XXIII
Domenica del Tempo ordinario – anno B – 9 settembre 2018
Rito
Romano
Is
35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37
Rito
Ambrosiano
Is 63,7-17; Sal 79; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47
II
Domenica dopo il Martirio di San Giovanni, il Precursore
1)
Effatà = apriti.
Nel
Vangelo di questa domenica, San Marco ci racconta di un miracolo
fatto da Gesù mentre compie il suo lavoro di evangelizzazione nella
regione pagana di Tiro. Il
percorso descritto dall’Evangelista è molto significativo. Con una
lunga deviazione Gesù cammina per una strada, che congiunge città e
territori estranei alla tradizione religiosa di Israele. Il Messia
percorre le frontiere della Galilea, alla ricerca di quella parte
comune ad ogni uomo che viene prima di ogni frontiera, di ogni
divisione politica, culturale, religiosa, razziale.
Operare
in quella terra il miracolo significa l’apertura universale del
Vangelo: ogni uomo e ogni donna, ovunque essi abitino e a qualunque
cultura appartengano, possono essere raggiunti dalla Parola di Dio e
toccati dalla Sua misericordia.
In
verità con il miracolo di oggi con cui Cristo guarisce un sordomuto
abbiamo già avuto a che fare già nel giorno del battesimo, quando
il sacerdote ha fatto su di noi esattamente quello che Gesù compì
sul sordomuto.
Al
centro del brano del Vangelo di oggi c'è una piccola parola che
riassume tutto il messaggio e tutta l’opera di Cristo. San Marco la
riporta nella lingua stessa in cui Gesù la pronunciò: “Effatà”,
che significa: “Apriti”. C'è una chiusura interiore, che
riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia
chiama il “cuore”. E’ questo che Gesù è venuto ad “aprire”,
a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con
Dio e con gli altri. Ecco perché questa piccola parola, “Effatà –
Apriti”, riassume in sé tutta la missione di Cristo. Egli si è
fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal
peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce
dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua
volta il linguaggio dell'amore, a comunicare con Dio e con gli altri.
Per questo motivo la parola e il gesto dell'”effatà” sono stati
inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano
il significato.
Toccandoci
la bocca e le orecchie durante il rito del battesimo, il sacerdote ci
ha detto: “Il Signore ti conceda di ascoltare presto la sua Parola
e di professare la tua fede”. In questo rito dell’ “Effatà”,
il sacerdote pregò su di noi bambini perché potessimo presto
ascoltare la Parola di Dio e professare la fede.
Fin
dall’inizio della nostra vita - quando non era ancora possibile
comprendere le parole -ci è stato detto che l’ascolto della Parola
è la nostra salvezza. Non è importante che la capiamo tutta e
subito. I neonati non capiranno il significato intellettuale delle
parole, ma sentono l’amore, da cui esse vengono, tant’è vero che
rispondono con un sorriso alla mamma ed al papa che si rivolgono a
loro con affetto grande e stupito.
Diventando
grandi, abbiamo capito anche con l’intelligenza quelle parole che
il cuore aveva da sempre percepito ed accolto. La prima lezione da
trarre da ciò è che la sordità peggiore è quella del cuore. Se
siamo sordi, non riusciamo a parlare: se siamo sordi all’amore che
il Figlio di Dio ci ha mostrato, non riusciamo a comunicare
correttamente né con Dio né con i fratelli e sorelle in umanità
che Lui ci ha donato. “Che vita è la vostra, se non avete vita in
comune e non c’è vita in comune se non nella lode a Dio” (T.S.
Eliot, I cori della Rocca).
Dunque
con la preghiera costante e frequente chiediamo al Signore che
ridica anche oggi a ciascuno di noi: “Effatà- Apriti”, perché
le nostre menti e i nostri cuori siano aperti alla sua Parola di
Verità e Vita per ben camminare sulla Via.
2)
Si diventa quello che si ama (cfr. Sant’Agostino).
Il
significato spirituale del Vangelo di oggi è che Gesù guarisce il
mutismo della bocca del cuore che è causato dalle orecchie sorde
alla Verità, all’amore infinito di Dio.
S.
Agostino scriveva: “Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai
terra. Ami Dio? Che cosa devo dire? Che tu sarai Dio? Io non oso
dirlo per conto mio. Ascoltiamo piuttosto le Scritture: Io ho detto:
‘voi siete dei, e figli tutti dell’Altissimo’. Se, dunque,
volete essere degli dei e figli dell'Altissimo, non amate il mondo,
né le cose che sono nel mondo”. Dunque apriamo il cuore a Dio, il
cui amore rompe il muro del nostro egocentrismo che ci impedisce di
ascoltarLo. Chiediamo a Cristo, il cui dito che ha scritto sulla
sabbia il cumulo di peccati della peccatrice perché il vento se li
portasse via, di toccarci con la sua misericordia, che cancella
inganni e peccati dalle nostre orecchie e della nostra bocca.
L’amore
del suo cuore trafitto trafigga la corazza d’orgoglio che ci fa
sordi al suo amore. E la sua saliva, che reca impresse le parole
della sua stessa bocca, sciolga la nostra lingua perché canti il suo
amore “eccessivo” per noi.
Faticoso
e lento il cammino verso Cristo. Come il sordomuto del vangelo di
oggi lasciamoci condurre da Lui. Immedesimiamoci in questo
miracolato e chiediamo a Gesù di aprire le orecchie del cuore e
della mente alle sue parole di verità e di amore.
Accogliendo
la parola di Cristo: “Effatà – apriti” acquisteremo la
capacità di ascoltare ed ascoltare la verità, la parola vera,
quella che ci mette in cammino verso l'eternità, facendo risuonare
nelle nostre parola la Parola.
Solamente
ascoltando la Parola diventiamo capaci di parola, di risposta.
Questo
implica andare oltre allo “Shemà” (ascolta) di Israele ed essere
il nuovo Israele che ha inizio dall’ascolto della Vergine Maria,
che risponde sì (=fiat) al suo Creatore. Grazie a questo “sì”
il Verbo, la Parola si è fatta carne e ci ha messo sulla bocca la
preghiera cristiana per eccellenza: il Padre nostro.
Al
n° 85 dell’enciclica Laudato si’ Papa Francesco,
riportando le parole di Giovanni Paolo II, scrive: “la
‘contemplazione’ del creato è paragonata all’ascoltare... una
voce paradossale e silenziosa, che si aggiunge alla Rivelazione delle
Sacre Scritture, per cui prestando attenzione l'essere umano impara a
riconoscere se stesso in relazione alle altre creature. E mi domando
(è sempre Papa Francesco che scrive): Se Gesù ‘Ha fatto bene ogni
cosa’ (Mc 7,37), e Gesù è il Signore, il Dio che ha creato e
fatto buona e bella ogni cosa, quando l’uomo ascolta il suo Signore
e gli risponde può far tornare bella la creazione come Dio l’aveva
pensata sin dal principio?”.
Ho
fatto questa citazione per sottolineare che la preghiera di risposta
a Dio che ci parla, implica non solamente quello che Dio dice
attraverso la parole della bibbia. Lui “ha scritto” anche il
libro della natura ed anche questo libro va letto e rispettato.
3)
Le vergini consacrate: donne dell’ascolto e madri della Parola.
Nella
vita quotidiana c’è spesso l’abitudine di dire tante parole, e
di sostituire la Parola con le chiacchiere. L’atteggiamento e la
“virtù” dell'ascolto sono poco praticati. Imitando in modo
speciale la Madonna, Vergine dell’ascolto e Madre della Parola, le
vergini consacrate conducono una vita che le rende donne dell’ascolto
e madri della Parola. Sulla tipicità della loro preghiera,
l’istruzione Ecclesia Sponsae Imago ai nn. 29 e 30 insegna: “La
preghiera è per le consacrate una esigenza di amore per «rimirare
la bellezza di Colui che le ama», e di comunione con l’Amato e con
il mondo in cui sono radicate.
Per
questo amano il silenzio contemplativo, che crea le condizioni
favorevoli per ascoltare la Parola di Dio e conversare con lo Sposo
cuore a cuore. Desiderose di approfondire la conoscenza di Lui e il
dialogo della preghiera, acquisiscono familiarità con la rivelazione
biblica, soprattutto attraverso la lectio divina e lo
studio approfondito delle Scritture.
Riconoscono
nella liturgia il luogo sorgivo della vita teologale, della comunione
e della missione ecclesiale, e lasciano che la loro spiritualità
prenda forma a partire dalla celebrazione dei Sacramenti e della
Liturgia delle Ore in obbedienza al ritmo proprio dell’anno
liturgico, in modo che trovino unità e orientamento anche le altre
pratiche di preghiera, il cammino di ascesi e l’intera loro
esistenza”.
Lettura
patristica
San Beda, il Venerabile (673 circa – 735)
San Beda, il Venerabile (673 circa – 735)
In
Evang. Marc., 2, 7, 32-37
E
gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la
mano (Mc
7,32).
Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la
parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. È necessario
perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a
pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al
Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l’umana
debolezza; così egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano
trasmette.
"Ed
egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue
dita nelle orecchie di lui"
(Mc
7,33).
Il primo passo verso la salvezza è che l’infermo, guidato dal
Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo
avviene quando, illuminando l’anima di lui prostrata dai peccati
con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di
vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le
sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito
Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole
della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito
Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: "Se
io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li
scacciano?"
(Lc
11,19-20).
Spiegando queste parole un altro evangelista dice: "Se
io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio"
(Mt
12,28).
Gli stessi maghi d’Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di
questo dito, dato che riconobbero: "Qui
è il dito di Dio"
(Ex
8,18-19);
infine la legge fu scritta su tavole di pietra (); in quanto, per
mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie
degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella
conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle
orecchie dell’infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello
Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via
della verità all’apprendimento della scienza della
salvezza...
Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da
lì la medicina che dà la voce ai muti, l’udito ai sordi e cura
tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia
bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità
col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a
noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l’aiuto
della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del
nostro prossimo.
"E
subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo
della sua lingua e parlava correttamente"
(Mc
7,35).
In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature
dell’unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando
gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito
guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che
gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava
correttamente» colui al quale il Signore aprì le orecchie e sciolse
il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando
Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato
liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i
comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di
parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato
così risanato può giustamente dire col salmista: "Signore,
apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode"
(Ps
50,17),
e con Isaia: "Il
Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare
chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l’orecchio,
perché ascolti, come fanno i discepoli"
(Is
50,4).
"E
ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto più così loro
ordinava, tanto più essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore,
dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i
muti»"
(Mc
7,36-37).
“Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli
uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto più annunziato i suoi
miracoli quanto più egli ordinava loro di non divulgarli, perché
mai dava quest’ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con
quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali
ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere
coloro cui egli ordinava di non parlare?” (Agostino).
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