venerdì 25 gennaio 2019

La Promessa e il suo Compimento: l’Alleanza definitiva.

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 27 gennaio 2019

Rito Romano
Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21

Rito Ambrosiano
Sir 44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.
 


1) La Promessa realizzata.
Nell'Antico Testamento Dio aveva parlato principalmente promettendo e chiedendo l’osservanza della Legge, che è “luce degli occhi e gioia del cuore” (cfr Sal. 18 B, 4).
Dunque è chiaro il perché, insieme con Esedra, il profeta Neemia, che ha assunto il compito di riedificare le mura di Gerusalemme e ripopolare la città abbandonata, riunisce la comunità ebrea ritornata dall’esilio di Babilonia, e celebra una grandiosa liturgia per fare conoscere la Legge ed impegnarsi a praticarla.
Sempre nel brano odierno tratto dal libro di Neemia leggiamo che il popolo, ascoltando la lettura della Legge, piange perché sente che la sua vita è messa in discussione e mossa alla conversione. Neemia, il principale organizzatore del ritorno dall’esilio in Babilonia e della rinnovata vita sociale e religiosa incoraggia i presenti: “Oggi è un giorno di festa! Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”. E lo diceva un uomo, che pur avendo ricostruito le mura di Gerusalemme (siamo nel 444 a.C.) era sicuro che il più valido muro di difesa è la fedeltà alla Legge data dal Signore al suo popolo. Questo profeta invita alla gioia perché è certo che, nonostante tutte le mancanze umane, Dio rimane fedele e che il giorno in cui inizia una vita nuova, convertita alla Legge, deve essere un giorno di festa, di gioia e di condivisione come il pranzo in comune indica.
Nacque allora la pratica ebraica di leggere ogni sabato nella sinagoga un brano tratto dalla Bibbia. Anche nel Vangelo la Parola è al centro dell’assemblea dei credenti. Ivi la Parola è proclamata solennemente, ascoltata attentamente e giustamente viene capita (=accolta) come messaggio di speranza, di gioia, di liberazione.
Dunque Gesù si inserisce in questa pratica e di sabato entra nella Sinagoga di Nazareth.
Ma solo con Gesù la Scrittura è attualizzata e realizzata pienamente: in Lui si compie la promessa. Gesù fa il suo commento, molto breve; ma in esso si rivela, si presenta, si fa conoscere apertamente come il Messia Salvatore. Sulla bocca di Cristo le parole antiche del profeta Isaia, vecchie di secoli, scritte su un rotolo vecchio diventano trasparenti, attuali, fresche, concrete, splendenti di una rivelazione che si compie. Sono parole che diventano nuove: una buona novella non solo promessa ma realizzata.
La gente di Nazareth (ma non solo) non è pronta, non è attenta al passaggio di Dio; a Nazareth succede il più grande scompiglio. I “suoi” non l'hanno accolto, non si sono aperti alla fede, hanno creduto che fosse un matto, al punto di volerlo gettare dalla rupe.
Gesù è stato chiaro: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udita”. 
Qual era la Scrittura letta e ascoltata? Era il testo profetico di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore”. 
Cristo Gesù è il Messia, l’Unto, il consacrato di Dio, perché ha ricevuto “l’unzione della gioia” divina e nuziale (Sal 44,8). A questo titolo usato nella Bibbia, mi permetto di aggiungere che Gesù è la “Parola indelebile” (Tommaso Federici, nato il 30 aprile 1927 e morto il 13 aprile 2002, fu un notevole Biblista, Patrologo e Liturgista italiano), il Cuore che parla ai cuori, l’Amore che guarisce gli amori umani: Gesù porta ed è la buona e lieta notizia che l'amore di Dio per tutti è senza limiti.
Come evitare di cadere nello stesso grave errore dei concittadini di Gesù, i quali fissarono su di Lui i loro occhi quando cominciò a leggere nella sinagoga di Nazareth, e dopo un primo momento di benevolo stupore, decisero di eliminarlo?
Volgendo, con-vertendo a Gesù non solo gli occhi, ma il cuore e con esso la vita intera. Allora su di noi “sarà impressa la luce del suo volto” (Sal 4,7).
Sull’esempio dei fedeli riuniti nella sinagoga di Nazareth guardiamo fisso verso Gesù in attesa del suo insegnamento, trattenendo il fiato in attesa che Gesù spieghi e completi quello che viene letto. Il loro cuore volto a Gesù, prima che Lui parlasse, era in ansia, dopo fu nello stupore di sentire che la promessa era compiuta. “Felice è quell’assemblea di cui la Scrittura testimonia che gli occhi erano fissi su di Lui” (Origene, Commento al Vangelo di Luca, 32, 2-6).
Purtroppo poi reagirono negativamente. Per non cadere in questo rifiuto dobbiamo chiedere di aver occhi puri e di fede per vedere che siamo nella pienezza dei tempi, in cui il Salvatore guarisce i ciechi (anche quelli che non vedono le cose celesti, perché chini su quelle terrestri, se lo domandano) e i sordi (anche quelli che non odono la Parola del Cielo, perché le loro orecchie sono otturate dai rumori della terra, se lo implorano), dona il Regno ai poveri (anche quelli che sono immersi nella povertà dell’egoismo, se tendono la mano per esserne tirati fuori), la libertà ai prigionieri (anche quelli che sono legati al peccato, se chiedono di esserne sciolti).
Il tempo è compiuto e l’uomo è ricreato dal Redentore mediante la misericordia, purché contrito domandi questa liberazione donata dall’alleanza nuova. Il Vangelo è la lieta “informazione” che tutto ciò è vero e possibile per sempre. “Il dono supera in abbondanza la domanda” (Sant’Ambrogio, Commento a Luca, 10, 121) e la realizzazione è ancor più grande della promessa.

2) L’Alleanza di misericordia rivolta a Teofilo.
L’alleanza nuova di Cristo è un’alleanza di misericordia, che è abbraccio di pace come quello dato dal Padre al figlio prodigo. E’ un’alleanza nuova che non è più incisa su pietre ma nel cuore, un’alleanza di perdono. Ma il perdono ricevuto implica un dovere: di perdonare. Portati a pienezza dall’Amore che redime perdonando, dobbiamo portare questo amore misericordioso agli altri, al mondo intero. Dobbiamo essere evangelizzatori nuovi recando nel mondo il perdono di Dio. Se Cristo in Croce disse: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, non potremo dire noi, come quel santo che pregando per i suoi nemici disse: “Signore a che serve che io li abbia perdonati, se tu non li fai entrare in Paradiso”? Sì, lo potremo con la grazia di Dio. Si lo potremo se saremo dei “Teofili” per i quali San Luca ha scritto il suo Vangelo.
Teofilo (dal greco Theos = Dio, philos = amore) vuol dire chi ama Dio e/o chi è amato da Dio. In entrambi i casi - che noi amiamo Dio o che noi desideriamo di essere amati da Dio - dobbiamo leggere il Vangelo di San Luca come scritto per noi, donato a noi.
Un dono, un dono grande che è fatto non solo di parole: il Vangelo non è una delle tante visioni del mondo, una teoria sul mondo e sull’uomo. Il Vangelo è incontro con la persona di Gesù, che si fa avvenimento della nostra vita e fa della nostra vita un avvenimento della Sua presenza per gli altri.
Il modo migliore per corrispondere a un dono è quello di donare, di donarci a Cristo e di donarci alla sua missione in questo mondo, donarci agli altri con l’impegno quotidiano dei nostri gesti in casa e sul lavoro. In questo ci sia di modello la Santa Famiglia di Nazareth, la cui festa è oggi celebrata dalla liturgia ambrosiana.
Gesù, Maria e Giuseppe, quale comunità di vita sotto la volontà d’amore di Dio (H.U. von Balthasar), vissero la dimensione del dono e del perdono senza limiti (Per-donare è donare all’infinito). Il loro esempio ci chiama ad essere testimoni del dono di Dio che dà luce, senso, bellezza e gioia alla vita del mondo intero.
A questa testimonianza del dono sono chiamate in modo particolare le Vergini consacrate, come recita l’antichissima ed intensa preghiera consacratoria, risalente al IV secolo. Il Vescovo che presiede il rito dell’Ordo Virginum rivolgendosi a Dio tra l'altro recita: “...mentre rimaneva intatto il valore e l’onore delle nozze, santificate all’inizio dalla tua benedizione, secondo il tuo provvidenziale disegno, dovevano sorgere donne vergini che, pur rinunziando al matrimonio, aspirassero a possederne nell’intimo la realtà del mistero. Così tu le chiami a realizzare, al di là dell’unione coniugale, il vincolo sponsale con Cristo di cui le nozze sono immagine e segno”; e conclude: “In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto”.
In un tempo in cui la verginità è purtroppo poco stimata, perché sembra una mancanza invece di essere compresa nel valore di dono totale di sé che essa rappresenta, le Vergini consacrate testimoniano che è possibile vivere questo dono che è grande, lieto e utile. «Voi, vergini consacrate, siete già come angeli su questa terra» (Sant’Ambrogio, De Virginitate). Non nel senso che la loro vita si sottragga alla realtà concreta, ma perché testimoniano già oggi, l’oggi di Cristo, che il destino dell’uomo si gioca in riferimento a Cristo. Esse mostrano che questo dono riempie talmente di gioia la vita da poter diventare definitivo.

LETTURA PATRISTICA
SANT’AGOSTINO D’IPPONA
LA SANTA VERGINITÀ
http://www.augustinus.it/italiano/santa_verginita/index2.htm
Introduzione all'opera.
1. 1. Or non è molto abbiamo pubblicato un libro su La dignità del matrimonio. In esso esortavamo le vergini di Cristo - come le esortiamo anche adesso - a non disprezzare i coniugi dell'antico popolo di Dio, anche se, paragonandosi con loro, troveranno che il proprio dono divino è più grande e più sublime. Di tali coniugi e del ministero che mediante la generazione dei figli rendevano al Messia venturo fa l'elogio l'Apostolo chiamandoli il buon olivo, per eliminare ogni superbia nell'olivo selvatico che vi è stato innestato 1. Non si deve pensare che fossero inferiori in merito, anche se per diritto divino la continenza in se stessa è più eccellente del matrimonio e la verginità consacrata più eccellente delle nozze. Per loro mezzo, infatti, si preparavano e venivano realizzandosi quegli eventi futuri che noi oggi riscontriamo essersi verificati con meravigliosa efficacia: tanto che la stessa loro vita coniugale aveva un valore profetico, e non va attribuito ai soliti motivi di calcolo personale e di soddisfazione esclusivamente umana se in certuni di loro la fecondità meritò degli onori segnalati e se, in altri, fu resa feconda persino la sterilità. Ogni cosa in loro accadeva per un'arcana disposizione divina. Quanto al tempo presente, invece, coloro cui si riferiscono le parole: Se non riescono a contenersi, si sposino 2 non hanno bisogno d'essere incoraggiati ma rasserenati. Mentre gli altri, per i quali sta scritto: Capisca chi può 3, hanno proprio bisogno di esortazione perché non si spaventino, e di salutare timore perché non si inorgogliscano. Non basta quindi elogiare la verginità perché venga amata. Occorrerà anche aggiungere degli ammonimenti perché non si gonfi d'orgoglio.
Dignità delle vergini nella Chiesa, vergine feconda.
2. 2. È quanto intraprendiamo con la presente trattazione. Ci aiuti Cristo, figlio della Vergine e sposo delle vergini, nato fisicamente da un grembo verginale, sposato misticamente con nozze verginali. Se tutta la Chiesa è una vergine fidanzata a un sol uomo, il Cristo 4 (come si esprime l'Apostolo), quale non dovrà essere l'onore che meritano quelle persone che custodiscono anche nel corpo l'integrità che tutti i credenti conservano nella fede! La Chiesa ricopia gli esempi della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo. Nell'una e nell'altra la verginità non ostacola la fecondità; nell'una e nell'altra la fecondità non toglie la verginità. La Chiesa è, tutt'intera, santa nel corpo e nell'anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell'anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell'anima?
Parentela di sangue e parentela spirituale.
3. 3. Un giorno - racconta il Vangelo - la madre e i fratelli di Gesù (cioè i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa perché la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro]. Gesù uscì in queste parole: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco i miei fratelli! Poiché, chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è mio fratello e madre e sorella 5. Ci insegnava con questo ad attribuire più importanza al nostro parentado spirituale che non a quello carnale. Ci insegnava a ritenere beata la gente, non per i vincoli di parentela o di sangue che vanta con persone giuste e sante, ma perché, attraverso l'obbedienza e l'imitazione, si adeguano al loro insegnamento e alla loro condotta. Proprio come Maria, la quale, se fu beata per aver concepito il corpo di Cristo, lo fu maggiormente per aver accettato la fede nel Cristo. A quel tale, infatti, che aveva esclamato: Beato il grembo che ti ha portato!, il Signore replicò: Beati sono, piuttosto, coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano 6. Si sa di certi fratelli di Gesù (cioè suoi parenti di famiglia), che non credettero in lui. A costoro cosa giovò la parentela che li univa a Cristo? E così anche per Maria: di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l'avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne.
Prototipo delle vergini è Maria, vergine per libera scelta.
4. 4. La verginità di Maria fu certamente molto gradita e cara [al Signore]. Egli non si contentò di sottrarla - dopo il suo concepimento - a ogni violazione da parte dell'uomo, e così conservarla sempre incorrotta. Già prima d'essere concepito volle scegliersi, per nascere, una vergine consacrata a Dio, come indicano le parole con le quali Maria replicò all'Angelo che le annunziava l'imminente maternità. Come potrà accadere una tal cosa - disse - se io non conosco uomo? 7. E certo non si sarebbe espressa in tal modo se prima non avesse consacrato a Dio la sua verginità. Ella si era fidanzata perché la verginità non era ancora entrata nelle usanze degli ebrei; ma s'era scelta un uomo giusto, che non sarebbe ricorso alla violenza per toglierle quanto aveva votato a Dio, che anzi l'avrebbe protetta contro ogni violenza. Che se nella sua risposta ella si fosse limitata a dire: Come accadrà questo? e non avesse aggiunto: poiché non conosco uomo, anche in questo caso le sue parole non sarebbero certo state una richiesta d'informazioni sul come avrebbe messo al mondo il figlio che le veniva promesso, qualora sposandosi non avesse escluso ogni uso del matrimonio. L'obbligo di restare vergine poteva anche esserle imposto dall'esterno, affinché il Figlio di Dio assumesse la forma di servo con un miracolo degno dell'evento. Ma non fu così: fu lei stessa a consacrare a Dio la sua verginità quando ancora non sapeva chi avrebbe concepito. E così sarebbe stata di esempio alle sante vergini, e nessuno avrebbe mai potuto credere che la verginità è una prerogativa di colei che aveva meritato la fecondità senza il concorso dell'uomo. In tal modo questa imitazione della vita celeste da parte di persone rivestite di corpo mortale e fragile cominciò ad esistere in forza d'una promessa, non di una imposizione; d'un amore che sceglie, non d'una necessità che rende schiavi. E così Cristo, nascendo da una vergine che aveva deciso di restare vergine quando ancora non sapeva chi sarebbe nato da lei, mostrò che preferiva intervenire all'approvazione della verginità piuttosto che ad impartirne il comando; e per questo motivo volle che, anche in colei che gli avrebbe somministrato la forma di servo, la verginità fosse di libera scelta.
Fratello, sorella e madre di Cristo.
5. 5. Le sante vergini non debbono rammaricarsi se, conservando la verginità, non possono diventar madri in senso fisico. Caso unico, infatti, in cui fu conveniente che la verginità partorisse fu quello di chi, nella sua nascita, non avrebbe dovuto avere l'eguale. Del resto, il parto di quella Vergine singolare e santa è una gloria di tutte le sante vergini: esse sono, in Maria, madri del Cristo, a condizione però che facciano la volontà del Padre. È infatti a questo titolo che Maria è madre di Cristo in senso più encomiabile e felice, secondo la parola evangelica sopra ricordata: Chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, costui mi è fratello e sorella e madre 8. Elenca tutti questi vincoli di parentela, ma, trattandosi del popolo dei redenti, li presenta elevati all'ordine soprannaturale, cioè riferiti a se stesso. Egli ritiene per fratelli e sorelle i santi e le sante con i quali condivide l'eredità celeste. Sua madre è la Chiesa universale, in quanto, mediante la grazia divina, genera le sue membra, cioè i suoi fedeli. Inoltre, di ogni anima devota si può dire che essa è madre di Cristo, nel senso che, facendo la volontà del Padre, mediante la carità - che è virtù fecondissima - dà la vita a tutti coloro in cui imprime la forma di Cristo 9. Quanto a Maria, essa adempì la volontà del Padre; e in tal modo, se fisicamente fu soltanto madre di Cristo, spiritualmente gli fu sorella e madre.

venerdì 18 gennaio 2019

L’amore fa miracoli: l’acqua trasformata in vino a Cana il vino in sangue a Gerusalemme.

II Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019

Rito romano
Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12

Rito ambrosiano
Est 5,1-1c.2-5; Sal 44; Ef 1,3-14; Gv 2,1-11


1) Un miracolo di gioia.
Non è casuale il fatto che il primo miracolo compiuto da Gesù sia dovuto all’intercessione di Sua Madre per far continuare la gioia del giorno in cui due sposi consacrano il loro amore alla presenza di Cristo Gesù.
L’episodio è molto conosciuto. Gesù insieme con i suoi discepoli è invitato a nozze in una piccola città non lontana da Nazareth: Cana (1) di Galilea. Sappiamo che era presente anche la Madonna, che è la co-protagonista dell’avvenimento. In effetti, quando verso la fine del pranzo nuziale stava per finire il vino, la Vergine Maria fu la prima ad accorgersene e, in modo cortese ma deciso, chiese a suo Figlio di intervenire per risolvere questo inconveniente e, quindi, far continuare la gioia di due sposi novelli nel giorno in cui consacravano il loro reciproco amore a Dio.
Può sembrare strano che la Madonna si preoccupi di qualcosa che il cosiddetto buon senso considererebbe se non superfluo, almeno di non grande importanza. Sembrerebbe eccessivo scomodare l’onnipotenza di Dio per rimediare alla mancanza di vino, anche perché ormai si è alla fine della festa. Ma la Vergine Madre è donna sensibile e concreta e conosce l’importanza delle “piccole” gioie della vita.
Il primo messaggio del Vangelo odierno è, secondo me, questo: il primo miracolo di Gesù è, per intercessione della Madonna, un miracolo di gioia perché non venga meno la serenità della vita, che si svolge sotto gli occhi del Padre provvidente, che ha creato per noi il cielo e la terra e l’infinità di cose ed esseri che cielo e terra contengono.
L’amore divino fa miracoli sempre, anche per sostenere le gioie semplici dell’esistenza umana e lo fa con generosità così grande che a noi sembra uno spreco. Cristo trasforma in vino di alta qualità l’acqua contenuta in 6 anfore da un ettolitro l’una. Mette a disposizione ben seicento litri di vino per una fine-pasto: è veramente segno della generosità di Dio.
Tuttavia non va dimenticata la risposta, all’apparenza un po’ brusca, di Gesù alla sollecitudine della Madre: “Che importa a te e a me, Donna?” (Questo appellativo “Donna” non indica una presa di distanza, una estraneità verso la Madre, il sostantivo “Donna” sarà usato da Cristo anche sulla croce quando dirà a sua Madre : “Donna, ecco tuo figlio” per affidarle l’Apostolo Giovanni e tutti noi con lui) e subito aggiunge: “La mia ora non è ancora venuta”. Maria, che non si sente indifferente a quanto sta accadendo ai giovani sposi, anticipa questa ora, l’Ora della Passione, con la sua intercessione di tenerezza. Perciò la Madre disse ai servi: “Fate tutto quello che egli vi dirà”. Sono queste le ultime parole di Maria che i Vangeli ci riportano. Le ultime come le prime (quelle dette al momento dell’Annunciazione e della visita alla cugina Elisabetta) sono parole che la Madonna, nostra Madre, ci offre per indicarci il corretto rapporto con Cristo.
Chissà se la Madonna ha presentito che il riferimento all’“Ora” indicava che l’evento nuziale di Cana è un festoso quadro, sul cui sfondo si staglia la Passione del Figlio. A Cana l’acqua è trasformata in vino, a Gerusalemme, nel Cenacolo, quando l’Ora sarà arrivata, il vino sarà “trasformato” in sangue.
Le nozze di Cana sono il segno di un’altra Alleanza, quella Nuova, quella che sarà sigillata dalla Croce e Maria diventerà la Donna dell’Alleanza sigillata dalla croce. Maria, la cui fede è un modello per noi, è guidata dal Figlio ad una fede ancor più adulta e, se la sua richiesta di un miracolo era per avere la soluzione all’imbarazzo degli sposi e delle loro famiglie, il miracolo compiuto da Gesù è pure per una rivelazione più alta. Egli rivela di essere venuto a restituire all'uomo e alla donna la capacità di essere famiglia, vera e lieta: santa. Egli ne è il fondamento, il sapore e la gioia, il vino nuovo, serbato fino alla fine e, in ciò -dice Giovanni- Gesù “manifesta la sua gloria”, perché “la Gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Sant’Ireneo), nell’immensa ed eterna gioia.

2) Una risposta positiva grazie a Maria.
Diceva san Luigi Maria Grignion de Montfort: “Dio ha riunito tutte le acque e le ha chiamate mare; ha riunito tutte le grazie e le ha chiamate Maria”. Figuriamoci se la Madre di tutte le grazie poteva avere una risposta negativa da suo Figlio. La Vergine Madre non ha avuto la minima indecisione nel dire ai servi, ancor prima di avere la risposta positiva di Gesù: “Fate tutto ciò che Egli vi dirà”. Sa benissimo che la fiducia totale in Lui non viene mai delusa. 
Lei è il Vangelo vivente, è l'esperta di Dio. A Lei furono consegnati i misteri della redenzione. Umile serva di Dio e liberamente docile alla Volontà di Dio, Maria ha ascoltato la Parola divina, L’ha accolta nel suo cuore e sotto il suo cuore, e ha portato frutto. Così, visto che lei per prima aveva ascoltato Lui e aveva fatto la Sua volontà, ora Gesù ascolta lei e fa la sua volontà, operando uno straordinario miracolo, ancor prima che fosse giunta la sua ora. 


Anche noi dobbiamo ascoltare il Signore, accoglierlo nella nostra esistenza e portare frutto.
Poi, dobbiamo essere evangelizzatori delle meraviglie, di cui siamo stati testimoni e beneficiari. 
Nel Vangelo odierno, non si tratta solo di un racconto di nozze. L’apostolo Giovanni dice che in quel giorno Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui.
La gloria indica l'essere profondo di una persona che viene rivelato. Gesù comincia a manifestare chi Egli è veramente. E' colui che dona il vino migliore, mostrando che Lui è il vero sposo che deve venire: il Messia. Le nozze di Cana richiamano le nozze di Dio con il suo popolo, annunciate dai profeti. 


3) Un miracolo nel miracolo.
Quindi, credo di essere nel vero se affermo che il miracolo principale del vangelo di oggi riguarda la presenza di Cristo a Cana per queste nozze, in cui Lui purifica, eleva e santifica l’amore umano di un uomo e di una donna, radicandolo nel Suo Amore. Il miracolo dell’acqua trasformata in vino è segno miracoloso, semplice e stupefacente dell’amore di terra trasformato in amore di cielo.
Il mistero (parola che vuol dire anche sacramento e luogo dell’incontro con Dio) di Cana, che è il primo dei miracoli cristiani, ci spinge a credere pienamente in Gesù, come è accaduto ai discepoli, e allo stesso tempo ci dona una fiducia filiale in Maria e ci incoraggia a imitarLa.
Come imitare Maria? Come giungere alla sua sicura fiducia in Cristo?

Vivendo, come la Madonna, la consapevolezza di appartenere a Dio, vivendo come Lei di fede.
Con e per fede, Maria disse “sì” all’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio.
Con e per una fede amorosa, la Madonna si recò da Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie realizzate in coloro che si abbandonano fiduciosamente a Lui.
Con e per una fede gioiosa e trepidante, la Vergine Madre diede alla luce il suo unico Figlio.
Con e per questa fede, Lei ebbe piena fiducia in Giuseppe suo sposo e portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode.
Con e per questa stessa fede Lei accettò la vita pubblica del Figlio e lo seguì fino sul Calvario, rimanendo sotto la Croce.
Con e per fede accettò noi come suoi figli nel Figlio, noi che eravamo i colpevoli della morte del suo Figlio crocifisso.
Imitiamo la Madonna in questa vita di fede, dove preghiera e azione sono intimamente unite.
Maria è modello di fede perché è modello di contemplazione, di orante amore. Dunque, come faceva la Madonna anche noi contempliamo Gesù. Con amore che si fa preghiera, guardiamo il Verbo fatto carne quando vagisce, gioca, lavora, predica, muore sulla Croce e uccide la morte risplendendo nella Risurrezione.
Sull’esempio della Madre Vergine domandiamo grazie “visibili” con gli occhi del corpo come quella dell’acqua trasformata in vino e la Grazia “visibile” con gli occhi della fede: Gesù Cristo.
In ciò siano di sostegno le Vergini Consacrate, fra i cui compiti principali c’è quello di essere sorgenti contemplative e maestre di preghiera amorosa per tutti i cristiani, uomini e donne, piccoli e grandi.
É compito grande delle Vergini Consacrate quello di coltivare la contemplazione di Cristo, Verità vivente, e di farla scoprire agli altri. In questo modo il primato del contemplare sul fare, dell'essere sull'avere sarà sempre più riconosciuto.
Infatti, la consacrazione delle Vergini si pone essenzialmente sul piano dell'essere e non su quello del fare. Il ministero delle Vergini Consacrate è soprattutto un «ministero contemplativo», un «ministero dell'orante in ascolto della Parola e ministero dell'amore» (Premesse al Rito della Consacrazione delle Vergine, 1 e 2). In effetti, le vergini consacrate che vivono nel mondo sono segno e testimonianza profetica all'interno del popolo di Dio. Per condividere la Grazia di Cristo, esse nutrono la loro vita con il Corpo dello Sposo, l’alimentano con la meditazione della Parola e con la preghiera assidua.
1 Collocazione del brano delle Nozze di Cana nell’anno liturgico:: La festa dell’Epifania, cioè della manifestazione di Gesù Cristo, secondo la tradizione comporta tre manifestazioni importanti di Gesù. La prima è alla visita dei Magi (celebrata due domenica fa), la seconda è al battesimo nel Giordano (celebrato domenica scorsa), la terza è il miracolo dell'acqua cambiata in vino alle nozze di Cana . Nell’anno C queste tre manifestazioni sono proposte in sequenza nelle prime feste dell'anno solare. Questa domenica vediamo dunque il miracolo del vino alle nozze di Cana.
Si tratta di un brano un po’ particolare. Il miracolo dell’acqua mutata in vino viene presentato come un segno che manifesta la grandezza di Gesù e la sua natura divina. Il segno richiede di non soffermarsi su di sé ma di andare subito oltre, al significato che il segno stesso veicola. Questo si vede bene nel racconto delle nozze di Cana. I particolari che incorniciano il gesto di Gesù sfuggono, siamo a nozze, ma non si parla della sposa e solo fuggevolmente dello sposo.
Non si sa perché sia venuto a mancare il vino, i personaggi principali di fatto dovrebbero essere i meno importanti (i servi e il maestro di tavola). Questo ha portato gli studiosi a leggere il brano in senso simbolico. Un miracolo avvenuto all'inizio del ministero di Gesù diventa così il prototipo dei segni, la chiave di lettura dell’incarnazione, della predicazione e dell'attività di Gesù durante la sua vita terrena.


LETTURA PATRISTICA
San Giovanni Crisostomo (344/354 – 407)
Comment. in Ioan., 22, 1-2


L’ora di Gesù
       "Che c’è tra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta" (Jn 2,4).
       È certamente cosa faticosa il tenere sermoni, come riconosce lo stesso Paolo con queste parole: "I presbiteri che governano bene siano compensati di duplice onore: soprattutto quelli che si affaticano e nella predicazione e nell’insegnamento" (1Tm 5,17). Però dipende unicamente da voi il rendere questa fatica leggera o pesante. Se respingete quanto vi si dice, oppure, senza respingerlo, non lo mettete in pratica, la nostra fatica sarà pesante, perché sappiamo di lavorare inutilmente; se, invece, prestate attenzione e mettete in pratica quanto ascoltate, non ci accorgeremo neppure del sudore che tutto questo ci costa: l’abbondanza dei frutti delle nostre fatiche ce le farà sembrare leggere. Perciò, se volete stimolare il nostro zelo, e non spegnerlo o diminuirlo, mostratecene, vi prego, il frutto, affinché, vedendo il buon raccolto, confortati dalla speranza di prosperità e contando già i buoni risultati che ne ricaveremo, non siamo indolenti nell’impegnarci in un’impresa così importante. Infatti, anche la questione che oggi ci proponiamo di trattare non è di scarsa importanza. La madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino", e il Cristo le rispose: "Che c’è tra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta"; però, dopo aver risposto così, egli compì proprio quello che gli aveva chiesto la madre. Tale questione non è meno difficile e importante della precedente. Invocando dunque l’aiuto di colui che fece questo miracolo, cerchiamo di arrivare prontamente alla soluzione.
       Notiamo prima di tutto che questa espressione non ricorre solo in questa circostanza; lo stesso evangelista dice più avanti: "Nessuno lo arrestò, perché la sua ora non era ancora venuta" (Jn 8,20); e ancora: "Nessuno gli mise le mani addosso perché la sua ora non era ancora venuta" (Jn 7,30); e infine il Salvatore dice: "È venuta l’ora, glorifica il Figlio tuo" (Jn 17,1). Ho raccolto qui tutti questi passi tratti dall’intero Vangelo, per darne un’unica soluzione. Qual è in effetti il significato di queste espressioni? In primo luogo, il Cristo non era soggetto alle leggi del tempo, e non era per obbedire alle esigenze di una determinata ora che egli diceva: "L’ora mia non è ancora venuta". E come avrebbe potuto l’Autore del tempo, il Creatore delle ere e dei secoli, subire una tale necessità? Esprimendosi in questo modo, vuole solo farci intendere che egli compie ogni cosa a tempo opportuno e non tutte nello stesso tempo; giacché se non fissasse a ciascuna delle sue opere il momento opportuno, la nascita, la risurrezione, il giudizio dovrebbero mescolarsi l’un l’altro, e ne nascerebbe confusione e disordine. Notate bene, infatti: Era opportuno che la creazione avvenisse, ma non tutta in una volta; era opportuno che venissero creati l’uomo e la donna, ma non entrambi nello stesso istante; era opportuno condannare alla morte il genere umano e che avvenisse poi la risurrezione, ma tra i due decreti doveva esservi un grande intervallo; era opportuno che venisse data la legge, ma non contemporaneamente alla grazia; a ciascuna delle due cose conveniva un tempo particolare. Il Cristo non era dunque soggetto alla necessità dei tempi, ma è lui che ha assegnato un ordine ai tempi, e che li ha creati.
       Se perciò Giovanni riporta qui la frase del Cristo: "L’ora mia non è ancora venuta", è per significare che egli era ancora sconosciuto a molti e che non aveva neppure al suo seguito l’intera schiera dei discepoli: lo seguivano solo Andrea e Filippo e nessun altro; e nemmeno questi lo conoscevano in maniera adeguata, come neanche sua madre e i suoi fratelli. Prova ne è quanto dice l’evangelista a proposito dei fratelli, dopo che erano avvenuti molti miracoli: "E neanche i suoi fratelli credevano in lui" (Jn 7,5). Così non lo conoscevano nemmeno quelli che erano presenti alle nozze: altrimenti, essi stessi gli si sarebbero avvicinati e lo avrebbero pregato, trovandosi ad aver bisogno di lui. Ecco perché egli dice: "L’ora mia non è ancora venuta": - non sono, cioè, ancora conosciuto dai presenti ed essi non sanno neppure che il vino manca. Lascia che almeno se ne accorgano. Però non sei tu che devi rivolgermi questa domanda, perché tu sei la madre e rendi sospetto il miracolo. Sarebbe stata cosa più opportuna che quelli stessi che si trovano nel bisogno fossero venuti da me a pregarmi; non perché questa sia per me una condizione indispensabile, ma affinché essi accolgano il miracolo che io compirò con piena soddisfazione -. Chi, infatti, sa di trovarsi in stato di necessità, appena ottiene quello che desidera, pensa di aver ricevuto una grande grazia; chi, invece, non si rende ancora conto di trovarsi nel bisogno, non avrà neanche una chiara e piena coscienza del beneficio.
   «Ma perché mai - mi chiederete -, dopo aver detto: "L’ora mia non è ancora venuta" e dopo aver opposto un rifiuto, compì ciò che la madre gli aveva chiesto?». Per dimostrare ai suoi oppositori e a quanti lo ritenevano soggetto all’ora e al tempo, che non lo era affatto. Se, infatti, fosse stato soggetto ad essi, come avrebbe potuto compiere quest’opera, quando non era ancora venuta l’ora? Inoltre, egli volle rendere onore a sua madre, affinché non sembrasse resisterle completamente, non si spargesse la diceria della sua impotenza a compiere qualcosa di straordinario, e per non farla vergognare in presenza di tante persone: ella, infatti, gli aveva mandato i servitori. Anche quando disse alla Cananea: "Non è bene prendere il pane dei figlioli per gettarlo ai cagnolini" (Mt 15,26), le concesse poi ciò che ella gli aveva chiesto, commosso dalla sua insistenza; e benché le avesse detto precedentemente: "Io non sono stato mandato se non per le pecorelle smarrite della casa d’Israele" (Mt 15,24), egli le liberò la sua figlia.
       Impariamo da questi esempi che la perseveranza spesso ci rende degni di ricevere le grazie, anche se ne siamo indegni. Per questo anche la madre aspettò, e poi saggiamente gli mandò i servitori affinché egli venisse pregato da più persone. Aggiunse infatti: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Ella sapeva che non era per incapacità che le aveva opposto un rifiuto, ma perché rifuggiva dalla vanità, e per evitare ogni apparenza di precipitazione nel fare questo miracolo, gli fece avvicinare i servitori.
       "C’erano là sei idrie, per la purificazione dei Giudei, della capacità di due o tre metrete l’una. Gesù disse loro: «Riempite le idrie di acqua». Ed essi le riempirono fino all’orlo" (Jn 2,6-7). Non senza motivo l’evangelista precisò: "per la purificazione dei Giudei", affinché nessun incredulo potesse pensare che vi fosse rimasta dentro un po’ di feccia di vino la quale, mescolandosi con l’acqua in esse versata, avesse prodotto una sorta di vino leggerissimo. Disse dunque: "per la purificazione dei Giudei", per precisare che in quelle idrie non veniva mai conservato il vino. Infatti, soffrendo la Palestina di penuria di acqua ed essendo colà rare le fonti e le sorgenti, i Giudei tenevano idrie piene d’acqua, per non essere costretti a correre al fiume quando diventavano impuri e per avere a portata di mano il mezzo per purificarsi.


venerdì 11 gennaio 2019

Battesimo di Gesù, epifania di un amore speciale: la misericordia

Domenica dopo l’Epifania, 13 gennaio 2019

Rito romano
Is 40,1-5.9-11; Sal 103; Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22.

Rito ambrosiano
Is 55, 4-7; Sal 29 (28), 1-3a. 3c-4. 3b. 9c-10; Ef 2, 13-22; Lc 3, 15-16.21-22



1) Ancora un’epifania.
Il giorno di Natale e il 6 gennaio, abbiamo accolto la manifestazione (=epifania) di Gesù ai pastori e ai saggi Re Magi, che erano andati da Lui, Lo avevano riconosciuto e adorato, mettendosi in ginocchio e offrendo doni.
I pastori – penso - Gli portarono in omaggio bianchi doni: latte, formaggio, lana e, perché no, un agnello per onorare il bianco Splendore di Dio. Doni poveri? Un dono è sempre di grande valore, se donato con gioia e amore. L’amore non si misura da quanto diamo, ma da quanto amore mettiamo nel dono.
Anche i Magi seguirono questa “legge del dono” (Madre Teresa di Calcutta) e mostrarono il loro amore rispettoso offrendo dell’oro al bambino Gesù onorato quale vero Re dei Re, Gli presentarono dell’incenso, perché in Lui riconobbero il vero Dio. Infine, riconoscendo in Gesù Cristo il vero Uomo Gli donarono la mirra, strano regalo per un bambino perché la mirra si usava per i morti: drammatica profezia del destino di un neonato venuto al mondo per donare la sua vita, totalmente. Dio è nato per donarsi a noi. Con un bambino, con questo Bambino ci è donata l’Eternità, la cui porta è aperta dalla Croce.
Oggi, la liturgia ci propone di celebrare il modo con cui Dio stesso vive la “legge del dono”, convalidando con la sua divina testimonianza quella dei pastori e dei Magi. Così ci è concesso di assistere ad un’altra epifania (=manifestazione) di Gesù, Pace inviata, donata e presente, mentre per secoli era stata promessa, differita, profetizzata. Dio manifesta la sua pace nell’umanità di Gesù, ricolma di grazia e di misericordia.
La manifestazione celebrata oggi ci spinge a contemplare e fare nostre almeno tre cose:
  1. l’umiltà di Cristo, Uomo-Dio, che va da un uomo a farsi battezzare, in segno di penitenza e conversione. Lui è l’Agnello innocente, che umilmente porta il peccato del mondo. Con l’incarnazione il Figlio di Dio, che è infinita potenza, che è la grandezza assoluta, diviene umile impotenza: è un bambino. Ma nel Battesimo Gesù scende ancora più in basso: si costituisce quasi peccatore, Egli entra nell'acqua presentandosi come peccatore pubblico, come penitente. Egli ci ama d’amore infinito e non esita a scendere nel fondo più abissale della nostra povertà, della nostra umiliazione, del nostro peccato.
  2. La solidarietà di Cristo, che pur essendo senza nessun peccato si mette in fila con i suoi fratelli uomini peccatori per condividere la loro sofferenza e portare il loro male. Lui prende su di sé anche il castigo di ogni peccato per far vivere l’uomo della Sua vita, della Sua santità. Nulla mostra maggiormente la misericordia divina che l'aver Egli assunto la nostra stessa miseria. E questa misericordia non è una debolezza, ma una passione d’amore che ricrea.
  3. La testimonianza di Dio Padre, che apre il cielo del Suo Cuore e manda il Suo Spirito dolce, soave come una colomba e dice: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo”. Ora gli uomini non hanno scuse per non credere: Dio si fa udire e la Sua testimonianza è davvero credibile. I Vangeli ci narrano di due volte, in cui il Padre riconosce Gesù come Suo Figlio: nel Battesimo e durante la Trasfigurazione. Alla testimonianza Paterna legata alla Battesimo di Gesù assistettero Giovanni il Battista e la folla, che vide Gesù discendere nell'acqua in mezzo a tutti i peccatori, come uno di loro. Questa folla vide aprirsi i cieli, ascoltò le parole pronunciate dal Padre per indicare il Figlio prediletto e fu educata a riconoscere la grandezza di Dio e la Sua suprema umiltà che si spoglia di tutto: Gesù è l'umiltà che vuol mettersi al di sotto di noi per poterci portare al Padre.


2) Tutta la vita di Cristo è una epifania di paradiso.
Nel Battesimo al Giordano troviamo in germe l'intera vita di Gesù, che porta il Cielo sulla Terra. Allo stesso modo nel nostro battesimo c'è il germe di tutta la nostra esistenza cristiana, che è una esistenza da Paradiso.
Mi spiego: Cristo, facendosi solidale con noi, ci ha resi uno con Lui: tutti gli essere umani vivono nel Figlio. A noi figli nel Figlio il Padre si comunica, a noi dona il suo Spirito. E se lo Spirito di Dio è in noi, il Paradiso è qui, è aperto per noi e per tutta l’umanità. Origene affermò ancora di più e scrisse: “Vedendo il Figlio, riposando in noi la compiacenza del Padre che ci ama nell’Amato, noi siamo il Paradiso di Dio”.
Quindi, il battesimo – quello di Gesù e il nostro – implica una missione di paradiso. Una missione da svolgere, come dice il profeta Isaia (cfr I lettura della Messa), nella fermezza: «Proclamerà il diritto con fermezza», e nella dolcezza: «Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta». Una missione che non percorre le vie della violenza superba, ma quelle della delicatezza umile: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce». Una missione che dà speranza e salvezza agli infelici: «Perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri». Una missione, infine, universale: i suoi confini sono la «terra», «le nazioni», «le isole lontane».
Il Figlio di Dio è entrato nel mondo non per starsene nascosto, ma anzi proprio per farsi conoscere e amare, per costruire il mondo nuovo e salvare l’uomo. Anche quando noi diventiamo cattivi, Cristo rimane buono e perdona le nostre cattiverie. Lui non vuole distruggere, lui ama ricostruire. Egli è venuto su questa terra per aprire in terra il Paradiso con la sua bontà onnipotente e inesauribile.
Salvare l’uomo per Cristo vuol dire liberarlo dal peccato e dalle violente miserie che ne derivano. Vuol dire saldarlo in una comunione con Lui e con gli altri uomini così che il prossimo diviene fratello e sorella: questa è una vita da paradiso. Vuol dire fare nostre e condividere con gli altri le parole del buon ladrone: “Signore ricordati di me nel tuo Regno” ed accogliere la risposta di Cristo che disse: “Oggi sarai con me in Paradiso” cioè “D’ora in poi sarai sempre con me”.
Non dobbiamo dimenticare che questa salvezza non riguarda solo la fine e l’al di là della storia: la lavora dall’interno, le dà un senso. La vita eterna è già cominciata e germoglia sulla terra.
Il Regno di Dio è in cantiere nel cuore degli uomini indaffarati a costruire la loro città. I cristiani non sono migliori degli altri, ma sono consapevoli di essere peccatori rendenti, che annunciano al mondo che Gesù è il Signore. I cristiani in forza del battesimo sono chiamati ad essere il sale che deve salare la terra, la luce che illumina il mondo, portando la gioia del Paradiso.
Il cristiano non fugge dal mondo, “lavora” per metterlo sempre più nelle mani di Dio, per partecipare, con il cuore e con l’azione, alla gestazione del mondo nuovo, dove tutti avremo stabile e felice dimora.

3) Un’epifania femminile
Tutti siamo chiamati a questo “lavoro” che realizza sempre di più l’epifania di Dio nel mondo. Credo, tuttavia, di non sbagliare se affermo che le vergini consacrate sono chiamate a vivere questa epifania secondo la loro femminilità.
Incontrandole il 2 giugno 1995, San Giovanni Paolo II disse loro: “Carissime Sorelle, Maria è vostra madre, sorella, maestra. Imparate da lei a compiere la volontà di Dio e ad accogliere il suo progetto salvifico; a custodirne la parola e a confrontare con essa gli accadimenti della vita; a cantare le sue lodi per le “grandi opere” in favore dell’umanità; a condividere il mistero del dolore; a portare Cristo agli uomini e a intercedere per chi è nel bisogno.
Siate con Maria là, nella sala delle nozze dove si fa festa e Cristo si manifesta ai suoi discepoli come Sposo messianico; siate con Maria presso la Croce, dove Cristo offre la vita per la Chiesa; restate con lei presso il Cenacolo, la casa dello Spirito, che si effonde come divino Amore nella Chiesa Sposa.” (Giovanni Paolo II, Discorso alle Partecipanti al Convegno internazionale dell’ ORDO VIRGINUM nel 25 anniversario della promulgazione del Rito, 2 giugno 1995, n. 8).
Dunque, sempre e particolarmente nel contesto attuale, credo sia molto importante la presenza della vergine consacrata proprio come donna. Ovunque si trovi a vivere, lavorare, studiare, parlare, servire, pregare, con il suo modo di essere testimonia la nuzialità della sua esistenza donata e capace di abbracciare Cristo nella sua totalità, cantando le lodi dello Sposo e allargando il cuore a ogni figlio fino a sentirsi «corpo» della Chiesa, diventando epifania dello Sposo mediante il dono sincero e totale di se stessa.


Lettura Patristica
San Gregorio Nazianzeno, vescovo
Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20
PG 36, 350-351. 354. 358-359


Il battesimo di Gesù

Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria.
Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne santifica nello Spirito e nell'acqua.
Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste. 
«Sono io che devo ricevere da te il battesimo» (Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole, la voce alla Parola, l'amico allo Sposo, colui che è il più grande tra i nati di donna a colui che è il primogenito di ogni creatura, colui che nel ventre della madre sussultò di gioia a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, ricevette la sua adorazione, colui che precorreva e che avrebbe ancora precorso, a colui che era già apparso e sarebbe nuovamente apparso a suo tempo.
«Io devo ricevere il battesimo da te» e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.
Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante.
E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza.
Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio.
Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa.
Purificatevi totalmente e progredite in questa purezza. Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell'uomo. Per l'uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione.
Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.