Rito
Romano
XXX
Domenica del Tempo Ordinario – 29 ottobre 2017
Rito Ambrosiano
II Domenica dopo la
Dedicazione del Duomo di Milano
Una
premessa.
Per
capire bene il Vangelo di oggi, è utile ricordare in primo luogo che
la prima domanda da porsi non è: “Che fare”, ma: “Chi sono?
Perché e per chi vivo?”. In secondo luogo va tenuta presente
questa domanda di Cristo: “Qual
vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi
perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio
della propria anima?” (Mt
16, 26).
La
risposta alla domanda: “Chi sono” potrebbe essere, modificando la
nota frase di Cartesio che diceva: “Cogito ergo sum” (Penso,
dunque sono) in “Cogitor ergo sum”, che tradotto vuol dire: “Sono
pensato [dall’amore di Dio], quindi sono”.
L’intelligenza
amorosa di Dio ci ha creati, ma non ci ha lasciati soli sulla terra.
Il Logos (Parola, Pensiero, Intelligenza, Senso della Vita), il Verbo
si è fatto carne ed è venuto a noi gratuitamente, senza che abbiamo
fatto nulla per meritarlo: accogliamo con fede lui e il suo grande
comando ad amare. Consapevoli che "ci ha salvati non per opere
giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia” (Tt
3, 4).
Il
nostro amare Dio non è la causa, ma l’effetto del suo amore per
noi. “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che
lui ha amato noi…Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo”
(1
Gv
4, 10.19), e con il cuore dilatato da questo amore amiamo il nostro
prossimo.
Il comandamento
grande.
Nel Vangelo di questa
domenica, ancora una volta i farisei cercano di mettere in difficoltà
Cristo, chiedendogli tramite un dottore della Legge: “Maestro,
nella Legge, qual è il grande comandamento?” (Mt 22,36). E’
una domanda fondamentale perché nella Legge mosaica c’erano 613
precetti e divieti, che ponevano il problema di discernere quel fosse
il comandamento più grande che li raccogliesse in unità. Gesù non
ha nessuna esitazione, e risponde prontamente: “Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la
tua mente. Questo è il grande e primo comandamento” (Mt
22,37-38).
Su questa prima parte
della risposta del Maestro i farisei sono certamente d’accordo.
Anche loro pensavano che l'amore verso Dio vale più di tutti gli
altri comandamenti. In effetti, Gesù risponde citando lo Shemà,
la preghiera che il pio israelita recita più volte al giorno,
soprattutto al mattino e alla sera (cfr Dt 6,4-9; Dt
11,13-21; Nb 15,37-41). In questa preghiera é
proclamato l’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico
Signore. “L’accento è posto sulla totalità di questa dedizione
a Dio, elencando le tre facoltà che definiscono l’uomo nelle sue
strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Il termine
mente, diánoia, contiene l’elemento razionale. Dio non
è soltanto oggetto dell’amore, dell’impegno, della volontà e
del sentimento, ma anche dell’intelletto, che pertanto non va
escluso da questo ambito. E’ anzi proprio il nostro pensiero a
doversi conformare al pensiero di Dio” (Benedetto XVI).
Ma nella seconda parte
della sua risposta Gesù li sconvolge, perché il secondo
comandamento, il più simile al primo, è l’amore per il prossimo.
Non solo Cristo dice che Dio non si contrappone all’uomo, ma che
Dio dilata il cuore dell’uomo che, in Dio, ama il suo prossimo.
“Gesù opera uno squarcio che permette di scorgere due volti: il
volto del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o
due precetti: non sono precetti e formule; ci consegna due volti,
anzi un solo volto, quello di Dio che si riflette in tanti volti,
perché nel volto di ogni fratello, specialmente il più piccolo,
fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di
Dio” (Papa Francesco)
Un comandamento
così grande che ne contiene due.
E’ vero che Gesù
usa due citazioni dell’Antico Testamento, ma, dicendo che il
comandamento di amare il prossimo è simile a quello di amare Dio, fa
un'affermazione sconvolgente e stupefacente: nella persona che ama
Dio con tutto il cuore, resta ancora del cuore per amare il marito,
la moglie, il figlio, il fratello, l’amico, il prossimo e perfino
il nemico. Dio non ruba il cuore, lo dilata.
E’ pure vero anche
che lo scriba chiede quale sia il più grande comandamento (al
singolare), e Gesù risponde elencandone due. L’amore per Dio è il
più grande e il primo: il primato di Dio è affermato senza
esitazione. L'amore per l’uomo viene per secondo. Dicendo però che
«il secondo è simile al primo», Gesù afferma che tra i due
comandamenti c'è un legame molto stretto. Certo è diversa la
misura: l'amore per Dio è “con tutto il cuore, con tutta l'anima,
con tutta la mente”. L’amore per l’uomo è “come se stessi”.
La totalità appartiene solo al Signore: Lui solo deve essere
adorato. Ma l’appartenenza al Signore non può essere senza l’amore
per l’uomo. E difatti Gesù dice: “Da questi due comandamenti
dipende tutta la legge e i profeti”. Non si tratta di due
comandamenti paralleli, semplicemente accostati. E neppure basta dire
che il secondo si fonda sul primo. Molto di più: il secondo (quello
dell’amore al prossimo) concretizza il primo (quello dell’amore a
Dio).
Di per sé non
c’è contrapposizione tra questi due amori. Purtroppo, però
succede siano vissuti in un modo divaricato. C’è chi accentua il
primato di Dio (quindi la preghiera, il rapporto col Signore, la
conversione interiore personale) e c’è chi, in nome di Dio, attira
l'attenzione sull'uomo (quindi la giustizia, la lotta per un mondo
più giusto, la presa di posizione di fronte a strutture ingiuste).
Si direbbe più religiosa la prima e più politica la seconda. Ma
tale giudizio è superficiale e sbrigativo.
Una risposta ci viene
da questo episodio della vita di San Vincenzo de Paoli che ad una
suora delle Figlie della Carità (congregazione religiosa da lui
fondata per aiutare i poveri) che gli chiedeva: “Cosa devo fare se,
mentre sto facendo l’adorazione davanti al Ss.mo Sacramento, un
povero bussa alla porta del Convento?”. Il Santo le rispose: “Non
lasci Dio, se lasci Dio per Dio”.
Un’altra risposta ci
viene da Santa Teresa di Calcutta, la Missionaria della Carità, che
come abito religioso per sé e per le sue suore scelse il sahari
bianco, che era indossato dalle povere vedove del Bengala, e sul velo
anch’esso bianco, che è tessuto in un lebbrosario gestito dalle
Missionarie della Carità, fece inserire tre strisce blu, per
indicare i tre voti: castità, obbedienza e povertà. Ma volle la
striscia della castità più grande delle altre due perché
nell’amore a Dio, a cui un cuore si consacra totalmente, c’è
l’amore per il prossimo al cui servizio la suora si pone
lietamente.
Non si deve opporre Dio
all’uomo né l’uomo a Dio; per Gesù non c'è concorrenza ne
contrasto tra i due amori. Dichiarerà al giudizio finale: “In
verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40).
San Giovanni scrive: “Se uno dicesse: Io amo Dio, e odiasse il suo
fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello
che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento
che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Gv
4,20-21). I Santi che ho citato non sono che due della lunga teoria
di santi della carità, di cui la Chiesa è ricca.
Ma è utile ricordare
che anche le vergini consacrate sono missionarie della carità perché
hanno scelto Dio Carità. Queste donne sono chiamate ad essere
insieme segni chiari e semi nascosti che si offrono a Dio in terra
allo scopo di portare frutto di salvezza per tutti. Come Gesù
presentato al tempio e offerto, così ogni consacrata è un’offerta
accolta dalla Chiesa e presentata a Dio quale primizia di tutto il
popolo cristiano.
La
vergine consacrata si caratterizza per una vita condotta nella
assoluta gratuità: da Dio ha ricevuto il dono dell’amore per
vivere di Dio solo, e a Dio ritorna passando attraverso la preghiera
di lode e di supplica e il servizio di carità verso il prossimo. La
sua consacrazione la rende, nell’attuale società, testimone
credibile e incisiva del Vangelo, “seminando comunione e andando
fino nelle ‘periferie’, perché c’è un’umanità intera che
aspetta” (Papa Francesco).
Con la sua esistenza la vergine consacrata mostra che il
grande commando dell’amore è una grazia che permette una vita
lieta radicata in Dio e praticata nel servizio al prossimo.
Lettura
patristica
San
Leone Magno (390
circa –461)
Tractatus, 90,
3-4
I
due amori: Dio e il mondo
Vi sono due amori, dai quali derivano tutti i desideri, e questi sono così diversi per qualità, in quanto si distinguono per cause. L’anima razionale, infatti, che non può essere priva di amore, o ama Dio o ama il mondo. Nell’amore di Dio nulla è eccessivo, nell’amore del mondo, invece, tutto è dannoso. Per questo è necessario essere inseparabilmente attaccati ai beni eterni, e usare in maniera transitoria di quelli temporali, di modo che, per noi che siamo pellegrini e ci affrettiamo per tornare in patria, qualunque cosa ci tocchi delle fortune di questo mondo sia viatico per il viaggio e non attrattiva per il soggiorno. Per questo, il beato Apostolo così afferma: "Il tempo è breve. Rimane che quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero, quelli che piangono come se non piangessero, quelli che godono come se non godessero, quelli che comprano come se non possedessero, e quelli che usano di questo mondo come se non ne usassero: perché passa la scena di questo mondo (1Co 7,29-31). Ma ciò che piace per aspetto, abbondanza, varietà, non viene facilmente evitato, a meno di non amare, nella stessa bellezza delle cose visibili, il Creatore piuttosto che la creatura. Quando infatti egli dice: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" (Mc 12,30), vuole che mai ci sciogliamo dai vincoli del suo amore. E quando con questo precetto del prossimo (cf. Mc 12,31ss) congiunge strettamente la carità, ci prescrive l’imitazione della sua bontà, affinché amiamo ciò che egli ama, e ci occupiamo di ciò di cui egli si occupa. Sebbene infatti siamo "il campo di Dio e l’edificio di Dio" (1Co 3,9), e "ne chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere" (1Co 3,7), tuttavia esige in tutto il servizio del nostro ministero, e vuole che siamo dispensatori dei suoi doni, affinché colui che porta "l’immagine di Dio" (Gn 1,27), faccia la sua volontà. Per questo nella preghiera del Signore diciamo in maniera sacrosanta: "Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra" (Mt 6,10). Con tali parole cos’altro domandiamo, se non che Dio assoggetti chi non ha ancora assoggettato a sé, e, come [lo sono] in cielo gli angeli, così faccia ministri della sua volontà anche gli uomini sulla terra? Chiedendo dunque ciò, amiamo Dio e amiamo anche il prossimo, e in noi c’è non un amore diverso, ma unico, dal momento che desideriamo sia che il servo serva, sia che il padrone comandi.
Questo affetto dunque, o carissimi, dal quale escluso l’amore terreno, si rafforza con la consuetudine delle buone opere, poiché è necessario che la coscienza si rallegri nelle azioni rette, e volentieri ascolti ciò che gode di aver fatto. Si sceglie di fare digiuno, si custodisce la castità, si moltiplicano le elemosine, si prega incessantemente, ed ecco che il desiderio dei singoli diventa il voto di tutti. La fatica alimenta la pazienza, la mitezza spegne l’ira, la benevolenza si mette sotto i piedi l’invidia, le cupidigie umane sono uccise dai santi desideri, l’avarizia è scacciata dalla generosità, e le ricchezze che costituiscono un peso diventano strumenti di virtù.