venerdì 2 febbraio 2018

Il Cristo libera dal male per rendere capaci di amare servendo.


Rito Romano – V Domenica del Tempo Ordinario - Anno B – 4 febbraio 2018
Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39


Rito Ambrosiano
Os 6,1-6; Sal 50; Gal 2,19-3,7; Lc 7,36-50
Penultima Domenica dopo l’Epifania– detta “della divina clemenza”


1) Annunciare, guarire e pregare
Anche nel Vangelo di questo domenica vediamo che Cristo cammina per le strade di Galilea accompagnato dai primi quattro Apostoli che lui ha chiamato: Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo. Più che di cammino potremmo parlare di pellegrinaggio del Dio fatto uomo, che è venuto su questa terra per portare in cielo l’uomo. Il cammino si distingue dal vagabondaggio perché ha una meta, il pellegrinaggio si distingue dal cammino perché la meta è un santuario, che è la Casa di Dio.
Nella prima scena del vangelo di oggi, vediamo che Gesù entra “pellegrino” nella casa di famiglia di Pietro, e noi sappiamo che la casa è una chiesa domestica. In questa casa c’è anche la suocera di Pietro, che è a letto gravemente malata. Il Messia la prende per mano, la risana e la fa alzare.
Nella seconda scena di questo vangelo, San Marco ci mostra che portano in pellegrinaggio da Cristo tutti i malati di Cafarnao, provati nel corpo, nella mente e nello spirito, e Lui “ne guarisce molti… e scaccia molti demoni” (cfr. Mc 1,34).
E’, questo, un segno evidente che l’evangelizzazione è promozione umana. Il Vangelo è annuncio che salva e sana. Su questa affermazione sono concordi tutti e quattro gli Evangelisti che attestano che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica. In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione. Insomma, Cristo annuncia il  Regno di Dio parlando con autorità e guarendo l’uomo per ridonargli la sua libertà di figlio.
Va, però, tenuto presente che se l’evangelizzazione è condivisione della Parola che si fa carne e si prende cura di tutto l’uomo e di ogni uomo perché la carità di Dio non ha barriere, la preghiera è l’anima di questo apostolato, tant’è vero che le due scene, di cui parla San Marco, sono racchiuse tra due momenti di preghiera: quello nella sinagoga (cfr. il vangelo di domenica scorsa) e quello in un luogo solitario e di notte, prima che il sole sorga (cfr. il vangelo di oggi). “E’ molto più fecondo parlare a Dio degli uomini che non di Dio agli uomini” (Santa Caterina di Siena). Dunque, anche noi andiamo con Gesù almeno nell’eremo1 del nostro cuore, come Cristo “si ritira in un luogo deserto al mattino presto” per pregare. Con la preghiera diventiamo con Gesù pellegrini dell’Assoluto e la preghiera incessante è illuminata dall’aurora della Pasqua, è il grembo da cui nasce ogni missione.
Senza questa preghiera ciascuno di noi sbaglierà tempi e parole. Si tratta invece di “alzarsi” (in greco è usato il verbo che vuol dire risuscitare), cioè risuscitare con Cristo ogni giorno “quando” per il mondo “è ancora buio”. Perché Dio ci doni questa grazia di alzarci con e verso lui, ripetiamo spesso questo inno:

Nel primo chiarore del giorno,
vestite di luce e silenzio,
le cose si destan dal buio,
com'era al principio del mondo.

E noi che di notte vegliamo,
attenti alla fede del mondo,
protesi al ritorno di Cristo,
or verso la luce guardiamo.

O Cristo splendore del Padre,
vivissima luce divina, 

in Te ci vestiam di speranza, 
viviamo di gioia e d'amore.

Al Padre cantiamo la lode,
al Figlio che è luce da luce
e gloria allo Spirito Santo,
che è fonte eterna di vita. Amen”.

2) Il Vangelo della speranza
Ogni notte prepara al nuovo giorno. E così con la speranza nel cuore che il domani sarà migliore si accetta con coraggio ogni prova della vita. Ma l’inno sopracitato ci insegna qualcosa di più. Ci dice di rivestirci in Cristo di speranza, vivendo il battesimo che abbiamo ricevuto.
In questo sacramento Cristo ci dona i suoi vestiti e questi non sono una cosa esterna. Significa che entriamo in una comunione esistenziale con Lui. Vuol dire che il suo e il nostro essere confluiscono, si compenetrano a vicenda. “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) così San Paolo descrive l’avvenimento del suo battesimo. Cristo ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete, la stanchezza, le speranze e le delusioni, la paura della morte, tutte le nostre angustie fino alla morte. E ha dato a noi i suoi “vestiti”. Vestiti dell’amore a cui siamo chiamati a credere.
Credere all’amore è viverne.
Se, poi, qualcuno mi chiedesse come vivere d’amore, proporrei di accogliere come risposta questa preghiera di Santa Teresa del Bambin Gesù: “Vivere d’Amore è custodire Te, Verbo Increato, Parola del mio Dio! Tu sai che ti amo, Gesù divino! Lo Spirito d’Amore tutta m’infiamma. E’ amando Te che io attiro il Padre: il debole mio cuore lo trattiene. O Trinità, tu ormai sei prigioniera del mio Amore! Vivere d’Amore è di tua vita vivere, Re glorioso, delizia degli eletti. Tu nascosto nell’ostia per me vivi: e io voglio per te, Gesù, nascondermi! Pur occorre agli amanti solitudine, un cuore a cuore che duri notte e giorno. Il tuo sguardo è per me beatitudine: vivo d’Amore!...Vivere d’Amore non è mai qui in terra un piantare la tenda in vetta al Tabor: è salire invece con Gesù il Calvario, è nella Croce scorgere un tesoro! A me gioire sarà dato in Cielo, ove per sempre esclusa è la prova; ma nell'esilio voglio col soffrire vivere d’Amore… Vivere d’Amore è, mentre Gesù dorme, trovar riposo sui tempestosi flutti. Non temere, Signor, che io ti svegli! In pace attendo il celeste approdo. Presto la Fede squarcerà il suo velo; la Speranza per me è vederti un giorno: Carità è una vela gonfia che mi spinge: Vivo d’Amore!” ( Santa Teresa del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa, Opere – Febbraio 1897)
Credere nell’amore implica il farci portatori di speranza.
Come? Guardando la Croce ed aiutando gli altri a guardarla perché anche loro in Cristo trovino “chi per primo ci ha amati. Gesù in Croce ci ama e ci lava nel Sangue che è fuoco. Guardiamo a Cristo, Amore infinito, Amore che dona l’Amore” (Clemente Rebora) . L’amore vive dentro nel cuore ed apre alla speranza.
Se avere fede nell’amore significa credere che l’amore è la cosa più importante, porre la speranza nell’amore significa:
  • scegliere di costruire la vita sull’amore,
  • credere che effettivamente noi siamo salvati attraverso l’amore e che questo amore rimane eterno,
  • credere che l’amore che Dio nutre per noi è più forte di tutto il male che ci può raggiungere,
  • credere che possiamo vivere d’amore e che l’amore ci può bastare.


3) Le Vergini consacrate testimoni della speranza.
Per testimoniare la speranza che è Gesù risorto dandole piena cittadinanza nel mondo, alcune donne si consacrano verginalmente a Cristo. Come queste donne testimoniano la speranza nella storia e nella vita quotidiana? Raccontando con la loro vita quotidiana di consacrate le grandi opere del Signore, secondo lo spirito del Magnificat.
Con il lavoro nel mondo e la preghiera verginale diventano lampade che irradiano nel mondo la speranza portata da Cristo o meglio, irradiano Cristo speranza nostra e del mondo intero come insegna Sant’Agostino Sia il Signore Iddio tuo la tua speranza; non sperare qualcosa dal Signore Dio tuo, ma lo stesso tuo Signore sia la tua speranza. Molti da Dio sperano qualcosa al di fuori di lui; ma tu cerca lo stesso tuo Dio… Egli sarà il tuo amore”. Il Vescovo di Ippona prosegue Qual è allora l’oggetto della nostra speranza… Qual è? È la terra? No. Qualcosa che deriva dalla terra, come l’oro, l’argento, l’albero, la messe, l’acqua? Niente di queste cose. Qualcosa che voli nello spazio? L’anima lo respinge. È forse il cielo così bello e ornato di astri luminosi? Tra queste cose visibili che c’è infatti di più dilettevole, di più bello? No, non è neppure questo. E cos’è? Queste cose piacciono, sono belle queste cose, sono buone queste cose: ricerca chi le ha fatte, egli è la tua speranza… Digli: tu sei la mia speranza”.

1Il vangelo usa il testo greco “eremo”, la cui traduzione letterale è “luogo solitario”.

Lettura patristica
Cromazio di Aquileia (335 il 340 – 407/408)
In Matth., Tract., 40, 1-4


       "E venuto nella casa di Pietro, lo serviva" (Mt 8,14-15). Entrato nella casa di Pietro, il Signore e Salvatore nostro guarì col solo contatto della sua mano la suocera di lui ammalata gravemente, ed in questo prodigio mostrò di essere l’autore di ogni sanità, l’autore della medicina celeste, che nel passato aveva parlato a Mosè dicendo: "Io sono il Signore che ti guarisco" (Is 60,16). Ma in questo, poiché donò la guarigione col contatto della mano, fu segno non di impotenza ma di grazia. In realtà, anche se precedentemente aveva guarito il paralitico soltanto con una parola, senz’altro facilmente avrebbe potuto anche ora fare scomparire le febbri con una parola, ma attraverso il contatto della sua mano mostrò il dono della sua benevolenza e si manifestò come colui del quale era stato scritto: "Per il contatto della sua mano presto ridona la sanità", poiché capiamo che è stato adempiuto in questa stessa opera. Immediatamente, infine, per il contatto della mano del Signore, la febbre scomparve, la guarigione ritorna con la fede alla credente, egli che scruta i reni e il cuore [degli uomini] dona i benefici della sanità, e quelle cose di cui bisognava per il servizio altrui, e restituita alla salute precedente, cominciò in persona a servire il Signore. Per queste prodigiose azioni senza dubbio si approva chiaramente la divinità del Cristo.


       "Venuta, poi, la sera gli presentarono molti, e curò le loro infermità" (Mt 8,16-17).

       Il Signore delle virtù ed autore della salvezza degli uomini, elargiva a tutti, come pio e misericordioso. Dio, il rimedio della medicina celeste, liberava i posseduti dal demonio, scacciava gli spiriti immondi, faceva scomparire anche tutte le malattie ed infermità del corpo con la parola del suo divino potere, affinché mostrasse di essere venuto per la salvezza del genere umano, e dimostrasse fino all’evidenza di essere Dio attraverso un così gran numero di azioni prodigiose, perché questi così grandi segni miracolosi non li può effettuare se non Dio solo.

       "Affinché si adempisse, disse, ciò che è stato detto per il profeta Isaia: Poiché egli stesso si addossò le nostre infermità, e portò le nostre malattie" (Mt 8,17).

       Inoltre il Figlio di Dio si addossò le infermità del genere umano, affinché rendesse noi, una volta deboli, forti e ben radicati nella sua fede; per questo prese un corpo da una razza peccatrice, per cancellare i nostri peccati col mistero della sua carne. Di sera poi ciò che conferì secondo l’intelligenza dello spirito, fu mostrato come sacramento della passione del Signore, quando lo stesso Figlio di Dio, che è chiamato sole di giustizia per la nostra salvezza accettò la pena di morte.

       E dopo la sua passione tutti quelli che si sono offerti al Signore, o che si offrono, liberati dalle diverse malattie dei peccati, e dai vari legami del demonio, ottengono dal Signore e Salvatore nostro ed eterno medico, la salvezza eterna: a Lui la lode e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.




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