracoli, “segni” piccoli o grandi che Dio mette sul nostro cammino.
3) Nozze verginali.
Riferendosi al miracolo dell’acqua trasformata in vino, il brano del Vangelo di oggi termina così: “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2, 12). Con questa frase conclusiva l’Evangelista San Giovanni sintetizza lo scopo di questo suo racconto. Il miracolo di Cana ha manifestato per la prima volta la “gloria” del Messia, e ha prodotto il suo esito, cioè la fede dei discepoli. Se vogliamo ripetere la stessa esperienza, dobbiamo lasciarci persuadere dalla Madre Vergine a fare quello che Gesù dice. Ogni momento della sua vita, ogni desiderio di felicità e di pienezza potranno essere appagati dal buon vino nuovo del vangelo, che è il vino della carità: “Cristo ha trasformato l’acqua del timore nel vino della carità, facendoci figli adottivi e che nello spirito dicono ‘Abbà, Padre” (San Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di Giovanni, cap. 1, lez. 1). Con questo miracolo Gesù “manifestò la sua gloria, cioè la sua potenza, e i discepoli credettero in lui. In che senso credettero in lui se erano già suoi discepoli e, quindi, erano già credenti in lui? Prima credevano in lui come uomo buono, che insegnava cose buone e giuste. Da quel momento lo credettero Dio” (Id.).
Cristo, il Figlio di Dio, è lo sposo, e le vergini consacrate nel mondo “davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quel mirabile matrimonio operato da Dio, e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come suo unico Sposo” (Perfectae Caritatis, 12). E in questa relazione sponsale che si scopre il valore fondamentale della verginità in ordine a Dio.
La verità di queste nozze è manifestata da vari passi del Nuovo Testamento.
Per esempio, Giovanni il Battista designa Gesù come lo sposo che possiede la sposa, cioè il popolo che accorre al suo battesimo; mentre lui, il Precursore, si definisce come “l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta”, e che “esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3, 29).
Anche Gesù parla di se stesso come lo Sposo preannunciato e atteso: lo Sposo-Messia (cfr. Mt 9, 15; 22, 2; 25, 1-13; Mc 2, 19-20 e Lc 12, 35-38). Si può dire che in questo senso è significativo anche il primo miracolo che Gesù compie a Cana, proprio per un banchetto di nozze (cfr. Gv 2, 1-12).
Gesù Sposo invita a rispondere al suo dono di amore divino con amore sponsale, che implica dono e accoglienza reciproca e per sempre. Va sottolineato, però, che se è vero che tutti sono chiamati a rispondere con amore2 all’amore, è altrettanto vero che ad alcuni chiede una risposta più piena, più forte, più radicale: quella della verginità “per il Regno dei cieli”.
Chi vive la verginità consacrata non è nella solitudine, ma nella comunione con Dio in Cristo. In questa unione il Cristo dona tutto se stesso ad ogni anima verginale e ogni anima verginale dona tutta se stessa a Cristo, suo Sposo. È per questo che l’Apostolo Paolo nella verginità riconosce il carisma dell’amore perfetto e indiviso, della carità totale e feconda. A questo riguardo, l’esempio eminente è la verginità feconda di Maria, la Madre di Dio. In Lei più che in tutte le altre creature ha trovato il suo compimento il mistero dell’Alleanza. Non si dovrebbe mai separare la maternità di Maria dalla sua verginità, perché è dal dono che Ella ha fatto di Sé a Dio, nella sua verginità, che è divenuta Madre di Dio e anche di tutti noi. La vocazione delle Vergini consacrate è di essere oggi le Spose di Cristo e di continuare questa fecondità spirituale nell’oggi della Chiesa.
1 In effetti l’Evangelista e Apostolo Giovanni raggruppa i primi episodi del ministero pubblico del Cristo in una settimana:
il primo giorno è riportata la testimonianza del Battista dinanzi all'ambasceria inviata dai capi di Gerusalemme (Gv 1,19-28);
il giorno seguente è descritta l'indicazione del Messia, l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, l'eletto di Dio che battezza con lo Spirito santo (Gv 1,29-34);
il terzo giorno è narrata la vocazione dei primi discepoli (Gv 1,35-42);
il quarto giorno abbiamo la chiamata di Filippo e l'incontro di Natanaele con Gesù (Gv 1,43-51);
tre giorni dopo avviene il segno del vino durante la festa di nozze (Gv 2,1-12).
In questa settimana inaugurale della manifestazione del Cristo tutto tende verso il passo finale, nel quale l'evangelista dichiara solennemente che “Gesù diede inizio ai segni in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria” (Gv 2,11). Il Battista ha preparato quest'opera del Cristo, egli infatti proclama di essere venuto ad amministrare il battesimo d'acqua, affinché il Messia si rivelasse a Israele (Gv 1,31). Il segno del vino costituisce quindi la manifestazione iniziale piena della persona divina di Gesù. Quella gloria propria del Figlio unigenito del Padre (Gv 1,14), fu contemplata per la prima volta dai discepoli a Cana di Galilea (Gv 2,11). Cf. Olsson B.. Structure and Meaning in the Forth Gospel, Lund 1974, 102ss; Panimolle S.A., Lettura pastorale del vangelo di Giovanni, 1, EDB. Bologna 1978. 147s; Serra A., Maria a Cana e presso la croce, Roma 1978, 13ss.
2 Questo amore non è adeguatamente espresso né dal solo matrimonio, né dalla sola verginità. Sono indispensabili le due vocazioni. Il matrimonio, all’interno dello sposalizio Cristo-Chiesa, testimonia la dimensione particolare dell’amore di Dio. La verginità consacrata, all’interno dello stesso sposalizio Cristo-Chiesa, proclama l’universalità dell’amore di Dio, il suo dinamismo, il suo volgersi a tutti, nessuno escluso.
Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)
Comment. in Ioan., 8, 6-7
Qual è, allora, il senso di queste parole del Signore: "Che c’è fra me e te, o donna"? Forse ciò che segue può farci capire perché così si sia espresso il Signore: "L’ora mia non è ancora venuta". Così dice la risposta tutta intera: "Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta". Cerchiamo la ragione di questa risposta. Prima, però, confutiamo gli eretici.
Che cosa insinua il serpente, l’antico inoculatore di veleni? Che cosa dice? Che Gesù non ebbe per madre una donna. Come puoi provarlo? Con le parole, tu mi dici, del Signore: "Che c’è fra me e te, o donna"? Ma, rispondo, chi ha scritto queste parole perché possiamo credere che ha detto questo? Chi? Giovanni l’evangelista, lo sappiamo tutti. Ma questo stesso ha detto: "E c’era la madre di Gesù". Questo è il racconto, infatti: "Il terzo giorno si facevano nozze in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù; e anche Gesù con i suoi discepoli fu invitato alle nozze" (Jn 2,1-2).
Abbiamo qui due affermazioni riportate dall’evangelista. Dice: "C’era la madre di Gesù"; e ancora lui riferisce le parole di Gesù a sua madre. Ma come ci riporta la risposta di Gesù? Comincia da prima con il dire: "La madre di Gesù disse a lui" (Jn 2,3). State attenti a queste parole, fratelli; esse sono la difesa della integrità del vostro cuore contro la lingua del serpente. Lì, nel medesimo Vangelo, nella narrazione del medesimo evangelista, è detto: "C’era la madre di Gesù". E: "la madre di Gesù disse a lui". Chi ci ha narrato questi fatti? Giovanni evangelista. E che cosa rispose Gesù a sua madre? "Che c’è fra me e te, o donna"? Chi ci riporta queste parole? Sempre il medesimo Giovanni evangelista.
O evangelista fedelissimo e veracissimo, tu mi racconti che Gesù disse a sua madre: "Che c’è fra me e te, o donna"? Perché hai assegnato a Gesù una madre che egli non riconosce? Tu hai detto infatti, che "c’era la madre di Gesù", e che "la madre di Gesù disse a lui" perché non hai detto piuttosto: c’era Maria, e: Maria disse a lui Tu riporti, invece, tutte e due le espressioni; sia "la madre di Gesù disse a lui", sia: "E Gesù le rispose: Che c’è fra me e te, o donna"? Perché ciò, se non perché tutte e due le espressioni sono vere? Quelli, invece, vogliono credere all’evangelista solo quando narra che Gesù disse a sua madre: "Che c’è fra me e te, o donna?", e non quando dice: "C’era la madre di Gesù", e "la madre di Gesù disse a lui". Ebbene, chi è che resiste al serpente e possiede la verità, di chi è il cuore la cui integrità non è corrotta dall’astuzia del diavolo? Certamente di chi ritiene vero sia che c’era lì la madre di Gesù, sia che Gesù rispose a quel modo a sua madre.
Se ancora non comprendi in che senso Gesù disse: "Che c’è fra me e te, o donna"?, credi frattanto che Gesù ha detto quelle parole, e le ha dette a sua madre. Comincia con il credere adorando, e tale fede avrà i suoi frutti.
Mi rivolgo a voi, cristiani fedeli: c’era la madre di Gesù? Voi rispondete: c’era. Come lo sapete? Voi rispondete: lo racconta il Vangelo. E che cosa risponde Gesù alla madre? Voi dite: "Che c’è fra me e te, o donna"? "L’ora mia non è ancora venuta". Anche questo, come lo sapete? Voi rispondete: lo racconta il Vangelo. Che nessuno vi corrompa questa fede, se volete conservare per !o sposo una casta verginità. Se poi qualcuno vi domanda perché Gesù rispose a quel modo alla madre, parli pure colui che ne conosce il motivo, e chi non lo conosce ancora, continui a credere fermissimamente che Gesù ha risposto veramente così, e che ha risposto così a sua madre. Questo spirito di pietà gli meriterà anche di capire il senso di quella risposta, se busserà con la preghiera e non con le obiezioni, alla porta della verità. Ma stia in guardia, perché, mentre crede di sapere il motivo di quella risposta o si vergogna di non saperlo, non sia indotto a credere che l’evangelista ha mentito dicendo: "c’era la madre di Gesù"; oppure che Cristo stesso ha sofferto per i nostri peccati una morte fittizia, ha mostrato delle false cicatrici per la nostra giustificazione, ed ha egli stesso mentito quando disse: "Se voi rimanete costanti nella mia parola, sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,31-32). Perché, se la madre è fittizia, e fittizia la carne, fittizia la morte, fittizie le piaghe della Passione, fittizie le cicatrici della Risurrezione; allora non sarà la verità a liberare quelli che credono in lui, ma piuttosto la falsità. No, tutto al contrario la falsità ceda alla verità e siano confusi tutti coloro che vorrebbero sembrare veraci proprio perché si sforzano di dimostrare Cristo fallace, e non vogliono sentirsi dire: - Non vi crediamo, perché mentite -, mentre loro vanno dicendo che la verità stessa ha mentito.
Se poi domandiamo a costoro come facciano a sapere che Cristo ha detto: "Che c’è fra me e te, o donna?", essi rispondono che han creduto al Vangelo. Ma perché allora non credono al Vangelo, quando dice: "C’era la madre di Gesù, e la madre di Gesù disse a lui"? Ché se qui il Vangelo ha mentito, come gli si può credere che Gesù ha detto: "Che c’è fra me e te, o donna"? Non farebbero molto meglio a credere, questi infelici, che è stato proprio a sua madre che il Signore ha risposto a quel modo, e non a una donna estranea? e cercare religiosamente il senso di questa risposta? C’è in effetti una grande differenza fra chi dice: - Vorrei sapere perché Gesù ha risposto in quel modo alla madre - , e chi dice: -Io so che Cristo non a sua madre ha dato quella risposta. Una cosa è voler penetrare ciò che è chiuso, un’altra cosa non voler credere a ciò che è manifesto. Chi dice: - Voglio sapere perché Cristo ha risposto a quel modo a sua madre -, desidera che gli venga aperto il senso del Vangelo, cui crede. Ma colui che dice: -So che Gesù non a sua madre ha dato quella risposta -, accusa di menzogna il Vangelo stesso, dal quale ha saputo, e creduto, che Cristo diede veramente quella risposta.
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