Rito
Romano – V Domenica del Tempo Ordinario - Anno B – 4
febbraio 2018
Gb 7,1-4.6-7; Sal 146;
1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39
Rito
Ambrosiano
Os
6,1-6; Sal 50; Gal 2,19-3,7; Lc 7,36-50
Penultima
Domenica dopo l’Epifania– detta “della divina clemenza”
1)
Annunciare, guarire e pregare
Anche
nel Vangelo di questo domenica vediamo che Cristo cammina per le
strade di Galilea accompagnato dai primi quattro Apostoli che lui ha
chiamato: Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo. Più che di cammino
potremmo parlare di pellegrinaggio del Dio fatto uomo, che è venuto
su questa terra per portare in cielo l’uomo. Il cammino si
distingue dal vagabondaggio perché ha una meta, il pellegrinaggio si
distingue dal cammino perché la meta è un santuario, che è la Casa
di Dio.
Nella
prima scena del vangelo di oggi, vediamo che Gesù entra “pellegrino”
nella casa di famiglia di Pietro, e noi sappiamo che la casa è una
chiesa domestica. In questa casa c’è anche la suocera di Pietro,
che è a letto gravemente malata. Il Messia la prende per mano, la
risana e la fa alzare.
Nella
seconda scena di questo vangelo, San Marco ci mostra che portano in
pellegrinaggio da Cristo tutti i malati di Cafarnao, provati
nel corpo, nella mente e nello spirito, e Lui “ne guarisce molti…
e scaccia molti demoni” (cfr. Mc 1,34).
E’,
questo, un segno evidente che l’evangelizzazione è promozione
umana. Il Vangelo è annuncio che salva e sana. Su questa
affermazione sono concordi tutti
e quattro gli Evangelisti che attestano che la liberazione da
malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la
predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita
pubblica. In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del
Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il
Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a
sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo
della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione.
Insomma, Cristo annuncia
il Regno di Dio parlando con autorità e guarendo l’uomo per
ridonargli la sua libertà di figlio.
Va,
però, tenuto presente che se l’evangelizzazione è condivisione
della Parola che si fa carne e si prende cura di tutto l’uomo e di
ogni uomo perché la carità di Dio non ha barriere, la preghiera è
l’anima di questo apostolato, tant’è vero che le due scene, di
cui parla San Marco, sono racchiuse tra due momenti di preghiera:
quello nella sinagoga (cfr. il vangelo di domenica scorsa) e quello
in un luogo solitario e di notte, prima che il sole sorga (cfr. il
vangelo di oggi). “E’
molto più fecondo parlare a Dio degli uomini che non di Dio agli
uomini” (Santa Caterina di Siena).
Dunque, anche noi andiamo con Gesù almeno nell’eremo1
del nostro cuore, come Cristo “si ritira in un luogo deserto al
mattino presto” per pregare. Con la preghiera diventiamo con
Gesù pellegrini dell’Assoluto e la
preghiera incessante è illuminata
dall’aurora della Pasqua, è il
grembo da cui nasce ogni missione.
Senza
questa preghiera ciascuno di noi sbaglierà tempi e parole.
Si tratta invece di “alzarsi” (in greco è usato il verbo che
vuol dire risuscitare), cioè risuscitare con
Cristo ogni giorno “quando” per il mondo “è ancora buio”.
Perché Dio ci doni questa grazia di alzarci con e verso lui,
ripetiamo spesso questo inno:
“Nel
primo chiarore del giorno,
vestite di luce e silenzio,
le cose si destan dal buio,
com'era al principio del mondo.
E noi che di notte vegliamo,
attenti alla fede del mondo,
protesi al ritorno di Cristo,
or verso la luce guardiamo.
O Cristo splendore del Padre,
vivissima luce divina,
in Te ci vestiam di speranza,
viviamo di gioia e d'amore.
Al Padre cantiamo la lode,
al Figlio che è luce da luce
e gloria allo Spirito Santo,
che è fonte eterna di vita. Amen”.
vestite di luce e silenzio,
le cose si destan dal buio,
com'era al principio del mondo.
E noi che di notte vegliamo,
attenti alla fede del mondo,
protesi al ritorno di Cristo,
or verso la luce guardiamo.
O Cristo splendore del Padre,
vivissima luce divina,
in Te ci vestiam di speranza,
viviamo di gioia e d'amore.
Al Padre cantiamo la lode,
al Figlio che è luce da luce
e gloria allo Spirito Santo,
che è fonte eterna di vita. Amen”.
2) Il Vangelo
della speranza
Ogni
notte prepara al nuovo giorno. E così con la speranza nel cuore che
il domani sarà migliore si accetta con coraggio ogni prova della
vita. Ma l’inno sopracitato ci insegna qualcosa di più. Ci dice di
rivestirci in Cristo di speranza, vivendo il battesimo che abbiamo
ricevuto.
In
questo sacramento Cristo ci dona i suoi
vestiti e questi non sono una cosa esterna. Significa che entriamo in
una comunione esistenziale con Lui. Vuol dire che il suo e il nostro
essere confluiscono, si compenetrano a vicenda. “Non sono più io
che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal
2,20) così San Paolo descrive
l’avvenimento del suo battesimo. Cristo ha indossato i nostri
vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete,
la stanchezza, le speranze e le delusioni, la paura della morte,
tutte le nostre angustie fino alla morte. E ha dato a noi i suoi
“vestiti”. Vestiti dell’amore a
cui siamo chiamati a credere.
Credere
all’amore è viverne.
Se,
poi, qualcuno mi chiedesse come vivere d’amore, proporrei di
accogliere come risposta questa preghiera di Santa Teresa del Bambin
Gesù: “Vivere d’Amore è custodire Te, Verbo Increato, Parola
del mio Dio! Tu sai che ti amo, Gesù divino! Lo Spirito d’Amore
tutta m’infiamma. E’ amando Te che io attiro il Padre: il debole
mio cuore lo trattiene. O Trinità, tu ormai sei prigioniera del
mio Amore! Vivere d’Amore è di tua vita vivere, Re glorioso,
delizia degli eletti. Tu nascosto nell’ostia per me vivi: e io
voglio per te, Gesù, nascondermi! Pur occorre agli amanti
solitudine, un cuore a cuore che duri notte e giorno. Il tuo sguardo
è per me beatitudine: vivo d’Amore!...Vivere d’Amore non è mai
qui in terra un piantare la tenda in vetta al Tabor: è salire invece
con Gesù il Calvario, è nella Croce scorgere un tesoro! A me gioire
sarà dato in Cielo, ove per sempre esclusa è la prova; ma
nell'esilio voglio col soffrire vivere d’Amore… Vivere d’Amore
è, mentre Gesù dorme, trovar riposo sui tempestosi flutti. Non
temere, Signor, che io ti svegli! In pace attendo il celeste approdo.
Presto la Fede squarcerà il suo velo; la Speranza per me è vederti
un giorno: Carità è una vela gonfia che mi spinge: Vivo d’Amore!”
( Santa Teresa del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa, Opere
– Febbraio 1897)
Credere
nell’amore implica il farci portatori di speranza.
Come?
Guardando la Croce ed aiutando gli altri a guardarla perché anche
loro in Cristo trovino “chi per primo ci ha amati. Gesù in Croce
ci ama e ci lava nel Sangue che è fuoco. Guardiamo a Cristo, Amore
infinito, Amore che dona l’Amore” (Clemente Rebora) . L’amore
vive dentro nel cuore ed apre alla speranza.
Se
avere fede nell’amore significa
credere che l’amore è la cosa più importante, porre la speranza
nell’amore significa:
- scegliere di costruire la vita sull’amore,
- credere che effettivamente noi siamo salvati attraverso l’amore e che questo amore rimane eterno,
- credere che l’amore che Dio nutre per noi è più forte di tutto il male che ci può raggiungere,
- credere che possiamo vivere d’amore e che l’amore ci può bastare.
3) Le Vergini
consacrate testimoni della speranza.
Per testimoniare
la speranza che
è Gesù
risorto dandole
piena cittadinanza nel mondo, alcune donne si consacrano
verginalmente a Cristo. Come queste donne testimoniano la speranza
nella storia e nella vita quotidiana?
Raccontando
con la loro vita quotidiana di consacrate le
grandi opere del Signore, secondo lo spirito del Magnificat.
Con il lavoro nel mondo
e la preghiera verginale diventano lampade che irradiano nel mondo la
speranza portata da Cristo o meglio, irradiano Cristo speranza nostra
e del mondo intero come insegna Sant’Agostino “Sia
il Signore Iddio tuo la tua speranza; non sperare qualcosa dal
Signore Dio tuo, ma lo stesso tuo Signore sia la tua speranza. Molti
da Dio sperano qualcosa al di fuori di lui; ma tu cerca lo stesso tuo
Dio… Egli sarà il tuo amore”. Il Vescovo di Ippona prosegue
“Qual è allora l’oggetto della nostra speranza… Qual è?
È la terra? No. Qualcosa che deriva dalla terra, come l’oro,
l’argento, l’albero, la messe, l’acqua? Niente di queste cose.
Qualcosa che voli nello spazio? L’anima lo respinge. È forse il
cielo così bello e ornato di astri luminosi? Tra queste cose
visibili che c’è infatti di più dilettevole, di più bello? No,
non è neppure questo. E cos’è? Queste cose piacciono, sono belle
queste cose, sono buone queste cose: ricerca chi le ha fatte, egli è
la tua speranza… Digli: tu sei la mia speranza”.
1Il vangelo usa il testo greco “eremo”, la cui traduzione letterale è “luogo solitario”.
Lettura
patristica
Cromazio
di Aquileia (335 il 340 – 407/408)
In
Matth., Tract., 40,
1-4
"E
venuto nella casa di Pietro, lo serviva"
(Mt
8,14-15).
Entrato nella casa di Pietro, il Signore e Salvatore nostro guarì
col solo contatto della sua mano la suocera di lui ammalata
gravemente, ed in questo prodigio mostrò di essere l’autore di
ogni sanità, l’autore della medicina celeste, che nel passato
aveva parlato a Mosè dicendo: "Io
sono il Signore che ti guarisco"
(Is
60,16).
Ma in questo, poiché donò la guarigione col contatto della mano, fu
segno non di impotenza ma di grazia. In realtà, anche se
precedentemente aveva guarito il paralitico soltanto con una parola,
senz’altro facilmente avrebbe potuto anche ora fare scomparire le
febbri con una parola, ma attraverso il contatto della sua mano
mostrò il dono della sua benevolenza e si manifestò come colui del
quale era stato scritto: "Per
il contatto della sua mano presto ridona la sanità",
poiché capiamo che è stato adempiuto in questa stessa opera.
Immediatamente, infine, per il contatto della mano del Signore, la
febbre scomparve, la guarigione ritorna con la fede alla credente,
egli che scruta i reni e il cuore [degli uomini] dona i benefici
della sanità, e quelle cose di cui bisognava per il servizio altrui,
e restituita alla salute precedente, cominciò in persona a servire
il Signore. Per queste prodigiose azioni senza dubbio si approva
chiaramente la divinità del Cristo.
"Venuta,
poi, la sera gli presentarono molti, e curò le loro infermità"
(Mt
8,16-17).
Il Signore delle virtù ed autore della salvezza degli uomini,
elargiva a tutti, come pio e misericordioso. Dio, il rimedio della
medicina celeste, liberava i posseduti dal demonio, scacciava gli
spiriti immondi, faceva scomparire anche tutte le malattie ed
infermità del corpo con la parola del suo divino potere, affinché
mostrasse di essere venuto per la salvezza del genere umano, e
dimostrasse fino all’evidenza di essere Dio attraverso un così
gran numero di azioni prodigiose, perché questi così grandi segni
miracolosi non li può effettuare se non Dio solo.
"Affinché
si adempisse, disse, ciò che è stato detto per il profeta Isaia:
Poiché egli stesso si addossò le nostre infermità, e portò le
nostre malattie"
(Mt
8,17).
Inoltre il Figlio di Dio si addossò le infermità del genere umano,
affinché rendesse noi, una volta deboli, forti e ben radicati nella
sua fede; per questo prese un corpo da una razza peccatrice, per
cancellare i nostri peccati col mistero della sua carne. Di sera poi
ciò che conferì secondo l’intelligenza dello spirito, fu mostrato
come sacramento della passione del Signore, quando lo stesso Figlio
di Dio, che è chiamato sole di giustizia per la nostra salvezza
accettò la pena di morte.
E dopo la sua passione tutti quelli che si sono offerti al Signore, o
che si offrono, liberati dalle diverse malattie dei peccati, e dai
vari legami del demonio, ottengono dal Signore e Salvatore nostro ed
eterno medico, la salvezza eterna: a Lui la lode e la gloria nei
secoli dei secoli. Amen.
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