venerdì 21 giugno 2024

L’altra riva

Domenica XII del Tempo Ordinario – Anno B – 23 giugno 2024 

Rito Romano
Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2 Cor 5,14-17; Mc 4,35-41 

Rito Ambrosiano
Gen 18,17-21;19,1.12-13.15.23-29; Sal 32; 1Cor 6,9-12; Mt 22,1-14 IV Domenica dopo Pentecoste. 

 

1) Prendere il largo verso l’altra riva.

Del Vangelo di questa domenica, che descrive la tempesta sedata, vorrei prima di tutto attirare l’attenzione sulla frase iniziale di Gesù: “Passiamo all’altra riva” (Mc 4,35). 

Un invito che Gesù rivolge ai suoi dopo aver parlato del Regno dei cieli, che da seme diventa albero grande. Come ho già detto altre volte lo “stare” con Cristo è un verbo di moto perché implica necessariamente uno spostarsi, un seguirLo. 

Un invito fatto quando cade la sera, dunque quando i seguaci di Gesù pensano di aver concluso il cammino della giornata ed hanno la umana e giusta esigenza di fermarsi e riposare dalle fatiche di portare con Cristo il vangelo. Il primo momento di questo andare oltre, è di lasciare la folla, di restare soli con Gesù per allontanarsi con Lui dalla riva dove erano arrivati. 

La barca è la nostra vita che procede con il Salvatore. E’ un legno che solca le onde del tempo e dello spazio ed è capace di portare con sé il Figlio di Dio. Gesù, vero uomo e vero Dio, è così potente che non si preoccupa della tempesta. Può capitare che il vento soffi con violenza: tutte le voci che si agitano dentro e fuori di noi e che spesso si levano con tanta forza da sbandare i nostri passi fino a poco prima sicuri del sentiero. Le onde si rovesciano dentro la barca: ciò che è parte delle nostre giornate e che ci sembra di conoscere bene si ribalta contro di noi, certi significati che ci afferrano improvvisi e ci fanno sentire in balìa dell’inaspettato al punto da riempire di paura la vita che pensiamo ci appartenga. 

Oggi Gesù ci dà una chiara lezione di come affrontare il mare della storia personale e di questo nostro mondo: dobbiamo navigare con Lui, dobbiamo prenderLo sulla nostra barca, “così com’è” (ibid. v. 36), perché Lui ci porti all’altra riva, salvandoci dalle acque burrascose. 

Con Cristo, il cui amore è più forte della forza della natura possiamo arrivare all’altra riva raggiungibile grazie all’abbandono confidente in Lui. La tempesta naturale e quella del cuore umano è pericolosa e può portare alla morte, la “tempesta del cuore di Dio” porta pace, purché come gli apostolici diciamo; “Maestro, non t’importa che siamo perduti” (ibid. v.38). 

 

2) Gesù dormiva, ma il suo cuore vegliava. 

Solo in questo brano di San Marco Gesù è presentato mentre dorme. Come interpretare tale sonno? Gesù è veramente stanco. Dopo una giornata di predicazione in cui ha speso tante energie, il Salvatore sale in barca è si addormenta profondamente, al punto tale di avvertire neppure il rumore del vento e delle onde. Possiamo così constatare qui la reale umanità di Gesù. Ma è utile aggiungere qualche altra spiegazione: Gesù si fida dei suoi, non dubita della loro responsabilità e capacità professionale, anche noi dobbiamo fidarci di Lui. Certo il suo atteggiamento è carico di mistero: il suo sonno tranquillo significa –secondo me- la serena fiducia in Dio, la fiducia del Figlio che si sente protetto e amato dal Padre, tra le sue braccia, anche nell'infuriare della tempesta del mare e della vita. 

Dobbiamo fare nostro questo atteggiamento di Cristo, magari pregando il Salmo 130 che ci suggerisce una delle più dolci immagini del nostro abbandonarci in Dio, anche nella prova: “Sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia” (130,2-3). 

 

 

3) Il cuore dell’uomo è domanda di infinito. 

Oltre ad insegnarci ad avere un abbandono totale in Lui, con il suo sonno sulla barca sbattuta dal mare in tempesta, il Salvatore risveglia il grido della nostra fede. Infatti, con un tono di stupito rimprovero Gesù dice ai suoi: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?". (Ibid. v. 40) Il Figlio di Dio esige la fede dei suoi fratelli per risvegliare la potenza del suo amore. 

Con la domanda: “Perché siete così paurosi?”, il Cristo sposta l’attenzione dalla potenza del miracolo alla fede dei discepoli, che si sono staccati dal lavoro precedente, dalla famiglia, dalla “folla” per stare con Gesù, seguendoLo per le strade del mondo. E Gesù, Maestro ed Amico, educa questa fede facendo oggi comprendere loro che non devono pretendere una presenza e una potenza divina, che li tolga dalla fatica del vivere. Inoltre li educa ad essere coraggiosi (cor agere = agire con il cuore), educando il cuore 

Come rispondere a Cristo che ci chiede: “Perché siete così paurosi?”. Facendogli la stessa domanda del padre degli Apostoli “Aumenta in noi la fede, Signore” (Lc 17,5). Fede che è atto dell’intelligenza e abbandono della volontà

Facciamo in modo che la nostra vita sia veramente questo aprirsi della nostra mente e del nostro cuore ad una fede ogni giorno più pura, ad una fede ogni giorno più grande. Preghiamo perché la nostra fede ci apra sempre di più al dono di Dio. La fede matura sa rendere gli apostoli tranquilli anche nelle difficoltà e sereni anche nella persecuzione . Si pensi a San Pietro che in prigione dormiva serenamente. Si pensi anche alla “piccola” Santa Teresa del Bambin Gesù[1]. Lei che morì ad appena 24 anni è la santa della semplicità e dell'amore; la santa dell'abbandono fiducioso alla volontà di Dio, Padre amoroso, amante ed amato, 

Se vogliamo crescere nella fede dobbiamo educare il cuore, imitando la “piccola” Santa di Lisieux. 

Educare il cuore ad accorgersi di Cristo. Perché accorgersi? L’etimologia di accorgersi è “ire ad cor” (andare al cuore), è il far passare il mio cuore al cuore di Cristo, e il cuore di Cristo al mio cuore e così possiamo non solo non avere paura nella barca della vita, ma pacificare con Cristo il mare della vita. 

Un modo di vita significativo per accorgersi di Cristo è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Attraverso la verginità queste donne educano il cuore “costruendolo” in quello di Cristo, che vuole bene e vuole il bene di chi a Lui si dona. 

Lo stile della Vergine consacrata nel mondo è quello di chi non possiede il suo prossimo, perché il suo cuore è pieno dell’amore di Dio. Ricca di questo amore ne diventa segno limpido e pratica verso il prossimo la benevolenza che ha ricevuto da Dio. In effetti la verginità è vocazione all'amore: rende il cuore più libero di amare Dio. Libero dai doveri dell’amore coniugale, il cuore vergine può sentirsi, pertanto, più disponibile all’amore gratuito dei fratelli. 

La verginità, certo, implica la rinuncia alla forma di amore tipica del matrimonio, ma la rinuncia è compiuta allo scopo di assumere più in profondità il dinamismo, insito nella sessualità, di apertura oblativa agli altri e di potenziarlo e trasfigurarlo mediante la presenza dello Spirito, il quale insegna ad amare il Padre e i fratelli come il Signore Gesù. 

E già nel 15 maggio 2008, Papa Benedetto XVI disse loro: “La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, 30). Fate in modo che la vostra persona irradi sempre la dignità dell’essere sposa di Cristo, esprima la novità dell’esistenza cristiana e l’attesa serena della vita futura. Così, con la vostra vita retta, voi potrete essere stelle che orientano il cammino del mondo. La scelta della vita verginale, infatti, è un richiamo alla transitorietà delle realtà terrestri e anticipazione dei beni futuri. Siate testimoni dell’attesa vigilante e operosa, della gioia, della pace che è propria di chi si abbandona all’amore di Dio. Siate presenti nel mondo e tuttavia pellegrine verso il Regno. La vergine consacrata, infatti, si identifica con quella sposa che, insieme allo Spirito, invoca la venuta del Signore: “Lo Spirito e la sposa dicono ‘Vieni’” (Ap 22,17)”. (Discorso alle Partecipanti al Congresso dell’Ordo Virginum, n 6) 

 

 

Lettura Patristica
Sant’Agostino

Vescovo de Dottore della Chiesa (354-430)

Discorso 63, 1-3

PL 38, 424-425

 

Battuti dal vento e dalle onde 

Per grazia di Dio vi rivolgo la parola sul passo del santo Vangelo letto poco fa e in nome di lui vi esorto a far sì che nei vostri cuori non si assopisca la fede con cui resistere alle tempeste e ai marosi di questo mondo. In effetti non è vero che Cristo nostro Signore avesse in suo potere la morte e non il sonno e che forse l'Onnipotente fu oppresso dal sonno contro la sua volontà mentre stava sulla barca. Se voi crederete questo, egli dorme nel vostro intimo; se invece Cristo è desto, è desta anche la vostra fede. 

L'Apostolo dice: « [Chiedo di] far abitare Cristo nei vostri cuori per mezzo della fede » (Ef 3,17). 

Anche il sonno di Cristo è dunque un segno esteriore d'un simbolo. Sono come dei naviganti le anime che fanno la traversata di questa vita in una imbarcazione. Anche quella barca era la figura della Chiesa. Poiché anche ogni persona è tempio di Dio e naviga nel proprio cuore e non fa naufragio se nutre buoni pensieri. Se hai sentito un insulto, è come il vento; se sei adirato, ecco la tempesta. Se quindi soffia il vento e sorge la tempesta, corre pericolo la nave, corre pericolo il tuo cuore ed è agitato. All'udire l'insulto tu desideri vendicarti: ed ecco ti sei vendicato e, godendo del male altrui, hai fatto naufragio. E perché? Perché in te dorme Cristo. Che vuol dire: "In te dorme Cristo"? Ti sei dimenticato di Cristo. Risveglia dunque Cristo, ricordati di Cristo, sia desto in te Cristo: considera lui. 

 

Pietro Crisologo Sermone 21, 1 ss.

 

1. Il sonno di Cristo sulla barca 

Tutte le volte che Cristo dorme nella nostra nave, e a causa del sonno della nostra ignavia s’addormenta nel nostro corpo, insorge una totale tempesta per la violenza dei venti, infieriscono minacciose le onde, e mentre troppo frequentemente si innalzano e cadono con flutti spumeggianti, amaramente suscitano nei naviganti con l’attesa i naufragi, come ha detto la lettura del nostro evangelista... 

"E lo prendono", disse, "così com’era nella nave" (Mc 4,36). Altro è il Cristo in Cielo, altro è il Cristo in nave: altro nella maestà del Padre, altro nella umiltà dell’umanità si avverte; altro si vede coeterno al Padre, altro temporale in rapporto alle età; altro dorme nel nostro corpo, altro veglia nella santità del suo spirito. "Lo prendono così com’era", disse, "nella nave". Lode di fede è ricevere il Cristo come è e si ha nella nave, cioè, nella Chiesa, dove è nato, dove crebbe, dove soffrì, dove fu crocifisso e sepolto, dove ascese al Cielo, siede alla destra di Dio Padre, donde verrà come giudice dei vivi e dei morti: professare tutto questo è di singolare salvezza. Colui che avrà accolto nella nostra nave e confessato il Cristo, qualora venga sommerso dagli scandali delle onde, non è immerso dai pericoli e coperto dalle onde... "Quella burrasca gettava le ondate nella nave" (Mc 4,37): poiché come le onde dei popoli e la ferocia delle persecuzioni agitano e squassano la nave del Signore esternamente, così all’interno i burrascosi flutti degli eretici irrompono ed infieriscono [contro di essa]. Il beato Paolo dichiara di aver sofferto questa tempesta, quando dice: "Al di fuori le lotte, internamente i timori: talmente che la nave fosse sommersa" (2Co 7,5). Giustamente l’evangelista, a causa dei flutti spumeggianti, riferisce che la nave fosse ripiena [d’acqua], soffrendo la Chiesa un numero così grande di eresie, quante controversie della legge leggiamo che ci siano. 

"Ed egli", disse, "dormiva a poppa sopra un capezzale. Lo svegliano e gli dicono: Maestro, niente t’importa che affondiamo? E, alzandosi, minacciò il vento e disse al mare: Taci e ritorna tranquillo. E cessarono i venti ed il mare ritornò calmo" (Mc 4,38-39). Mentre avveniva ciò gli insegnamenti si resero palesi, e il tempo lo addita all’esempio. Dal momento che grande e abbastanza violenta incombe una burrascosa tempesta, mentre da ogni parte il turbine pericoloso dei venti ruggisce e infierisce, muggisce il mare, le stesse isole sono scosse dalle fondamenta e i litorali sono scossi da pauroso fragore. Ma poiché dicemmo: Cristo dorme nella nostra nave, avviciniamoci a lui più con la fede che col corpo, e bussiamo alla sua porta [svegliamolo] più con le opere di misericordia che con il contatto di disperati; scegliamolo non con un frastuono indecoroso ma con grida di canti spirituali: non mormorando maliziosamente, ma supplicandolo con animo vigile. 

Offriamo a Dio qualcosa del tempo della nostra vita, affinché questa infelice vanità e miseranda sollecitudine non sciupi tutto il tempo [della nostra vita]; affinché l’eccessivo sonno e il vano torpore non sciupi tutta la notte ma parimenti parte del giorno e della notte noi stessi dedichiamo all’autore del tempo. 

Vigila, uomo, vigila! Hai l’esempio, e ciò che il gallo ti impedisce all’ospite, tu offrilo al tuo creatore, soprattutto quando egli ti suggerisce che ti sarà di aiuto, quando ti spinge al lavoro, quando già vicina la luce del nuovo giorno; quanto più con inni celesti ti conviene rivolgerti a Dio con virtù celeste per la tua salvezza. Ascolta il profeta che dice: "Durante la notte il mio spirito veglia presso di te, o Dio" (Is 26,9). E il salmista: "Sono con le mie mani di notte davanti a lui, e non sono stato ingannato" (Ps 76,3). Del giorno, invero, tre momenti lo stesso salmista ammonisce che bisogna riservare a Dio, dicendo: "Di sera, al mattino e nel mezzogiorno narrerò ed annunzierò, ed egli esaudirà la mia voce" (Ps 54,18). Mentre Daniele supplicava diligentemente Dio, in questi tre momenti [della giornata], ottenne non solo la prescienza del futuro, ma meritò la liberazione del suo popolo a lungo prigioniero. Ripetiamo, dunque, col profeta: "Sorgi, sorgi e non respingermi fino alla fine" (Mc 4,38). Diciamo con gli apostoli: "Maestro, niente t’importa che affondiamo?" (Mc 4,38). E veramente il maestro, non solo è il creatore di tutti gli elementi, ma anche il moderatore e il reggitore di essi. Ed egli quando ci avrà ascoltato, quando si sarà degnato di vigilare, si calmeranno le onde, e gli spaventosi marosi si appianeranno e così i colli, i venti si allontaneranno, cesserà la tempesta e quella che è imminente e la grande burrasca si trasformeranno nella più grande calma. 

page8image24009632page8image24015664page8image24017536page8image24003600

 



[1] Il nome di Teresa del Bambin Gesù, che fece suo fin dall’età di nove anni, quando manifestò il desiderio di farsi carmelitana, resterà per lei sempre attuale e sforzò di meritarselo costantemente. Più tardi sotto un’immagine di Gesù Bambino, scriverà questa frase: «O piccolo Bambino, mio unico tesoro, mi abbandono ai tuoi divini capricci, non voglio avere altra gioia che quella di farti sorridere. Imprimi in me le tue grazie e le tue virtù infantili, affinché il giorno della mia nascita al cielo, gli angeli e i santi riconoscano nella tua piccola sposa: Teresa del Bambin Gesù». 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento