venerdì 29 gennaio 2021

L’autorità dell’Amore

 

Rito Romano – IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B – 31 gennaio 2021

Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-281


Rito Ambrosiano – IV Domenica dopo l’Epifania.

Sap 19,6-9; Sal 65; Rm 8,28.32; Lc 8,22-25

Premessa.

Nel brano del Vangelo di oggi vediamo che, nel suo peregrinare per le strade della Terra Santa, Gesù annuncia il Regno di Dio e guarisce i malati di ogni tipo. Il Messia evangelizza alternando l’azione alla parola: dai miracoli passa alle parole per poi passare dall’insegnamento della sua dottrina ai miracoli. Al suo insegnamento, che suscita lo stupore della gente, segue la liberazione di un uomo posseduto da uno spirito impuro (Mc 1, 23).

Lo stupore è esperienza felice che, purtroppo, con il passare degli anni può essere in noi rara. Se però cercheremo di guardare i gesti di Cristo con occhi incantati e di ascoltare le sue parole con orecchie attonite (auribus attonitis: Regola di San Benedetto), le parole di Cristo toccheranno il centro della nostra vita e lo libereranno. San Giovanni Damasceno scriveva: “I concetti creano gli idoli, le parole generano la vita”, quindi se saremo ancora capaci di stupore, esso si inserirà come una lama di libertà in tutto ciò che ci rinchiudeva e ci darà vita facendo respirare la mente e il cuore perché in noi entrerà aria nuova e gli orizzonti della nostra vita si dilateranno.

Davanti al Vangelo, salviamo lo stupore, che è guardare Gesù con occhi incantati come quelli degli innamorati, che è ascoltarlo con orecchie stupite come quelle dei bambini. Allora saremo capaci di meravigliarci, perché vedremo i segni di Gesù che guarisce e sentiremo le Sua parole che toccano il nostro cuore della vita e lo redimono.

La parola, che Gesù rivolge a quanti -allora come oggi- vanno da Lui, apre l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. All’efficacia della parola, il Redentore unisce quella dei segni di liberazione dal male, segni che Lui è il Figlio di Dio. Sant’Atanasio osservava che comandare ai demoni e scacciarli non è opera umana ma divina; infatti, il Signore allontanava dagli uomini tutte le malattie e ogni infermità. Chi, vedendo il suo potere … avrebbe ancora dubitato che Lui fosse il Figlio, la Sapienza e la Potenza di Dio? (Oratio de Incarnatione Verbi 18.19: PG 25, 128 BC.129 B).

L’autorità divina non è una impetuosa e arbitraria forza della natura, è il potere intelligente dell’amore di Dio che non solo ha creato l’universo, ma che si incarna nel Figlio Unigenito, che scende nella nostra umanità e risana il mondo corrotto dal peccato. Scriveva Romano Guardini: L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).

L’autorità umana spesso significa potere, dominio, disprezzo dell’altro. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù

che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5),

che cerca il vero bene dell’uomo,

che guarisce le ferite,

che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore.

In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).

1) La parola dolce, forte, vera del “profeta” Gesù.

Cristo, che nell’amore è più forte di Giovanni, ha una parola convincente, un insegnamento nuovo che stupisce ed è autorevole

La Liturgia della Parola di questa domenica mette in risalto la figura di Gesù come il vero profeta, che parla ed agisce in nome di Dio.

Il brano preso dal libro del Deuteronomio descrive le caratteristiche del profeta, la cui missione è profondamente ancorata a Dio. Il profeta è il portavoce di Dio e la sua parola è efficace e creatrice, e chi non l'ascolterà sarà chiamato a renderne conto e guai a chi si spaccia come profeta e non lo è.

Il profeta non è riducibile a uno che predice l’avvenire. L’elemento essenziale del profeta non è quello di predire i futuri avvenimenti; il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro. Dunque anche quando parla del futuro il profeta non predice il futuro nei suoi dettagli, ma rende presente a chi lo ascolta la verità divina e indica il cammino da prendere.

A questo punto, uno può chiedersi: si può chiamare profeta il Cristo? Penso proprio di sì. Nel Deuteronomio (cfr I letture di oggi) Mosè profetizza: “Un profeta come me”. La guida liberatrice dall’Egitto ha trasmesso ad Israele la Parola e ne ha fatto un popolo, e con il suo “faccia a faccia con Dio” ha compiuto la sua missione profetica, portando gli uomini all’incontro con Dio. Tutti gli altri profeti seguono quel modello di profezia, sempre e nuovamente liberando la legge mosaica dalla rigidità per trasformarla in un cammino vitale.

Padri della Chiesa hanno interpretato questa profezia del Deuteronomio come una promessa del Cristo. Ed hanno ragione, perché il vero e più grande Mosè è quindi il Cristo, che realmente vive “faccia a faccia con Dio” perché ne è il Figlio.

In ciò i Padri della Chiesa non fanno che esplicitare il brano odierno preso dal Vangelo di Marco, che mette in risalto che il profeta annunciato da Mosè è Gesù ed infatti parla con autorità e comanda agli spiriti immondi che gli obbediscono.

Nel brano di oggi del Vangelo di Marco risalta che il profeta annunciato da Mosè è Gesù. Come è solito fare il sabato, il Messia entra nella sinagoga, dove la comunità ebraica locale2 era solita riunirsi per ascoltare e commentare la Torah, cioè la legge. E’ proprio in questo contesto che Gesù si manifesta come nuovo profeta, suscitando stima e rispetto nei presenti, che però lo condanneranno per seguire i falsi profeti.

Con questo episodio l’Evangelista Marco inizia il racconto dell’attività pubblica di Gesù e inizia lo svolgimento del suo tema più importante: chi è Gesù?

Due cose sono subito affermate con chiarezza, anche se non ancora svolte compiutamente (l’Evangelista le svilupperà piano piano lungo l’intero suo Vangelo): 1) l’insegnamento di Gesù è nuovo e diverso da quello degli scribi; 2) la sua autorità si impone persino agli spiriti maligni.

2) Lo stupore.

A questo riguardo vorrei sottolineare lo stupore degli ascoltatori di allora perché diventi anche nostro. San Marco ha scritto: “Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi”. La stessa annotazione – con qualche variante – è ripetuta alla fine dell’episodio: “Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità”.

Tutti erano stupiti, quasi increduli, ma percepivano, nelle parole di Lui, la forza superiore della grazia, come scriverà pure San Luca: “erano stupiti, per le parole di grazia che pronunciava” (Lc 4,22).

E’ questa l’autorevolezza di Gesù del quale si dice: “Un grande profeta è sorto tra noi: Dio ha visitato il suo popolo” (Lc 7, 16).

Davanti a questo profeta “definitivo”, l’atteggiamento da avere è quello dell’ascolto pieno stupore. Ascolto che esige un clima di silenzio interiore e di stupita tensione, segno del desiderio di conoscenza, nel quale nasce e cresce un atteggiamento di accoglienza, come ha fatto la Madonna: accoglienza della Parola, che, in Dio, è Persona, quel Verbo eterno, di cui Giovanni dice: “E il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e, senza di lui, nulla fu fatto di ciò che è creato” (Gv 1,1-3).

La Parola di Dio non è un semplice suono di voce, che veicola un pensiero, ma parola che opera, e vivifica; Parola che salva e che, per amore, si è fatta carne in Gesù di Nazareth, il Figlio di Maria, la donna dell’ascolto e dell’accoglienza: “Eccomi -fu la sua risposta- avvenga (fiat) in me secondo la tua parola...”(Lc 1,38), quella parola, recata a lei dall’Angelo, che parlava da parte di Dio.

Siamo perseveranti nell’imitare Maria. Di lei, icona dell’ascolto, e nel cui grembo la Parola di Dio prese un corpo, come ogni altro figlio di donna. Il Vangelo dice: “Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”(Lc 2,19). Ed è attorno alla parola e all’ascolto stupito che ruota, oggi, il Vangelo di Marco, un brano brevissimo, che parla appunto di stupore, da parte di quanti, nella sinagoga di Cafarnao, avevano udito Gesù di Nazareth commentare i testi della Scrittura: “Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro, come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1, 28).

Insisto sull’importanza dello stupore, perché secondo me la certezza della fede fiorisce dallo stupore di fronte a una presenza nella carne. Basta guardare i Vangeli: dai pastori alla culla di Betlemme, fino agli angeli che accolgono il Signore risorto nel suo vero corpo quando ascende al Cielo. Oggi questo tratto distintivo della fede di chi porta il nome cristiano sembra perduto. Tutto si concepisce e si organizza come se la certezza cristiana fosse -solo o soprattutto- conseguenza di una riflessione, di un discorso persuasivo. La Chiesa è Maestra, che insegna la verità, ma è anche Madre che dona la vita e come diceva san Giovanni di Damasco: “I concetti creano gli idoli, lo stupore genera la vita”. Scrivo questo per evitare che il nostro cristianesimo sia ridotto ad un discorso o ad un metodo astratto da insegnare o da apprendere concettualmente, perché i concetti sono l’esplicitazione sempre imperfetta di una conoscenza personale. La sostanza della rivelazione non consiste nell’insegnamento di una dottrina, ma nel manifestarsi di una presenza. Il card. Henri de Lubac ha scritto che “può esistere una idolatria della Parola e del parlare che non è meno dannosa di quella delle immagini”.

Insisto sullo stupore per sottolineare l’importanza della semplicità del cuore e della mente. La semplicità che i poveri di spirito vivono è pure il metodo con cui Dio si fa incontro a noi. Che c’è di più semplice della grotta di Betlemme, della casa di Gesù a Nazareth, della sinagoga a Cafarnao? E il Figlio di Dio vi è entrato. L’avvenimento di Cristo è un fatto nuovo che entra nella vita, semplicemente. Se ognuno di noi spalancherà gli occhi, il cuore, la mente e le braccia, Cristo entrerà nelle nostre case, portando la sua pace e la sua verità.

3) Non solo nelle nostre case ma in noi, Tempio di Dio.

Il 2 febbraio, la liturgia celebra la Presentazione3 di Gesù. Quando Maria e Giuseppe portarono il loro bambino al Tempio di Gerusalemme, avvenne il primo incontro tra Gesù e il suo popolo, rappresentato dai due anziani Simeone e Anna. “Quello fu anche un incontro all’interno della storia del popolo, un incontro tra i giovani e gli anziani: i giovani erano Maria e Giuseppe, con il loro neonato; e gli anziani erano Simeone e Anna, due personaggi che frequentavano sempre il Tempio.” (Papa Francesco).

Alla luce di questa scena evangelica guardiamo alla vita consacrata come ad un incontro con Cristo: è Lui che viene a noi, portato da Maria e Giuseppe, e siamo noi che andiamo verso di Lui, guidati dallo Spirito Santo. Ma al centro c’è Lui. Lui muove tutto, Lui ci attira al Tempio, alla Chiesa, dove possiamo incontrarlo, riconoscerlo, accoglierlo, abbracciarlo.

Il segno specifico della tradizione liturgica di questa Festa sono le candele che irradiano luce. Questo segno manifesta la bellezza e il valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la Vergine Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo con l’amore di Dio.

Un modo particolare di vivere ciò e di diventare Tempio e Tabernacolo della Divina presenza è quello delle Vergini consacrate nel mondo, per le quali il Vescovo prega: “Signore nostro Dio, tu che vuoi dimorare nell’uomo, tu che abiti quelle che ti sono consacrate … accorda loro il tuo sostegno e la tua protezione a quelle stanno davanti a Te e che attendono dalla loro consacrazione una accrescimento di speranza e di forza” (RCV 24), perché crescano nel loro credere all’amore, testimoniandolo con il sacrificio di sé nella vita quotidiana. Il loro essere lampade che irradiano la luce della verità e carità di Dio ci aiuti a diventarlo anche noi.


1 Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.” (Mc 1, 21 -28).

2 Nella Palestina del tempo c'erano sinagoghe non solo nei grandi centri, ma anche nelle piccole città e nei villaggi. Gli israeliti vi convenivano per la preghiera e per la lettura e la spiegazione della Scrittura. Non solo gli scribi e gli anziani, ma ogni israelita poteva chiedere la parola e intervenire. È così che Gesù, a Cafarnao, entra nella sinagoga e prende la parola per insegnare.

3 Presentazione del Signore al Tempio - 2 Febbraio - è la Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32) e ebbe origine in Oriente con il nome di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. Nel sec. VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Francia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’. La presentazione del Signore chiude le celebrazioni natalizie e con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il cammino verso la Pasqua (Mess. Rom.).

La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, nel rispetto della legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di "presentazione del Signore", che aveva in origine. L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, preannuncia la sua offerta sacrificale sulla croce.

Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza dei migranti e dei perseguitati, quindi degli esuli.

L'incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio.

Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "candelora".


Beda il Venerabile, In Ev. Marc. 1, 1, 21-27

 

Dottrina e autorità di Cristo

       "E subito, giunto il sabato, entrato nella sinagoga, si mise a insegnare loro" (Mc 1,21).

       Il fatto che egli offra con larghezza i doni della sua medicina e della sua dottrina soprattutto di sabato, mostra che il Signore non è soggetto alla legge, ma sta sopra la legge, egli che è venuto per portare a compimento la legge e non per abrogarla (Mt 5,17). Per insegnare egli sceglie non il sabato giudaico - nel quale era vietato accendere il fuoco o adoperare le mani e i piedi - ma il vero sabato, e mostra che il riposo preferito dal Signore consiste nell’aver cura delle anime astenendosi dalle opere servili, cioè da tutte le opere illecite.

       "E si stupivano della sua dottrina. Insegnava loro difatti come uno che ha autorità e non come gli scribi" (Mc 1,22).

       «Gli scribi insegnavano al popolo le cose che leggiamo in Mosè e nei profeti; Gesù invece, quasi fosse Dio e Signore di Mosè stesso, seguendo la sua libera volontà, dava maggiore importanza a precetti che sembravano secondari nella legge, oppure, modificando i comandamenti, si rivolgeva al popolo come leggiamo in Matteo: -fu detto agli antichi... ma io vi dico -» (Girolamo).

       "Or, ecco, c’era nella loro sinagoga un uomo posseduto da uno spirito immondo, che gridava dicendo: - che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci? Conosco chi sei, il Santo di Dio! " (Mc 1,23-24).

       «Questa non è una spontanea confessione di fede cui faccia seguito il premio, ma una confessione necessariamente estorta che costringe chi non vuole. Come accade agli schiavi fuggiaschi che, incontrando dopo molto tempo il loro padrone, gridano implorazioni soltanto per evitare le bastonate, così i demoni, avendo visto d’improvviso apparire il Signore in terra, credevano che fosse venuto per giudicarli. La presenza del Salvatore è infatti tormento per i demoni» (Girolamo).

       "Ma Gesù lo rimproverò dicendo: - Taci, ed esci dall’uomo" (Mc 1,25).

       "Siccome la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo" (Sg 2,24), la medicina della salvezza ha dovuto dapprima operare contro lo stesso autore della morte per tacitare innanzi tutto la lingua del serpente, affinché non spargesse più oltre il suo veleno; poi per curare la donna, che fu per prima sedotta dalla febbre della concupiscenza carnale; in terzo luogo per purificare dalla lebbra del suo errore l’uomo che aveva ascoltato le parole della sposa che lo spingeva al male, affinché il piano di redenzione si compisse nel Signore come nei progenitori si era compiuta la caduta.

       "E dopo che l’ebbe agitato convulsamente, lo spirito immondo uscì da lui, emettendo un gran grido" (Mc 1,26).

       «Luca dice che lo spirito immondo uscì dall’uomo senza fargli male. Può sembrare una contraddizione, in quanto secondo Marco "dopo che l’ebbe agitato convulsamente, uscì da lui", oppure, come recano altri codici, "dopo che l’ebbe tormentato", mentre secondo Luca non gli fece alcun male. In realtà, però, anche Luca dice che il demonio uscì da lui dopo averlo gettato in terra, anche se non gli fece del male (Lc 4,35). Si comprende, da ciò, perché Marco abbia detto che lo tormentò e lo agitò convulsamente intendendo ciò che ha detto Luca, scrivendo che lo gettò a terra. E quanto Luca aggiunge, cioè che non gli fece del male, significa che pur gettandolo in terra e agitandolo convulsamente, non lo mutilò, come sono soliti fare i demoni quando escono da qualcuno amputandogli o strappandogli le membra».

       "E si stupirono tutti, tanto che si domandavano l’un l’altro: - Cos’è questo? Che nuova dottrina è questa dato che egli comanda con autorità anche agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono?" (Mc 1,27).

       Di fronte alla grandezza del miracolo, ammirano la novità della dottrina del Signore, e sono spinti dalle cose che hanno viste a far domande su quello che hanno udito. Non v’è dubbio infatti che a questo miravano i prodigi che il Signore stesso operava servendosi della natura umana che aveva assunta, o che dava facoltà ai discepoli di compiere. Per mezzo di questi miracoli gli uomini credevano con maggior certezza al vangelo del regno di Dio che veniva loro annunciato: infatti coloro che promettevano agli uomini terreni la felicità futura mostravano di poter compiere in terra opere celesti e divine. In verità, mentre i discepoli operavano ogni cosa per grazia del Signore, come semplici uomini, il Signore operava miracoli e guarigioni da solo, per virtù della sua potenza, e diceva al mondo le cose che udiva dal Padre. Dapprima infatti il Vangelo attesta che «egli insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi»; e ora la folla testimonia che egli «con autorità comanda agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono».

      


venerdì 22 gennaio 2021

La vocazione è un esodo, cammino di liberazione e di vita

 

Rito Romano – III Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 24 gennaio 2021

Gio 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-201.


Rito Ambrosiano – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.

Is 45,14-17; Sal 83; Eb 2,11-17; Lc 2,41-52




1) Vocazione a servire la verità con amore.

La Liturgia della Parola di questa domenica ci fa riflettere ancora sul tema che già una settimana fa abbiamo meditato: la Vocazione.

Alla luce della Parola di Dio, siamo in grado di capire che la vocazione non è frutto di un progetto umano o di un'abile strategia organizzativa. Nella sua realtà più profonda, è un dono di Dio, un'iniziativa misteriosa e ineffabile del Signore, che entra nella vita di una persona seducendola con la bellezza del suo amore, e suscitando di conseguenza un donarsi totale e definitivo a questo amore divino

Infatti, nella prima lettura della Messa di domenica scorsa ci era stata raccontata la vocazione di Samuele, che rispose alla chiamata dicendo: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”. Dio lo chiamò per nome, perché Lui chiama sempre per nome, nome che pronuncia con amore. Immaginate come si dovette sentire sconvolto Paolo quando, sulla via di Damasco, si sentì chiamato con amore da Colui che lui perseguitava2. Anche noi siamo chiamati con amore per portare nel mondo la verità amorosa di Cristo che ci chiede di lavorare con lui nella messe del mondo.

Anche il Vangelo di quella domenica parlava della vocazione, raccontando quella dei primi discepoli che hanno seguito Gesù grazie al desiderio che abitava nel loro cuore che Gesù riconosce voltandosi verso di loro e domandando: “Che cercate?”.

Nella Messa di oggi, il profeta Giona (I lettura) e la chiamata dei primi discepoli nella versione del Vangelo di Marco (III lettura) ci mostrano che la vocazione ha come prima condizione la conversione, che si concretizza nel seguire Cristo, nel seguire Lui, per essere con Lui e come Lui. Lui è la Via autentica da percorrere per arrivare alla Vita vera. Così scopriremo pure che la strada da prendere è nuova non tanto perché differente dalla strada vecchia, ma perché nuova è la ragione o, meglio, la direzione del nostro percorrerla. Direi di più, quando il cammino della vita è fatto umanamente, senza fede è una strada che va dalla vita dalla morte: nasciamo e moriamo. Il cammino del Vangelo, cioè con Cristo, è contrario, dalla morte alla vita. Quindi il cammino è nuovo e Gesù ci chiama, ci invita a farlo, seguendoLo.

Alla radice di ogni vocazione cristiana – spiega Papa Francesco – c’è l’uscita “dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo”. Un’uscita che non rappresenta però “un disprezzo della propria vita del proprio sentire e della propria umanità”, anzi. La vocazione – spiega ancora Papa Francesco – è una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, innescando “un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé” (29 marzo 2015).

Compiere questo esodo verso Dio e verso il prossimo è un atto di fede e di fiducia in Cristo, che implica un cambiamento di mentalità e azione, che spinge a prendere le vie del Signore, i cui nomi sono: “misericordia, amore, bontà, giustizia” (cfr Salmo 24). Lungo questi “sentieri” (cfr ibid,) ciascuno di noi deve camminare, mettendo i propri passi sulle “orme” del Signore Gesù, che duemila anni fa percorreva le strade di Galilea (cfr. Mc 1,14-20).

Oggi ancora Cristo non smette di camminare tra noi e di chiamare ciascuno di noi a lasciare se stessi, ad uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra. Questoesodo” non va inteso come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità. Al contrario, chi si mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno. Dice Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Tutto ciò ha la sua radice profonda nell’amore.

Se i pescatori: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, chiamati dal Messia che passava accanto a loro, l’hanno seguito subito è perché hanno capito che lì c’era la vita radicata nell’amore, se no sarebbero stati stupidi, irragionevoli. E poi, man mano che l’hanno seguito, si sono resi conto della logica del cammino fatto, quindi fu molto ragionevole l’essere andati dietro a Cristo che li aveva chiamati. Infatti, seguendolo con fedeltà e pazienza hanno sperimentato i frutti di questo cammino. Quindi la fede non è irrazionale, non è un salto nel buio, è il contrario, è molto razionale, nel senso che è molto ragionevole, anche nel senso che se uno si sente fare una proposta sensata, è ragionevole che lasci di pescare e segua. “La sequela di Gesù è proprio questo: per amore andare con Lui, dietro di Lui: lo stesso cammino, la stessa strada. E lo spirito del mondo sarà quello che non tollererà e ci farà soffrire, ma una sofferenza come l’ha fatta Gesù. Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che Lui ci ha fatto vedere e che Lui ci ha insegnato. Questo è bello, perché mai ci lascia soli. Mai! Sempre è con noi” (Papa Francesco, 28 maggio 2013).


2) Conversione esistenziale.

Seguendo Cristo, i discepoli capirono che Gesù era il Figlio di Dio in costante ricerca dell’uomo. Scoprirono un Dio “ostinatamente” innamorato dell’uomo.

Anche oggi, per quanto l’uomo ostinatamente rifiuti la sua benevolenza e respinga ostinatamente le garanzie della salvezza e della gioia, Cristo va avanti continuamente a chiamarlo a sé e ad attuare quel dialogo, fatto di familiarità e di reciproca fiducia, che è iniziato con la conversione al Vangelo, cioè a Cristo.

In effetti, prima di una conversione “morale” (cioè di cose da fare meglio e di comandamenti da osservare), c’è quella “esistenziale” (in ebraico la parola conversione indica cambiare direzione dei piedi: prima si andava da una parte, adesso si va dall’altra, verso la verità). Se prendiamo l’etimologia latina della parola “conversione”, veniamo a sapere che questa parola viene dal verbo cum-vertere = voltarsi verso (cum qui ha valore rafforzativo), vale dire che chi si converte gira lo sguardo per fissarlo sulla persona di Gesù e sulla sua “pretesa inaudita” di essere la risposta esauriente alla nostra domanda di vita e di amore vero.

Quindi, la conversione non consiste solo nello smettere di fare il male e nello sforzo di fare il bene. Essa consiste nel “convertire” la vita al Bene, che è Qualcuno da amare, prima di essere qualcosa da fare.

Sotto questo aspetto colpisce la frase di Kafka3: “Non sono solo perché ho ricevuto una lettera d’amore, eppure sono solo perché non ho risposto con amore” (Kafka, Il Castello), quasi certamente questo grande scrittore si riferiva ad una sua esperienza di amore umano, ma, secondo me, Kafka descrive la situazione dell’uomo contemporaneo verso Dio, verso Cristo, il Bene incarnato da amare.

Ebbene, questa inquieta domanda che nasce dalla nostra solitudine riceve la risposta vera dalla proposta di amore che Cristo fa a ciascuno di noi, prete, religioso o laico che sia. La vocazione di Cristo prima di riguardare lo stato di vita di ciascuno di noi (celibe o sposato, consacrato o laico) riguarda la vita nostra da convertire nella sua globalità. Cristo chiama a partecipare all’agonia4 dell’Amore eterno che ci chiama mediante (par) il dono infinito che Lui è, e che prende su di se tutte le conseguenze dei rifiuti dell’amore che noi facciamo e che ci rendono disumani. Se rispondiamo a questo Amore con amore mediante l’offerta di tutto noi stessi, sia che ciò avvenga nella verginità oppure nel matrimonio, non saremo più soli e in noi trasparirà la Presenza, che è Vita della nostra vita.

In questo dono di noi stessi a Dio, in casa o in comunità, in chiesa o al lavoro, vivremo uno slancio fraterno, creando attorno a noi un clima di bontà che ci permetterà di scoprire il tesoro nascosto che c’è nell’altro.


3) La conversione e la consacrazione.

Le letture di oggi ci chiamano alla conversione. È questa la prima parola della predicazione di Gesù, che significativamente si coniuga con la disponibilità a credere: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15).

Il primo aspetto della vocazione alla quale Cristo chiama è, dunque, convertirsi e credere al lieto annuncio (Vangelo vuol dire appunto lieta e vera notizia) che viene da Dio, è: Dio, per amore, si è fatto carne, perché Dio è l’Amore; è nato bambino come ogni bambino, per poter parlare, vivere, morire come noi, condividere tutto ciò che è fragile, perché noi potessimo vivere la nostra fragilità con la gioia di poterla scoprire e sentire abitata dall’infinita bellezza e bontà di Dio.

Il secondo è seguire Cristo. Il Vangelo non è riducibile ad un’idea, ad una filosofia, ad un’esperienza mistica privata, è invece una relazione, un poggiare i piedi, uno stare affidati a una persona.

Seguire lui per essere con lui, per essere come lui. Quindi, la chiamata é essere in compagnia di Gesù, essere con lui e come lui. Cioè Gesù ci chiama a essere come lui figli di Dio. Questa è l’essenza della chiamata. Ma non è una chiamata fatta con la bacchetta magica. E’ un cammino. Gesù dice a chi incontra: “Seguimi, fai il mio stesso cammino, i miei stessi passi, la mia stessa vita e vedi che la tua vita diventa come la mia”.

Nell’Antico Testamento il cammino per eccellenza fu l’esodo. Oggi il nostro esodo è testimoniato in modo particolare dalla Vergini consacrate nel mondo, che mostrano che quando si trova qualcosa che vale infinitamente di più di tutto quello a cui prima si teneva, vale la pena lasciare tutto il capitale umano (la famiglia) e quello materiale (il lavoro). Queste donne, come anche noi, hanno scoperto il senso della vita: Cristo! E testimoniano in modo radicale che Dio ha il primato nella vita nostra.

L’umanità di oggi ha bisogno di cristiani autentici: uomini e donne che con la loro testimonianza viva e silenziosa siano profeti di un mondo nuovo. Non è importante che continuino oppure no a svolgere il lavoro di sempre, anche gli Apostoli continuarono a pescare, dopo la resurrezione di Cristo.

Seguire Cristo in pieno abbandono, non implica necessariamente che uno lasci il suo lavoro che gli dà da vivere. L’abbandono della propria vita, vuol dire offrirla a Dio, gioiosamente. Vuol dire, innanzitutto, che ormai il fine della propria vita non è più il proprio lavoro, non è più la propria rete e barca, non è più il proprio pesce: Cristo quale fine della vita è più interessante. In Lui la vita trova un senso pieno e duraturo. Si lascia l’amore umano per l’Amore divino.

A questo riguardo S. Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Figlio, via che conduce al Padre (cfr Gv 14, 6), chiama tutti coloro che il Padre gli ha dato (cfr Gv 17, 9) ad una sequela che ne orienta l'esistenza. Ma ad alcuni — le persone di vita consacrata, appunto — Egli chiede un coinvolgimento totale, che comporta l'abbandono di ogni cosa (cfr Mt 19, 27), per vivere in intimità con Lui e seguirlo dovunque Egli vada (cfr Ap 14, 4). Nello sguardo di Gesù (cfr Mc 10, 21), «immagine del Dio invisibile» (Col 1, 15), irradiazione della gloria del Padre (cfr Eb 1, 3), si coglie la profondità di un amore eterno ed infinito che tocca le radici dell'essere. La persona, che se ne lascia afferrare, non può non abbandonare tutto e seguirlo (cfr Mc 1, 16-20; 2, 14; 10, 21.28). Come Paolo, essa considera tutto il resto «una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù», a confronto del quale non esita a ritenere ogni cosa «come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3, 8). La sua aspirazione è di immedesimarsi con Lui, assumendone i sentimenti e la forma di vita. Questo lasciare tutto e seguire il Signore (cfr Lc 18, 28) costituisce un programma valido per tutte le persone chiamate e per tutti i tempi.” (Esort. Ap. Post-Sinodale, Vita Consecrata, n. 18).


1 Dal Vangelo di Marco, 1, 14-20: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui”.

2 Non dimentichiamo che domani sarà il 25 gennaio giorno in cui si fa memoria della Conversione di San Paolo.

3 Franz Kafka è uno scrittore ebreo nato a Praga il 3 luglio 1883 e morto il 3 giugno 1924. E’ considerato come uno degli scrittori più grandi del XX secolo.

4 Parola di origine greca che vuol dire: “lotta”, anche se oggi indica solamente la fase terminale della vita umana.


Lettura Patristica

Erma,

Il Pastore,

Comandamenti, VI, 2


Convertirsi con tutto il cuore


       Dice: «Ora ascoltami sulla fede. Con l’uomo sono due angeli, uno della giustizia e l’altro della iniquità». «Come, o signore, conoscerò le loro azioni, poiché entrambi gli angeli abitano con me?». «Ascolta, mi risponde, e rifletti. L’angelo della giustizia è delicato, verecondo, calmo e sereno. Se penetra nel tuo cuore, subito ti parla di giustizia, di castità, di modestia, di frugalità, di ogni azione giusta e di ogni insigne virtù. Quando tutte queste cose entrano nel tuo cuore, ritieni per certo che l’angelo della giustizia è con te. Sono, del resto, le opere dell’angelo della giustizia. Credi a lui e alle sue opere. Guarda ora le azioni dell’angelo della malvagità. Prima di tutto è irascibile, aspro e stolto e le sue opere cattive travolgono i servi di Dio. Se si insinua nel tuo cuore, riconoscilo dalle sue opere». «In che modo, signore, gli obietto, lo riconoscerò, non lo so». «Ascoltami, dice. Quando ti prende un impeto d’ira o un’asprezza, sappi che egli è in te. Poi, il desiderio delle molte cose, il lusso dei molti cibi e bevande, di molte crapule e di lussi vari e superflui, le passioni di donne, la grande ricchezza, la molta superbia, la baldanza e tutto quanto vi si avvicina ed è simile. Se tutte queste cose si insinuano nel tuo cuore, sappi che è in te l’angelo dell’iniquità. Avendo conosciuto le sue opere, allontanati da lui e non credergli in nulla, perché le sue opere sono malvagie e dannose ai servi di Dio. Hai, dunque, le azioni di ambedue gli angeli, rifletti e credi all’angelo della giustizia. Lungi dall’angelo della iniquità, perché il suo insegnamento è cattivo per ogni opera...».


       Gli dico: «Signore, ascoltami per poche parole». «Di’ pure quello che vuoi». «L’uomo è desideroso di osservare i precetti di Dio, e nessuno non prega il Signore che lo rafforzi nei suoi precetti e lo sottoponga ad essi. Ma il diavolo è duro e domina». «Non può, replica, dominare i servi di Dio che sperano con tutto il cuore in Lui. Il diavolo può combattere, ma non può trionfare. Se lo contrastate, vinto e scornato fuggirà da voi. Quelli che sono vani temono il diavolo come se avesse forza. Quando l’uomo riempie di buon vino i recipienti più adatti e tra questi pochi semivuoti, se torna ai recipienti non osserva i pieni, perché li sa pieni, ma osserva i semivuoti temendo che siano inaciditi. Presto, infatti, i recipienti semivuoti inacidiscono e svanisce il sapore del vino. Così pure il diavolo va da tutti i servi di Dio, per provarli (1P 5,8). Quelli che sono pieni di fede gli resistono energicamente, e lui si allontana da loro non avendo per dove entrare. Allora egli va dai vani e, trovando lo spazio, entra da loro ed agisce con questi come vuole e gli diventano soggetti».


       «Io, l’angelo della penitenza, vi dico: "Non temete il diavolo". Fui inviato per stare con voi che fate penitenza con tutto il vostro cuore e per rafforzarvi nella fede. Credete in Dio voi che per i vostri peccati avete disperato della vostra vita, accresciuto le colpe e appesantito la vostra esistenza. Se vi convertite al Signore con tutto il vostro cuore e operate la giustizia per i rimanenti giorni della vostra vita e lo servite rettamente secondo la sua volontà, vi darà il perdono per tutti i precedenti peccati e avrete la forza di dominare le opere del diavolo. Non temete assolutamente le minacce del diavolo. Egli è inerte come i nervi di un morto. Ascoltatemi, dunque, e temete chi può tutto salvare e perdere. Osservate questi precetti e vivrete in Dio». Gli chiedo: «Signore, ora mi sento rafforzato in tutti i comandamenti di Dio perché tu sei con me. So che abbatterai tutta la forza del diavolo e noi lo domineremo e vinceremo tutte le sue opere. E spero che il Signore dandomi la forza mi farà osservare questi precetti che hai ordinato». «Li osserverai, mi dice, se il tuo cuore diviene puro presso il Signore. Li osserveranno tutti quelli che purificheranno il loro cuore dalle vane passioni di questo mondo e vivranno in Dio».


 


venerdì 15 gennaio 2021

Venite e vedrete: il Vangelo è una Presenza da contemplare con gli occhi del cuore.

 

Rito Romano – II Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 17 gennaio 2021

1Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42.


Rito Ambrosiano – II Domenica dopo l’Epifania

Is 25,6-10a; Sal 71; Col 2,1-10a; Gv 2,1-11.


  1. La vocazione: l’invito a stare con Cristo per condividerne il compito.

Dopo la celebrazione del Battesimo di Gesù che domenica scorsa ha concluso il tempo natalizio, oggi la Liturgia presenta un brano del secondo capitolo del Vangelo di Giovanni per completare la narrazione degli eventi di manifestazione di Gesù come Messia e Figlio di Dio, che chiama a seguirlo, dimorando con lui. E, non dimentichiamo, si dimora solo dove si è amati: la casa di uno è l'affetto dell'altro. La dimora, la casa non è come la tana o l’ovile per l’animale che si rifugia o si ripara. La casa è il luogo delle relazioni vere della vita umana, dell’intimità, degli affetti. Chiedere a Cristo “dove abiti”, vuol dire domandargli “chi sei?”, vuol dire chiedergli la sua identità, vuol dire chiedergli “da dove vieni e dove vai?” Qual è il tuo mondo, il mondo vero, interiore che ti ha costruito e che tu stesso costruisci. Come Giovanni e Andrea domandiamo alla Parola fatta carne: “Dove abiti? Dove stai di casa? Qual è il tuo modo di vivere, chi sei in realtà? È questo che interessa a noi. E anche a noi Cristo risponde: “Venite e vedrete”. Quindi se non ci incamminiamo dietro di Lui non conosceremo la risposta da “vedere” con gli occhi del cuore.

Non è casuale che pure le altre due letture della Messa di questa Domenica, la II del Tempo ordinario, abbiano come tema centrale la vocazione come ascolto della volontà d’amore di Dio e come cammino per dimorare nell’Amore di cui diveniamo membra. Tutti siamo stati chiamati a seguire una “vocazione” da realizzare nella nostra vita di tutti i giorni. Tutti siamo chiamati a vivere la nostra vocazione a figli di Dio nell'unico Figlio nell’apparente banalità della vita quotidiana. Tutti siamo chiamati a essere con Cristo, prima che a fare qualcosa per Cristo. L’esempio più alto a questa riguardo è la Madonna che prima di “fare” la mamma, “fu” ed “è” ancora mamma. Ma anche gli apostoli di cui parla il Vangelo di oggi, prima di fare qualcosa per Cristo, furono con Cristo. A Giovanni e Andrea che gli chiedevano: “Maestro, dove abiti”, Gesù rispose: “Venite e vedrete”, cioè propose loro di “essere” con Lui, prima che di “fare” qualcosa con Lui.

Non è casuale neppure il fatto che la liturgia del Tempo ordinario chieda che il prete indossi i paramenti verdi, per indicare il tempo verde della nostra vita. Si tratta di un tempo carico di speranza, che accompagna ed illumina il nostro quotidiano da “spendere” nella sequela di Cristo. Quello ordinario non è un tempo minore, è il tempo in cui il Mistero della vita di Cristo e di noi in Lui scorre sotto i nostri occhi in modo ordinario e noi siamo chiamati ad accoglierlo e a comprenderlo, per percorrere la via della salvezza, in Cristo Gesù, nostra Via.

Ogni esistenza è già una chiamata: Dio ci ha tratti dall’abisso vertiginoso del nulla e, dandoci l’essere, ci ha dato anche un progetto da compiere, un disegno da realizzare che è addirittura disegnato “sul palmo delle sue mani” (Isaia 49). E’ questo il senso della nostra vita: essere con Dio e collaborare al grande progetto che Lui ha da tutta l’eternità su ognuno di noi.

Siamo spesso tentati di credere che la vocazione, che Dio ci dona, sia un dovere penoso, una virtù obbligatoria e fastidiosa. No. La chiamata che Dio rivolge agli uomini è perché intreccino un rapporto di amore con Lui. Li invita alla sua dimora, li accoglie di nuovo in casa quando ritornano al suo amore. E non solo possono stare con Lui ma Lui sta nel loro cuore. Il dinamismo dell’uomo che è sempre in cerca della sua casa, è nostalgia della sua patria, della casa natale e il filosofo e scrittore tedesco Novalis (1772 -1801) scrisse “la filosofia è la nostalgia di tornare a casa”. Ebbene il brano del vangelo di oggi mostra come si arriva in questa casa. Seguendo Cristo, chiedendoGli dove abita e rimanendo con Lui.

La conseguenza più bella è che noi diventiamo la sua dimora. Infatti, avvicinarsi a Dio è diventare una cattedrale vivente. Ricevendo la sua Presenza in noi, comprendiamo la grandezza della condizione “umana” a cui siamo chiamati. La Bibbia trabocca di storie di vocazione: ne sono esempi Abramo, Mosè, Davide, i singoli profeti, il piccolo Samuele di cui si legge nella prima lettura di oggi (1 Samuele 3,3-10), la Vergine Maria, gli apostoli.

Ciascuno in forme diverse, ma tutti siamo accomunati da questo invito a dare alla nostra esistenza il valore supremo dell’aprirsi alla relazione con Dio, dicendo come Maria: “Amen, Fiat, accada di me secondo la tua Parola”.


2) I tre verbi della vocazione, che non è una professione.

Le letture della Messa di oggi mostrano che la vocazione “ha” tre verbi: chiamare, ascoltare, rispondere.

Chiamare. Tranne le poche eccezioni di una chiamata diretta, la vocazione avviene per il tramite di altri uomini, come si vede nell’episodio di oggi: per i due discepoli del Battista, il tramite è lui, col segnalare loro l’Agnello di Dio; per Pietro è suo fratello Andrea; per Samuele bambino è il suo “custode” Eli.

Ascoltare, come fece il piccolo Samuele che a Dio che lo chiamava per nome risposte: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”.

Rispondere andando ad abitare presso Colui che dice a noi, come a Giovanni e Andrea: “Venite e vedrete”.

Riandiamo ancora al brano del Vangelo di oggi, nel quale ci è raccontato che, notando Giovanni e Andrea lo seguivano, Gesù si voltò e chiese: “Che cosa cercate?”. Gesù interrogò non per informarsi, ma per provocare la risposta e per indurre a prendere coscienza della propria ricerca. Gesù costringe l’uomo ad interrogarsi sulle ragioni del proprio cammino.

La ricerca deve essere messa in questione. C’è, infatti, ricerca e ricerca. C’è chi cerca veramente Dio e chi in realtà cerca se stesso.

Dunque, la prima condizione è di verificare continuamente l’autenticità della propria ricerca di Dio. La seconda è di non cercare di capire la vocazione come ricerca di sistemare il mondo né di sistemarsi nel mondo, perché la vocazione non è frutto di un progetto umano o di una strategia organizzativa. La vocazione è all’Amore, ricevuto e donato. La vocazione non è una scelta, è l’essere scelti: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16).


3) La vocazione alla felicità1attraverso un esodo.

Nel Vangelo di Marco si legge: “Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. (...) Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 8, 34-35; 10,21).

Nel Vangelo di oggi, con altre parole Gesù ripete l’invito a Giovanni ed Andrea perché anche loro si mettano in cammino dietro di Lui. In entrambi i casi Cristo chiede di percorrere con Lui l’esodo nuovo, che non è solo di liberazione dal male e da ogni altra schiavitù fisica o morale, ma per la libertà, la verità2, l’amore, la gioia, che tanto ci stanno a cuore.

Un esempio di santo che accettò totalmente di fare questo esodo con Cristo, fu San Francesco d’Assisi (11821226), che espresse la sua esperienza di liberazione e di vocazione con queste parole che ricevettero di titolo di La Preghiera semplice:


Signore fa di me uno strumento della tua Pace:

Dove è odio, che io porti l’Amore,

Dove è offesa, che io porti il Perdono.

Dove è discordia, che io porti l’Unione.

Dove è dubbio, che io porti la Fede.

Dove è errore, che io porti la Verità.

Dove è disperazione, che io porti la Speranza.

Dove è tristezza, che io porti la Gioia.

Dove sono le tenebre, che io porti la Luce.

Fa’ che io non cerchi tanto

ad essere consolato, quanto a consolare,

ad essere compreso, quanto a comprendere,

ad essere amato, quanto ad amare.

Poiché è dando che si riceve;

è perdonando che si è perdonati;

è morendo, che si risuscita a Vita eterna.”


Secoli prima, un altro Santo espresse l’esperienza di essere chiamato in modo molto profondo. Si tratta di Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430), la cui vocazione-conversione fu ottenuta dalla preghiera e dalle lacrime di sua madre, Monica. Nelle Confessioni, scritte per narrare la sua vocazione e rendere gloria a Dio per la sua misericordia, questo grande Santo afferma che “il peso dell’amore eleva in alto” (Pondus meum amor meus - Confessioni, XIII, 9, 10). E’ come se il Vescovo di Ippona avesse detto: “In qualunque parte mi porti l’amore, là io sarò”.

Anche lui aveva trovato l’amore e non solo non voleva perderlo, voleva restargli fedele sempre.

Per anni aveva cercato la verità e l’amore. Una volta incontrato nella persona di Cristo, vi restò fedele per sempre.

Anche a lui Cristo disse “che cerchi?”, e alla risposta interrogativa: “Maestro dove abiti” la replica è ancora “vieni e vedrai”.


4) La testimonianza della Vergini consacrate nel mondo.

La vocazione di Giovanni e Andrea fu suscitata dalla testimonianza del loro “vecchio” maestro, Giovanni il Battista, che aveva indicato Gesù quale “Agnello che toglie i peccati del mondo”, ma si chiarì nel dialogo con Cristo: “Che cercate?”, “Maestro, dove abiti?, “Venite e vedrete”.

A Giovanni e ad Andrea, come all’interminabile schiera di persone che Lo cercano e Gli chiedono: “Dove abiti?”, Gesù risponde con un imperativo (“venite”) e con una promessa (“vedrete”). La ricerca non è mai finita. La scoperta di Dio non è mai conclusa. Gesù non dice che cosa vedranno né quando. È stando con lui che il futuro si dischiuderà e fiorirà.

Seguire Gesù non significa sapere già dove egli conduce; vuol dire fidarsi di lui, confidare il Lui completamente. Questo abbandono totale è vissuto in modo particolare dalle Vergini consacrate. Queste donne ci testimoniano che la vocazione è riconoscere Cristo come centro affettivo della vita umana. Sul loro esempio, alla domanda di Cristo “Chi, che cosa cercate?”, rispondiamo: “Te” e nel quotidiano “sì” (fiat) si conformano al suo disegno di amore, rinnovando fedelmente il “sì” pronunciato nelle mani del Vescovo il giorno della consacrazione.

Tutti sappiamo che l’amore di Dio per l'uomo è fedele ed eterno: “Ti ho amato di amore eterno”, dice Dio all’uomo (cfr Ger 31, 3). Le Vergini consacrate ci testimoniano che anche noi possiamo vivere la vocazione all’amore di Dio che è luce, felicità e pienezza di vita quaggiù e per l’eternità.


1Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte III, Art. 2.

2Papa Francesco, Le vocazioni come testimonianza alla Verità, 14 maggio 2014.


Lettura Patristica

Tommaso d’Aquino,

Ev. sec. Ioan., 1, 15, 1 s.


L’agnello di Dio e lo sguardo di Gesù

       Quando dice: "Ecco l’agnello di Dio", non solo vuole indicare il Cristo, ma vuole anche esprimere ammirazione per la sua potenza - "Il suo nome sarà Ammirabile" (Is 9,6) -. Ed è veramente un agnello di meravigliosa potenza questo che, ucciso, uccise il leone; il leone, dico, del quale parla Pietro - "Il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente, cerca chi può divorare" (1P 5,8). Perciò lo stesso agnello venne chiamato leone vincitore e glorioso - "Ecco ha vinto il leone della tribù di Giuda" (Ap 5,5) -. "Ecco l’agnello di Dio" è una testimonianza molto breve; ma è breve perché i discepoli, ai quali Giovanni parla, da ciò ch’egli aveva già detto di Cristo, erano bene informati su di lui; e anche perché ciò che soprattutto interessava a Giovanni era di indirizzare i suoi discepoli a Cristo. E non dice «Andate da lui», perché i discepoli non credano di fargli un favore, se lo seguono; ma ne esalta il prestigio, perché capiscano che fanno bene a sé stessi, se lo seguono. Perciò dice: "Ecco l’agnello di Dio", cioè, ecco dov’è la grazia e la forza epuratrice del peccato; l’agnello, infatti, veniva offerto in espiazione dei peccati.


       "Gesù poi voltatosi": queste parole stanno a dire che Gesù compie ciò ch’era stato iniziato da Giovanni, perché "la legge non portò nessuno alla perfezione" (He 7,19). Quindi Cristo esamina e istruisce i discepoli, poiché "dice loro: Venite e vedete". Cristo li esamina ed essi rispondono - "Ed essi dissero: Maestro, dove abiti?" E l’evangelista dice: "Gesù voltatosi e visto che lo seguivano, disse loro". Il senso letterale dice che Cristo andava avanti e i due discepoli, che lo seguivano, non ne vedevano la faccia, perciò Cristo, per incoraggiarli, si voltò verso di loro. E questo ci fa capire che Cristo dà speranza di misericordia a tutti coloro che si mettono a seguirlo con cuore puro. "Previene quelli che lo cercano" (Sg 6,14). Gesù si volta verso di noi, perché lo possiamo vedere. Questo avverrà in quella beata visione quando ci mostrerà il suo volto, come si dice nel salmo (Ps 79,4). "Mostraci il tuo volto e saremo salvi". Finché siamo in questo mondo però lo vediamo di spalla, perché arriviamo a lui per via di effetti, per cui nell’Esodo (Ex 33,23) è detto: "Vedrai le mie spalle". Si volge anche Gesù per offrirci l’aiuto della sua misericordia. Questo chiedeva il Ps 89,13: "Signore, volgiti un pochino". Finché, infatti, Cristo non offre l’aiuto della sua misericordia, ci sembra ostile. Si voltò, dunque, Gesù ai discepoli di Giovanni, che s’eran messi a seguirlo, per mostrar loro il suo volto e infondere la sua grazia in essi. Li esamina poi quanto all’intenzione. Quelli che seguono Cristo non hanno tutti la stessa intenzione: alcuni lo seguono con la prospettiva di beni temporali, altri con la prospettiva di beni spirituali, perciò il Signore gli chiede: "Che cosa cercate?", non certo per venire a sapere, ma perché, dando loro occasione di manifestare la loro intenzione, li vuole stringere più vicino a sé, giudicandoli degni del suo interessamento.