Rito
Romano – II Domenica di Quaresima - Anno B – 25 febbraio
2018
Gen
22,1-2.9.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10
Rito
Ambrosiano
Dt
5, 1-2. 6-21; Sal 18; Ef 4, 1-7; Gv 4, 5-42
Domenica
della Samaritana – II Domenica di Quaresima
1)
Tentazione e Trasfigurazione.
Nella
prima domenica di Quaresima, abbiamo contemplato Cristo superare la
prova della fame. Non si trattò solo di una fame corporale, come
ogni essere umano Gesù ebbe tre tipi di fame:
- fame di vita, che tenta l’uomo al possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali. Per questo il demonio gli chiese di trasformare le pietre in pane;
- fame di relazioni umane, che possono essere d’amicizia o di potere. Il diavolo tenta Cristo di soddisfare questa fame offrendogli potere;
- fame di onnipotenza, che spinge a soffocare il desiderio di Dio cioè l’anelito di infinito e di libertà senza limiti, inducendo alla tentazione di progettare la propria esistenza secondo i criteri umani della facilità, del successo, del potere, dell’apparenza, cedendo alla tentazione di adorare il Menzognero (il diavolo) invece di adorare il vero Amore provvidente.
Il
Messia vinse la tentazione di questi tre tipi di fame, usando come
criterio di discernimento quello della fedeltà al progetto di Dio, a
cui aderiva pienamente e di cui Lui è Parola fatta carne per
redimerci.
Imitiamo
l’esempio di Cristo, “usando” la Parola di Dio come strumento
che ci è messo a disposizione per capire la volontà di Dio e
vincere la tentazione di questi tre tipi di fame: di vita, di amore
e di potere e relazioni e di Dio: “Quando sei colto dai morsi della
fame - e possiamo aggiungere anche della tentazione - lascia che la
Parola di Dio divenga il tuo pane di vita, lascia che Cristo sia il
tuo Pane di Vita” (Sant’Agostino
d’Ippona),
Dal
deserto – il luogo della prova, della ribellione, dove abita il
tentatore, l’accusatore (I domenica di Quaresima) – al monte
della trasfigurazione, al luogo della manifestazione di Dio, della
sua rivelazione, della sua santità. Questo è il cammino che la
seconda domenica di Quaresima apre davanti a noi.
Dal
deserto, che ricorda che la vita umana è un esodo, un ritorno a casa
che passa per il deserto, luogo della prova e dell’incontro con
Dio, oggi arriviamo al Monte Tabor, il luogo della trasfigurazione,
che manifesta la verità splendente di Cristo, per permettere a chi
lo segue di arrivare alla Pasqua, non nonostante la Croce ma
attraverso la Croce.
Gesù,
infatti, ci dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi
se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).
Ci dice, cioè, che per giungere con Lui alla luce e alla gioia della
risurrezione, alla vittoria della vita, dell’amore, del bene, anche
noi dobbiamo prendere la croce di ogni giorno, come ci esorta una
bella pagina dell’Imitazione di
Cristo: “Prendi, dunque, la tua
croce e segui Gesù; così entrerai nella vita eterna. Ti ha
preceduto lui stesso, portando la sua croce (Gv 19,17)
ed è morto per te, affinché anche tu portassi la tua croce e
desiderassi di essere anche tu crocifisso. Infatti, se sarai morto
con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella
sofferenza, gli sarai compagno anche nella gloria” (L. 2, c. 12, n.
2).
Dunque,
meditiamo insieme i fatti presentati da queste due domeniche, perché
anticipano il mistero pasquale: la lotta di Gesù col tentatore
anticipa il grande duello finale della Passione, mentre la luce del
suo Corpo trasfigurato anticipa la gloria della Risurrezione. Da una
parte vediamo Gesù pienamente uomo, che condivide con noi persino la
tentazione. Dall’altra, lo contempliamo Figlio di Dio, che
divinizza la nostra umanità.
2)
Esodo di Trasfigurazione.
Oggi,
dunque, l’esodo, cioè il cammino di liberazione che siamo chiamati
a compiere, è quello della contemplazione. Grazie alla
contemplazione la preghiera diventa sguardo e il nostro cuore, che è
il “centro” della nostra anima, si apre alla luce dell’amore di
Cristo.
In
questo modo possiamo comprendere quale è il cammino che ci indica
la liturgia di questa domenica: quello di un pellegrino che compie
l’esodo che lo conduce alla Terra promessa: la Vita eterna con
Cristo.
Un cammino impregnato
di nostalgia,
costellato di precarietà e debolezza, ma colmo di speranza, quella
di coloro che hanno il cuore ferito dall’amato, e colmo di luce
perché “la
‘luminosità’, che caratterizza l'evento straordinario della
trasfigurazione, ne simboleggia lo scopo: illuminare le menti e i
cuori dei discepoli affinché possano comprendere chiaramente chi sia
il loro Maestro. È uno sprazzo di luce che si apre improvviso sul
mistero di Gesù e illumina tutta la sua persona e tutta la sua
vicenda” (Papa Francesco).
E’
vero che seguire il Signore è essere con Lui crocifissi. E’ vero
che ad ogni passo le ferite del dolore ci trapassano il cuore. E’
vero il male, è vero il peccato, è vera la morte. Ma è vera anche
la Trasfigurazione di tutto, è vera la bellezza che supera e dà
senso ad ogni cosa: “Nella passione di Cristo l’esperienza del
bello riceve una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è
la “Bellezza in sé” si è lasciato percuotere sul volto, coprire
di sputi, incoronare di spine Ma proprio in quel volto sfigurato
appare l'autentica, estrema Bellezza dell’Amore che ama “sino
alla fine”, mostrandosi così più forte di ogni menzogna e
violenza.
Un
esempio di come cogliere questa bellezza trasfigurata ci viene dalla
vergini consacrate. In modo speciale queste donne testimoniano tre
aspetti specifici del cristiano.
Il
primo è quello donarsi in completo abbandono a Cristo perché si
fidano amorosamente del suo Amore, “che non esita a svestirsi della
bellezza esteriore, per annunciare in questo modo la Verità della
Bellezza” (Joseph Ratzinger). Con la verginità consacrata
queste donne annunciano proprio la bellezza crocifissa, la bellezza
trasfigurata, la sua bellezza che è la nostra vera bellezza.
Il
secondo è quello di testimoniare, nella propria esistenza
verginalmente vissuta, la necessità di discendere dal Monte per
tornare alla missione evangelizzatrice del Signore, missione che
passa per la Croce e proclama la Resurrezione che altro non è se non
la Trasfigurazione resa eterna nell’Umanità del Signore.
Il
terzo è quello di mostrare che l’ascolto è la dimensione
principale del discepolo di Cristo. Il Vangelo di oggi riporta: “
Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc
9,7).
In
un mondo che ha l’abitudine di dire tante parole (sarebbe meglio
dire chiacchiere), queste donne si mettono in costante ascolto della
Parola e, sull’esempio della Vergine Maria, diventano “vergini
dell’ascolto e madri della Parola”.
A
tutti il Padre chiede di essere ascoltatori della Parola, le cui
parole sono parole di vita perché, attraverso la Croce, purificano
da ogni opera morta e uniscono a Dio ed ai fratelli.
Questa
Parola ha bisogno di un luogo (il nostro cuore), ha bisogno di
scendere in fondo, e, lì, morire, come un seme, per mettere radice,
per crescere e germogliare, e resistere dinnanzi alle bufere e alle
intemperie, come una casa costruita sulla Roccia.
Questa
parola per essere ascoltata, oltre che di attenzione, ha bisogno di
silenzio. E' necessario il silenzio interiore ed esteriore perché
tale parola possa essere udita. E questo è un punto particolarmente
difficile per noi nel nostro tempo. Infatti, la nostra è un’epoca
in cui non si favorisce il raccoglimento; anzi a volte si ha
l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante,
dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le
giornate.
La
vita riservata delle vergini consacrate mostra come sia importante
educarci al valore del silenzio perché si accoglie la Parola di Dio
nella vita personale ed ecclesiale, valorizzando il raccoglimento e
la calma interiore. Senza silenzio non si sente, non si ascolta, non
si riceve la Parola e quello che essa dice. Vale sempre
l’osservazione di sant’Agostino: Verbo
crescente, verba deficiunt –
“Quando il Verbo di Dio cresce, le parole dell'uomo vengono meno”
(cfr Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo 120,2: PL38,677)
Lettura
patristica
San
Leone Magno (390
circa – 461)
Sermo 38,
4-8
Per gli apostoli, che invero avevano bisogno di essere rafforzati nella fede e di essere iniziati alla conoscenza di ogni cosa, da quel miracolo scaturisce un altro insegnamento. In effetti, Mosè ed Elia, ossia la Legge e i Profeti, apparvero intrattenendosi con il Signore: ciò affinché si compisse perfettamente, attraverso la presenza di cinque persone, quanto è scritto: "Ogni parola è certa, se pronunciata in presenza di due o tre testimoni" (Dt 19,15; Mt 18,16). Per proclamarla, la duplice tromba dell’Antico e del Nuovo Testamento risuona in pieno accordo e tutto ciò che serviva a darle testimonianza nei tempi antichi si ricongiunge con l’insegnamento del Vangelo! Le pagine dell’una e dell’altra Alleanza, infatti, si confermano vicendevolmente, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo dei misteri, lo sfolgorio della sua gloria presente lo mostra manifesto e certo: si è che - come afferma san Giovanni -: "La legge fu data da Mosè, ma la grazia e la verità ci sono venute da Gesù Cristo" (Jn 1,17), nel quale si sono compiuti tanto le promesse delle figure profetiche, tanto il significato dei precetti della Legge; infatti, con la sua presenza, egli insegna la verità della profezia, e, con la sua grazia, rende possibile la pratica dei comandamenti.
Animato
dalla rivelazione dei misteri e preso dal disprezzo e dal disgusto
delle terrene cose, l’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel
desiderio di quelle eterne, e, ripieno del gaudio di tutta quella
visione, desiderava abitare con Gesù là dove la di lui gloria si
era manifestata, costituendo la sua gioia. Ecco perché disse:
"Signore, è bello per noi stare
qui; se vuoi, facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una
per Elia" (Mt 17,4).
Ma il Signore non rispose a tale suggerimento, certo non per mostrare
che quel desiderio era cattivo, bensì per significare che era fuori
posto, non potendo il mondo essere salvato senza la morte di Cristo;
così, l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a capire
che, senza alcun dubbio nei confronti della felicità promessa,
dobbiamo nondimeno, in mezzo alle prove di questa vita, chiedere la
pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può,
infatti, precedere il tempo della sofferenza.
Ed
ecco che, mentre ancora parlava, una nube luminosa li avvolse e una
voce dalla nube diceva: "Questi
è il mio Figlio diletto in cui mi sono compiaciuto, ascoltatelo"
(Mt
17,5).
Il Padre, senza alcun dubbio era presente nel Figlio e, in quella
luce che il Signore aveva misuratamente mostrato ai discepoli,
l’essenza di colui che genera non era separata dall’Unigenito
generato, ma, per evidenziare la proprietà di ciascuna persona, la
voce uscita dalla nube annunciò il Padre alle orecchie, così come
lo splendore diffuso dal corpo rivelò il Figlio agli occhi.
All’udire la voce, i discepoli caddero bocconi, molto spaventati,
tremando non solo davanti alla maestà del Padre, ma anche davanti a
quella del Figlio: per un moto di più profonda intelligenza,
infatti, essi compresero che unica era la Divinità di entrambi, e
poiché non vi era esitazione nella fede non vi fu discrezione nel
timore. Quella divina testimonianza fu dunque ampia e molteplice e il
potere delle parole fece capire più del suono della voce. Infatti,
quando il Padre dice: "Questi
è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto,
ascoltatelo",
non si doveva forse intendere chiaramente: "Questi
è il mio Figlio",
per il quale essere da me e essere con me è una realtà che sfugge
al tempo? Infatti, né Colui che genera è anteriore al Generato, né
il Generato è posteriore a Colui che lo genera. "Questi
è il mio Figlio",
che da me non separa la divinità, non divide la potenza, non
distingue l’eternità. Questi è il mio Figlio, non adottivo, ma
proprio; non creato d’altronde, ma da me generato; non di natura
diversa e reso a me simile, ma della mia stessa essenza e nato uguale
a me. "Questi
è il mio Figlio per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza il
quale nulla è stato fatto"
(Jn
1,3),
il quale, tutto ciò che io faccio egli del pari lo compie (Jn
5,19)
e quanto io opero, egli opera con me senza differenza. Nel Padre
infatti è il Figlio e nel Figlio il Padre (Jn
10,38),
e la nostra unità mai si separa. E quantunque io che genero sia
altro da colui che ho generato, non vi è tuttavia permesso avere a
suo riguardo opinione diversa da quella che vi è possibile avere di
me. "Questi
è il mio Figlio",
che non considerò bottino di rapina l’uguaglianza che ha con me
(Ph
2,6),
né se ne appropriò usurpandola; ma, pur restando nella condizione
della sua gloria, egli, per portare a termine il disegno di
restaurazione del genere umano, umiliò fino alla condizione di servo
l’immutabile Divinità.
Quegli,
dunque, in cui ripongo tutta la mia compiacenza, e il cui
insegnamento mi manifesta, la cui umiltà mi glorifica, ascoltatelo
senza esitazione; egli, infatti, è verità e vita (Jn
14,6); egli è mia potenza e mia sapienza
(1Co 1,24). "Ascoltatelo",
lui che i misteri della Legge hanno annunciato, che la voce dei
profeti ha cantato. "Ascoltatelo",
lui che ha riscattato il mondo con il suo sangue, che ha incatenato
il diavolo e gli ha rapito le spoglie (Mt 12,29),
che ha lacerato il chirografo del debito (Col 2,14)
e il patto della prevaricazione. "Ascoltatelo",
lui che apre la via del cielo e, con il supplizio della croce, vi
prepara la scalinata per salire al Regno. Perché avete paura di
essere riscattati? Perché temete di essere sciolti dalle vostre
catene? Avvenga pure ciò che, come anch’io lo voglio, Cristo
vuole. Buttate via il timore carnale e armatevi della costanza che la
fede ispira; è indegno di voi, infatti, temere nella Passione del
Salvatore ciò che per suo aiuto, non temerete nella vostra morte.
Queste
cose, o carissimi, non furono dette soltanto per utilità di coloro
che le intesero con le proprie orecchie; bensì, nella persona dei
tre apostoli, è tutta la Chiesa che apprende ciò che essi videro
con i loro occhi e percepirono con le loro orecchie. Si rafforzi
dunque la fede di tutti secondo la predicazione del santo Vangelo, e
nessuno arrossisca della croce di Cristo, per la quale il mondo è
stato riscattato. Di conseguenza, nessuno abbia paura di soffrire per
la giustizia (1P 3,14), né
dubiti di ricevere la ricompensa promessa, poiché è attraverso la
fatica che si accede al riposo, e alla vita attraverso la morte.
Egli, infatti, si è presa in carico tutta la debolezza propria alla
nostra bassezza; egli, nel quale, se rimaniamo (Jn 15,9)
nella di lui confessione e nel suo amore, siamo vincitori di ciò che
egli ha vinto e riceveremo ciò che egli ha promesso.
Si
tratti allora di praticare i comandamenti o si tratti di sopportare
le avversità della vita, la voce del Padre che si è fatta udire
deve sempre risuonare alle nostre orecchie: "Questi
è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto,
ascoltatelo"; lui
che vive e regna con il Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei
secoli. Amen.